mercoledì 15 agosto 2018

Il giorno in cui li vedi andare via

Quando ero più giovane, era tutto più facile, da un certo punto di vista: i piloti andavano e venivano senza che vi facessi molto caso. Venivano rimpiazzati da qualcun altro e non importava che fine facessero. Magari, se venivano rimpiazzati da un loro connazionale quasi-sosia più giovane di dieci anni ci facevo caso a malapena, e non importava chi fossero stati prima di ritirarsi.
Era l’epoca in cui correvano in Formula 1 piloti che avevano venti o venticinque anni più di me, in cui mi era chiaro che prima o poi si sarebbero ritirati, perché si erano ritirati i piloti che correvano in F1 quando ero piccola e l’avrebbero fatto anche loro.
In più, a quell’epoca mi importavano solo i piloti rilevanti, per intenderci, quelli che avevano speranze di vittoria, e fino al primo ritiro di Michael Schumacher nel 2006 non ricordo ritiri di piloti che avessero molte speranze di vittoria. In più, prima di quell’epoca, seguivo la Formula 1 in modo più distaccato: se qualcuno si ritirava o restava senza volante, c’era caso che lo scoprissi all’inizio della stagione successiva.
Il ritiro di Michael Schumacher non mi sconvolse particolarmente: anzi, era da anni che se ne parlava più o meno velatamente ed era opinione diffusa che ormai avesse vinto tutto quello che doveva vincere, quindi non aveva più nulla da fare in F1. Obiettivamente parlando, seppure la mia visione delle cose fosse un po’ meno estrema, non c’era molto di diverso da quello che pensavo io: il mio era piuttosto un pensare che ormai avesse completato il suo percorso e che potesse andarsene senza rimpianti, cosa che magari non attribuivo ad altri piloti rimasti in Formula 1 per molti anni. Per certi versi, rivedere Coulthard e Barrichello sul podio nel 2008, mi fece accettare meglio il ritiro di Coulthard e mi avrebbe fatto accettare meglio anche il ritiro di Barrichello. Uno dei miei grossi dispiaceri, al momento del ritiro di Ralf Schumacher, fu che non fosse riuscito a salire sul podio almeno un’ultima volta.
Ad ogni modo si trattava di gente nata negli anni ’70 se non alla fine degli anni ’60, tutti piloti di quando ero bambina, che per qualche verso facevano parte della mia infanzia.

Al giorno d’oggi le cose sono cambiate: per piloti dell’epoca della mia infanzia o della pre-adolescenza intendo non esattamente quelli che correvano in Formula 1 a quei tempi, ma quelli che erano già rilevanti a quei tempi.
Per intenderci, Kimi Raikkonen e Fernando Alonso debuttarono in Formula 1 nello stesso gran premio e, per giunta, se non vado errata Raikkonen fu anche ingaggiato dopo di Alonso, ma nel 2001, prima di compiere tredici anni, di sicuro era uno dei due quello che avevo notato meglio. Un anno più tardi, prima che io ne compissi quattordici, uno dei due stava in Renault come terzo pilota, quindi invisibile ai miei occhi, mentre l’altro stava in McLaren, in qualità di giovane sosia e rimpiazzo di Hakkinen, a salire occasionalmente sul podio e a scivolare sull’olio lasciato dalla vettura di McNish mandando al vento la sua potenziale prima vittoria.
Per quanto la prima vittoria di Raikkonen finì per coincidere con la prima pole position di Alonso e per quanto vinsero il loro primo gran premio nello stesso anno, ho sempre visto Raikkonen come quasi “antecedente” ad Alonso e non solo perché è più vecchio (ci sono solo due anni, tra di loro, ma sono abbastanza affinché uno sia nato negli anni ’70 e l’altro negli anni ’80): Raikkonen lottava per il titolo per la prima volta nel 2003, per Alonso fu necessario aspettare fino al 2005. Tra avere quattordici/quindici anni e averne sedici/ diciassette c’è un abisso, quindi, se un giorno dovessi dire che il ritiro dalla Formula 1 da parte di Raikkonen non mi ha fatto tanto effetto (cosa che posso azzardarmi a pronosticare oggi, ma che potrebbe anche non rivelarsi esatta in futuro, dato che fino a ieri non sapevo come avrei reagito a un’altra notizia), probabilmente quel giorno dovrei andare a ricercare le ragioni tra i seguenti fattori: 1) pilota nato negli anni ’70 quindi lo vedo come una generazione antecedente alla mia, 2) sostituto di Hakkinen in McLaren quindi da me identificato in un primo momento come una sorta di Hakkinen 2.0 che avrei saputo a malapena distinguere da quello precedente, 3) era già considerato rilevante quando fu ingaggiato al posto di Hakkinen ovvero quando avevo tredici anni, 4) diciamo anche che non sarebbe il suo primo ritiro dalla Formula 1, che magari contribuisce un po’.

Visti i contenuti dei due paragrafi precedenti, credo che sia intuibile qual è l’argomento di cui voglio andare a parlare e non è affatto il “ritiro dalle competizioni” di Fernando Alonso, essenzialmente perché andare a scrivere che si “ritira dalle competizioni” solo perché ha annunciato che non sarà in Formula 1 il prossimo anno perché intende andare a correre altrove, significa non essere tanto più culturalmente elevati di quelli che pensano che Buemi non corra ad alti livelli dal 2011 e che viva di stenti.
Ad ogni modo è andata così: Alonso ha annunciato che nel 2019 non sarà in Formula 1 e, come succede ogni volta in cui un pilota lascia la Formula 1, la mia bacheca di Twitter è stata letteralmente invasa da post a proposito di Alonso, la maggior parte dei quali da parte di persone che, invece di osservazioni del tipo “mi mancherà”, “non mi mancherà”, “buona fortuna per il futuro”, “seguo solo la Formula 1 quindi qualunque cosa farà non la vedrò” ritenevano doveroso andare a citare momenti a caso della sua carriera, purtroppo scegliendoli male: stiamo parlando di un pilota che nella sua carriera è riuscito a vincere due titoli mondiali e un titolo di autore di team radio pittoreschi, dopotutto. In diciassette stagioni è stato protagonista anche di scene divertenti, “impara a imparare” “impara tu a imparare” prima di tutte, per non parlare dei continui accenni ai motori GP2.

Ad ogni modo, qualunque cosa venga scelta, la mia impressione è che il giorno in cui li vedi andare via, i piloti ti appaiono sotto una luce diversa: prima erano quelli della generazione degli anni ’80, che erano ancora in Formula 1 nonostante fosse passato essenzialmente un secolo, dopo sono quelli della generazione degli anni ’80 che presto se ne andrà. Sono quelli che, anche se erano più vecchi di me, vedevo quasi come miei coetanei e, per quanto non sia per nulla inaspettata l’uscita di scena di Alonso alla fine della stagione (seguo la Indycar abbastanza per essere consapevole del fatto che, se c’erano insistenti rumour su Alonso in Indycar, molto probabilmente Alonso andrà davvero in Indycar – peraltro a suo tempo avevo già osservato la sovrapposizione del GP d’Australia 2019 con un evento del WEC e l’assenza di sovrapposizioni con la Indycar), è l’ennesimo tassello di un puzzle che a poco a poco verrà completato e vedrà i piloti della mia epoca andare via.
Non è che non fossi pronta a vedere Alonso andarsene: è che non sono pronta al fatto che Hamilton rimanga il secondo nella classifica dei più vecchi e che, se dovesse andarsene anche Raikkonen, resterebbe il più vecchio in assoluto. Non sono pronta al fatto che in pochi anni i “vecchi” saranno quelli che ho visto arrivare in Formula 1 prima che gli spuntasse la barba. Non sono pronta al fatto di sentirmi più vecchia ogni volta in cui qualcuno se ne va.
Non sono pronta al fatto che, se non ricordo neanche minimamente dove fossi quando Coulthard annunciò il ritiro o quando Barrichello annunciò il passaggio in Indycar, negli ultimi anni ho una tendenza marcata a ricordare esattamente dove fossi e che cosa stessi facendo quando qualche pilota che non fosse una semplice comparsa annunciava il ritiro.

Non racconterò mai ai miei nipoti/ ai nipoti dei miei cugini/ ai figli dei futuri vicini di casa qualora non dovessi avere discendenti dov’ero il giorno in cui scoprii che Ralf Schumacher non avrebbe più gareggiato in Formula 1, perché non me ne ricordo. Lo considerai un evento di routine e, per quanto di tanto in tanto, guardando i gran premi, io senta ancora la mancanza di Ralf Schumacher, così come dei piloti della sua epoca, non ebbe alcun effetto su di me.
Però potrò raccontare ai bambini del domani, qualunque legame di parentela essi abbiano con me o con i miei futuri vicini di casa, di quel giorno in cui, al lavoro, andai in bagno e quando tornai lo speaker alla radio stava dicendo che Massa aveva annunciato il proprio ritiro dalla Formula 1. Potrei raccontare loro di quando, due giorni più tardi, Button fece lo stesso, ma mi fece meno effetto, perché ero ancora nel pieno degli effetti del ritiro di Massa.
Potrò raccontare ai bambini del domani di quel giorno che, al lavoro, nell’indecisione tra il cercare di trovare meglio la frequenza del canale su cui era sintonizzata la radio e il cambiarlo, sentire vaneggiare qualcosa a proposito di Formula 1 mi fece rimanere su quella frequenza e un attimo dopo lo speaker disse che Rosberg aveva annunciato il ritiro dalle competizioni e per prima cosa, per quanto l’idea che fosse uno scherzo del primo aprile avesse dell’assurdo, andai a controllare sul computer che giorno fosse, ricordando che era dicembre.
Potrò raccontare ai bambini del domani di quel giorno in cui, quando Massa era tornato nonostante l’annuncio del ritiro, entrai su Twitter e mi trovai la bacheca invasa su dei post su di lui e di come mi servì un attimo, per rendermi conto di che cosa significasse. Infine (ma “infine” solo in senso teorico, perché nei prossimi mesi e nei prossimi anni accadrà un’infinità di volte) ci sarà quel giorno in cui la sera prima avevano tolto l’acqua e avevo ancora dell’acqua nella vasca da bagno, in caso servisse. Ci sarà quel giorno in cui, per la prima volta dopo una vita, ho deciso di fare il bagno invece che la doccia, per le ragioni del caso. Credevo di avere chiuso internet, invece internet era ancora aperto. Quando sono tornata al computer, mi sono accorta che anche Twitter era aperto. Appena un minuto prima, la McLaren aveva annunciato che Alonso non sarebbe stato in Formula 1 nel 2019. Come tutte le volte precedenti, e come mi succederà tante altre volte negli anni che verranno, mi sono sentita vecchia e spaesata, anche se stavo semplicemente leggendo una notizia che era tutt’altro che inaspettata: un pezzo di storia che se ne va, di per sé, non è nulla. È solo che, pezzo dopo pezzo, un’epoca se ne va, e che ogni volta in cui qualcuno se ne va, quel giorno è sempre più vicino.

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