Al Nurburgring, Frentzen partiva dalla pole position, teneva la testa della gara e sembrava un potenziale candidato alla vittoria. Dietro di lui c'era Coulthard, mentre le cose non andavano altrettanto bene tra Hakkinen e Irvine, il primo alle prese con un'errata scelta di gomme, in una giornata dalle condizioni meteo variabili, il secondo colto di sorpresa da meccanici che, altrettanto colti di sorpresa, correvano avanti e indietro alla ricerca della quarta ruota.
Se la prima metà gara faceva pensare a Frentzen e a Coulthard come ai favoriti, eravamo destinati ad essere presto smentiti.
Fuori Frentzen, fermato da un problema tecnico, impossibilitato a portare a casa quella che avrebbe potuto essere la sua ultima vittoria in carriera.
Coulthard in testa, su gomme da asciutto, con la pista bagnata... fuori anche lui, per incidente, con le sue speranze di potere infastidire il compagno di squadra per lo scontro iridato ormai finite. Gli sarebbe andata meglio che a Frentzen, negli anni a venire: avrebbe continuato a vincere gran premi, con frequenza maggiore o minore a seconda dei periodi, fino all'allora ancora molto lontano 2003.
Fu esattamente a quel punto che iniziò ad accadere tutto l'impensabile, quello che era impensabile per me, bambina di prima media che guardavo la gara in soggiorno insieme a mio padre, ma anche per tanti altri: in testa alla gara c'era Ralf Schumacher sulla Williams, una Williams che non vedeva la vittoria di un gran premio da due anni.
Ralf era su gomme d'asciutto e la pioggia continuava a cadere. Optò per rientrare ai box, perdendo così la leadership della gara, conquistata nientemeno che da Giancarlo Fisichella.
Il pilota italiano, al volante della Benetton, puntava alla sua prima vittoria, ma era destinato a trascorrere in testa soltanto quattro giri: messo fuori gioco da un incidente, avrebbe dovuto attendere fino al 2003 prima di vincere una gara nella massima serie.
Con il ritiro di Fisichella, tornava in auge Ralf Schumacher, anche lui a lottare per quella che poteva essere il suo primo successo. Una foratura stravolse i suoi piani: avrebbe dovuto attendere fino al 2001, ma avrebbe avuto l'onore di essere proprio lui a riportare il team di Grove alla vittoria dopo anni di digiuno.
Quell'atmosfera da "ne resterà uno solo" si interruppe, finalmente, quando mancavano quindici giri di gara. Johnny Herbert, all'epoca pilota della Stewart, aveva rimontato posizioni grazie all'avere azzeccato il momento giusto in cui passare dalle gomme da asciutto a quelle da bagnato. Già vincitore di due gran premi nel 1995 ai tempi della Benetton, avrebbe portato a casa quel giorno la sua terza e ultima vittoria in Formula 1, precedendo la Prost di Jarno Trulli e la Stewart di Rubens Barrichello.
La storia ci insegna, tuttavia, che ci sono outsider e outsider: da un lato quelli che possono occasionalmente lottare per il podio o addirittura per la vittoria, dall'altro quelli che nei giorni pazzi come quello potevano puntare al massimo a racimolare qualche misero punto.
Era il caso di Luca Badoer, con un passato fatto di Lola/Scuderia Italia, Forti e Minardi, con un presente fatto ancora di Minardi e con un futuro come terzo pilota Ferrari.
Il quarto posto verso il quale viaggiava in quel momento doveva sembrargli l'apice della sua carriera. Il cambio della sua vettura la pensava diversamente: finì la gara con tredici giri d'anticipo.
Il suo destino era quello di essere criticato da tantissimi esperti (in particolare utenti sgrammaticati dei social network) pronti a bollarlo come uno dei piloti più scarsi della storia per non avere mai ottenuto un punto, difeso soltanto da qualche individuo che di Formula 1 capiva poco e niente (gente come Michael Schumacher), pronto a definirlo almeno un fantastico sviluppatore di monoposto.
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