giovedì 11 luglio 2019

11 luglio, la mia ossessione pre-teen per la gamba fratturata di Michael Schumacher

Era l'estate del 1999. Era l'estate dopo la fine delle scuole elementari, l'estate che precedeva l'inizio delle medie.
Era l'epoca di "Mambo number 5" di Lou Bega, di "Vamos a la playa" di Miranda, delle ragazzine che, nel dubbio, scrivevano a "Cioè" per chiedere se lavarsi le parti intime con la Coca Cola fosse un contraccettivo invece di fare la stessa domanda su Answers Yahoo.
Ricordo il giorno del gran premio di Gran Bretagna, subito dopo il pranzo a casa dai nonni. Ricordo che, sulla TV del soggiorno, venne mostrata una Ferrari conficcata nelle barriere. Quello che è successo dopo ormai lo sanno anche i sassi, almeno da quel punto di vista.
Quello che successe a me, invece, fu qualcosa di molto strano: quello che avevo appena visto divenne una sorta di "ossessione" negli anni successivi, raccontavo la cosa alla mia migliore amica al punto che lei stessa tuttora afferma che per me era una fissa, il giorno dell'anniversario ne parlavo... e niente, la cosa perdurò per circa dieci anni. La cosa preoccupante è che, dieci anni più tardi, non si poteva più parlare di fissa pre-adolescenziale, perché avrei potuto tranquillamente bere alcool negli Stati Uniti, vista l'età che avevo (ma non in Turchia - se non sapete di che cosa sto parlando fatevi una cultura XD).

La cosa più folle di tutto ciò credo che sia che nel 1999 vivevamo, e io soprattutto vivevo, il motorsport in modo molto più distaccato che al giorno d'oggi.
In casa mia nessuno comprava giornali che avessero a che vedere con il motorsport. In realtà in casa mia non arrivavano nemmeno giornali, sui quali trovare per caso notizie di motori.
Le gare iniziavano quando veniva accesa la TV e finivano quando veniva spenta. All'epoca non avevo nemmeno il calendario con la lista dei gran premi di quella stagione.
Tifavo a scatola chiusa per un pilota di cui sapevo che aveva vinto due mondiali ai tempi della mia infanzia e che, dei piloti che contavano, era l'unico che era rilevante sia quando ero più piccola sia in quel preciso contesto storico.
Tifavo a scatola chiusa per un pilota di cui ai tempi non sapevo nemmeno quale fosse la gara di debutto, quale fosse la sua età, quale fosse il nome di sua moglie e il nome dei suoi figli (ho la vaga reminescenza di avere saputo già a quei tempi dell'esistenza di una figlia, ma non so se me lo ricordassi davvero o se me lo sia sognata, perché ricordo di mia nonna che mi informava di avere sentito in TV della nascita della figlia di MSC, anche se non ho la più pallida idea del perché mia nonna avrebbe dovuto informarmi di tutto ciò, due anni prima, conoscendola probabilmente non si sarebbe nemmeno ricordata di avere sentito la notizia)...
Tifavo a scatola chiusa un pilota di cui non sapevo quasi nulla e speravo che potesse vincere un mondiale: quello era il mio livello di partecipazione emotiva.

La cosa che mi lascia più perplessa, se ci penso a vent'anni di distanza, è che maturai quella fissa solo ed esclusivamente perché il pilota che speravo potesse vincere il mondiale si ritrovò fuori dalla lotta per il mondiale.
Non solo: quando rientrò e vinse i cinque mondiali successivi, continuai a pensare ai fatti di anni prima... il tutto mentre, di fatto, nell'estate del 2004 mi ritrovavo a sentirmi lontana come non mai dall'idea di tifare per quello stesso pilota.
Il giorno del gran premio di Francia 2004 sperai con tutte le mie forze che quella strategia a quattro soste fallisse: mi auguravo con tutta me stessa di potere finalmente vedere qualcun altro lottare per la vittoria in un contesto in cui non sembrava per niente scontato. Mi auguravo che la Renault e la B.A.R. potessero competere, sentivo che tifare per un pilota che presto avrebbe vinto il suo settimo mondiale non faceva per me, che era qualcosa che non mi sentivo dentro proprio per niente.

Ai tempi pensavo ancora che il tifo fosse tutto una questione di "scatola chiusa", non di qualcosa che mi sentivo dentro, ma la situazione stava lentamente cambiando.
Al giorno d'oggi non mi riconosco per niente in quella mia ossessione infantile e adolescenziale. So che potevano esserci conseguenze peggiori, che quel giorno è andata bene e che, al di là di questo, non è che abbia tutto questo senso entrare così in fissa per un'assenza per infortunio della durata totale di tre mesi. Con la mia mentalità di oggi, forse, mi concentrerei sui lati positivi: un pilota è stato fuori tre mesi ma è tornato, una seconda guida ha avuto la possibilità di mettersi in mostra anche se se l'è un po' bruciata, un pilota poco considerato si è fatto tre mesi in un top team e forse quei tre mesi in un top team gli hanno aperto la porta per gli anni futuri (per la sua permanenza in Sauber è poco ma sicuro).
Quello che era fatto ormai era fatto, tanto valeva concentrarsi sul futuro... specie quando quel futuro lo stavamo già vivendo. E invece no, meglio pensare e ripensare ai fatti di Silverstone 1999...

Ho 31 anni, al giorno d'oggi, e non posso chiedere alla me stessa di vent'anni fa, una bambina, di ragionare con una mentalità da adulta, questo no.
Quello che so è che, per quanto in futuro mi sia affezionata nel vero senso della parola ad altri piloti e che quello che sentivo nel lontano 1999 non aveva nulla a che vedere con il sentire qualche affinità verso MSC, diversamente dall'affinità che in seguito ho provato nei confronti di altri, nel 1999 probabilmente pensavo che tifare a scatola chiusa fosse la cosa più normale.
A ripensarci, mi sembra che, vent'anni fa e negli anni a venire, io mi sia comportata come se avessi perso il mio pilota preferito dell'epoca, sia nelle settimane in cui era vivo e vegeto ma con una gamba fratturata (e in cui le voci su un suo ipotetico ritiro non giungevano alle mie orecchie di sicuro), sia all'epoca in cui non solo era vivo e vegeto, ma addirittura era di nuovo al volante e otteneva vittorie, piazzamenti a podio e, in un secondo momento, anche dei mondiali.

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Milly Sunshine