A volte il tempo non si misura in giorni, mesi o anni, ma si misura in "prima" o in "dopo": ogni evento viene collocato in uno di questi due archi temporali, al punto che il tempo stesso perde d'importanza ed è difficile da quantificare.
Nel "prima" ricordo un'immagine al telegiornale di una Benetton con livrea Camel e io che ripetevo il nome "Benetton". Ricordo anche qualche sprazzo di quel gran premio che soltanto molti anni dopo riconobbi come Ungheria 1993. Ricordo poi quel gran premio che narrai alla mia maestra d'asilo un giorno in cui le mie amiche non c'erano e io non sapevo cosa fare in attesa che mia nonna venisse a prendermi.
Ricordo anche qualcos'altro, di questo ne sono certa, ma ero piccola e tutti i miei ricordi sono un po' frammentati. Non avrei mai ricordato il GP d'Ungheria 1993 se non avessi ricordato di avere chiesto a mia madre come mai inquadrassero sempre di continuo una McLaren, una Benetton e una Ferrari in fila l'una dietro l'altra. Ero convinta addirittura che quelle vetture fossero nelle prime tre posizioni, da cui derivò a lungo la difficoltà nel collocare quei ricordi e di associarli allo specifico evento.
Poi venne la linea di spartiacqua, quella che era destinata a separare il "prima" dal "dopo" e la linea di spartiacque iniziò con un'amara realtà. Quell'amara verità si concretizzò esattamente 25 anni fa, il giorno in cui, mentre ero davanti alla TV, scoprii che in Formula 1 non c'erano solo auto dai colori sgargianti che giravano in tondo, ma anche la consapevolezza che, prima o poi, qualcuno poteva morire.
Non avevo nemmeno sei anni e probabilmente l'idea non mi aveva neanche mai minimamente sfiorato, fino al momento in cui non arrivarono quelle immagini di una vettura quasi completamente distrutta e non iniziarono ad essere mandati in onda molteplici replay di quello che si vedeva dell'incidente.
Non intendo dare una visione romantica delle cose. Lo dico chiaro e tondo: fino a quel momento non avevo mai sentito nominare Roland Ratzenberger. Al GP del Brasile non si era qualificato, il GP del Pacifico era stato disputato quando da noi era piena notte, quindi non sapevo nemmeno dell'esistenza del gran premio stesso, in più non penso che una bambina di neanche sei anni i cui familiari erano telespettatori occasionali della Formula 1 avesse la possibilità di conoscere i nomi di piloti che non partivano nelle prime due o tre file ma nell'ultima, sempre ammesso che partissero.
Non avevo idea nemmeno del fatto che esistesse la Simtek, non sapevo che avesse una livrea tra il blu e il viola, non sapevo nemmeno del logo di MTV, né nient'altro. Le uniche immagini che avrei avuto occasione di vedere per molti anni sarebbero state solo quelle di quell'incidente, quando la vettura era in condizioni tali da rendere difficile identificarne i colori e gli sponsor. La prima cosa che pensai non appena vidi molti anni dopo in internet un'immagine in cui si vedeva una Simtek fu "azz, quanto era bella".
Non intendo dare una visione romantica delle cose e aggiungo che, nell'immaturità dei miei cinque anni e undici mesi, pensai che era una fortuna che fosse morto un pilota di cui non avevo mai sentito parlare fino a quel momento, perché non ne avrei sentito la mancanza. Ne viene fuori un bel po' di cinismo infantile, a cui do una spiegazione: probabilmente non mi rendevo ancora conto che la F1 non era un film e che, mentre nei film nessuno moriva davvero, avevo appena visto qualcuno morire davvero durante una trasmissione televisiva.
A cinque anni e undici mesi non ero una romantica, ma quindici o venti o venticinque anni più tardi lo sarei diventata. Team come Simtek, Pacific, Forti e Lola Mastercard erano una sorta di Marussia, Caterham, HRT e USf1 degli anni '90, quindi qualcosa per cui avrei senz'altro nutrito un certo interesse.
Con la mia mentalità post-adolescenziale o adulta avrei probabilmente imparato a dare peso al fatto che soltanto ventisei vetture su ventotto avessero accesso alla griglia di partenza, a quei tempi. Non so dire se avrei tifato per la Simtek o per la Pacific allo stesso modo in cui mi servì parecchio tempo per capire chi preferissi tra la Marussia e la Caterham, ma probabilmente le avrei amate e rispettate come meritavano, come tutti i team meritavano.
Motoristicamente parlando, una delle ragioni per cui sono felice che il mondo del web si sia molto evoluto rispetto a quindici anni fa, quando per la prima volta mi misi a cercare informazioni a proposito di chi fosse quel pilota che avevo visto morire quando ero bambina e per quale squadra gareggiasse.
Certo, c'è un po' di confusione e l'impressione è che qualcuno abbia lavorato un po' di fantasia, dato che certi dettagli cambiano leggermente da una biografia all'altra, ma ne viene fuori che la Simtek era un team che aveva un buon progetto ma che non aveva i soldi per adattarlo alle regole della stagione 1994, né per migliorarsi nel corso del tempo.
Ne viene fuori che Ratzenberger era un pilota senza i big-money, che aveva ottenuto risultati di discreto successo considerando che sembra non avere avuto una formazione kartistica, che aveva gareggiato in serie random, che era stato uno dei primi piloti europei a correre per la Toyota in Giappone e che aveva un budget per correre cinque gran premi. C'è chi dice i primi cinque, c'è chi dice i primi quattro più Suzuka, c'è chi dice che erano i primi quattro più Suzuka ma che il contratto venne prolungato a un certo punto anche per il quinto gran premio stagionale. Essenzialmente, in quella stagione probabilmente avrebbe dovuto alternarsi al volante con Gounon e poi probabilmente "sparire nel nulla" come tanti altri backmarker.
Quando nel 2011 mi fu possibile vedere l'intera sessione di qualifiche in cui era avvenuto l'incidente, mi accorsi per la prima volta di quanto fossero crude le immagini che erano andate in diretta televisiva durante la mia infanzia e che erano state replicate più di una volta.
I telecronisti avevano accennato, nei minuti precedenti, a quanto fosse migliorata la sicurezza negli ultimi anni e quanto l'incidente in cui Barrichello si era infortunato soltanto in maniera lieve il giorno precedente ne fosse la prova.
A volte si tende a cercare una prova laddove non ci sono prove, a non rendersi conto di quanto non possa sempre andare bene.
A volte si tende a dimenticare di quanto ogni sicurezza possa sfuggire da un momento all'altro. Quello che successe nel momento in cui il "prima" divenne "durante" fu la dimostrazione che tutto poteva sfuggire da un momento all'altro e che, in certe circostanze, trovare una scusa tutto sommato era abbastanza facile. Il fatto che a morire fosse stato un debuttante che correva per un team debuttante divenne (anche se per poco, avremmo scoperto) una ragione affinché la collettività giungesse nuovamente alla conclusione che a piloti più affermati e a squadre con una reputazione un po' più "seria" nulla di tutto ciò potesse accadere.
Mi chiedo se qualche telespettatore non arrivò addirittura a pensare che, in qualche modo, ci si fosse tolti il dente. La F1 aveva vissuto quello che, per i tempi, era stato il più lungo periodo senza incidenti mortali. Non dubito che qualcuno che guardava le gare da casa potesse pensare "adesso è successo, quindi per la legge dei grandi numeri non accadrà più per un po'."
La realtà dei fatti avrebbe informato tutti che il "prima" non era ancora diventato "dopo" e che la F1 era ancora in una sorta di terra di mezzo, ma per quel giorno era finita lì. Migliaia di telespettatori spensero la TV pensando che dopotutto la vita continuava. La loro, quantomeno.
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