La classifica parlava chiaro: Novak 62, Harris 62, Willis 53. C’erano ancora venti punti a disposizione, ma colmarli nel corso del Japanese Double Grand Prix non sarebbe stato affatto semplice.
Shane poteva accettare la realtà.
Poteva accettare che Erik avesse ottenuto la terza vittoria stagionale e che fosse l’unico pilota ad essere salito sul gradino più alto del podio per ben tre volte nel corso di quel campionato.
Poteva accettare che il team Vega, in notevole ripresa, fosse riuscito a centrare il podio grazie alla seconda posizione di Hugo Nyman.
Poteva accettare che Ethan Harris avesse conquistato la terza posizione, precedendo sul traguardo la compagna di squadra Dalia.
Poteva accettare - anzi, era molto soddisfatto per Juan, che in squadra con piloti di minore spessore avrebbe potuto addirittura fare bella figura - il quinto posto di Suarez.
Poteva accettare anche che Arden avesse conquistato due punti che andavano ad arricchire il modesto bilancio del Team Sparks.
Ciò che non riusciva ad accettare era che quel maledetto coglione di Gabriel Aruya, oltre a non avere subito penalità per quanto accaduto tra di loro, fosse addirittura riuscito a classificarsi in settima posizione, ottenendo l’ultimo punto disponibile.
A rendere la situazione ancora peggiore, qualora fosse stato possibile, aveva avuto la pessima abitudine di accettare di prendere parte alla festa organizzata quella sera al termine di tutti gli eventi.
Per fortuna non si trattava di un party improvvisato nel paddock. Per quanto il locale scelto per l’occasione fosse di dubbio gusto, almeno si sarebbe risparmiato un altro di quegli eventi inutili destinato a finire immortalato sui social network.
Essere seduto allo stesso tavolo in compagna di Dalia Herrera non era un surplus; anzi, era una rottura di scatole non indifferente. Non che fosse una donna noiosa o che fosse troppo vecchia per trovare la sua compagnia gradevole, ma quella sera gli sembrava di avere a che fare con una persona diversa.
“Anche perché, in circostanze normali, non sarebbe venuta da me.”
Era stata lei a chiedergli di sedersi: a Shane era sembrata quasi una richiesta di ospitalità.
Non avevano parlato molto e, quando l’avevano fatto, non avevano spaziato su argomenti di conversazione diversi dal gran premio e dalle condizioni di salute di Anders.
Il weekend malese non si era concluso molto bene, per la Scuderia Moretti: mentre il terzo pilota era fuori dai giochi già dalle prequalifiche, così come il terzo pilota del team Athena, Jens Schubert aveva fatto registrare l’ultimo tempo in qualifica. Ad Anders Ramirez era andata molto peggio, nonostante il penultimo crono: dopo avere perso il controllo della vettura era cappottato terminando il proprio volo sulle barriere.
Aveva riportato un trauma cranico di lieve entità.
«Sono andata da lui in ospedale e gli ho parlato» gli aveva riferito Dalia, all’inizio della serata. «A parte che ogni tanto parla un po’ a vanvera, non sta poi così male.»
Esisteva addirittura la possibilità, almeno stando alle parole di Dalia, che potesse prendere regolarmente parte al weekend giapponese.
Dopo numerosi accenni al pilota della Scuderia Moretti, Shane decise di tentare l’azzardo e di cambiare discorso.
Lamentarsi di Gabriel gli sembrava inopportuno: non solo Dalia nutriva molta stima nei suoi confronti, ma Shane avrebbe dato l’impressione di non sapere fare altro che lamentarsi.
Inoltre altri aspetti oscuri potevano meritare un approfondimento...
«Come mai stasera non sei con il tuo team?»
Dalia alzò le spalle, con aria indifferente.
«Mitch non c’è, è rimasto con Anders.»
«Però c’è Ethan» osservò Shane. «C’è Koji. C’è l’addetta stampa con i capelli rossi. A proposito, Ethan è seduto da solo come un’anima in pena, mentre l’addetta stampa con i capelli rossi se la ride insieme a Koji.»
Dalia puntualizzò: «Non credo che Ethan sia in quelle condizioni a causa di Grace. Anzi, se lei sta ridendo insieme a Koji, significa che questa sera Ethan non deve essere di grande compagnia. Conosco Grace abbastanza per sapere che, se ne avesse la possibilità, in questo momento sarebbe al seguito di Ethan.»
Era molto di più di quanto Shane si fosse aspettato di sentire, quindi si affrettò a precisare: «Non volevo essere invadente.»
«Figurati. E poi sono fatti loro, non certo miei. Non hai invaso la mia privacy. Se mi avessi chiesto come mai non ho un accompagnatore, forse avrei potuto sentirmi infastidita...»
Shane la interruppe: «Un accompagnatore, in apparenza, ce l’hai.»
Dalia rise.
«Non intendevo soltanto qualcuno con cui scambiare quattro parole.»
«E cosa, allora? Qualcuno con cui bere? Possiamo prendere qualcosa, se vuoi.»
Dalia sospirò.
«Ci siamo capiti.»
«Sì, ci siamo capiti benissimo» ribatté Shane. «Credimi, non sei affatto il mio tipo. Potresti essere mia madre.»
«Non esagerare!»
«Hai trentasette anni, giusto?»
«Già.»
«Trentotto tra pochi mesi.»
«Non mettere le mani avanti. Adesso ne ho trentasette.»
«Mia madre ne ha quarantuno. Sarebbe molto imbarazzante se mi trovassi una donna che ha quasi la stessa età.»
«Ribadisco che non ho la stessa età» scherzò Dalia. «Comunque anch’io non voglio avere a che fare con un bambino, se la cosa ti suscita qualche preoccupazione.»
Shane le strizzò un occhio.
«Preferisci i tipi come Ethan, tu?»
Dalia lo fissò a bocca spalancata.
Shane ebbe l’impressione di avere parlato a sproposito.
«Scusa, non volevo...»
«Invece lo volevi eccome» ribatté Dalia. «Ora, però, sono curiosa. Da dove esce questa tua convinzione che tra me e il mio compagno di squadra ci sia qualcosa di più di una relazione di tipo professionale?»
«Beh, siete amici, mi pare.»
«Più o meno.»
«Voci di corridoio mi hanno riferito che potreste essere più che amici.»
Dalia sbuffò.
«Queste “voci di corridoio” non hanno un nome?»
«Si tratta di uno dei miei meccanici» la informò Shane. «È convinto di averti visto, ieri sera, mentre entravi nel motorhome di Ethan.»
«E quindi?»
«Non ti ha vista uscire.»
«Magari si è distratto» azzardò Dalia.
«Già, magari si è distratto» convenne Shane. «Forse era convinto che, siccome tu e Harris siete stati insieme molto tempo fa, ci fosse qualche significato in quello che ha visto.»
«Il fatto che abbia pensato bene di riferirti l’accaduto ha un significato, infatti» replicò Dalia.
«Cioè?»
«Cioè che quel meccanico è un impiccione.»
Dalia era stata piuttosto secca, in quell’affermazione.
Shane iniziò a sospettare che, nella storia che gli era stata riferita, ci fosse almeno un fondamento di verità.
***
«Posso entrare?»
«Dalia, che sorpresa! Sì, certo.»
Era iniziato tutto così, era scolpito con chiarezza nella mente di Dalia.
Era entrata.
Aveva richiuso la porta.
Si era finalmente scusata con Ethan.
«Dopo la gara avrei voluto venire da te a farti i complimenti.» Vincere in Gara 1 era stato un risultato importantissimo per il team e per lo stesso Ethan. «Spero che non sia troppo tardi per farteli adesso.»
Ethan sorrise.
«No, figurati, grazie.»
Aveva voluto offrirle qualcosa da bere e quel qualcosa si era rivelato un energy drink decaffeinato a temperatura ambiente.
Erano rimasti un po’ a parlare, poi era accaduto qualcosa di irreparabile.
“Anzi, no.”
Non era accaduto nulla di irreparabile, ma soltanto qualcosa che non avrebbe avuto conseguenze: erano entrambi adulti, lo erano da molto tempo, ed erano in grado di capire che cosa meritasse di avere un seguito e che cosa dovesse essere totalmente ignorato.
Essersi ritrovati nello stesso letto non era un dramma, per due come loro.
Si alzò.
Si rivestì.
Se ne andò.
Ethan dormiva, il che rendeva tutto più semplice.
Non c’era bisogno di parole e la situazione rendeva possibile non pronunciarle.
***
Dalia riprese a tacere e, quando impossibile, a rispondere a monosillabi, tanto che l’impressione di Shane finì per intensificarsi.
Poi, all’improvviso, non gliene importò più nulla.
Vide Gabriel Aruya a pochi metri di distanza.
Si alzò in piedi e comunicò a Dalia di avere una questione più urgente di cui occuparsi. La Herrera gli parve sollevata.
«Okay, fai pure» lo invitò.
Anche senza il suo incoraggiamento, Shane non avrebbe esitato.
Si affrettò ad avvicinarsi a Gabriel e gli bloccò ogni possibile via di fuga. Infine, gli domandò: «Potresti avere finalmente la decenza di spiegarmi che cos’è accaduto oggi in pista? L’unica cosa che ho visto dal video dell’incidente è che mi hai speronato senza nessun motivo plausibile.»
Gabriel alzò gli occhi al soffitto.
«Doveva esserci un motivo?»
Shane strabuzzò gli occhi.
Quella avrebbe dovuto essere una risposta normale?!
«Vuoi dire che, così, per hobby, ogni tanto vai addosso a qualcuno?»
«Certo che no! Eri sulla mia traiettoria e mi hai sbarrato la strada. A quel punto, ovviamente, non ho potuto evitarti.»
Quella era l’ennesima prova a sostegno della teoria secondo la quale Gabriel aveva qualche rotella fuori posto.
«Ero sulla tua traiettoria?! Che cos’avrei dovuto fare, lasciarti passare come se fossi stato un doppiato? Per tua informazione, in quel momento ero in testa alla gara! Mi hai mandato in testacoda e, a causa delle tue stupide manovre, sono stato centrato in pieno da Yoshimoto! Hai rovinato sia la mia gara sia la sua!»
«Non preoccuparti per Koji» ribatté Gabriel. «Anche senza il nostro incidente, avrebbe trovato comunque qualcosa contro cui andare a schiantarsi.»
«Ma infatti non mi preoccupo per lui! Avrei potuto vincere e portare a casa dieci punti! Avrei potuto essere in testa al campionato!»
«Oppure» suggerì Gabriel, «Avrebbe potuto capitarti qualche altra disavventura. Non puoi dare scontato che, se io e te non ci fossimo toccato al quinto giro, saresti rimasto in testa fino alla fine.»
Shane scosse la testa, sospirando.
«Discutere con te è peggio che cercare di fare una conversazione normale con Caroline Parker!»
«Allora» propose Gabriel, «Potresti tornartene dove sei venuto. Devo andare a prendere da bere per Daphne. Mi sta aspettando al tavolo.»
«Non me ne frega proprio un cazzo di chi ti sta aspettando al tavolo» replicò Shane. «Perché non accetto che le mie gare vengano rovinate dalle tue stronzate!»
Gabriel sbuffò.
«Non so cosa farci. Mi dispiace. Mi sono già scusato con te sul mio profilo e di persona con la tua squadra. Dobbiamo continuare a parlarne ancora a lungo o posso andarmene?»
Shane non fece in tempo a replicare.
Comparve Daphne, di fianco a lui.
«Ci sei, Gab?»
«Scusa un momento» la pregò Aruya. «Per quanto mi riguarda io ho già detto tutto quello che avevo da dire. Posso andare, Shane, o devo ascoltare qualcun altro dei tuoi deliri?»
«Va bene, ho già capito.» Daphne si fece da parte. «Vado io a prendere da bere. Se quando torni al tavolo non mi trovi, è perché sto andando a salutare mio padre. Credo che tra poco voglia andare via.»
Senza aggiungere altro, la Harris si allontanò.
«Non si tratta di deliri» replicò Shane, a quel punto. «Immagino che tu sappia che c’è tanta gente che ti definisce un pilota pericoloso.»
«Io so di non esserlo. Questo mi basta.»
«Allora, forse, sei tu quello che sta delirando.»
Gabriel scosse la testa.
«No, non sto affatto delirando. Sono semplicemente stanco di tutta questa gente, compresi gran parte di noi piloti, che non fanno altro che menzionare i “bei tempi”, quelli in cui c’erano “duelli veri”, “molti più sorpassi” e tutte quelle stronzate lì. È troppo facile sperare di vedere scontri epocali e poi mettersi a piagnucolare al primo graffio sulla fiancata della macchina!»
Shane non l’avrebbe mai ammesso, ma Gabriel aveva perfettamente ragione, almeno da quel punto di vista. Il suo tentativo di sorpasso, che aveva condotto all’incidente, era stata una manovra azzardata e meritevole di penalità, ma era proprio ciò che gran parte degli stessi sostenitori del Team Phoenix sarebbero stati disposti ad affermare di volere vedere, a condizione che a rimetterci non fosse proprio una vettura di colore blu elettrico.
Si faceva tanto parlare dei “vecchi tempi”, generalmente senza attribuire a quella definizione un’epoca ben precisa, in cui non c’erano penalità ad ogni minimo contatto tra due vetture, per poi scandalizzarsi quando nel presente accadeva qualcosa che somigliasse anche solo vagamente a quel passato tanto idealizzato.
Gabriel fece un mezzo sorriso.
«Vedo che non hai niente da dire.»
«Di cose da dire ne avrei tante» obiettò Shane, secco, «Ma non credo che ne valga la pena. Forse è meglio che te ne torni al tuo tavolo, dato che la tua ragazza ti aspetta. Immagino che dobbiate festeggiare la sua imminente promozione.»
Gabriel scosse la testa.
«Non c’è nessuna imminente promozione da festeggiare.»
Shane non capì se fosse sincero o se stesse negando.
Nonostante il Team Pink Venus avesse più volte smentito le indiscrezioni, era abbastanza improbabile che la squadra della Shelley non si fosse ancora fatta avanti con la diretta interessata: la stessa Daphne era stata vista parlare con Kathy più di una volta, nel corso del fine settimana.
***
Eccola.
Era apparsa di nuovo.
Le aveva già comunicato ufficiosamente che il suo futuro era vicino a una svolta.
Daphne non sapeva cosa pensare.
Per molto tempo aveva creduto che, tra l’essere una ragazza e l’essere valida come pilota, fosse quest’ultima la ragione che l’avrebbe spinta nella Golden League, una volta che fosse giunto il momento.
Qual era il motivo per cui il Team Pink Venus puntava a lei?
Aveva dimostrato di essere competitiva abbastanza per meritarsi un volante nella Golden League quando alcuni dei piloti che avevano chiuso il campionato davanti a lei sembravano non avere chance di un passaggio nella massima serie per la stagione successiva?
O semplicemente, essendo una ragazza, il Team Pink Venus la desiderava perché era la migliore ragazza ancora in circolazione?
Anche la stessa Shelley, quando avevano avuto occasione di scambiare qualche parola, non le era mai sembrata troppo convinta.
Si stava già pentendo della propria linea?
Era convinta che ci fossero piloti molto più competitivi, che avrebbero potuto portare la sua squadra a risultati migliori?
Sicuramente era così.
Caroline Parker e Marcela Lopez Ferreira avevano performance di livello medio/alto, ma non erano migliori di altri piloti senza volante.
Irina Volkova, invece...
Daphne si sforzò di non completare il pensiero che stava formulando.
“Quella chicane mobile rischia di perdere il volante soltanto perché io esisto, non c’è bisogno che anch’io mi unisca al coro di chi la vorrebbe fuori dalla Golden League.”
Non fu difficile smettere di pensare alla russa.
Daphne alzò una mano e fece un cenno di saluto a Kathy Shelley.
L’ex pilota si avvicinò a lei, ricambiando.
Infine, quando le fu vicina, la informò: «Ho bisogno di una risposta.»
Daphne lo sapeva.
La Shelley necessitava di certezze.
Quelle certezze non avrebbero dovuto essere divulgate, perché lo sponsor che teneva in piedi il Team Pink Venus aveva deciso così.
La notizia del suo avvicendamento con la Volkova avrebbe dovuto arrivare all’improvviso, nel corso del weekend giapponese, per rubare un po’ dell’attenzione che sarebbe stata concentrata sulla lotta per il titolo.
Sembrava assurdo, ma le dinamiche della Golden League erano quelle.
Prima Daphne si fosse adattata e prima sarebbe riuscita a sopravvivere senza aiuti esterni nel mondo che aveva sempre inseguito.
***
Ethan si alzò in piedi.
«Sì, sto andando via. Mi raccomando, tu non fare tardi.»
Si rese conto dell’inutilità di quel suggerimento, e del fatto che non sarebbe stato ascoltato, soltanto quando Daphne gli ricordò: «È domenica sera, il weekend è finito e soprattutto io sono già in vacanza.»
«Niente affatto» ribatté Ethan. «Tu non sei in vacanza.»
Daphne sorrise.
«Ufficialmente sì.»
«Non credo mai a nulla, finché non lo vedo» replicò Ethan, «Inoltre so benissimo quello che succederà.»
«Eh sì, succederà che, a meno che tu non ti decida a ritirarti alla svelta, saremo in pista insieme non soltanto tu-sai-quando, ma anche per tutta la prossima stagione.»
Ethan le assicurò: «Non ho mai avuto intenzione di ritirarmi. Mi sento ancora giovane abbastanza per avere qualcosa da dire.»
«E poi» aggiunse Daphne, «Sei a un passo dal titolo. Se tu riuscissi a vincerlo, sarebbe un onore quello di potere finalmente portare il numero uno.»
«Vacci piano. Non è detto che il prossimo anno io abbia un numero uno da sfoggiare.»
«Appunto. A maggior ragione, in tal caso, avrai bisogno di un’altra possibilità.»
Per Daphne era tutto così semplice.
“Beh, beata lei.”
Anche Ethan, quando aveva appena diciotto anni, aveva un approccio diverso, nei confronti di tutto, carriera compresa.
Salutò la figlia e si allontanò.
Sperava di non rivedere Dalia, ma ebbe la sfortuna di incappare in lei proprio davanti all’uscita del locale.
Si guardarono per un attimo, senza dire nulla.
Era curioso come, con il passare del tempo, non ci fosse nemmeno bisogno di parlare o di lanciare accuse campate in aria per mandare tutto all’aria.
Non sarebbe mai cambiato nulla, tra di loro: ci sarebbe sempre stata quell’aura che aveva il sapore di troppe questioni lasciate in sospeso.
Non restava che un ricordo, quello dell’ultima serata felice che avevano trascorso insieme, organizzando la festa prevista per la sera successiva.
«Tanto, vada come vada» aveva osservato Dalia, «Ci sarà comunque qualcosa da festeggiare.»
Ethan passò oltre, senza nemmeno preoccuparsi di salutarla.
Passò oltre, ma ci ripensò pochi secondi più tardi.
Si girò.
Lui e Dalia si guardarono negli occhi.
Lei sorrise e gli domandò: «Stai andando via?»
Ethan non rispose.
«Ho bisogno di sapere» le comunicò.
Dalia aggrottò la fronte.
«Bisogno di sapere che cosa? Di cosa parli?»
Ethan la prese per un braccio e la pregò: «Vieni con me. È meglio che non ne parliamo qui, dove qualcuno potrebbe sentirci.»
***
«Non so se sia una buona idea» azzardò Ethan. «Se mio padre non dovesse vincere il titolo...»
«Se anche tuo padre non dovesse vincere il titolo» lo interruppe Dalia, «È una persona abbastanza seria da capire che non deve alimentare il fuoco acceso dalla stampa. Entrambe le vetture sono uguali. Se mio padre è andato più veloce di lui, i casi sono due: o ha fatto un giro migliore, o ha avuto maggiore fortuna. Anzi, sono tre: il fatto che possa essere stato un mix di entrambe le cose non mi sembra da scartare. Se devo essere sincera, mi sembra la soluzione più probabile.»
Ethan si sforzò di non sorridere.
Quando Dalia parlava, qualunque cosa dicesse, gli faceva quell’effetto.
Parlava benissimo l’inglese, ma aveva quella strana inflessione... Ethan non sapeva nemmeno come definirla: messicana di nascita, ma brasiliana di adozione, Dalia aveva un accento non facilmente etichettabile.
«Sei d’accordo con me?» insisté. «Non penserai davvero che ci sia un complotto contro Kit.»
Non c’erano complotti.
Ernesto Ramirez era una persona onesta.
Gestiva una squadra di persone oneste.
Non avrebbe mai approfittato della propria posizione per avvantaggiarsi nei confronti del proprio rivale.
Se così fosse stato, Ethan non sarebbe mai uscito insieme a sua figlia.
Anzi, l’avrebbe fatto lo stesso, perché Dalia valeva di più di ogni ipotesi di complotto.
Non vedeva l’ora di chiudersi da qualche parte insieme a lei, perché una sana scopata valeva più di ogni polemica.
Aveva ragione lei: il giorno dopo, qualunque cosa fosse accaduta, ci sarebbe stato da festeggiare, almeno per loro.
Avevano un futuro brillante davanti e sapevano che, con tutta probabilità, quel futuro li avrebbe allontanati l’uno dall’altra, ma non importava. La vita non era fatta soltanto di progetti per il futuro, ma anche di presente.
***
Erano soli, ormai lontani dal locale.
Dalia non sembrava molto soddisfatta.
«Che cosa vuoi? Se è per ieri sera, non credo di avere niente da spiegarti. Eravamo in due e mi sembra che nessuno dei due si sia tirato indietro.»
Ethan scosse la testa.
«Non è per ieri sera. È per l’Australia.»
«Per l’Australia? Cosa vuoi dire? Il gran premio è stato cancellato...»
«Non parlo di adesso» chiarì Ethan. «Mi riferisco a quello che successe ad Adelaide tanti anni fa, quando mio padre morì ed Ernesto divenne campione del mondo.»
Dalia abbassò lo sguardo.
«Dobbiamo davvero riprendere questo discorso? Fa male a entrambi.»
«Fa meno male a te che a me.»
«Può darsi, ma ne ho davvero abbastanza.» Alzò gli occhi. «Ti rendi conto che le nostre vite ne sono ancora sconvolte? Io non riesco a guardarti senza pensarci e per te è la stessa cosa. Perché non cerchiamo semplicemente di andare avanti e di affrontare quel poco che ci resta? Il campionato è ormai finito, presto le nostre strade si separeranno.»
Ethan aggrottò le sopracciglia.
«Te ne andrai?»
«È molto probabile.»
«Proprio adesso? Insomma, mi sembra che il meglio debba ancora arrivare.»
«Io credo proprio di no» replicò Dalia. «Sono tornata in Golden League con l’obiettivo di riuscire a centrare qualche podio e ho finito per portare a casa una vittoria. Che vinciamo o che perdiamo, avrò la coscienza pulita perché so di avere dato alla squadra il massimo che potevo offrire. Nella classifica dei team siamo a 133, staccati di appena un punto dalla vetta. Posso ancora dare il mio contributo ed è quello che farò a Suzuka, ma dopo Suzuka non avrà più molto senso rimanere nella Golden League.»
«Secondo me ce l’avrebbe» puntualizzò Ethan. «All’inizio ti davano tutti per finita, adesso hai dimostrato che non lo sei.»
«Appunto» confermò Dalia. «Sono venuta nella Golden League per dimostrare che avevo ancora qualcosa da fare. Adesso che l’ho dimostrato, posso andarmene nella speranza di riuscire a realizzare i miei veri obiettivi.»
«Vuoi ancora vincere la Cinquecento Miglia di Indianapolis?»
«L’obiettivo sarebbe quello, ma anche solo l’idea di potere partecipare di nuovo è una tentazione a cui non credo che sarei capace di resistere.»
«Ora, però, c’è Suzuka» le ricordò Ethan. «Cerca di non perdere di vista il finale di questo campionato.»
«Non lo perderò di vista» gli assicurò Dalia. «Vedrai, qualunque cosa accada a Suzuka, sarà senz’altro memorabile.»
***
[...] Ciò che conta, stilando il bilancio di (quasi) fine anno, è che, alla vigilia del Japanese Double Grand Prix, contro ogni aspettativa, ben cinque piloti sono ancora in lotta per il titolo.
Chiaramente il campione del mondo in carica Novak e il suo sfidante Harris sono i favoriti: a pari punteggio in classifica, chi dei due otterrà più punti dell’altro porterà a casa il titolo, a condizione di non essere raggiunti dai loro avversari; qualora nessuno dei due conquistasse punti nelle due gare di Suzuka e mantenessero comunque la distanza su Willis, Yoshimoto e Nyman, il titolo andrebbe a Novak: ha ottenuto infatti tre vittorie stagionali (Spagna I, Gran Bretagna II, Malesia II) contro le due di Harris (Gran Bretagna I, Malesia I); qualora i due dovessero chiudere a pari punti, ma con Harris vincitore di una delle due gare giapponesi, il titolo sarebbe attribuito in base agli altri piazzamenti.
È più difficile l’impresa di Willis, a nove punti dalla vetta, così come quella di Yoshimoto, che di punti di gap ne ha ben diciassette, mentre sembra impossibile una vittoria del titolo da parte di Hugo Nyman.
Lo svedese, uno dei grandi protagonisti della scorsa stagione, che quest’anno ha vinto Gara 1 al Gran Premio di Spagna, il primo della stagione, per poi passare un po’ in secondo piano, a causa soprattutto dei problemi di affidabilità della squadra, è a venti punti di distanza da Novak e Harris, ma l’aritmetica non lo condanna definitivamente: qualora dovesse vincere sia Gara 1 sia Gara 2 a Suzuka, arriverebbe alla tanto ambita quota di 62 punti. Nel caso in cui sia Novak sia Harris non ottengano punti in Giappone, con Shane e Yoshimoto a meno di 62 punti, Nyman avrebbe dalla sua parte tre vittorie e i due secondi posti conquistati in Gran Bretagna e Malesia (Gara 2 in entrambi i casi), stesso numero di vittorie di Novak, che però è arrivato secondo soltanto in un’occasione (Malesia I).
Classifica piloti:
1. Erik Novak, Phoenix Motorsport - 62 punti (3 vittorie)
2. Ethan Harris, Corujas Blancas - 62 punti (2 vittorie)
3. Shane Willis, Phoenix Motorsport - 53 punti
4. Koji Yoshimoto, Corujas Blancas - 45 punti
5. Hugo Nyman, Vega Racing Team - 42 punti
6. Dalia Herrera, Corujas Blancas - 26 punti
7. Karl Dobson, Vega Racing Team - 25 punti
8. Gabriel Aruya, Rayo Fatal - 21 punti
9. Juan Suarez, Phoenix Motorsport - 19 punti
10. Manuel Gomez, Vega Racing Team - 15 punti
11. George Arden, Sparks Racing - 10 punti
12. Salvador Cruz, Sparks Racing - 8 punti
13. Ramon Villa, Rayo Fatal - 6 punti
14. Michel Leroy, Rayo Fatal - 5 punti
15. Kristian Schmidt, Sparks Racing - 4 punti
16. Marcela Lopez Ferreira, Pink Venus Racing Team - 3 punti
17. Caroline Parker, Pink Venus Racing Team - 1 punto
Classifica team:
1. Phoenix Motorsport - 134 punti
2. Corujas Blancas - 133 punti
3. Vega Racing Team - 82 punti
4. Rayo Fatal - 32 punti
5. Sparks Racing - 22 punti
6. Pink Venus Racing Team - 5 punti
Le voci dei protagonisti:
Erik Novak: “Suzuka è uno dei miei circuiti preferiti e, in generale, sono sempre andato bene. Ogni gara è diversa e i risultati ottenuti nelle scorse stagioni non sono determinanti per quello che succederà quest’anno, ma sono molto fiducioso. La squadra ha lavorato benissimo fin dall’inizio della stagione e possiamo puntare molto in alto. Sono convinto che meritiamo questo titolo e se, alla fine, primeggeremo sia nella classifica piloti sia nella classifica dei team, nessuno potrà lamentarsi di essere stato defraudato.”
Ethan Harris: “Si dice che sia più difficile quando devi inseguire, ma la verità è che io ed Erik siamo appaiati in testa alla classifica. Lui ha una vittoria in più? Non è un mio problema, perché è intenzione mia e della squadra stargli davanti sia in Gara 1 sia in Gara 2. Nel corso della stagione ci siamo migliorati e abbiamo dimostrato in più di una circostanza di non avere nulla di meno rispetto a loro. Speriamo che Suzuka sia un’altra di quelle occasioni.”
Shane Willis: “Arrivare in Giappone con nove punti di distacco sia nei confronti di Novak sia nei confronti di Harris non è quello che desideravo, ma purtroppo Gara 2 in Malesia non è andata come mi aspettavo. Mi sono già chiarito con il responsabile dell’accaduto e non è mia intenzione tornare a polemizzare in proposito, ma va da sé che, senza quel ritiro, avrei potuto puntare alla vittoria e alla vetta della classifica. In generale non posso lamentarmi: essere ancora in lotta per il titolo alla vigilia della fine del campionato ed avere in classifica molti punti in più rispetto a uno dei miei compagni di squadra (Suarez, N.d.A.) alla mia prima stagione in Golden League è stato sicuramente un risultato di tutto rispetto. Se aiuterò Erik a vincere il titolo? Solo se e quando sarò matematicamente escluso.”
Koji Yoshimoto: “Non mi aspettavo di essere ancora in lotta per il titolo qui in Giappone, specie considerando come è finita la seconda gara a Sepang, quando davanti a me Willis e Aruya si sono toccati e non ho potuto evitare la vettura di Willis in testacoda. È bello essere ancora in gioco proprio al mio gran premio di casa, ma bisogna anche essere realisti: ho molti punti in meno di Harris ed è normale che la squadra punti su di lui. Se dovesse accadere qualche imprevisto è chiaro che cercherei di dare il meglio di me, ma vorrei mettere in chiaro che né io né la squadra crediamo in un risultato così improbabile.”
Hugo Nyman: “Sono talmente lontano dalla vetta che non mi ero nemmeno accorto di essere ancora in lotta per il titolo. Sarà che con la matematica non sono mai stato un genio... in realtà in nessuna materia scolastica, non come Daphne Harris, che è riuscita a prendere il diploma studiando da privatista mentre gareggiava nella Silver League. Tornando a noi, non credo affatto che diventerò campione del mondo, per una serie di motivi. Prima di tutto è molto improbabile che io possa tornare a casa dal Giappone con due vittorie in tasca. Nessuno ha vinto entrambe le gare in un doppio appuntamento, quest’anno, ed è difficile che possa toccare proprio a me, che in questa stagione ho ottenuto, almeno finora, soltanto una vittoria. Inoltre dovrei avere troppi colpi di fortuna: non credo che i piloti del Team Phoenix e del team Corujas Blancas rimangano a rigirarsi i pollici. Inoltre le previsioni del tempo parlano chiaro: novantanove percento di probabilità di pioggia torrenziale per tutto il weekend, con un picco nella giornata di sabato, in particolare nella mattinata e nelle prime ore del pomeriggio. Ritengo molto improbabile che questo weekend si riescano a disputare due qualifiche e due gare. Con tutta probabilità una delle due gare finirà per essere annullata. In tal caso non solo né io né Yoshimoto saremo più matematicamente in lotta per il titolo ma anche per Willis le cose si farebbero molto complicate.”
Altre voci dal paddock:
Dalia Herrera: “Questo è un weekend molto importante, non solo perché potrebbe essere il mio ultimo weekend nella Golden League, ma anche perché entrambi i miei compagni di squadra puntano ancora al campionato. È chiaro che Ethan è in vantaggio rispetto a Koji e che il team al completo è concentrato su di lui, ma siamo tutti d’accordo che, se per Ethan le cose si dovessero mettere male, dobbiamo assicurarci che Koji possa ottenere il miglior risultato possibile.”
Karl Dobson: “Per noi del Team Vega questa stagione è stata abbastanza deludente rispetto alle aspettative, ma personalmente mi ritengo abbastanza soddisfatto. Insieme alla Herrera sono l’unico terzo pilota ad avere ottenuto una vittoria, anche se da noi le cose funzionano diversamente e l’avere ottenuto una vittoria non significa automaticamente prendere il posto di uno dei piloti titolari, nemmeno nel mio caso, in cui ho più punti in classifica rispetto a Gomez, invece che venti punti di meno come la Herrera nel confronto con Yoshimoto. Ad ogni modo ciascun team è libero di prendere le proprie decisioni. Io, da parte mia, mi assicurerò che Dalia ottenga il minor numero di punti possibili, perché al momento occupa la sesta posizione in classifica e, a mio parere, quella posizione me la merito più io di lei. Ho solo un punto di svantaggio e le probabilità di recuperare terreno nei suoi confronti sono tante.”
Gabriel Aruya: “Da solo ho praticamente il doppio dei punti dei miei compagni di squadra e ho ottenuto gli unici due podi del team. Come stagione d’esordio è stata molto positiva. Ringrazio la squadra per la fiducia che mi ha riservato. Sarebbe bello potere concludere il campionato con un altro podio e ho due tentativi a disposizione per riuscirci. Mi dispiace per quello che è successo in Malesia, sia per la squadra, sia per Shane Willis, che quest’anno ha dimostrato di essere allo stesso livello di Novak e Harris, se non a un livello superiore, e avrebbe meritato di giocarsela ad armi pari con loro. In ogni caso nove punti con due gare ancora da disputare sono recuperabili, quindi non escluderei automaticamente Willis dalla competizione.”
Juan Suarez: “A parte il podio in Gara 1 a Sepang questa stagione è andata molto male, specie considerando che i miei due compagni di squadra sono in lotta per il titolo e che il team è in testa alla classifica delle squadre. Capisco pienamente la decisione del team di puntare su McKay [secondo classificato nel campionato Silver League, N.d.A.] come terzo pilota per il prossimo anno. Io, da parte mia, cercherò di dare il meglio di me per quest’ultimo weekend, ma sono già concentrato sulla prossima stagione al Team Sparks.”
Anders Ramirez: “L’incidente di Sepang è brutto, ma ora sto bene e sono pronto per mettermi al volante. Spero di riuscirci, perché ci teniamo a chiudere in bellezza il campionato, soprattutto dopo la delusione di Gara 2 a Sepang, in cui i nostri colori non erano nemmeno presenti sulla griglia di partenza. L’ho detto a Vincenzo Moretti, fin dal primo momento: il mio obiettivo è quello di dimenticare l’infortunio e di chiudere in bellezza questo campionato, per poi iniziare a lavorare sul futuro.”
Daphne Harris: “Ci sono state tante voci, ultimamente, ma se sono qua in Giappone è soltanto per supportare mio padre. Sono fermamente convinta che possa finalmente ottenere il tanto agognato titolo.”
Irina Volkova: “Si sono dette tante cose, ma nessuno ha detto niente a me. Io sono in Giappone per cercare di prequalificarmi e di prendere parte a entrambe le gare. Esclusi i piloti della Scuderia Moretti e del Team Athena sono l’unica che ancora non ha ottenuto nemmeno un punto e spero che ci sia un’inversione di tendenza almeno nell’ultimo weekend del campionato.” [...]
***
Arden mise via lo smartphone, dopo avere riletto l’ultimo post di Grace Kissinger, che era stata così gentile da riservargli un po’ di spazio.
Era arrivato il grande giorno, che si prospettava davvero come un grande giorno: quando era venerdì mattina ed esisteva ancora la possibilità di piazzare tre monoposto sulla griglia di partenza era sempre un momento memorabile.
Le prequalifiche, disputate sotto la pioggia battente, erano davvero state un momento che aveva riservato grandi sorprese.
Giuseppe Ruggeri era andato in pista e aveva subito confermato di avere buone sensazioni. L’aveva detto esplicitamente, via radio: bastava non spingere troppo, perché qualcuno l’avrebbe fatto e sarebbe finito fuori.
Reyes, del Team Athena, era stato uno di quelli che avevano spinto al massimo, nel tentativo di piazzare la vettura tra i primi sei. Aveva finito le prequalifiche in una via di fuga, proprio come nientemeno che Juan Suarez.
Quello era stato lo shock del giovedì: una Phoenix che non riusciva nemmeno ad accedere alle qualifiche.
Dozzine di telecronisti, in ogni angolo del mondo, erano senz’altro andati a rileggersi anni e anni di statistiche, nel tentativo di informare i loro ascoltatori di quanto fosse stata l’ultima volta in cui una Phoenix aveva mancato la qualificazione.
Si era parlato molto di Suarez, che si apprestava a passare al Team Sparks per la stagione successiva, al posto di Arden che aveva recentemente annunciato che, all’età di quarant’anni appena compiuti, era arrivato per lui il momento di lasciare definitivamente la Golden League e di ritornare “a casa”, ovvero negli Stati Uniti, e si era già ufficialmente unito a una squadra con la quale avrebbe disputato la ventiquattro ore di Daytona.
Si era parlato molto di Suarez, il che era un bene, perché almeno distoglieva un po’ l’attenzione dal Team Pink Venus, che all’alba del giovedì mattina aveva annunciato ciò che tutti già sapevano perfettamente; tutti, a parte una sola persona, che l’aveva scoperto al mercoledì, in tarda serata, quando finalmente qualcuno si era degnato di comunicarle una decisione che la riguardava molto da vicino.
***
Kathy non si era aspettata che le cose andassero diversamente.
Toccava a lei.
Doveva bussare alla porta, attendere che Irina Volkova la aprisse e comunicarle che, a partire da quel momento, per volontà del loro main sponsor, era licenziata con effetto immediato per essere sostituita da Daphne Harris nel gran premio del Giappone ormai alle porte.
Irina aprì.
Non si sforzò nemmeno di sembrare sorpresa.
«È finita, non è vero?»
Kathy abbassò lo sguardo.
«Sì, è finita.»
«La decisione non è tua, immagino.»
«No.»
«Però ne eri già al corrente.»
Kathy non poté negare.
«Doveva essere una sorpresa per tutti. Tu-sai-chi non voleva che ci fossero scandali. Anzi, ha suggerito che tu rimanga nostra ospite nel box per tutto il weekend, per dimostrare al mondo che eri d’accordo e che non ci sono dissapori tra te e la squadra.»
«Certo, devo dimostrare che ero d’accordo» ribatté Irina, sprezzante. «E poi cosa devo fare? Andare a riferire alla stampa che sono stata io a suggerirvi di mettermi a piedi e di comunicarmelo al mercoledì sera, perché volevate che nessuno, prima delle prequalifiche di giovedì mattina, fosse al corrente del fatto che la vostra piccola star sarebbe scesa in pista al posto mio?»
Kathy sospirò.
«Non credo che nessuno ti voglia chiedere di fare così tanto.»
«In tal caso non lo farei comunque, ora che, a quanto pare, non ho più obblighi nei vostri confronti» replicò Irina. «Ora, per cortesia, potresti lasciarmi sola? Sono molto stanca e, anche se domani mattina non avrò nulla da fare se non preparare le valigie e tornarmene a casa, preferirei andare a dormire.»
Kathy alzò lo sguardo.
La fissò negli occhi.
«Ti prego, non tornare a casa.»
Irina aggrottò le sopracciglia.
«Mi stai dicendo che, quando hai accennato alla possibilità di avermi ospite ai box, credevi davvero che fosse il mio desiderio più grande?»
«Non pensavo che lo desiderassi» ammise Kathy, «Ma speravo comunque che tu accettassi la proposta.»
«Niente affatto» replicò Irina. «Se il tuo caro sponsor ha deciso di mettermi a piedi e di farmelo sapere all’ultimo momento e non ho più nessun obbligo contrattuale, niente e nessuno mi impedisce di andarmene a casa... o di assistere al resto del weekend da un altro box. Ho molti amici nel paddock - d'altronde è più facile avere degli amici quando arrivi sempre tra gli ultimi, piuttosto che quando pesti i piedi a qualcuno - e sono certa che qualcuno sarebbe molto lieto di avermi come ospite e come musa ispiratrice.»
«In tal modo catalizzeresti l’attenzione» le ricordò Kathy. «Verresti inquadrata dalle telecamere. La gente direbbe che le donne pilota servono solo come immagine e ciò è degradante per l’immagine della donna.»
«L’immagine della donna te la puoi anche ficcare su per il culo, per quanto mi riguarda» ribatté Irina. «Il fatto di essere donna non significa che non posso comportarmi come si comporterebbe qualsiasi uomo se fosse al posto mio, perché io devo preoccuparmi anche della reputazione di tutte le persone che hanno in comune con me il fatto di possedere una vagina. Se Anders Ramirez volesse invitarmi a fargli da supporter per tutto il resto del weekend, non gli direi di no.»
Kathy spalancò gli occhi.
«Perché proprio Ramirez?»
«Perché siamo amici e perché ha un gran bisogno di supporto.» Irina le strizzò un occhio. «Oppure, perché è un uomo, speri che non sia in grado di scendere in pista?»
Kathy sbuffò.
«Non c’è nessun motivo per cui non dovrebbe scendere in pista. Se riesce ad andarsene in giro a scherzare durante le interviste...»
«Da ex pilota» replicò Irina, «Dovresti sapere che scherzare durante un’intervista e guidare una monoposto non sono due cose paragonabili. Ma forse, adesso che stai dall’altra parte, te ne se già dimenticata.»
Kathy scosse la testa.
«Non mi sono dimenticata di nulla.»
«Mi fa piacere» concluse Irina. «Se mi puoi concedere un ultimo favore, potresti riferire al tuo cari amico sponsor che nemmeno io dimentico tanto facilmente? Condizioni meteo incerte possono riservare sorprese. In una gara anomala perfino la Scuderia Moretti potrebbe arrivare a conquistare punti. Pensa, di gare anomale ce ne sono due e, anche se recuperare cinque punti in due gare non sarà facile, per chi non ne ha mai ottenuti, quest’anno, io terrò le dita incrociate per il mio amico Anders e per i suoi compagni di squadra.» Kathy non ebbe nemmeno il tempo di pensare a una replica, perché Irina glielo impedì. «So che stai per dire che “sono uomini, quindi sono il male assoluto e non dovrei stare dalla loro parte”, ma rimango del parere che essere donna non ti faccia stare automaticamente uno scalino al di sopra di tutti gli altri. Nemmeno l’onestà intellettuale rende superiori, forse, ma la apprezzo maggiormente: gli intellettualmente onesti hanno scelto di essere intellettualmente onesti, le donne non hanno scelto di essere donne.»
***
Anders sorrise.
Tutto era dalla loro parte, perfino le condizioni meteo. Stava piovendo, ma non era la pioggia battente che si era vista il giorno precedente.
La prima sessione di prove libere lo attendeva.
«Buona fortuna» mormorò Irina. «Sono certa che andrà tutto bene.»
***
Tutto si era girato.
Tutto era diventato buio all’improvviso.
Era quella la fine?
Sì, decise Anders, era quella la fine.
***
Nel retrobox calò il silenzio.
Le probabilità che il weekend fosse un ottimo weekend stavano iniziando a calare istante dopo istante.
I tempi non erano nemmeno pessimi: sia Jens sia Giuseppe andavano decisamente più forte delle due Athena di Barnett e Santos. Se i tempi fossero rimasti quelli anche nei giorni successivi, le Athena avrebbero dovuto sperare in un colpo di fortuna - o nell’aquaplaning, se altri piloti ne fossero stati vittime - per conquistarsi qualche posto sulla griglia di partenza.
L’unico problema era Anders.
Stava rientrando.
Stava rientrando, il che non prometteva affatto bene.
Irina lo raggiunse, non appena le fu possibile.
«Cos’è successo?»
Anders non rispose.
Irina comprese che la realtà era una sola.
«Domani è un altro giorno» cercò di confortarlo. «Dopotutto quello che conta davvero è che tu riesca ad andare in pista domani.»
«Vedo che hai già capito come funzionano le cose, per noi» ribatté Anders. «Dalla Shelley ci sei tu che hai perso il volante perché il suo sponsor voleva la Harris al volante. Da noi rischiamo di andarcene tutti a casa, perché il nostro sponsor vuole a tutti i costi tutte le vetture in pista. E pensare che ieri eravamo talmente contenti, quando Giuseppe si è qualificato...»
Irina comprese subito che cosa volesse dire Anders.
Il suo ormai ex collega aveva avuto un lieve capogiro mentre era al volante ed era molto improbabile che ricevesse il nulla osta per scendere in pista il giorno successivo. Se Ruggeri non fosse riuscito a superare le prequalifiche, il team avrebbe potuto chiedere una deroga per fargli prendere parte alle qualifiche al posto di Anders. Con Ruggeri qualificato, però, quell’alternativa era impossibile.
«Domani è un altro giorno» ripeté Irina. «Esiste ancora la possibilità che tu riesca ad andare in pista... sempre ammesso che le qualifiche e la gara ci siano.»
«Le qualifiche e la gara ci saranno» replicò Anders, secco, «A qualunque costo. Non è detto che ci siano due gare precedute da due qualifiche, tra domani e domenica, ma senz’altro una qualifica e una gara ci saranno. Quando il nostro sponsor scoprirà che una vettura rimarrà ferma perché non c’è nessuno che possa sostituirmi, non sarà affatto soddisfatto... e sai bene quanto possa essere devastante uno sponsor insoddisfatto.»
Irina abbassò lo sguardo.
Lo sapeva.
Lo sapeva fin troppo bene.
Avrebbe voluto ripetere ancora una volta che il giorno successivo poteva offrire qualcosa di nuovo, ma non lo fece.
***
Le qualifiche erano state rimandate di un’ora: un’altra ora.
Il satellite parlava chiaro: quel maledetto diluvio non sembrava destinato a interrompersi, se non a pomeriggio inoltrato.
La pista era impraticabile e si attendeva al più presto una comunicazione ufficiale: il Japanese Double Grand Prix era sempre più vicino al divenire un unico evento.
«Come stai?» domandò Vincenzo Moretti.
Anders scosse la testa.
«Peggio di ieri.»
«Non c’è stato nessuno stop da parte dei medici» gli ricordò Vincenzo. «Dimenticati di Sepang e preparati a mettere il culo sul sedile.»
Era quello che Anders aveva ripetuto a se stesso per tutta la notte. L’unico problema era che, se da un lato risentiva degli strascichi psicologici di quanto accaduto in Malesia, gli strascichi psicologici erano soltanto una minima parte del tutto.
«Posso capire tutto» replicò, con fermezza, «Posso capire le imposizioni degli sponsor, ma non posso mettere la mia vita nelle loro mani.»
«E io posso capire tutto» obiettò Vincenzo, «Ma ho bisogno di qualcuno che scenda in pista a fare un maledetto tempo. Basta un giro. Basta l’ultimo tempo. Basta che tu non riesca a qualificarti, ma che in pista a farti inquadrare tu ci vada. Potrebbe essere fondamentale per il nostro futuro. Mi rendo conto che, se avessimo avuto una riserva, questi problemi non ci sarebbero stati...»
«Allora perché non l’hai trovato, un maledettissimo pilota di riserva? Sai quanti ragazzi della Silver League non aspettano altro?»
«Il problema è che la maggior parte dei ragazzi della Silver League non sono qui e, quelli che ci sono, sono già sotto contratto con altre squadre» puntualizzò Vincenzo. «Questo ci riporta al nostro problema principale. Di piloti che non aspettano altro che una chiamata ce ne sono tanti, ma ciò di cui la squadra ha bisogno è di un pilota che sappia guidare una monoposto come le nostre e che possa essere in pista oggi pomeriggio. Un eventuale sostituto potrebbe prendere il posto tuo qualora la nostra decisione fosse ufficialmente comunicata alla federazione entro le dodici di oggi...» Il team principal guardò l’orologio. «Sono esattamente le undici e cinquantadue. Non abbiamo molte alternative, mi pare.»
Anders lo guardò negli occhi.
«No, non abbiamo molte alternative, ma una ce l’abbiamo. Dopotutto ti serve soltanto qualcuno che sia in grado di registrare un tempo, per tenere buono lo sponsor...»
Vincenzo Moretti ricambiò lo sguardo, senza capire.
«Cosa vuoi dire?»
«Voglio dire che hai qualcosa come sette minuti e mezzo per ingaggiare Irina Volkova come pilota di riserva, per ufficializzarla e per comunicare alla federazione che scenderà in pista al posto mio. Con un po’ di impegno, potresti riuscirci.»
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Milly Sunshine