mercoledì 1 settembre 2021

Il Delirio dell'Arcobaleno: blog novel - Puntata n.8

Interlagos - riprendo ad aggiornare dopo un paio di settimane (ho preferito concentrarmi su tutt'altro genere di post durante le settimane conclusive di agosto, con Dalia che si appresta a fare il proprio ritorno nelle competizioni americane, dalle quali si era allontanata in modo abbastanza "brutale". Anche la location di gara non trasmette esattamente energia positiva...

Buona lettura. *-*


L’appartamento di Indianapolis, di cui Dalia gli aveva parlato di tanto in tanto, a quanto pareva era tornato utile. Vi avrebbero trascorso qualche giorno, prima della partenza per il Brasile, argomento del quale Dalia non era molto propensa a parlare.
Jacques non faceva nulla per forzarla: sapeva che Dalia era molto felice di potere correre davanti a quello che, a conti fatti, era il proprio pubblico, ma allo stesso tempo c’era in lei la consapevolezza che Interlagos non fosse un circuito come tutti gli altri e che non lo fosse a partire dal 200*, quando i giochi di potere avevano sovrastato il buonsenso, con esiti che nessuno avrebbe potuto prevedere a priori.
Dalia non voleva parlare e Jacques non le faceva domande in proposito: doveva essere quella la formula del successo della loro relazione, relazione di cui si sarebbe parlato maggiormente, se nel frattempo non fosse accaduto qualcosa di più adatto ai rotocalchi di gossip, come ad esempio la notizia che Gabriel Aruya usciva insieme a Daphne Harris.
Fu Dalia, quella sera, a tirare fuori l’argomento Interlagos.
Lo fece senza soffermarsi molto sul lato negativo della questione, con una semplice allusione all’evento imminente.
«Ora che siamo soli te lo posso dire: sono felice di avere accettato la proposta di Johnstone.»
Jacques la guardò negli occhi.
«E io sono felice di sentirtelo dire.»
Dalia non abbassò lo sguardo: era un buon segno.
«Non so cosa succederà, può darsi che si tratti di un flop, ma credo che, alla fine del weekend, sarò soddisfatta anche solo di essere tornata.»
«Sarai soddisfatta anche di qualcos’altro» pronosticò Jacques. «Nel test della settimana scorsa hai dimostrato di non essere poi così arrugginita.»
«Quello era un test.»
«Era comunque un punto di partenza.»
Dalia annuì.
«Sì, era un punto di partenza, ma non possiamo basarci soltanto sui punti di partenza. Non sono venuta qui per adagiarmi sugli allori e pensare che, se la Golden League sta andando relativamente bene, tutto andrà bene anche qui. Non è così scontato. Io la conosco la gente con cui avrò a che fare: per quanto ci siano persone convintissime che i piloti della Indy Challenge siano di un livello inferiore, rispetto a quelli della Golden League, ti assicuro che non lo sono, specie quando giocano in casa.»
Jacques le ricordò: «Loro non sono abituati a tracciati come Interlagos.»
«Questo è vero» ammise Dalia, «Ma faranno molto in fretta a farci l’abitudine. È così che funziona: sono tutti uno scalino al di sopra di me. Il mio unico compito sarà quello di cercare di non fare una brutta figura.»
«E non la farai.»
Dalia ridacchiò.
«Sei molto ottimista quando si tratta di me.»
«Se non lo fossi» ribatté Jacques, «Non ti avrei seguita fino a qui.»
«Invece l’avresti fatto» replicò Dalia. «Nel caso tu te ne sia dimenticato, lavori per me. Non mi sembra che ci siamo mai accordati per interrompere il nostro rapporto non appena le mie prestazioni inizieranno a calare.»
Jacques rise.
«Non ho nessuna intenzione di interrompere il nostro rapporto... e non parlo soltanto di quello professionale.»
Dalia parve divertita dalla sua affermazione.
«Mi fa molto piacere.»
No, non era soltanto l’assenza di domande invadenti da parte di Jacques che permetteva a entrambi di vivere con serenità la loro relazione: tra di loro c’era una sintonia che raramente Jacques aveva provato con altre donne, prima di conoscere lei.
Conosceva, a grandi linee, la verità.
Sapeva, anche se non era certo di saperlo fino in fondo, per quale motivo Dalia fosse stata attratta da lui, in un primo momento.
Non le aveva mai detto nulla.
Non l’avrebbe mai fatto, perché aveva capito che alle ragioni iniziali si era aggiunto qualcosa di molto più profondo.
Non replicò, alla sua battuta.
Continuò a guardarla negli occhi.
Si fissarono per qualche istante, istanti che a Jacques parvero infiniti.
Infine fu Dalia a rompere il silenzio, con la sua abitudine di passare a qualcos’altro quando non c’era più veramente molto da dire.
«Comunque vada, non avrò nulla di preoccuparmi. So che saranno giorni molto impegnativi, quelli che verranno, ma almeno, quando avrò bisogno di staccare, ci sarai tu.»
Jacques sorrise.
«Sarai talmente presa che non ne avrai bisogno.»
«Se lo dici tu.»
«Eccome che lo dico, e sono pronto a ribadirlo. Fin dal primo momento in cui rivedrai Brett Johnstone, tutto ricomincerà a ruotare intorno a lui.»
Dalia si mise la testa tra le mani.
«Non farmi pensare a Brett Johnstone. Uno dei lati negativi della mia decisione di venire qui nella Indy Challenge è che lo rivedrò.»
«Domani stesso, se non sbaglio» ribatté Jacques. «Ammettilo, non vedi l’ora che venga qui a Indianapolis.»
Dalia rise.
«Guarda, sto impazzendo dalla felicità. È già buona che abbia deciso che il nostro incontro con il team manager, un paio di altri sponsor e non so chi altro non deve avvenire qui a casa mia. Conoscendo il soggetto, non me ne sarei stupita più di tanto.»
«Invece dovrai accontentarti della sala riunioni di un albergo di lusso. Sarà una bella giornata, non credi?»
Dalia alzò gli occhi, strizzandoli subito dopo e lasciandosi sfuggire una piccola imprecazione contro il lampadario che emanava troppa luce.
«Ho provato in diversi modi a immaginarmi l’incontro con Johnstone» gli confidò, «Ma sono certa che sarà qualcosa di molto più irritante di quanto io possa pensare.»
«Non ti resta che aspettare e vedere.»
«Già.»

***

Prima brutta notizia del giorno: oltre a lei e a Brett Johnstone non era ancora arrivato nessuno; sedevano da soli a un tavolo al quale avrebbero potuto trovare posto almeno una dozzina di persone e le uniche due speranze di Dalia erano di non essere costretta a sorbirsi discorsi imbarazzanti e di dovere avere a che fare con un numero minore di persone rispetto a quelle che, potenzialmente, avrebbero potuto prendere parte all’incontro.
«Dove sono tutti?» si informò, non troppo timidamente.
Johnstone non alzò lo sguardo verso di lei.
«Il team principal ha appena avvisato che farà un po’ tardi, mentre Enrique Rodriguez della Brazil Gas dovrebbe essere qui a momenti.»
Dalia fece un salto sulla sedia.
«Enrique Rodriguez?»
«Enrique Rodriguez della Brazil Gas» ribadì Johnstone.
«Credevo che la Brazil Gas non avesse più nulla a che fare con la squadra» obiettò Dalia. «Le loro strade si erano divise molti anni fa, ormai, e...»
Johnstone la interruppe: «È uno sponsor minore, al giorno d’oggi. Sulla sua macchina non comparirà nemmeno. Rodriguez, però, era da queste parti, quindi ho pensato che potesse fargli piacere essere presente. Almeno potrò presentarglielo.»
Dalia spalancò gli occhi.
«Presentarmelo?!»
«Beh, sì, vi sarete già incontrati...»
Dalia si mise le mani tra i capelli. Com’era possibile che Brett Johnstone ignorasse completamente ogni dettaglio della sua vita? Non poteva essere davvero così. Senza ombra di dubbio quell’uomo fingeva molto più spesso di quanto tutti potessero immaginare.
«Sì, ho incontrato Enrique molte volte, in realtà. C’è stato un periodo in cui era la prima persona che vedevo quando mi svegliavo e l’ultima che vedevo prima di andare a dormire. Credevo che la cosa fosse di dominio pubblico.»
Finalmente Johnstone alzò gli occhi dal tavolo e la guardò.
«Se c’è una cosa che non mi piace fare è impicciarmi nella vita privata degli altri. Chiaramente non sapevo nulla della vostra frequentazione.»
Dalia decise di soprassedere sul fatto che non si fosse trattato di una semplice frequentazione e chiuse la questione una volta per tutte, in attesa dell’arrivo di Enrique.
«In ogni caso, sono felice di incontrare di nuovo Rodriguez della Brazil Gas. È passato parecchio tempo dall’ultima volta in cui ci siamo visti e, a quanto pare, è arrivato il momento di ritrovarci di nuovo.»

***

«Dalia?» chiamò Jacques.
Non ottenne risposta.
Alzò il tono della voce.
«Dalia?!»
Dal bagno lei gli rispose: «Arrivo subito.»
Doveva avere una strana idea di che cosa volesse dire “subito”, visto il tempo che lo fece attendere prima di venire a sdraiarsi accanto a lui.
Prima di spegnere la luce, Jacques decise di contravvenire alle proprie abitudini e di domandarle: «Stai ancora pensando a quello che succederà domani?»
Dalia sospirò.
«Non nego di essere un po’ preoccupata. Johnstone non è un soggetto molto raccomandabile. Non ho nemmeno idea di chi incontrerò domani.»
«Di sicuro» ribatté Jacques, «Avrai a che fare con qualche distinto uomo d’affari e non certo con dei criminali.»
«È già un passo avanti.»
«Allora» le suggerì Jacques, «Cerca di non fare passi indietro con tante preoccupazioni inutili. Andrà tutto bene.»
«Speriamo.»

***

Il cellulare di Brett Johnstone si mise a squillare nel momento meno opportuno, o forse, dal sorrisetto che Mister Delirium fece nell’udirlo, nel momento più opportuno.
Quell’uomo era un autentico mistero. Conoscendolo, Dalia non escludeva al cento per cento che la sua idea di invitare anche Enrique fosse soltanto un modo per mettere nero su bianco, seppure indirettamente, chi tra di loro fosse il burattinaio che reggeva i fili e chi la marionetta.
“Se pensa di mettermi in imbarazzo, si sbaglia di grosso.”
Tra lei ed Enrique non c’erano motivi di tensione.
Avevano vissuto insieme una parentesi della loro vita, ma quella parentesi si era chiusa senza che nessuno ne uscisse particolarmente danneggiato.
Johnstone appariva ancora soddisfatto, quando si alzò in piedi.
«È una cosa urgente. Esco un attimo.»
Dalia annuì.
«Faccia pure con comodo.»
«E lei» ribatté Mister Delirium, «Si comporti bene e sorrida, se dovesse arrivare qualcuno.»
«Lo farò» replicò Dalia. «D’altronde sono brava a sorridere tanto quanto a guidare, non trova?»
Johnstone non rispose.
Si allontanò.
Uscì dalla sala.
Dalia era certa che non sarebbe rientrato prima dell’arrivo di Enrique.

***

Dalia dormiva.
Dormiva, oppure fingeva molto bene.
Sotto la luce fioca della lampada da notte, il suo sonno appariva comunque inquieto.
Jacques non avrebbe saputo dire di preciso che cosa gli desse quell’impressione, ma Dalia gli sembrava un po’ troppo rigida.
Era preoccupata per la giornata imminente?
Non era da lei.
Non era da lei, oppure Jacques non aveva mai capito nulla di Dalia, il che non era del tutto impossibile.
“Speriamo che vada tutto bene.”

***

Un attimo prima che Enrique facesse il proprio ingresso, Dalia riuscì a trarre la prima di una serie di conclusioni.
“Mister Delirium sa tutto di noi.”
L’obiettivo di Brett Johnstone, Dalia non lo metteva in dubbio, era sempre quello di guardare al proprio tornaconto personale. Non era un caso che avesse chiamato Enrique al loro incontro, e chissà, magari aveva scelto una combinazione di orari che avrebbe garantito loro di trascorrere qualche minuto insieme.
“Spera che, grazie alla presenza di Enrique, io decida di tornare da questa parte dell’oceano. La Indy Challenge, a quanto pare, adesso sta iniziando a interessargli più di prima. Si sarà reso conto che non si tratta soltanto di vetture che girano in tondo con al volante piloti che non sanno curvare a sinistra.”
Se per tentare di raggiungere i propri obiettivi Johnstone non avesse scomodato addirittura la sfera personale, Dalia avrebbe potuto addirittura apprezzare il suo tentativo di farle apparire il mondo che aveva lasciato sotto una luce differente.
Poi Enrique fece il proprio ingresso trionfale... ingresso che, in realtà, definire trionfale era forse un po’ azzardato.
Lui e Dalia si fissarono per qualche istante.
A quel punto, lentamente, lui la raggiunse.
Indicò una sedia, di fronte a lei.
«Posso sedermi?»
«Direi di sì.»
«Grazie.»
Dalia sorrise.
«Fammi capire, non ci vediamo da una vita e l’unica cosa che sai fare è chiedermi se puoi sederti, quando sai benissimo che, prima o poi, dovrai farlo? Un “buongiorno Dalia, come stai?” forse sarebbe stato più appropriato.»
Enrique parve concordare.
«Buongiorno Dalia, come stai?»
«Abbastanza bene, e tu?»
«Non mi posso lamentare.»
«Mi fa piacere. Vedo che ti sei vestito appena un po’ più elegante del signor Johnstone.»
«Non ci vuole molto, dopotutto. Anche tu stai bene, con quel vestito.»
«Grazie.»
«Di niente.»
«Come mai da queste parti?» volle sapere Dalia, una volta superata la fase dei convenevoli. «Che cosa ti ha detto Johnstone per convincerti a venire qui? Ti ha minacciato di far fallire la Brazil Gas?»
Enrique rise.
«Dubito fortemente che possa riuscirci.»
«Mai dire mai. Quell’uomo ha agganci dappertutto.»
«Ne sono convinto» confermò Enrique. «Se così non fosse, non saresti qui. Mi sembrava di avere capito, poco meno di un anno fa, che tu non volessi più avere niente a che fare con la Indy Challenge.»
«Già» convenne Dalia. «Avevi capito bene.»
«Eppure sei qui.»
«Eppure sono qui, già.»
«E, secondo me, non te ne pentirai» ribatté Enrique, «Nonostante all’epoca tu abbia fatto così tanti proclami contro la Indy Challenge...»
Dalia scosse la testa.
«Ti sbagli. Non ho fatto proclami contro questo campionato. Ho solo detto, in un momento in cui ne ero fortemente convinta, che avrei preso un’altra strada.»
«Se non ricordo male hai anche criticato fortemente la Indy Challenge e la pericolosità dei circuiti. Quotando pari pari le tue parole, hai detto: “Credo che l’aldilà sia un posto bellissimo, ma non sono ancora pronta per raggiungerlo e questo è uno dei motivi per cui ho deciso di ritirarmi”.»
Dalia sbuffò.
«Tu ci vedi una critica alla pericolosità dei circuiti?»
Enrique la guardò con la sua classica aria saccente.
«Dato che hai accennato al rischio di morire se ci fossi rimasta...»
Dalia lo interruppe: «L’idea che il mio discorso fosse dovuto all’incidente che ho subito a Indianapolis più che a tutto il resto non ti ha sfiorato neanche lontanamente, vero? Tra parentesi, non capisco il bisogno di ricordarti a memoria le mie parole. A volte ho il terrore che, qualche anno, quella frase, così come altre cose che ho pronunciato durante qualche intervista, vengano citate in grassetto nelle firme degli utenti dei forum ad argomento motorsport.»
«Mi hanno colpito» replicò Enrique. «Un tempo non avresti mai detto nulla del genere. Tu sei come tutti gli altri piloti: sei sempre stata fortemente convinta che, se un giorno dovesse accadere qualcosa di grave, capiterebbe a un altro e non a te.»
«È la stessa convinzione che hai tu, credo, anche se vista da un’altra prospettiva» puntualizzò Dalia. «Hai mai pensato che, in caso di una forte crisi del settore, la Brazil Gas potrebbe risentirne più dei concorrenti?»
Enrique le scoccò un’occhiataccia.
«Stai mettendo la tua vita sullo stesso piano della Brazil Gas?»
Dalia ridacchiò.
«Perché, cosa ci sarebbe di così sbagliato?»
«Nulla, se non che mi pare molto azzardato.»
«È solo un discorso così, campato in aria» gli ricordò Dalia. «Non morirò per questo e la Brazil Gas non fallirà per questo.»
«Mi fa piacere» ribatté Enrique. «E poi comunque hai ragione tu: Interlagos non è tanto più pericoloso dei circuiti su cui sembreresti così tanto felice di finire la tua vita, là in Europa.»
Dalia precisò, con l’amara consapevolezza che ogni tanto ce n’era bisogno: «La Golden League non è una serie solo europea. Anzi, di piste veramente europee non ce ne saranno più, considerando che la prossima non sarà esattamente in Europa e che in realtà non è esattamente una pista. Però sai cosa ti dico? Mi piace.»
«Lo so, ti piacciono cose strane» replicò Enrique. «Mi ha sorpreso che, a Montecarlo, tu non sia riuscita a qualificarti. Ho visto l’incidente. Non è da te.»
Dalia lo guardò negli occhi.
«Pensi davvero di sapere che cos’è da me e che cosa non è da me?»
«Ti conosco meglio di quanto tu creda» le assicurò Enrique. «Non ho visto la gara, né le qualifiche, né le prequalifiche al completo, in realtà, però il video dell’incidente l’ho guardato e mi ha fatto uno strano effetto. Quel giorno non eri in te, vero?»
Dalia sospirò.
«Quel giorno non ero in me.»
«Tu eri amica di Nathaniel Dubois, giusto?»
«Ero amica di Nathaniel Dubios, sì.»
«Ho avuto l’impressione che, quel giorno, tu abbia, per qualche ragione, pensato a lui per un attimo e che questo ti sia stato fatale.»
Dalia abbassò lo sguardo.
«Fatale è una parola grossa.»
«Sì, effettivamente non è il termine migliore che avrei potuto utilizzare» ammise Enrique, «Ma credo che tu mi abbia capito.»
«Sì.»
«Sì nel senso che hai capito o nel senso che stavi pensando a lui?»
«Nel primo senso.»
«Quindi» osservò Enrique, «Neghi di avere pensato a lui?»
«Né lo nego né lo confermo» rispose Dalia. Rialzò gli occhi, piacevolmente stupita dall’avere qualcuno a cui potere fare quella confidenza. «Ho ripensato piuttosto al mio incidente di Indianapolis e a quanto io sia fortunata ad essere ancora viva.»
«Ci hai ripensato proprio lì, in quel momento?»
«Forse.»
«Perché? Te lo sei chiesta?»
«Sì» confermò Dalia, «E ho paura della risposta. Io sono convinta che quel giorno, a Indianapolis, sia successo qualcosa...»
«È successo qualcosa» le ricordò Enrique. «Sei andata a sbattere quando ormai eri pronta per essere consegnata alla storia.»
«Sono stata comunque consegnata alla storia» scherzò Dalia, preferendo dare una piega meno seria alla conversazione. «Non ce ne sono tanti che hanno terminato la gara nel modo in cui l’ho terminata io, per giunta mentre ero in testa e stavo per ottenere un risultato incredibile. Cosa vuoi farci, non tutti veniamo ricordati per le stesse ragioni!»
«Già. A proposito, volevi dire qualcos’altro? Credo di averti interrotta, poco fa.»
Dalia scosse la testa.
«No, non volevo aggiungere altro.»
Aveva già provato a confidarsi con Jacques, ma non c’era riuscita. Perché mai avrebbe dovuto raccontare qualcosa di così personale al suo ex marito?

***

Jacques aprì gli occhi.
L’abat-jour era ancora accesa.
Dalia non c’era più.
Jacques si alzò, udendo dei rumori provenienti dalla cucina.
Dalia doveva essere là.
La trovò seduta su una sedia. La televisione era accesa, a basso volume, ma lei sembrava non farci troppo caso.
Jacques le si avvicinò.
«Va tutto bene?»
Dalia non rispose.
Sembrava persa in un mondo tutto suo, un mondo nel quale avrebbe probabilmente preferito essere lasciata in pace, ma Jacques non se la sentiva.
«Non riuscivi a dormire?»
«Ci riuscivo» rispose Dalia, finalmente, «Ma non è andata come speravo.»
«Ti ho vista un po’ irrigidita, prima, in effetti.»
Dalia alzò gli occhi.
«Pensavo a Nath. Mi manca.»
«Anche a me.»
«Credo di averlo sognato.»
«Oh...» Jacques non sapeva cosa dire. Non gli era mai capitato, ma era certo che, se fosse accaduto e, al risveglio, se ne fosse ricordato e si fosse reso conto che era stato soltanto un sogno, non sarebbe stato facile. «Cosa stava facendo?»
«Non ricordo. So solo che c’era e mi guardava.» La voce di Dalia si spezzò in un gemito. «Credi che sia davvero così?»
«In che senso?»
«Secondo te c’è ancora qualcosa di lui, da qualche parte? Voglio dire, lui come essere senziente, qualunque sia la sua forma.»
«Non lo so. Credo che sia un dubbio che non mi sono mai posto fino in fondo. Sono cose che scopriremo quando saremo morti, forse. Altrimenti non scopriremo nulla perché di noi non è rimasto nulla.»
Dalia si alzò in piedi.
«Scusa se ti faccio queste domande.»
«Non c’è nulla di cui tu debba scusarti. Ora, però, cerca di non pensare a Nath, o almeno di non pensare a lui in chiave così negativa.»
«Non lo farei, se avessi una buona ragione per non farlo.»
Jacques fece un sospiro.
«L’hai detto tu stessa, mio fratello potrebbe essere ancora qui, da qualche parte. Non credi che vorrebbe vederci felici?»
«Credo di sì, ma capirà. Per lui è tutto facile, adesso, per noi no. Penso di essermene accorta per la prima volta quando...»
Dalia si interruppe.
«Quando...?» la esortò Jacques.
«Lascia stare» lo pregò lei. «Non volevo dire niente di importante.»
Non era così, Jacques ne era certo, ma era di nuovo il momento di non fare domande.

***

Un weekend che si apprestava a iniziare poteva essere qualcosa di nuovo, oppure il ripetersi della solita vecchia storia.
Ormai Irina non aveva più molte illusioni: certe occasioni capitano una sola volta nella vita e le appariva chiaro che, fino a quel momento, lei non era riuscita a sfruttare la sua. Ciò si rifletteva su ogni singolo aspetto della sua vita e su ogni sua interazione. Nell'ambiente di cui faceva parte, si sentiva sotto costante osservazione, indistintamente, ormai da parte di tutti.
Solo Karl Dobson faceva eccezione; proprio lui, che al novanta per cento delle altre persone provocava livelli più o meno elevati di orticaria.
Non era un caso che Irina avesse accettato di trascorrere insieme a lui il mercoledì sera che precedeva il Gran Premio dell’Azerbaijan, naturalmente dopo avere preteso dal collega una serie di condizioni.
«Basta che non facciamo tardi. Sono una persona seria.»
«Anch'io.»
«Se mi guardi con quell'aria da furbetto, me ne fai dubitare.»
Karl aveva riso, mettendo fine a tutte le sue preoccupazioni.
«Non ho in mente niente di strano. Ho solo voglia di piazzarmi davanti al mio portatile e di guardare la Indy Brazil. Ho pensato di farlo insieme a te, se ti va bene. Se non hai ancora avuto occasione di vederla...»
Irina, che non aveva tempo da perdere per stare in internet a guardare gare di altri campionati, non l'aveva ancora vista.
«Okay» aveva accettato. «Vediamo l'eroica impresa della nostra cara collega.»
C'era stata qualche risata, più o meno velata.
Al di là del risultato, sapevano entrambi che la Herrera in Brasile non aveva fatto esattamente brutta figura.
Era lei la ragione per cui avevano deciso di dedicare una piccola fetta del loro tempo a quella gara: per quanto non fosse onorevole per la Indy Challenge ricevere attenzione da parte loro soltanto a causa di Dalia, non potevano negare le loro vere motivazioni.
«Non mi aspettavo che andasse così bene» ammise Karl, e se lo ammetteva lui, che con la Herrera preferiva non avere nulla a che fare, il suo giudizio era sicuramente da prendere in considerazione. «Non era certo partita nel migliore dei modi.»

***

Se Dalia avesse dovuto sforzarsi di stilare un bilancio, esso sarebbe stato negativo.
Il lato positivo era che, dopo le qualifiche, non aveva sentito in nessun modo il bisogno impellente di stilare un bilancio.
Aveva questioni più fondamentali di cui occuparsi, per esempio rispondere alle domande imbarazzanti del suo ex marito: Enrique, infatti, si limitava a comportarsi da uomo d’affari la cui presenza nel paddock era necessaria soltanto quando non c’era nessuno con cui avesse sufficiente confidenza per spingersi a comportarsi in modo invadente.
Naturalmente, sull’incidente, aveva le sue teorie un po’ troppo campate in aria e, se si era avvicinato non appena gli era stato possibile, era per mettergliele davanti agli occhi senza che nessuno gli avesse chiesto di farlo.
«A cosa pensavi?»
«In che senso?»
«Sei finita dritta contro il muro.»
«È più facile che ti capiti quando sei in pista, piuttosto che quando sei in giro a chiacchierare e a disturbare la gente che è qui per lavorare.»
«Oh, giusto.» A quel punto Enrique accennò un lieve sorriso. «Posso dirti una cosa, senza che ti offendi?»
Dalia alzò gli occhi al cielo.
«Non preoccuparti, è molto difficile che tu riesca ad offendermi.»
L’espressione di ilarità di Enrique non mutò.
«Perché non sei rimasta in Europa?»
Era quello il momento giusto: adesso toccava a lei sfoderare un bel sorriso, uno di quelli a trentadue denti.
«Se fossi rimasta in Europa, non avrei potuto rivedere te e avere con te questa illuminante conversazione.»
Enrique le strizzò un occhio.
«Allora, tutto sommato, hai fatto bene a venire.»
«Non avevo dubbi.»
Non ne aveva davvero, nonostante tutto.
Sarebbe partita dall'ultima posizione, dopo avere sfasciato la vettura durante un incidente nelle qualifiche, ma non era un ostacolo insormontabile.
Quando un giorno finiva, calava sempre la notte.
Quando la notte finiva, iniziava sempre un nuovo giorno.
Chiunque fosse stato ancora in vita il giorno successivo, avrebbe potuto sperare che si trattasse di un giorno migliore.
Nel suo caso, ne era certa, lo sarebbe stato.
Era sempre stata molto positiva.
Lo sarebbe stata ancora una volta.
Dopotutto, qualora le cose fossero andate davvero male e, per un motivo o per l’altro, non fosse giunta fino a vedere l’alba del giorno seguente, non avrebbe più avuto problemi...
“Smettila di pensare a queste cose” ordinò a se stessa.
Era ancora troppo giovane per pensare a quando sarebbe stata risucchiata dal nulla o, in alternativa, sarebbe stata in compagnia di coloro che se n’erano andati prima di lei.
Forse Enrique aveva ragione, quando si atteggiava come uno che stesse parlando con una persona che aveva qualche rotella fuori posto.
Doveva concentrarsi sul resto del weekend e sulla gara, non su pensieri filosofici non alla sua portata. La Indy Challenge offriva maggiori possibilità rispetto alla Golden League, dove era molto più difficile incappare nel colpo di fortuna che permetteva di rimontare dal fondo dello schieramento fino alle posizioni di rilievo: era quello il pilastro su cui, in quel momento, doveva basare la propria esistenza.
Se ce l’avesse fatta, le probabilità di essere al top il giorno seguente sarebbero aumentate.

***

Nell'intervista rilasciata prima della gara, Dalia Herrera sembrava nella migliore condizione psicologica possibile.
«Beata lei» borbottò Irina.
Karl si girò a guardarla.
«Come dici?»
«Sembra così tranquilla.»
«Lo è» confermò Karl. «La conosco abbastanza per potere affermare con certezza che, se la Herrera appare tranquilla, allora lo è davvero.»
«Beata lei, appunto» ribadì Irina. «Sembra che l'essersi qualificata in ultima posizione non la tocchi minimamente.»
«La Herrera è sempre stata molto sicura di sé. Per lei partire dall'ultima posizione non è un problema. Magari sul momento le sarà pesato, e anche parecchio, ma il giorno dopo non le importava più. Sapeva di essere dietro e che non voleva rimanere dietro.»
«Se capita a lei, di partire così indietro» mormorò Irina, senza nascondere la propria amarezza, «Nessuno sembra farne un problema.»
«In pratica» osservò Karl, che doveva essersi accorto di come si fosse allontanata dal loro argomento di conversazione, «Stai affermando che, se al posto suo ci fossi stata tu, avresti ricevuto un trattamento diverso.»
Irina annuì.
«Non è così improbabile.»
«Purtroppo c'è chi è privilegiato e chi non lo è.»
Irina scosse la testa.
«Non è una questione di privilegio. Anzi, mi sembra giusto che Dalia Herrera non sia soggetta alle stesse critiche a cui sono soggetta io. Quello che io non sono mai riuscita a dimostrare e che forse non dimostrerò mai, lei l'ha dimostrato molto tempo fa. Il punto è che, quando certe cose capitano a me, sembra che ci sia sempre qualcosa in più. C'è sempre qualcuno che tira fuori questioni politiche, economiche, sociali e chi più ne ha più ne metta; l'essenziale è che siano questioni che non mi riguardano. Ti pare normale che, mentre a tutti gli altri piloti vengono chieste considerazioni sulle performance delle loro vetture o sulle loro probabilità di rimonta, a me chiedano che cosa ne penso della rivoluzione d'ottobre?»
«A meno che tu non intenda una lunga serie di modifiche regolamentari che verranno approvate il prossimo autunno» ribatté Karl, «Direi proprio di no!»
Irina si sentì sollevata.
Karl la capiva al volo.
L'aveva sempre fatto.
Finché ci fosse stato lui, sarebbe sempre riuscita a trovare un lato positivo in tutto, anche quando a primo impatto era impossibile intravederne uno.

***

«Quella di ieri non è stata una buona qualifica. Come la vedi per oggi?»
«Ieri era ieri, oggi è oggi. So che cosa ho sbagliato e so come non sbagliare oggi. Tutto ciò che è sotto al mio controllo, sono sicura di poterlo controllare. Ciò che non è sotto al mio controllo, posso cercare di sfruttarlo a mio vantaggio.»
«Se dovessi ottenere un buon risultato, ci sono possibilità di vederti sulla griglia di partenza la prossima settimana?»
«No.»
«Nemmeno se...»
Dalia interruppe il giornalista.
«Indy Brazil e basta, sono stata chiara fin dall'inizio, mi pare. Non prenderò parte ad altri gran premi di questo campionato, questo è l’ultimo.» Rimase in silenzio per un attimo, poi decise di aggiungere: «L’ultimo per quest’anno, almeno.»
Non fu la migliore scelta.
Avrebbe dovuto mordersi la lingua, piuttosto di parlare.
«Ci sono possibilità di rivederti in pista il prossimo anno?»
Dalia scosse la testa.
«Al momento no, ma non do per scontato quello che farò o non farò nel mio futuro, più o meno lontano che sia.»

***

Irina sapeva che non avrebbe dovuto provare invidia per Dalia, ma non riusciva ad essere superiore alle sensazioni che avvertiva.
Dalia Herrera aveva sempre avuto tutto: passione, talento, supporto, nessuna ombra, né sul suo presente né sul suo passato...
Era sempre stato così e sarebbe sempre stato così: Dalia Herrera sarebbe sempre stata circondata da quel suo alone di perfezione.

***

Dalia fece un sospiro.
Per il momento nessuno l’avrebbe più disturbata.
Il sollievo durò per pochi istanti.
Aveva bisogno di ripetersi mentalmente il “decalogo brasiliano”.
“Regola numero 1: Interlagos è una pista come tutte le altre.”
Non c’era ragione per credere che le cose stessero diversamente, dopotutto...
O magari sì?
“Regola numero 2: il passato non esiste.”
Non c’era motivo per cui dovesse prenderlo in considerazione, almeno non prima della fine della gara.
“Regola numero 3: Anna Kravchenko non è mai esistita.”
Fu così che il resto del decalogo svanì ancora prima di essere definitivamente stilato.
Convincersi che la Kravchenko non fosse mai esistita sarebbe stato tutt’altro che d’aiuto; anzi, il netto ricordo di Anna stava conducendo Dalia proprio verso quel passato che avrebbe desiderato tenere il più lontano possibile da sé.
Le balenò in testa l’idea che tornare a Interlagos fosse stato un errore.
Nonostante tutto non riuscì a convincersene.
Aveva convissuto con i propri fantasmi per anni e altrove riusciva a fare tranquillamente a meno dei propri rimorsi.
Se ce la faceva altrove, poteva farcela anche lì.
Interlagos era un luogo come gli altri.
Quello che era accaduto alla Kravchenko sul circuito brasiliano avrebbe potuto succedere su qualsiasi altra pista.
“E avrebbe potuto succedere a qualsiasi altro pilota.”
Inoltre, ricordò a se stessa, quell’incidente era stato innescato da qualcuno, nonostante il responsabile avesse deciso fin dal primo momento di negare l’evidenza.

***

Interlagos era un circuito che Karl non avrebbe paragonato a nessun altro. Vedere una gara, di qualsiasi categoria, che veniva disputata su quella pista, aveva il fascino dolceamaro di suscitargli quelle bizzarre domande a cui non avrebbe mai saputo dare risposta.
Aveva perso un'amica, in quel luogo, e la ragazza che gli sedeva accanto era la persona più simile ad Anna che Karl avesse mai avuto la possibilità di incontrare.
Fu proprio Irina a distoglierlo per un attimo dalle sue riflessioni.
Rise, indicandogli il monitor del computer.
«Meno male» commentò, «Che le partenze lanciate dovrebbero servire per evitare gli incidenti.»
«Da quelle parti» ribatté Karl, senza troppo entusiasmo, «Mi pare che funzioni proprio così.»
Irina puntualizzò: «Se non sbaglio hanno fatto qualche standing start, in passato.»
«Esatto.»
«Con pessimi risultati, vero?»
«Già.»
«Allora» decretò Irina, «Forse il problema è che questa gente ha troppa foga, in qualunque modo si parta.»
«È una delle ragioni per cui "la Golden League è una serie noiosa"» precisò Karl. «Se non facciamo casino siamo noiosi e facciamo addormentare, mentre se per caso ne facciamo siamo dei pazzi assassini.»
Irina sospirò.
«Evidentemente dall'altra parte dell'oceano hanno la fortuna di essere al di sopra dei giudizi negativi, quando le cose vanno male.»
«Come Dalia?»
«Più o meno.»
«Allora questo significa» osservò Karl, «Che sta bene da quelle parti.»
«Saresti felice» gli chiese Irina, «Se ci rimanesse?»
Quella domanda giunse inaspettata: di solito la sua amica non si spingeva così in là, nemmeno quando si trattava di domande personali.
Karl abbassò lo sguardo.
Fece un profondo respiro, infine rispose.
«No.»

***

Erano soli.
Erano uno di fronte all'altra.
Si fissavano.
I loro sguardi erano pieni di parole mai dette.
Fu Dalia la prima a parlare, ed era esattamente quello che Karl si aspettava.
«L'avevo sempre detto che sei pericoloso.»
Karl continuò a fissarla.
«Vogliamo parlare di te, allora?»
Anche Dalia tenne lo sguardo fermo.
«Io non sono stata responsabile della morte di nessuno.»
«Materialmente no» ammise Karl, «Ma puoi davvero dire di avere la coscienza pulita?»
«Non ho niente di cui pentirmi» rispose Dalia, con fermezza. «Mi sono sempre e solo limitata a esprimere un mio punto di vista, a mio parere più che legittimo.»
Il suo tono era meno fermo di quanto Dalia ci tenesse a mostrare e Karl intuì che non fosse affatto sicura di ciò che sosteneva.
Dalia Herrera aveva sempre avuto un enorme punto di debolezza: tendeva a crollare molto in fretta di fronte a chi le metteva davanti una verità diversa da quella alla quale lei voleva credere a tutti i costi.
Se ne fosse valsa la pena e se non fosse stato irrispettoso nei confronti di Anna, Karl non avrebbe esitato ad andare avanti.
Non lo fece.
Non avrebbe disonorato la memoria di Anna.
Non l’avrebbe fatto per una stronza che chiudeva gli occhi per non vedere la realtà delle cose.
Non l’avrebbe fatto per nessuna altra ragione, in realtà: era certo che non fosse quello che Anna avrebbe desiderato.

***

Una negazione come quella necessitava di una spiegazione.
Quella spiegazione arrivò prontamente, senza che Irina avesse bisogno di chiedere.
«Io e Dalia abbiamo condiviso tante esperienze, insieme. La maggior parte sono state esperienze negative, ma è stata comunque una persona rilevante, per me, nel corso degli anni.»
«Sono felice di sentirtelo dire» replicò Irina. «Alla fine quello che è successo», non andò nello specifico, certa che Karl preferisse così, «Non è dipeso né da te né da lei. È stata solo una sfortunata coincidenza.»
Karl sbuffò.
«No, non è stata affatto una coincidenza: sono stato io a speronare Anna, quindi, in un certo senso, Dalia ha ragione...»
«Non potevi certo prevederne le conseguenze» obiettò Irina, accorgendosi soltanto in un secondo momento che Karl non aveva terminato.
«Dal mio punto di vista, però, ho ragione anch'io» proseguì infatti il pilota del Team Vega. «Se Dalia non avesse fatto parte del coro secondo cui "non si può snaturare la Golden League solo perché i top-team si sono messi in combutta per farlo", non avrebbe colpe. In realtà, però, è stata una tra i primi a dire che una sorta di piccolo parabrezza rendesse la serie "una farsa". Hanno ottenuto quello che volevano, alla fine. Dopo la morte di Anna, tutti erano pronti ad affermare di avere la coscienza pulita, nonostante fossero stati loro ad avere voluto a tutti i costi che quel dispositivo fosse dichiarato irregolare. Il fatto che, con tutta probabilità, avrebbe salvato la vita di Anna non l’hanno mai voluto prendere in considerazione.» Sospirò, fermando il video della gara. «Sai qual è la cosa che mi dà più fastidio?»
Irina andò a cercare i suoi occhi, senza riuscirci, dato che Karl teneva lo sguardo puntato verso il basso.
«Cosa?»
«Che tutti abbiamo avuto delle responsabilità ma che, di fatto, soltanto io, Dalia e Anders ne abbiamo pagato le conseguenze, rimanendo fuori dalla Golden League per così tanto tempo. Tutti gli altri sono rimasti dov’erano, andando avanti così come se niente fosse.» Karl sbuffò. «Scusa. Ti ho invitata qui per vedere la gara, ma non la stiamo nemmeno guardando...»
«Non ha importanza» replicò Irina. «Possiamo parlare, se vuoi, dell’incidente di Anna o di qualcos’altro. Lasciamo perdere la Indy Brazil e il settimo posto di Dalia: dopotutto conosciamo già il risultato.»

***

Dalia si guardò intorno.
«Non è cambiato niente, qui, mi pare.»
La casa di Enrique, almeno a primo impatto, sembrava ancora tale e quale all’ultima volta in cui vi era entrata.
«Lo sai» ribatté il suo ex marito. «Sono un tipo abitudinario.»
«Lo sei sempre stato.»
«E non cambierò.»
Dalia sorrise.
«Per fortuna.»
«Allora vuole dire che qualcosa di buono in me lo salvi» scherzò Enrique, prima di invitarla: «Vieni con me. Ti offro qualcosa da bere.»
Enrique la condusse in soggiorno.
Dalia lo seguì, scostò una sedia e si accomodò accanto al tavolo.
«Cosa vuoi?» le chiese Enrique.
«Per ora sono a posto così, non ho sete» rispose Dalia, per liquidare in fretta quella questione. «Comunque sì, sono tante le cose che salverei di te. Quasi tutto, in realtà.»
Enrique si sedette vicino a lei.
«È strano sentirtelo dire.»
«Non è affatto strano, invece» obiettò Dalia. «Se la tua vita fosse stata diversa, o se lo fosse stata la mia, forse le cose avrebbero potuto andare diversamente. Purtroppo nessuno di noi era pronto per cambiare vita, né lo voleva. Le nostre strade si sono separate, tutto qui. Questo non significa che tu abbia qualcosa di sbagliato o che ce l’abbia io. Forse abbiamo solo condiviso una parte sbagliata della nostra vita.» Rise. «Chissà, magari quando saremo anziani e il nostro unico interesse sarà quello di trascorrere i pomeriggi in giardino leggendo riviste, scopriremo che siamo fatti per stare insieme.»
Quel pensiero parve divertire Enrique, che scoppiò a sua volta in una fragorosa risata.
«Vuoi dire che devo tenermi libero da ogni impegno sentimentale, perché tra una trentina d’anni vorrai risposarmi?»
«Non prenderlo per scontato. Trent’anni sono lunghi abbastanza perché io possa cambiare idea.»
«Meno male!»
«Perché?» obiettò Dalia. «Per caso quello che dicono i giornali scandalistici corrisponde a realtà?»
«Non saprei. Non leggo giornali scandalistici. Tu lo fai?»
«No, ma le voci girano in fretta. Sei stato paparazzato mentre cenavi insieme a una donna.»
«Se i giornali scandalistici lo ritengono uno scandalo» ribatté Enrique, allargando le braccia, «Non so cosa farci. A me pare più scandaloso che ci sia gente che butta via soldi per comprare quelle riviste soltanto per vedere una foto di me a cena insieme a una donna, ma chi sono io per sindacare sulle bizzarre abitudini della gente comune?»
Dalia gli strizzò un occhio.
«Pare che le riviste non fossero molto chiare sull’identità di quella donna. Chi era?»
«È una donna con cui ho cenato» fu la schiva risposta di Enrique. «Credo che sia meno importante lei per me di quanto lo sia il tuo personal trainer per te.»
Dalia avvampò.
«Dobbiamo per forza parlare della mia vita privata?»
«Sei tu che hai iniziato a parlare di questioni private» le ricordò Enrique. «Io ti ho invitata a casa mia del tutto disinteressatamente, solo per...»
Dalia lo interruppe: «Fammi indovinare, perché Mister Delirium è convinto che tu sia la persona giusta per convincermi a non abbandonare definitivamente la Indy Challenge?»
«Mi hai scoperto.»
«Fin dal primo momento in cui ti ho rivisto.»
«In realtà» precisò Enrique, «Non ho mai desiderato assecondare Mister Delirium, come lo chiami tu. Semplicemente non potevo lasciarmi sfuggire un’occasione per rivederti. Sei una persona interessante e, ultimamente, c’è un oceano che ci separa.»
«E continuerà a separarci» puntualizzò Dalia. «Mister Delirium lo sa: adesso torno a concentrarmi su quello che per me conta davvero.»
«Quindi la Indy Challenge non conta niente per te?» ribatté Enrique. «Non me la racconti giusta, Dalia. Per te non è un capitolo chiuso.»
«L’ho già detto e ridetto, in quest’ultima settimana. Forse sì, forse no. Il fatto che io abbia delle altre priorità adesso non significa necessariamente che avrò altre priorità per tutta la vita. Per il momento con la Indy Challenge ho chiuso, ma non è detto che sarà sempre così.»
«Quindi la Indy Challenge è come me. Se un giorno, quando sarai anziana, potresti prendere in considerazione l’idea di chiedermi di risposarti, magari potrebbe venirti anche la voglia improvvisa di rimetterti in gioco in questa serie.»
«Magari un po’ prima di essere anziana» suggerì Dalia.
Enrique rise.
«Per il tuo ritorno o per il nostro secondo matrimonio?»
«Per il mio ritorno, ovviamente. Non ci sarà nessun secondo matrimonio, a meno che tu non prenda un’altra moglie o che io non decida di sposare il mio personal trainer, cosa che non ho intenzione di fare, almeno per il momento.»

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