venerdì 24 settembre 2021

Il Delirio dell'Arcobaleno: blog novel - Puntata n.9

Baku/ Singapore/ Sepang - ormai è passato tanto tempo e non so se ve ne ricordate ancora, ma è arrivato il momento di postare di nuovo. In questa puntata ci avviamo verso la fine della stagione, il cui ultimo evento occuperà ben tre puntate. Però non è il caso di andare oltre, per il momento fermiamoci a quello che succede adesso.

Buona lettura. <3


**[...] Kathy Shelley, azionista di maggioranza del Team Pink Venus, sembra avere le idee molto chiare, in vista del Malaysian Double Grand Prix.
Vediamo ora di lasciare la parola a lei affinché possa fare il punto della situazione.

GK - Il team Pink Venus si trova in sesta posizione nella classifica generale. Prima della pausa estiva i 2 punti totalizzati nella prima parte di stagione erano un gap elevato ma non incolmabile nei confronti dei team Rayo Fatal (15 punti) e Sparks (18 punti).
Dopo i gran premi di Baku e Marina Bay, però, la squadra è salita a 5 punti con il quinto posto di Marcela Lopez Ferreira a Marina Bay, mentre il team Sparks è fermo a 18 punti e il team Rayo Fatal, finora la grande delusione della stagione, si è portato addirittura a 30.
Colmare il gap con il team Rayo Fatal sembra molto difficile, al giorno d’oggi. Qual è il vostro obiettivo? Puntate alla quinta posizione in campionato, contro il team Sparks?
KS - Non puntiamo a colmare il gap, perché non sarà un’impresa facile, soprattutto alla luce del fatto che il Gran Premio d’Australia è stato cancellato. Senza l’appuntamento conclusivo ad Adelaide, abbiamo a disposizione soltanto questo weekend e quello di Suzuka: si tratta in entrambi i casi di un doppio appuntamento, ma non siamo in una posizione privilegiata, rispetto ai nostri avversari, soprattutto il team Rayo Fatal, che ha dimostrato di potere puntare al podio [Aruya, già secondo in Gara 2 all’Istanbul Park, ha eguagliato il risultato a Singapore - N.d.A.], mentre noi abbiamo il quinto posto di Marcela e due settimi posti di Caroline Parker come unici arrivi a punti.
È meno elevato il gap con il team Sparks, che ha avuto parecchie difficoltà, come ad esempio le mancate prequalificazioni di Cruz in Germania e a Singapore e la mancata qualificazione di Arden sempre a Singapore; al momento, però, nonostante sia nostro intento quello di impegnarci per il migliore risultato possibile, il quinto posto in classifica non sembra, purtroppo, un obiettivo molto realistico.
Ad ogni modo chiudere il campionato in sesta posizione, con Scuderia Moretti e Team Athena fermi a quota zero, sarebbe pur sempre un risultato notevole: è esattamente quello che ci chiede il nostro main sponsor per rinnovare la nostra collaborazione anche per la stagione a venire.

GK - Si vocifera ormai da tempo che il vostro main sponsor voglia vedere Daphne Harris al volante. Questo desiderio andrà in porto?
KS - La Harris sta disputando un’ottima stagione in Silver League. Immagino che al momento sia concentrata sulla stagione che, per lei, finirà qui a Sepang. Non ne abbiamo mai parlato direttamente.

GK - Qualora doveste parlarne, il suo debutto sarebbe previsto per la prossima stagione oppure c’è qualche chance di vederla al volante già nel Gran Premio del Giappone?
KS - L’hai detto tu, che Daphne Harris guiderà per il Team Pink Venus, non io. Di conseguenza, non essendoci nulla né di scritto né di teorico, preferirei non rispondere a questa domanda.**

«Papà, ne ho le palle piene di questa stronzata!» Kathy si sforzò di abbassare la voce e di non scaraventare il telefono a terra, nonostante quell’ultima azione potesse permetterle di mettere fine a quell’inutile conversazione, perché aveva ancora una reputazione da difendere. «Grazie alle tue meravigliose idee, non sono libera di prendere una sola fottuta decisione!»
«Calmati Katherine» ribatté lui. «Mi sembra tutto sotto controllo. Finché i soldi continuano ad arrivare, l’unico problema continua ad essere quella chicane mobile che ha pensato bene di perdersi in una via di fuga fin dal primo momento.»
Sì, Irina Volkova era poco più di una chicane mobile e ancora una volta non era stata in grado di prequalificarsi per il Gran Premio dell’Azerbaijan, facendo compagnia a Reyes del Team Athena; Team Athena che sulle strade di Baku si era rivelato disastroso, tanto che l’indomani i suoi compagni di squadra non avevano superato le qualifiche, situazione ben diversa rispetto alla squadra di Kathy, che aveva piazzato entrambe le vetture in top-ten.
La Volkova era poco più di una chicane mobile, ma Kathy continuava a credere in lei. Le poche volte in cui tutto era filato liscio era riuscita a portare a casa risultati quantomeno accettabili, in proporzione alla vettura che guidava.
«È tutto sotto controllo, da questo punto di vista» replicò. «Se anche avessimo portato tutte e tre le vetture sulla griglia di partenza, quella di Irina non sarebbe arrivata in fondo.»
«Sai qual è la soluzione.»
«Sì, so qual è la soluzione, ma è inverosimile.»
Suo padre le ricordò, per l’ennesima volta: «La soluzione è Daphne Harris. Mettila al volante e gran parte dei problemi si risolveranno.»
Sì, i fondi sarebbero aumentati: il main sponsor, ottenendo ciò che desiderava ormai da mesi, avrebbe aperto il rubinetto.
“Questo, però, significherebbe arrendersi alle sue volontà.”
Prima o poi avrebbe dovuto farlo, ma se proprio doveva continuare a giocare alla radical feminist, avrebbe impedito a quel coglione che si credeva un dio sceso in terra solo perché aveva un budget infinito, di mettere le mani sul suo lavoro e di stroncare definitivamente la carriera di quella maledetta “chicane mobile” della Volkova.
Prima o poi sarebbe accaduto: Irina si sarebbe ritrovata ugualmente senza un volante, ma Kathy Shelley non voleva anticipare i tempi.
“Io ho affermato di credere in lei, qualche mese fa, e devo continuare a comportarmi come una che crede in lei.”

**GK - Le prestazioni di Irina Volkova sono state ultimamente al centro di numerose critiche, specie dopo il gran premio di Baku. Cos’è successo? Perché non si è prequalificata?
KS - Perché ha avuto il tempo di fare un solo tentativo, prima che la vettura la lasciasse a piedi, e non ha ottenuto un buon tempo.

GK - Parker e Lopez Ferreira, però, si sono qualificate ottimamente.
KS - Esatto, anche se purtroppo la gara non è andata nel migliore dei modi. Purtroppo Marcela non è riuscita a finire, mentre Caroline ha chiuso soltanto ottava, fuori dai punti, venendo doppiata dal leader della gara proprio all’ultimo giro.**

«Maledetto stronzo!» sbottò Caroline Parker. «Se pensi che ti lasci passare, ti sbagli di grosso.»
Era più che decisa a sbarrare la strada alla sagoma che intravedeva negli specchietti, ma il suo ingegnere di gara puntualizzò: «È Yoshimoto. Ti sta doppiando.»
Caroline si fece da parte.
Se fosse stato in suo potere, avrebbe sbattuto quello sfasciacarrozze contro alle barriere - dopotutto Koji ce l’aveva per abitudine, non sarebbe nemmeno stato così terribile, per lui - ma la dura legge del fair-play prevedeva di dovere lasciare passare le vetture a pieni giri e di portare la macchina al traguardo.
Yoshimoto la sfilò.
Stava andando incontro alla sua seconda vittoria stagionale.
«Ce ne sono altri?» domandò Caroline, via radio. «Qualcun altro che mi deve doppiare, dietro di me?»
«No, nessuno, Willis e Harris sono entrambi lontani. Stai recuperando su Villa: due secondi e sei nell’ultimo giro. Sei a tre secondi e uno, vallo a prendere.»
Non andò a recuperare Villa: con meno di un giro ancora da percorrere era un’impresa quasi impossibile.
L’unico sorpasso, nell’ultima tornata, avrebbe scoperto Caroline dopo la fine della gara, l’aveva compiuto Ethan Harris, strappando la seconda posizione a Shane Willis: in tale maniera Willis rimaneva primo in classifica, ma con un solo punto di vantaggio sullo statunitense del team Corujas Blancas, mentre erano tre i punti di vantaggio sul compagno di squadra e campione del mondo in carica Erik Novak e cinque quelli sul pilota giapponese.
La squadra brasiliana aveva portato a casa un gran risultato, a Baku: oltre alla doppietta, i cui autori erano stati Yoshimoto e Harris, guadagnavano anche tre punti con il quinto posto ottenuto dalla Herrera. Avevano cento punti nella classifica delle squadre, soltanto uno in meno rispetto ai centouno del Team Phoenix.
Se non altro il Team Vega aveva chiuso il Gran Premio dell’Azerbaijan a secco e, in particolare, quel buono a nulla di Gabriel Aruya si era stampato contro un muretto qualcosa come un’ora e mezza prima della bandiera a scacchi.
Almeno c’era qualcosa di positivo, realizzò Caroline, se proprio doveva vedere uno dei suoi rivali della passata stagione in Silver League a lottare per il campionato quando lei riusciva a malapena a conquistare punti.
Almeno, all’interno del team, era lei l’unica che ne avesse ottenuti. Marcela aveva avuto qualche sfortuna di troppo, mentre Irina... beh, Irina era già buona se riusciva a passare indenne le prequalifiche, non c’era bisogno di preoccuparsi di lei.
Presto sarebbe stata silurata, lo sapevano tutti: soltanto Kathy continuava a negarlo, così come facevano la stessa Irina e la nuova ragazzina della Silver League; quella Daphne Harris che tutti portavano su un piedistallo perché stava ottenendo buoni risultati, anche se Caroline era piuttosto certa di mantenere ancora a lungo il proprio record di unica donna ad avere vinto un campionato nella Silver League.
La piccola Harris non aveva pazienza.
Nessuno della sua generazione ne aveva.
Kathy Shelley le avrebbe sbattuto un contratto davanti al naso e lei lo avrebbe firmato, incurante del fatto che rimanere un altro paio di stagioni in una squadra di prima fascia Silver League avrebbe potuto giovarle molto di più che fare il “salto di qualità” andando ad arrancare su una Pink Venus in Golden League.
A peggiorare la situazione, Daphne sarebbe stata una presenza molto più ingombrante di Irina: la giovane statunitense era molto più apprezzata della Volkova, sia da chi stava dentro al mondo della Golden League, sia da chi ne stava fuori.
“E poi è la figlia di Ethan Harris.”
Finché il pilota del team Corujas Blancas fosse stato da quelle parti, Daphne avrebbe avuto il suo sostegno.
Una volta che Ethan ne fosse stato fuori, forse la situazione sarebbe cambiata, ma per il momento non esisteva né la possibilità che Harris appendesse il casco al chiodo, né quella che il suo amico inseparabile Mitchell Ramirez lo appiedasse.

**GK - A Baku il team Rayo Fatal vi ha recuperato un punto, grazie alla settima posizione di Villa. È stato difficile da accettare?
KS - No, tranne che per la Parker. Se la gara fosse durata un giro in più, sarebbe riuscita a superare agevolmente Villa, che nell’ultimo stint aveva rallentato parecchio.**

«La cosa più assurda è stata quando quel cretino del mio ingegnere mi ha detto che lo stavo andando a prendere.» Caroline rise. Non avrebbe riso, in altri momenti, ma negli altri momenti in genere era sobria ed era quello il dettaglio che faceva la differenza. «Io avrei voluto rispondergli: “non lo sai che la gara è già finita?”, ma niente. Ho completato il giro e mi sono sentita più leggera, se non altro quello strazio era finito.»
«Ti è pur sempre andata meglio che a me» ribatté Karl, appoggiando il proprio bicchiere sul comodino.
Il percorso che li aveva portati a ritrovarsi all’interno della stessa stanza da letto, con una bottiglia sempre meno piena a portata di mano, non era molto chiaro a Caroline in quei frangenti, ma non era un dettaglio al quale fosse desiderosa di prestare molta attenzione.
Rifletté un attimo.
Non ricordava esattamente come fosse finita la gara di Karl Dobson: qualche diavoleria tecnica che aveva deciso di smettere a funzionare nel momento meno opportuno, forse.
Erano tante le cose che non ricordava, come ad esempio quanto l’odore del dopobarba del suo collega la facesse inebriare.
Caroline si avventò su di lui.
Karl protestò.
A quanto pareva gradiva maggiormente che Caroline gli sbottonasse la camicia senza strappare via i bottoni.
Non era un grosso problema.
Allo stesso modo, il fatto di avere avuto dei dissapori con Karl, in passato, era altrettanto ininfluente.
“Quello che conta è che stasera ci sono io, con lui, e non Irina.”
La Volkova era pronta a giurare - ovviamente con Marcela, perché non era da lei confidare fatti della propria vita privata a Caroline - che lei e Karl, quando trascorrevano del tempo insieme, avessero sempre i vestiti indosso, ma era difficile crederle. A che cos’altro poteva essere utile Karl Dobson, se non per una scopata?

Irina guardò il messaggio che aveva appena composto.
“Come va? Riusciamo a vederci?”
Voleva inviarlo a Karl.
Non aveva avuto molto tempo per parlare con lui, nel corso del weekend, e passare un’ora o due in compagnia di un amico le avrebbe fatto piacere.
Si fece coraggio e lo inoltrò.
Karl non rispose.
Irina rimase in attesa, ma Dobson non diede segni di vita.
Non poteva fargliele una colpa. Sicuramente aveva trovato un modo molto più interessante per trascorrere il proprio tempo.
Irina andò a dormire.
Trovò una risposta il mattino seguente.
“Scusami, ieri sera ero impegnato. Come stai? Spero tutto okay. Sto per partire per Singapore. Ci vediamo tra pochi giorni!”
Irina sorrise.
Si sarebbero visti di lì a pochi giorni, ma non era quello il lato migliore della situazione. Il fatto che il gran premio di Singapore fosse imminente le dava ancora qualche speranza, specie considerando che le occasioni per dare il meglio di sé iniziavano a scarseggiare.
Non poteva saperlo, ma il weekend di Marina Bay sarebbe stato molto clemente con lei: la Sparks di Cruz non avrebbe superato le prequalifiche e l’altro escluso sarebbe stato un habitué, Ruggeri della Scuderia Moretti; in qualifica avrebbe battuto entrambe le compagne di squadra e si sarebbe ritirata per un guasto al motore a metà gara, quando era in settima posizione.
In molti avrebbero parlato bene di lei e, al simpaticone di turno pronto a chiederle che le avesse chiesto che cosa ne pensava della rivoluzione di ottobre, avrebbe risposto, con un mezzo sorriso: «L’unica rivoluzione di ottobre che conosco è quella di cui si parla tanto, ovvero che Daphne Harris potrebbe prendere il mio posto subito dopo Sepang. Saremo in ottobre, allora. L’unica mia speranza è che questo non accada.»
**GK - Nonostante il Gran Premio di Singapore vi abbia allontanati dal vostro potenziale target in classifica, il Team Rayo Fatal, è stato un weekend molto positivo per la squadra. Cos’è cambiato in quel weekend?
KS - Non è cambiato niente, in realtà. A Marina Bay tutto ha iniziato ad andare bene fin dal primo momento.
Nelle prequalifiche la Volkova è andata benissimo, mentre il team Sparks aveva grosse difficoltà; difficoltà che hanno avuto anche durante le qualifiche, quando Arden è rimasto fermo ancora prima di fare registrare un tempo.
Il rischio che qualcosa andasse storto c’era, specie quando Caroline Parker ha commesso una sbavatura che avrebbe potuto costarle molto cara, se nel frattempo Yoshimoto non fosse uscito violentemente di pista andando a impattare contro le barriere. [...]**

Mitchell si mise le mani tra i capelli.
«Perché?! Perché quel kamikaze da quattro soldi deve essere così idiota?»
Koji non sarebbe mai cambiato.
Aveva vinto impeccabilmente il gran premio dell’Azerbaijan soltanto sei giorni prima e lì, sotto le luci artificiali di Marina Bay, aveva pensato bene di sfasciare la propria monoposto proprio mentre stava facendo registrare il miglior tempo.
Se solo avesse aspettato di transitare sul traguardo, avrebbe costretto i meccanici a molte ore di lavoro extra, ma quantomeno sarebbe stato presente sulla griglia di partenza del gran premio, il giorno successivo.
La mancata prequalificazione di Dalia a Montecarlo era stata un grosso smacco, ma vedere addirittura uno dei due piloti titolari, a cinque punti di distacco dal leader del campionato, incapace di qualificarsi per un gran premio era del tutto intollerabile.
“Per fortuna, almeno, non è capitato davanti agli occhi di Mister Delirium.”
L’assenza di Brett Johnstone, inoltre, gli sarebbe stata utile, dal momento che il magnate era il fanboy numero uno del pilota giapponese.
Fu molto chiaro, con Yoshimoto, non appena si trovarono a tu per tu.
«Una stronzata la posso tollerare, due anche, forse addirittura tre. Il tuo problema è che, ormai, di stronzate ne hai fatte troppe.»
Koji lo guardò con la sua solita aria da kamikaze pentito delle proprie malefatte.
«Ho perso il controllo della macchina. Non ho potuto farci niente.»
«È proprio questo il problema» replicò Mitchell. «I campionati non si vincono andando a sbattere contro ai muri.»
Koji sospirò.
«Non ho mai avuto la presunzione di pensare che avrei vinto il campionato. Mi è ben chiara quale sia la gerarchia non scritta di questo team.»
Mitchell alzò gli occhi al cielo.
Ne aveva avuto tanti indizi, ma quella risposta era la prova definitiva: Koji Yoshimoto aveva qualche rotella fuori posto.

**[...] Quando le qualifiche sono riprese, Marcela e Irina hanno dato il massimo: Marcela ha chiuso al tredicesimo posto, mentre Irina era addirittura undicesima. Peccato per Caroline, quello sarebbe stato il giorno giusto per noi.
La gara è stata qualcosa di indescrivibile: Marcela ha fatto un’ottima partenza, piazzandosi stabilmente in top-ten, e alla fine ha concluso in quinta posizione, il nostro migliore risultato stagionale; anche Irina e Caroline hanno fatto un’ottima gara, con Irina che era settima quando purtroppo è stata costretta al ritiro, e Caroline che successivamente è risalita fino al sesto posto, anche se poi ha subito una foratura al quintultimo giro, che l’ha costretta a rientrare per un’ulteriore pit-stop e ha chiuso soltanto al nono posto.
Direi che non ci possiamo lamentare, anche se rimane molto dispiacere per il ritiro della Volkova e per la foratura della Parker: per quest’ultima, soprattutto, sarebbe stato fantastico chiudere al sesto posto, specie considerando che i suoi due grandi rivali dell’anno scorso in Silver League a Marina Bay erano entrambi sul podio.**

Cinquantatre punti.
Se era un sogno, Shane non voleva svegliarsi.
I più vicini tra i suoi inseguitori, Harris e Novak, erano fermi a quarantasei e quarantaquattro punti, tradito uno dal motore, l’altro da un doppiato, per l’esattezza Schubert della Scuderia Moretti, mentre Yoshimoto non solo era fermo a quarantadue, ma c’era anche chi sosteneva che rischiasse seriamente di perdere il volante.
La gara era stata quasi perfetta, e quel *quasi* derivava dal sorpasso per la seconda posizione subito a metà gara dal suo vecchio rivale Gabriel, che dopo era stato imprendibile.
Chiudere al terzo posto, comunque, era stato un grande risultato, in un weekend che non era iniziato nel migliore dei modi.
Il team Corujas Blancas aveva piazzato due vetture in prima fila e anche la terza casella della griglia di partenza sarebbe stata loro, se Koji non avesse combinato uno dei suoi soliti casini. Anche le vetture del team Rayo Fatal avevano avuto brillanti performance, con Villa che aveva chiuso in quarta posizione e Leroy che, dopo un testacoda iniziale che l’aveva fatto precipitare nelle retrovie, era riuscito a rimontare parecchio, approfittando di una gara abbastanza caotica, risalendo fino ad occupare stabilmente l’ottava posizione: al traguardo era arrivato sesto, dopo i problemi occorsi a Caroline Parker e un sorpasso su Karl Dobson, che si era dovuto accontentare di conquistare quello che, in quel weekend, era stato l’unico punto portato a casa dal Team Vega.
Era stata una gara bellissima e, prima di salire sul podio, Shane e Gabriel si scambiarono un’occhiata d’intesa.
«Peccato per Caroline» disse Gabriel, con una risata.
«Già, peccato per Caroline» ribatté Shane. «Se non avesse fatto una gomma quadrata su un detrito, a quest’ora starebbe già facendo proclami sul suo brillante futuro.»
«Un po’ mi dispiace» osservò Gabriel. «Sarebbe stato divertente.»
Shane annuì.
«Molto. Ora non le resta che trovare qualcuno che la consoli, sperando di non dare vita a un altro scandalo.»
«La vedo molto difficile» replicò Gabriel. «Non per altro, ma la gente ha la pessima abitudine di scandalizzarsi con poco.»

**GK - Parlando di Caroline Parker, ha fatto molto discutere il suo comportamento fuori dalla pista, alla vigilia del Gran Premio di Singapore. Hai qualcosa da dire al riguardo?
KS - Caroline è arrivata a Marina Bay con qualche giorno d’anticipo, Karl Dobson anche. Non vedo necessariamente un legame tra le due cose. Il fatto che qualcuno li abbia visti passeggiare insieme e che l’abbia ritenuto un fatto importante non mi riguarda.

GK - Già in passato si era discusso della tua volontà di limitare i contatti con persone di sesso maschile. Diversi mesi fa il fidanzato di Caroline Parker ha assistito a un gran premio nel vostro box, ma non è più tornato. La compagna di Marcela Lopez Ferreira, invece, ultimamente è una presenza fissa.
È vero che sei tu che non vuoi uomini ad accompagnare le ragazze della tua squadra e che hai vietato loro l’accesso?
KS - Non ho mai fatto nulla per allontanare il fidanzato di Caroline Parker. Dato che ho sentito parlare di lui per non più a lungo di tre settimane, temo che sia stata Caroline a fare qualcosa che l’ha allontanato.
Per il resto preferisco che le ragazze siano concentrate sul campionato, piuttosto che sulla loro vita privata, ma fintanto che la vita privata non intacca le loro performance non ho nulla da ridire a riguardo.

GK - Parlando di performance, nonostante il weekend positivo di Singapore, la presenza di Irina Volkova fa ancora molto discutere. Specie alla luce di quanto accaduto a Koji Yoshimoto, sono in molti a sostenere che, in qualunque altro team, Irina sarebbe già stata messa alla porta da molto tempo. Come rispondi a questa affermazione? E che cosa ne pensi di quanto successo al team Corujas Blancas?
KS - All’affermazione relativa a Irina, rispondo che a Singapore ha fatto esattamente quello che doveva fare.
Per quanto riguarda il team Corujas Blancas, quello che è accaduto mi ha lasciata abbastanza perplessa, ma la decisione di declassare Yoshimoto a terzo pilota, promuovendo la Herrera, non mi tocca minimamente. Se proprio devo esprimere un’opinione, la cosa mi lascia abbastanza perplessa: prima di Singapore la Herrera aveva 12 punti e Yoshimoto 42. Mi sembra piuttosto chiaro chi dei due abbia avuto risultati più brillanti nel corso della stagione, così come mi sembra chiaro anche che è Yoshimoto che sta lottando per il titolo, a undici punti di distacco dalla vetta della classifica, quando ce ne sono a disposizione ancora quaranta.

**GK - Quindi la squadra ha avuto troppa fiducia nella Herrera e troppo poca in Yoshimoto?
KS - No, affatto. La squadra ha avuto poca fiducia in entrambi. Quando Mitchell Ramirez ha dichiarato, prima ancora del termine delle qualifiche, che se la Herrera si fosse qualificata tra i primi cinque e avesse ottenuto il podio l’indomani, Koji Yoshimoto sarebbe stato declassato con effetto immediato a terzo pilota, con tutta probabilità credeva che Dalia l’avrebbe subito smentito, rimanendo fuori dalla top-5. [...]**

Harris finì il giro.
Pole provvisoria.
Koji strinse i denti.
Era dura da mandare giù: se non fosse stato per l’ennesimo incidente, avrebbe potuto esserci lui, al posto di Ethan.
Era ormai finita.
Soltanto poche vetture dovevano ancora completare l’ultimo giro.
Nyman chiuse staccato di sei decimi da Ethan, in seconda posizione.
Fu superato da Araya.
Novak si infilò tra di loro.
Infine arrivò la Herrera, che batté il tempo di Harris di un solo millesimo.
A quel punto Koji iniziò seriamente a preoccuparsi.

**[...] Purtroppo per lui, e per fortuna per la squadra, non è andata come pensava. A quel punto, credo che Ramirez si sentisse comunque ancora molto tranquillo. Dalia era già salita sul podio a Silverstone, in Gara 1, ma la squadra non ha mai avuto molta fiducia in lei. Sappiamo tutti che è stato Brett Johnstone di Delirium Company a insistere per la sua presenza, mentre Mitchell non l’aveva minimamente presa in considerazione. [...]**

Mitchell non le prestava l’attenzione dovuta e Dalia trovava quella situazione particolarmente irritante.
«Mi puoi guardare in faccia, mentre ti parlo?» sbottò, alla fine. «Mi spieghi come ti è venuto in mente?»
Finalmente Mitchell si girò.
«Non posso permettermi che quel cretino continui a fare danni dalla mattina alla sera, e lui continuerà, almeno finché non sentirà il sedile che gli brucia sotto al culo. Sono stato abbastanza chiaro con lui: non è in una posizione privilegiata. Non può permettersi di andare in giro a fare il coglione così, buttando alle ortiche risultati proprio quando finalmente appare chiaro ed evidente a tutti che siamo in lotta per il campionato.»
«Anche Koji è in lotta per il campionato» gli ricordò Dalia. «Che senso ha mandato a prendere parte alle prequalifiche al posto mio?»
«Ho detto che le condizioni erano due» puntualizzò Mitchell. «Non mi sembra che tu sia ancora salita sul podio, quindi non preoccuparti per il destino del tuo collega. Koji non ha bisogno di qualcuno che gli fasci la testa prima ancora che se la sia rotta.»
Mitchell tornò a voltarle le spalle.
Non aveva più tempo per lei, quello era un segnale chiaro.
Dalia si allontanò, senza replicare, decisa più che mai a dimostrargli che non era soltanto una pedina messa lì, come su una scacchiera, da uno sponsor che l’aveva tanto desiderata per la buona immagine della squadra.
“Domani, dopo che avrò parato il culo a Ethan e tenuto a bada i suoi avversari, forse capirai perché abbiamo fatto questo discorso.”

**[...] Io e Dalia Herrera non abbiamo mai avuto molte cose in comune e non sono nemmeno sicura che andremmo tanto d’accordo, se dovessimo trascorrere molto tempo a contatto l’una con l’altra, ma non posso negare di essere stata molto felice, come donna e come pilota, del fatto che abbia finalmente messo a tacere non solo i suoi detrattori, ma anche chi ha sempre preferito non esporsi troppo e non darle mai contro in maniera troppo diretta.**

Dalia vide una vettura multicolore che si faceva da parte e la lasciava sfilare, più o meno allo stesso modo in cui lei, nel corso del primo giro, aveva lasciato passare Ethan.
L’unica differenza era che la monoposto che le aveva lasciato strada emanava una nube di fumo bianco.
La gara di Ethan era terminata.
Il suo inseguimento al titolo mondiale si sarebbe fatto molto più complicato.
Un attimo prima la squadra aveva la situazione sotto controllo, poi, all’improvviso, tutto sembrava essere sfuggito di mano.
Quel giorno sarebbe stato ricordato come negativo, per il Team Corujas Blancas. Allo stesso tempo, realizzò Dalia, si era improvvisamente trasformato nel giorno più importante della sua vita.

***

Gli ultimi test stagionali a Sepang, che precedevano il Malaysian Double Grand Prix, erano terminati.
C’erano pochi giorni di tregua, poi i motori si sarebbero accesi ancora una volta e allora avrebbero dovuto fare sul serio.
Come sempre ci sarebbe stato chi lottava per la vittoria e chi, invece, per qualificarsi. Sarebbe stato dato risalto a chi lottava per la vittoria, ma nessuno avrebbe preso in considerazione chi lottava per qualificarsi, a parte gli sponsor che minacciavano di smettere di pagare in assenza di risultati. Non avevano tutti i torti: nessuna azienda aveva l’obbligo morale di adornare le fiancate delle vetture della Scuderia Moretti soltanto per spirito di condivisione. Si aspettavano risultati; risultati che erano arrivati o che mancavano a seconda dei punti di vista.
Anders non sapeva cosa sarebbe accaduto l’anno successivo.
Non sapeva se avrebbe ancora avuto un volante nella Golden League.
Non sapeva se qualcuno avrebbe occupato il suo posto o se, semplicemente, gli sponsor se ne sarebbero andati, facendo cadere definitivamente nel baratro la squadra italiana.
La sua situazione professionale non era l’unica poco chiara, ma quella sera Anders preferiva non pensare almeno al suo matrimonio in profonda crisi.
Era seduto allo stesso tavolo di Mitchell, Ethan e Dalia, in un piccolo locale poco lontano dal circuito.
Mitchell ed Ethan sembravano piuttosto allegri e spensierati: non c’era da sorprendersene, visto che il bilancio dei test era stato completamente a loro favore.
Dalia, invece, guardava il bicchiere che aveva davanti, con aria poco convinta. Poco prima Anders l’aveva sentita borbottare qualcosa sul fatto che esagerare con l’alcool non le facesse bene.
Quello era il suo primo drink, le aveva ricordato Mitchell, quindi di certo non stava esagerando, eppure Dalia non aveva voluto sentire ragioni e l’aveva invitato ad occuparsi di ciò che doveva bere lui, piuttosto che di ciò che dovevano bere gli altri.
Mitchell non se l’era presa. Si era semplicemente limitato a interrompere la conversazione con la sorella per rivolgersi a Ethan, interlocutore che, a quanto pareva, quella sera gli dava molte più soddisfazioni. Non solo quella sera, in realtà: Mitchell ed Ethan erano sempre stati molto legati, anche se Anders non capiva che cosa ci trovasse suo fratello in Harris. Non che Anders lo detestasse, anzi, a piccole dosi la sua compagnia era addirittura piacevole, ma l’idea che Mitchell potesse trascorrere intere ore a ridere e a scherzare con il pilota americano l’aveva sempre lasciato perplesso.
Quando Dalia si alzò in piedi, annunciando la propria intenzione di andare fuori a prendere una boccata d’aria, Anders decise di seguirla.
Lo fece con discrezione, attendendo che Dalia si fosse allontanata.
Si alzò a sua volta e riferì a Mitchell: «Vado un attimo da lei.»
Ethan alzò lo sguardo verso di lui.
«Credi che abbia bisogno di qualcuno?»
«Non lo so.»
«In effetti» ammise Ethan, «Mi è sembrata un po’ strana, questa sera.»
«Non solo stasera» obiettò Anders. «È da qualche giorno che la vedo un po’ sfuggente.»
Mitchell fece una risatina.
«Problemi di cuore.»
Anders aggrottò la fronte.
«Come dici?»
«Problemi di cuore» ripeté Mitchell. «Hai presente il suo personal trainer, che le ronzava sempre intorno?»
«Se non sbaglio, le ronza ancora intorno» puntualizzò Anders.
«Come personal trainer, appunto.»
Ethan parve molto interessato alla questione.
«Cos’è successo tra di loro?»
Anders decise che non voleva saperlo, a meno che non volesse confidarglielo direttamente la diretta interessata.
Si allontanò.
Uscì dal locale e si mise alla ricerca di Dalia.

Mitchell scoccò un’occhiataccia a Ethan.
«Come mai tutto questo interesse per la sua vita privata?»
Il pilota gli parve quasi indifferente, mentre replicava: «Mi sembrava carino preoccuparmi un po’ per lei.»
«Non c’è niente di cui tu debba preoccuparti» gli assicurò Mitchell. «Dalia è una professionista, farà il proprio dovere, anche se, dal punto di vista privato, forse non sta vivendo proprio il suo momento migliore.»
Ethan scosse la testa.
«L’idea che possa preoccuparmi per lei, non per quello che fa quando è in pista, non ti sfiora nemmeno lontanamente, vero?»
«Perché dovresti?»
«Già, perché dovrei?» ribatté Ethan, sarcastico. «Il concetto di “empatia” lo conosci?»
«Sì, ma non credevo che ti riguardasse» obiettò Mitchell. «Non mi sembra che tu e Dalia siate rimasti esattamente amici, dopo che vi siete lasciati.»
Ethan rise.
«Ti rendi conto che stai parlando di fatti risalenti a quando non ci era ancora spuntata la barba? È vero, Dalia non è esattamente la mia migliore amica, ma non mi dispiacerebbe cercare di capire che cosa le passa per la testa.»
Mitchell osservò: «Forse non lo sa nemmeno lei. Visto com’è andata a finire con Jacques...»
«Erano abbastanza affiatati, mi pare.»
«Sì, lo erano.»
«Lo sembrano tuttora.»
«Forse lo sono, ma in modo diverso.» Mitchell sospirò. «Chi lo sa, ormai ci ho rinunciato. Non saprei nemmeno dire che cosa ci trovasse Dalia in lui. Forse niente, se ha deciso di lasciarlo di punto in bianco.»
«Quindi è stata lei a lasciarlo?»
«Sì.»
«Allora, se la cosa la disturba così tanto» azzardò Ethan, «Non potrebbe semplicemente tornare sui suoi passi?»

Trovare Dalia non fu difficile.
Era seduta su una panchina, dall’altro lato della strada.
Anders la raggiunse.
Lei lo guardò a malapena.
«Cosa ci fai qua?»
«Ho pensato di venire anch’io a prendere una boccata d’aria.»
«Non era necessario.»
Anders ribatté: «Non spetta a te decidere se ho bisogno o no di prendere una boccata d’aria.»
«Però spetta a me decidere che tu non debba farlo proprio qui, dove ci sono anch’io» obiettò Dalia. Fece per alzarsi, ma poi ci ripensò e rimase seduta. «Va bene, dai, rimani, basta che non rompi i coglioni come fa Mitch.»
Anders obiettò: «Non ho motivi per farlo.»
«Spero che tu non sia qui per dirmi che dovrei darmi alla pazza gioia e scolarmi un drink dopo l’altro.»
«No, forse dovrei farlo io.»
«Perché?»
«Per dimenticare.»
Dalia rise.
«Dimenticare? Tu? E, sentiamo, cos’avresti da dimenticare?»
«Tante cose.»
«Non sono certa che tu voglia dimenticarle davvero» replicò Dalia. «Inoltre, se mi somigli quanto credo, l’alcool ha la pessima conseguenza di farti vedere come stanno davvero le cose.»
«A me non è mai capitato. Di solito ho le idee molto confuse, quando bevo.»
«Beato te, almeno non fai danni.»
Anders azzardò: «Ti riferisci a quello che hai fatto tu con il tuo personal trainer? Se non sbaglio avete esagerato un po’ entrambi, quella sera, dopo il vostro giro sulla Singapore Flyer.»
Dalia annuì.
«Sì, non avrei mai dovuto salire su quella ruota panoramica.» Parve riflettere per un attimo, poi aggiunse: «Da un certo punto di vista sarebbe stato meglio se non avessi nemmeno vinto il gran premio, così nessuno di noi avrebbe avuto voglia di festeggiare.» Ridacchiò. «Invece sai cosa ti dico? Sono felice di averlo vinto. Ho coronato il mio sogno. Adesso potrei anche ritirarmi e andare a rifugiarmi su una spiaggia tropicale, in attesa della morte.»
«Non ti ci vedo, tutto il giorno su una spiaggia tropicale» osservò Anders. «Inoltre sono sicuro che tu possa fare tante altre cose, prima di morire.»
«Ne dubito.»
«Non dovresti dubitare di te stessa.»
«Guarda in faccia la realtà, Anders» replicò Dalia, secca. «Non so fare altro, se non premere sull’acceleratore e spingere al massimo.»
«Non mi sembra un problema.»
«Adesso non lo è, ma un giorno potrebbe diventarlo.»
Anders sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
«Smettila di fare questi discorsi deprimenti. Sono certo che sabato prossimo, dopo la prima gara, te ne sarai completamente dimenticata.»
«Che cosa ne sai?» obiettò Dalia. «Magari sabato prossimo, dopo la prima gara, potrei sentirmi molto peggio di adesso. Per il momento, almeno, ho mandato a puttane soltanto la mia vita privata.»
«Se ti può consolare» ribatté Anders, «Io non sono messo molto meglio.»
«Non scherzare. Tu e Maria siete fatti per stare insieme.»
«Non è quello che pensa lei.»
«Cambierà idea.»
«Il problema» puntualizzò Anders, «È che non lo penso nemmeno io.»
«Amen. Anch’io ho un matrimonio fallito alle spalle. È una delusione, ma non è nulla che non si possa superare. Sono certa che starei peggio se sabato mattina la mia vettura mi lasciasse a piedi, durante le qualifiche.»

-4h 25'
Stava andando tutto nel peggiore dei modi.
Non a Ethan, che stava girando su tempi record.
Nemmeno a Koji, che aveva superato indenne le prequalifiche - le cui vittime erano state i terzi piloti della Scuderia Moretti e del Team Athena, senza particolari stravolgimenti - e che, seppure non stesse girando sugli stessi tempi di Ethan, stava dando sicuramente molte soddisfazioni alla squadra.
Dalia era ancora ferma nel proprio box.
I meccanici stavano lavorando sulla sua macchina.
Sarebbe riuscita a scendere in pista prima della fine della sessione, le avevano assicurato.
Dalia stava ancora sperando con tutte le proprie forze che l’auspicio collettivo corrispondesse a realtà.
“Altrimenti le cose si mettono male.”
La potenziale mancata qualificazione la spaventava; non aveva accettato la promozione a titolare per rimanere ai box a guardare gli altri gareggiare.
Se fosse stato per lei, non avrebbe accettato in ogni modo, ma di fronte al fatto compiuto - la sua inattesa vittoria a Singapore - Mitchell aveva deciso di mantenere la parola data in un momento in cui credeva che le condizioni da lui imposte non potessero verificarsi.
Non avevano parlato molto del Gran Premio di Singapore; o meglio, ne avevano discusso, ma non come Dalia avrebbe voluto. C’erano ancora molte questioni in sospeso e, purtroppo, ne era certa, sarebbero rimaste in sospeso.
Non avevano parlato molto nemmeno del futuro. Johnstone spingeva perché Dalia tornasse negli Stati Uniti e Mitchell insisteva che sarebbe rimasta con loro. Era l’unica che non aveva ancora espresso le proprie intenzioni per il futuro, anche perché per il momento non ne aveva, ma nessuno sembrava prendere in considerazione quell’aspetto.

-4h 17'
Dalia uscì dal box.
Ce l’avevano fatta.
Il tempo scarseggiava e, allo stesso tempo, il cielo era sempre più buio.
Mitchell sperò con tutte le proprie forze che la pioggia, ormai pronta a riversarsi copiosamente su Sepang, potesse attendere ancora qualche istante.

-4h 11'
La voce dell’ingegnere, via radio, fu chiara.
«Rientra.»
Dalia era scesa in pista per il proprio giro di lancio con l’asciutto, ma aveva trovato la pioggia ad attenderla non appena era giunto il momento decisivo.
Aveva rimediato un diciannovesimo tempo.
Sarebbe partita in ultima fila accanto ad Anders, che era ancora in pista, ma difficilmente sarebbe riuscito a migliorarsi.
Allo stesso modo non ci sarebbe riuscito Flavio Santos, primo dei non qualificati, ancora sul tracciato, mentre l’altra esclusa, Irina Volkova, era già rientrata ai box.

-3h 59'
Era finita.
In pista le monoposto non c’erano più già da qualche minuto: la pioggia si era intensificata, tanto che, vista l’impossibilità di abbassare i propri tempi, nessuno era rimasto fuori.
Non era stata una sessione di qualifica perfetta, ma la situazione era ancora sotto controllo: per Mitchell era un sollievo avere Ethan in prima fila, accanto alla Vega di Hugo Nyman, innocuo autore della pole position.
Dietro di loro seguivano le tre Phoenix - un sorprendente Suarez terzo, davanti a Willis e a Novak - e finalmente, in sesta posizione, c’era Koji.

***

«Vai tranquilla, andrà tutto bene.»
Dalia si girò e gelò il fratellastro con lo sguardo.
«L’hai letto nella sfera di cristallo?»
«No, non l’ho letto nella sfera di cristallo.» Anders sembrava divertito. «Insomma, voglio dire, la fortuna ha iniziato a girare dalla tua parte.»
«Fortuna?» replicò Dalia, secca. «Mi stai dicendo che ho vinto soltanto per fortuna?»
«No, voglio semplicemente dire che, ultimamente, non ti stanno capitando tante sfighe. È già un passo avanti, non credi? Chissà, magari a Sepang fai il bis.» Anders rise. «Anzi, potresti addirittura tentare il tris.»
«Non mettere le mani avanti» gli suggerì Dalia. «Non è di buon auspicio.» Azzardò una proposta. «Non potremmo parlare d’altro?»
Anders sospirò.
«Non c’è molto altro di cui parlare, non credi?»
«Non lo credo affatto» si impuntò Dalia. «La tua vita sentimentale va a rotoli, la mia anche...»
«Come hai detto?» la interruppe Anders. «Hai parlato della tua... vita sentimentale?!»
«Sì. Cosa c’è di strano?»
«Niente, se non che è la prima volta, dopo tanto tempo, che ti sento parlarne esplicitamente. Finora tu e Jacques vi eravate sempre nascosti...» Anders esitò. «Forse non è il termine giusto. Non vi siete nascosti, in realtà. Hai semplicemente continuato a definirlo come il tuo personal trainer, o al massimo come un carissimo amico. Non l’hai mai presentato come il tuo fidanzato o cose del genere.»
«A volte non c’è bisogno di utilizzare etichette per descrivere le persone» obiettò Dalia. «Tutti sapevano che trascorro più tempo a casa di Jacques piuttosto che a casa mia. Anzi, dato che casa mia è in un altro continente, tutti sanno che trascorro più tempo a casa di Jacques che a casa di Mitchell. Non penso che qualcuno abbia mai creduto che dormissimo in stanze separate.»
«Temo di no.»
«Non è la prima volta che sono stata riservata, sulla mia vita privata. L’ho fatto altre volte, in passato.»
«Veramente» precisò Anders, «Non hai mai negato niente. Quando stavi con Ethan, assistevate alle gare insieme, quando c’era ancora suo padre. Quando stavi con quel ragazzo di Hong Kong che lavorava come meccanico nella Nippon Series, non era un mistero. Quando ti sei messa insieme a Enrique non hai mai nascosto nulla...»
Dalia puntualizzò: «Appunto. Non ho mai nascosto nulla in questi tre casi, ma in altri sì.» Guardò Anders negli occhi. «Dopo il ragazzo di Hong Kong, c’è stato anche un grid boy. Certo, è durata poco e non abbiamo nemmeno consumato, ma c’è stato.»
«Un... grid boy?»
«Sì, un grid boy. Era un bel ragazzo. La maggior parte dei grid boy che ho visto lo erano, ma quello aveva qualcosa in più. Ce ne sono stati altri due, dopo il mio divorzio da Enrique, ma non avevano lo stesso fascino del primo. Poi c’è stata una massaggiatrice, ma lì ho capito che le donne non fanno al caso mio. Poi c’è stato Nathan.»
Finalmente si era liberata di un peso.
Ce l’aveva fatta.
Era stata esplicita.
Anders, da parte sua, sembrava senza parole.
Dalia proseguì: «Stavamo insieme prima che lui accettasse di venire nella Golden Series come terzo pilota e che, di conseguenza, fosse scelto per rimpiazzare Koji quando si è infortunato. Ci siamo lasciati solo perché non volevamo impegnarci in una relazione a distanza. Ci siamo concessi un’ultima notte insieme e poi le nostre strade si sono separate, con la speranza, neanche troppo velata, che un giorno potessimo ritrovarci. È stata l’ultima volta in cui l’ho visto.»
Anders la guardò, con la fronte aggrottata.
«Jacques lo sa?»
«Non così esplicitamente.»
«È questa la ragione per cui vi siete lasciati?»
Dalia abbassò lo sguardo.
«Più o meno.»
«Cosa vuoi dire?»
«Voglio dire che, quella sera, a Singapore, mentre ero annebbiata dall’alcool ho visto la luce per la prima volta. Ho capito che dovevo smetterla di stare con Jacques solo perché mi ricorda Nathan. Fa male sia a me, sia a lui.»
«Tu e Jacques mi siete sempre sembrati piuttosto affiatati» obiettò Anders. «Sei sicura che Nathan non ti piacesse solo perché si avvicinava al tuo canone di uomo ideale? All’epoca non conoscevi Jacques così bene, può darsi che...»
Dalia aveva capito dove volesse andare a parare.
«Che cosa mi dici di Maria?»
«Cosa c’entra Maria?»
«Abbiamo parlato anche della tua vita privata. Cos’è successo tra te e tua moglie?»
«Non è successo niente. Semplicemente quando ci vediamo va tutto male e quando non ci vediamo ci sentiamo meglio entrambi.»
«Beh, sei sempre lontano» ribatté Dalia. «Questo potrebbe esservi d’aiuto.»
«Non lo è, invece, a quanto pare.» Anders non doveva essere molto desideroso di confidarsi con lei sull’argomento, dal momento che tornò a parlare dell’imminente doppio appuntamento sul territorio malese. «Cosa dicevamo prima di sabato? Che adesso che sei stata promossa a titolare hai il dovere morale di spaccare il culo a tutti, giusto?»
«Veramente no» obiettò Dalia. «Però, se ti piace pensarlo...»
«Certo che mi piace pensarlo! Non vorrai partire accanto a me in ultima fila, spero!»

-0h 00' 10"
Le luci rosse si stavano accendendo, una dopo l’altra.
Splendeva il sole.
Partire dall’ultima fila era una maledizione.
Davanti a Dalia c’era Barnett, davanti ad Anders c’era Schubert.
Doveva liberarsi di loro.
Doveva farlo subito.
Rimontare sarebbe stata un’impresa e la partenza era un momento fondamentale: più vetture fosse riuscita a sopravanzare e più la possibilità di rimonta sarebbe stata reale.

+0h 00' 03"
Le vetture si mossero.
Caroline scattò bene.
Marcela ebbe un contatto con la Sparks di Cruz e finì in testacoda.
Lasciò sfilare le altre vetture, prima di tornare girarsi.
Era ultima.
Irina si morse un labbro.
Marcela era ultima, ma era in pista, mentre lei non era riuscita a superare quella dannata sessione di qualifiche.
Sperava che la mattina seguente le cose andassero meglio, perché avrebbe potuto davvero essere l’ultima occasione.
Il campionato della Silver League si era concluso il giorno precedente e Daphne Harris, partendo dalle retrovie, era risalita fino alla terza posizione sotto un temporale monsonico.
Non si parlava d’altro che di lei.
Non c’era nulla di ufficiale, ma le voci che la volevano terza pilota del team Pink Venus al gran premio del Giappone erano sempre più insistenti.

+0h 10' 30"
Bastavano pochi giri, a volte, per rendersi conto di quante fossero le possibilità di risalire fino alla zona punti.
Nel caso di Dalia, erano molto poche.
Non era prevista pioggia.
A meno che non capitasse qualche intoppo, era difficile togliersi dalla situazione in cui si trovava: era a centro gruppo, in scia a vetture che la rallentavano, ma che non erano lente abbastanza per potersene sbarazzare.

+0h 25' 35"
Mitchell urlò per l’eccitazione, nel momento in cui vide Ethan superare la Vega e portarsi in testa alla gara.
Nello stesso momento Willis tentò il sorpasso sul compagno di squadra Suarez.
Mise le ruote sull’erba e fece un trecentosessanta gradi.
Mitchell non riuscì a trattenere un sorriso, mentre il leader della classifica rovinava la propria gara; senza possibilità di recupero, si sarebbe scoperto in un secondo momento.

+1h 35' 20"
Lo strazio era finito.
Dalia tagliò il traguardo in undicesima posizione, alle spalle di Shane Willis.
Ethan vinse, davanti a Erik Novak e Juan Suarez portandosi, in testa alla classifica piloti, con un totale di cinquantasei punti, tre più di Willis e tre più di Novak.
Nyman, autore della pole position, era scivolato al quarto posto dopo il secondo pit-stop e lì rimase, nonostante la presenza non rassicurante di Koji Yoshimoto dietro di lui, anche se quest’ultimo era stato impegnato, nelle ultime fasi di gara, a cercare di contenere Schmidt e Aruya, giunti rispettivamente sesto e settimo al traguardo.
Con quarantacinque punti in classifica e tre gare ancora da disputare, il giapponese rimaneva in lotta per il titolo, così come - seppure soltanto aritmeticamente tenendo conto dei trenta punti ancora da assegnare - Nyman a quota trentaquattro.
Dalia non si sarebbe stupita se l’indomani sia Koji sia Hugo si fossero ritrovati matematicamente esclusi dallo scontro per il campionato.

***

Dalia si irrigidì.
«No, assolutamente. Non vedo ragioni per cui dovresti pronosticare l’eventualità che io e te partiamo affiancati in ultima fila.»
Anders rise.
«Sarebbe un onore, per me.»
«Mi fa piacere» ribatté Dalia, «Ma per me non lo sarebbe affatto.»
«Guarda al lato positivo» scherzò Anders. «Magari potresti trovare un grid boy disposto a consolarti.»
Dalia scosse la testa.
«Ho chiuso con i grid boy, ormai.»
«Mai dire mai. Dopotutto, ora che ti sei liberata di Jacques...»
«Smettila!» lo pregò Dalia. «Ti ho già detto che non mi consolerò con un grid boy. È fuori discussione.»


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