venerdì 29 maggio 2020

L'ascesa di Danica Patrick quindici anni dopo

Il 29.05.2005 era il giorno del mio diciassettesimo compleanno. Erano i tempi in cui non c'erano cambi gomme in Formula 1 e in cui Kimi Raikkonen forò e andò a sbattere a pochi giri dalla fine mentre tentava di arrivare al traguardo nonostante una gomma si stesse ormai squarciando. Era il GP d'Europa al Nurburgring e lo vinse Fernando Alonso su Renault. Causa anni bisestili venuti in mezzo, era la prima volta dal 1994 che il mio compleanno cadeva di domenica. Quella sera dovevo andare a cena in una pizzeria vicino casa insieme alle mie amiche di scuola. Siccome eravamo ancora minorenni, per evitare che sorgessero problemi di sorta avevo preso due accortezze: 1) i miei genitori avrebbero cenato nella stessa pizzeria in un tavolo interno mentre noi eravamo sotto la tettoia, 2) saremmo rimaste lì finché le due invitate non fossero state venute a prendere dai rispettivi genitori.
Erano tempi diversi, non mi preoccupavo del fatto che, oltre al GP d'Europa, ci fosse un mondo. Ricordo che cercai di parlare di motori con le invitate, ma con poco successo. Una delle due disse che considerava Michael Schumacher un uomo attraente. Non ero propriamente d'accordo con lei, ma nevermind!

Mentre noi eravamo là, a cena sotto la tettoia della pizzeria, si consumava una pagina che avrebbe potuto condizionare la storia del motorsport e renderlo diverso da quello che è ora. Dall'altra parte dell'oceano, come ogni Memorial Sunday che si rispetti (2020 escluso) si stava svolgendo la Cinquecento Miglia di Indianapolis.
È una delle gare più storiche e importanti al mondo, una di quelle che all'occorrenza potevano catalizzare l'attenzione anche qui, in Europa, dove ai tempi non avevamo molti mezzi e fonti per seguire la Cinquecento Miglia di Indianapolis.
Quella era proprio una di quelle occasioni e, a undici giri dalla fine, la storia dell'automobilismo avrebbe potuto cambiare per sempre.
Si usciva da un periodo di neutralizzazione dietro la safety car e, al momento della bandiera verde, la vettura che si trovava in seconda posizione, fece uno scatto felino per prendersi la testa della gara. Il pubblico urlava e si alzava in piedi, perché stava assistendo, comunque fosse andata, a un evento storico.
Per la prima volta in 90+ anni di storia, a undici giri dalla fine, una donna era una seria concorrente per la vittoria.

Quella donna era Danica Patrick, una ragazza di 23 anni, originaria dell'Illinois. Autrice di vari piazzamenti a podio nelle categorie minori americane e di buoni risultati in classifica, era una rookie appena arrivata in Indycar, che si era qualificata quando qualcuno l'aveva già data per spacciata.
Di lei i giornali avrebbero scritto che era sposata con il suo fisioterapista e che metteva sempre il rossetto per scaramanzia quando doveva gareggiare. Insomma, cose non troppo utili per capire che cosa fosse accaduto in pista, ma penso che, per un bene maggiore, si possa soprassedere.
Danica Patrick era la stessa che una decina d'anni più tardi sarebbe stata citata come esempio dell'insuccesso delle donne nel mondo dell'automobilismo, la sua poca simpatia, la sua lunga parentesi poco positiva in NASCAR e il fatto che l'essere donna le avesse aperto più strade che a un uomo di simili performance eletti come prova della sua incapacità al volante. Non si sprecavano articoli trash con liste di donne più vincenti di lei, incluse magari delle dilettanti che avevano vinto una gara per maggiolini d'epoca alla sagra parrocchiale di un borgo di campagna.

Se c'è una verità per ognuno di noi, la verità di molti di noi è che quel 29.05.2005 una ragazza che non era una pluricampionessa ma che se la sapeva cavare era nelle posizioni di testa di una delle gare automobilistiche più importanti e fascinose al mondo e che avrebbe potuto seriamente vincerla, se qualcosa fosse andato in un'altra maniera.
Non era stata la sua migliore gara e aveva potuto sfruttare episodi fortunati per arrivare fino a lì, ma se fosse stata Helio Castroneves o Juan Pablo Montoya o qualsiasi altro pilota considerato rispettabile ci si sarebbe piuttosto focalizzati sulla sua capacità di rovesciare un destino avverso.
Il destino avverso, comunque, era dietro l'angolo ed era rappresentato dalla spia del carburante, che non era abbastanza per arrivare in fondo con quella velocità.
A pochi giri dalla fine, la Patrick si arrese, venendo sopravanzata da Dan Wheldon, poi vincitore (ironia della sorte  anche nel 2011 e sempre il 29 Danica avrebbe leaderato qualche giro nelle fasi finali dell'altra Indy vinta da Wheldon), e da altri due piloti. Il quarto posto le valse un trafiletto su La Repubblica, di cui veniva distribuita una copia nelle classi a scuola da me ai tempi delle superiori per educare noi studenti alla lettura del giornale, e probabilmente su altri giornali.

Voci di corridoio raccontano (non so se sia vero o no) che avrebbe avuto carburante a sufficienza per mantenere la leadership, ma che un'avaria dell'indicatore abbia invece indicato il contrario. Ad ogni modo, forse le cose avrebbero potuto andare diversamente se la Patrick avesse fatto quello che hanno fatto in altre occasioni anche altri piloti: fregarsene del carburante che scarseggiava, perché la Indy 500 è una gara in cui non fa differenza arrivare al quarto posto, arrivare ventesimi per avere dovuto rifornire a due giri dalla fine oppure fermarsi senza benzina lungo la pista all'ultimo giro.
Non so precisamente cosa sarebbe successo se quel giorno, invece di limitarsi a mettersi in mostra, Danica fosse riuscita a vincere, ma ho la sensazione che qualcosa, per le donne del motorsport, sarebbe cambiato molto più profondamente di quanto possa succedere adesso. Perché Danica Patrick è arrivata più in alto di chiunque altra e già questo aveva, a suo tempo, aperto le porte a molte ragazze, ma i numeri avrebbero contato di più: una vittoria a Indy sarebbe stata molto di più di quella vittoria a Motegi che ha ottenuto e che viene spesso screditata (perché c'erano 18 vetture in pista invece che 24!!11!!!1!! - di fatto mancavano Will Power, Justin Wilson e una manciata di signori nessuno che molti non saprebbero neanche nominare).

Forse non ci sarebbe bisogno di un campionato femminile per promuovere le donne nel motorsport. Forse non ci sarebbero donne che affermano che gli uomini sono più forti delle donne mettendo se stesse come eccezione. Forse non ci sarebbero nemmeno donne che affermano che gli uomini sono più forti per giustificare i propri fallimenti.
Ci sarebbero anche lati negativi, per esempio nessuno farebbe complimenti spropositati a una ragazza per essere arrivata terzultima, sostenendo che sia stato un risultato di spessore. Però, ad ogni modo, qualcosa sarebbe cambiato e forse non avremmo l'impressione che, nel 2020, ci sia addirittura meno apertura mentale al motorsport al femminile di quanta non ce ne fosse nel 2005... il che, comunque non mi sorprende.
Danica Patrick ha avuto anche una personalità abbastanza dirompente, come pilota, era una che sapeva rispondere a tono, che sfruttava il proprio potenziale di marketing ma che non avrebbe mai lasciato passare il messaggio che i suoi risultati fossero il massimo ai quali poteva ambire.
Se fosse arrivata quindicesima in una gara in cui Dario Franchitti arrivava sedicesimo, non si sarebbe andata a vantare davanti alle telecamere di avere battuto un campione o di avere lottato alla pari contro di lui. Avrebbe detto che non era il risultato a cui ambiva, oppure si sarebbe inventata una scusa, come qualsiasi altro pilota: un messaggio che possiamo dare per scontato, ma che spesso non viene fatto passare dalle ragazze del motorsport di oggi.


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