sabato 2 dicembre 2023

Ho visto "Schumacher", documentario Netflix 2021: le mie impressioni

Nel 2021, in occasione del trentesimo anniversario del debutto di Michael Schumacher in Formula 1, uscì un documentario su Netflix, poi rimosso un anno più tardi. Avendo recentemente scoperto che questo documentario è stato caricato in maniera "non ufficiale" su dailymotion, ho deciso di vederlo ieri e di condividere le mie impressioni in proposito. Prima, però, credo sia doveroso spiegarvi un po' come sia strutturato il documentario stesso. Inizia raccontando i primi passi di Schumacher nel mondo del motorsport, quando era bambino e suo padre gestiva un circuito di kart, accanto al quale la madre aveva una trattoria. Il piccolo Michael è immortalato mentre segue il padre al lavoro, con il padre che gli fa testare i kart. La sua carriera come pilota è iniziata durante l'adolescenza e nel 1983 ha gareggiato per la prima volta contro Mika Hakkinen!
Il documentario passa quasi direttamente dai kart alla Formula 1, con un ampio spazio dedicato all'esordio, alla prima vittoria e al mondiale 1994, con rivelazioni anche interessanti, come il fatto che Schumacher avesse sofferto d'insonnia dopo il GP di San Marino e nel primo test disputato una settimana più tardi a Silverstone, facendo una track walk(?) avesse l'istinto di catalogare i punti del circuito in cui, uscendo di pista, avrebbe potuto morire.
Dopo un accenno al 1995, si arriva a parlare del suo passaggio in Ferrari e di quando ha vinto il GP di Spagna, sul bagnato, con il suo status di specialista sul bagnato attribuito al fatto che, da bambino, avesse l'abitudine di guidare i kart - anche sotto la pioggia - con le gomme scartate dai ragazzini con i big money, abituandosi quindi alla guida con le slick sul bagnato.
Mentre anno dopo anno anche in Ferrari iniziavano ad esserci dei dubbi su di lui, ecco il turning point, il GP del Giappone 2000, il titolo piloti alla Ferrari dopo ventun anni di attesa... e niente, da lì in poi il documentario si limita a menzionare i sette titoli vinti, il suo ritiro, il suo ritorno in Mercedes e l'incidente sciistico per poi concedere un po' di spazio alle interviste dei familiari, con la moglie già comparsa in diversi altri momenti in precedenza.


Veniamo adesso alle mie impressioni. Il primo commento in assoluto che mi sento in dovere di fare è che ho apprezzato molto l'avere impostato il documentario su concetti quali l'impegno, la determinazione e il lavoro di squadra, con il successo diretta conseguenza di un background passato e di una continua ricerca della performance tramite la conoscenza della vettura, il suo sviluppo e l'interazione con il team.
Personalmente valuto in modo molto positivo sia l'avere impostato il lato "personale" di Schumacher come quello professionale, sia il focus della volontà di arrivare al vertice e l'essere disposto al sacrificio per arrivarvi. Insomma, passa il concetto che sì, Michael aveva talento, ma ha dovuto impegnarsi per arrivare al vertice per rimanervi e ha dovuto fare delle scelte. Siamo ben lontani dal solito cliché del pilota che svetta per volontà divina, che sfracella record perché è il suo destino innato, al trionfo ineluttabile a cui gli avversari devono piegarsi altrimenti sono il malehhhh.
Anche gli avversari che intervengono in prima persona - Damon Hill, Mika Hakkinen, David Coulthard, nonché il compagno di squadra Eddie Irvine - sono assolutamente un valore aggiunto e ho apprezzato in particolare il contrapporre le parole di Hill a quelle passate dello stesso Schumacher sul loro incidente al GP d'Australia 1994, un modo ben riuscito, a mio vedere, di bilanciare due punti di vista totalmente contrapposti.
Ho trovato assolutamente non banale il modo in cui i rivali di Schumacher appaiono nel documentario, nessun tentativo, nemmeno velato, di sminuirli, né la volontà di dipingerli in cattiva luce in quanto avversari. Michael appare con un pilota con luci e ombre, non come un buono che lotta contro i cattivi, e allo stesso modo i suoi avversari vengono trattati con assoluto rispetto.
Ho apprezzato inoltre qualche rivelazione - quelle vere, il fatto che guidasse kart con gomme usate o avesse affrontato Hakkinen da adolescente li avevo letti minimo vent'anni fa, pure l'insonnia sconosciuta ai più non è una novità assoluta dato che lo affermava lui stesso in un'intervista d'epoca - come per esempio la licenza kartistica del Lussenburgo ottenuta a dodici anni perché garantiva più chance di accesso alle gare internazionali.

Ai pareri positivi, devo comunque affiancare anche qualche considerazione negativa. In primo luogo non ho apprezzato molto che, in un documentario con un grande focus sul lavoro di squadra per arrivare a un binomio vincente, vi sia un approfondimento pressoché nullo in termini di esempi concreti. Tante volte, specie negli anni in cui la Ferrari era chiamata a inseguire la McLaren, Schumacher ha vinto perché la sua guida valorizzava le strategie scelte in corso d'opera e viceversa, eppure nonostante la costante presenza di Ross Brawn nel documentario non è fatto alcun esempio di gare in cui è avvenuto ciò.
In realtà anche di gare si parla veramente poco, non vi è alcuna menzione alla conquista di novantuno vittorie e sessantotto pole position, né si va oltre alle gare "cliché": in sintesi, secondo questo documentario, Michael Schumacher ha debuttato alla Jordan, è passato alla Benetton, ha litigato con Ayrton Senna vestito di color salmone davanti alle telecamere, ha vinto un anno dopo, ha vinto un mondiale facendo a ruotate con Damon Hill, è passato in Ferrari, ha vinto sotto l'acqua, ha perso un mondiale facendo a ruotate con Jacques Villeneuve, ha inveito contro David Coulthard, si è fratturato una gamba e infine ha riportato il mondiale piloti a Maranello, in una gara in cui non aveva margine di errore.
Tra parentesi, quest'ultimo dettaglio è anche fuorviante, fosse arrivato secondo dietro a Hakkinen in Giappone, avrebbe avuto quattro punti di vantaggio in occasione del gran premio finale in Malesia, e avrebbe potuto vincere il titolo arrivando di nuovo secondo dietro Hakkinen.
Alla fine del 2000, Schumacher non era neanche a metà delle sue vittorie e dei suoi titoli, eppure non vediamo quasi nulla che sia accaduto dal 2001 in poi, nessum accenno nemmeno al fatto che sia stato tuttora l'unico pilota - era il 2002 - che ha concluso sul podio ogni singola gara di una stagione. Avversari come Juan Pablo Montoya, Kimi Raikkonen e Fernando Alonso non ricevono alcuna menzione.
Lo stesso passaggio in Mercedes viene liquidato in due minuti contati, quando a mio vedere sarebbe stato interessante parlare di una scelta di carriera forse per la prima volta puramente "romantica", o forse basata dell'incapacità di essere altro se non un pilota. Anzi, se il documentario doveva essere orientato al lato umano, forse ne sarebbe venuto fuori qualcosa di interessante.

Per finire, una piccola considerazione sul pubblico target: credo sia difficile, con un documentario simile, attirare un pubblico che 1) non sia un motorsport nerd, 2) non abbia né visto gareggiare Schumacher ai suoi tempi, né fatto ricerche su di lui. Mi sembra palesemente fatto per essere visto da chi sa già cosa andrà a vedere, da chi conosce i fatti.
Lo deduco dal modo in cui tante volte gli eventi sono solo minimamente accennato, in cui una serie di fatti che ho definito cliché vengono messi in mezzo senza essere contestualizzati. Per un grande appassionato di Formula 1 anni '90/00, oppure per uno che se l'è vista, non vi è alcuna difficoltà nel collegare i fatti e darvi un senso, per un newbye non credo sia altrettanto comprensibile, in molte occasioni, a mio vedere, finirebbe per non avere le idee chiare su ciò che sta vedendo e non riuscire a incastrare tutti i pezzi.
Detto questo, ci tengo a specificare che per me gli aspetti positivi superano di gran lunga quelli negativi, specie se confrontato al modo in cui la Formula 1 viene raccontata specie ai giorni nostri. Qui non c'è glorificazione, non c'è destino, non c'è lo scontro tra fazioni, non c'è gossip, non c'è quell'atmosfera clickbait da cui siamo costantemente circondati.
Se da un lato avrei preferito un modo di raccontare che attirasse persone desiderose di approfondire una storia che non conoscono, dall'altro è un bene che si sia scelto di non attirare persone desiderose di romanzare e inventare una storia che non conoscono!

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