Lunedì 24/10/2011 - è una normale mattina di autunno, i giorni si passano e si avvicina l'esame di strategia di corporate (o qualcosa del genere), quello a cui quando il professore leggerà il mio nome sul compito d'esame si ricorderà che ho lasciato il programma per frequentanti per passare a quello per non frequentati e non mi perdonerà nemmeno una virgola fuori posto.
È l'esame per cui stavo studiando ieri, prima della festa di compleanno di mio cugino. Era una domenica come tante, ieri, una di quelle domeniche d'autunno in cui bisogna approfittare delle poche ore libere per studiare, perché l'esame è da passare subito, per poi concentrarsi sul futuro, quel futuro che dice che tra un semestre e mezzo gli esami saranno finiti e che tra un anno o poco più avrò una laurea magistrale e potrò fare quello per cui ho studiato o, se sarò fortunata, fare tutt'altro e iniziare una nuova vita.
Poi ho messo da parte i libri, ieri. Sono andata in bagno a prepararmi, vagamente consapevole che nell'universo in cui vivo non ci sono solo io, ma anche altre cose che un tempo mi interessavano almeno in parte.
C'era il motomondiale a Sepang, quello di cui forse si sarebbe parlato a pranzo dalla nonna fino a un paio d'anni fa, quando c'era ancora mio nonno e quando era ancora lucido abbastanza da guardare il motomondiale. Anzi, da "guardare Valentino", come diceva lui, anche se in realtà guardava la 125, la 250 e il pre-gara, in attesa della "partenza di Valentino".
Vivo in un condominio a cui nessuno importa un fico secco dell'antenna tv e da quando siamo passati al digitale terrestre vivo senza Italia 1, che a volte, in rare occasioni, si vede. In tutte le altre vivo senza Italia 1 e senza motomondiale, ma ho scoperto che non me ne importa più di tanto. Non ho mai amato le due ruote così profondamente, anche se ho provato ad appassionarmi, qualche anno fa. Alla fine i miei ricordi sono quelli di chi a volte ha preferito guardare la gara della 250 ai pranzi della domenica che quello che veniva dopo, alle 14.00, quando si parlava solo di Rossi.
Poi sono uscita dal bagno. Così, a bruciapelo, dal soggiorno è arrivata la voce di mio padre, diretta e chiara.
"È morto Simoncelli."
È una frase talmente lontana dal mio immaginario che gli chiedo cos'abbia detto: scuoto la testa e penso che devo avere capito male.
Non ho capito male. È quello che c'è scritto nelle news, è quello che ci verrà sbattuto in faccia di continuo, nei giorni che verranno.
Ora che è lunedì e una parte di me si illude che la vita scorra come prima. I miei stivali texani, che tra otto anni quando scriverò questo post troverò ridicoli, rimbombano sotto i portici, mentre dalla stazione mi dirigo verso la zona universitaria.
Mi rendo conto che a volte il giorno dopo le cose fanno ancora più male, perché la notte non le ha cancellate e l'illusione di svegliarsi alla situazione di prima è irreparabilmente perduta.
Una sera random di dicembre 2011 - sono a casa di mia zia e mio cugino sta giocando sul pavimento del soggiorno con una distesa di modellini di moto.
Ha tra le mani il modellino della moto di Marco Simoncelli. Mio padre sta per dire qualcosa, ma mia zia lo ferma. Mio cugino ha solo cinque anni, probabilmente ha visto la diretta dell'incidente insieme a suo padre, ma è stata imbastita una versione soft dell'evento: gli hanno detto che, dopo la caduta, Simoncelli ha avuto una sorta di crisi mistica (non in questi termini) e ha lasciato le competizioni.
Quando avevo circa la sua età, probabilmente la verità mi sarebbe stata sbattuta in faccia comunque... e forse l'avrei preferito. Questa, però, è un'altra storia, che poco ha a che vedere con il nostro punto di partenza.
Il punto di partenza è che si può vivere senza Italia 1 e senza MotoGP, ma che la morte di quel ragazzo che in passato correva nella 250, che mille volte ho scherzosamente preso per i fondelli per la foltissima chioma, la cui immagine sorridente svettava sui furgoncini delle patatine San Carlo, può essere sempre e comunque uno shock (e può esserlo stato anche per i non appassionati di motori in generale, dato che comunque, per noi italiani, era un personaggio pubblico e uno dei pochi piloti che spesso si vedevano in TV anche per occasioni che non avevano nulla a che vedere con il motorsport).
MILLY SUNSHINE // Mentre la Formula 1 dei "miei tempi" diventa vintage, spesso scrivo di quella ancora più vintage. Aspetto con pazienza le differite di quella attuale, ma sogno ancora uno "scattano le vetture" alle 14.00 in punto. I miei commenti ironici erano una parodia della realtà, ma la realtà sembra sempre più una parodia dei miei commenti ironici. Sono innamorata della F1 anni '70/80, anche se agli albori del blog ero molto anni '90. Scrivo anche di Indycar, Formula E, formule minori.
giovedì 24 ottobre 2019
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