martedì 27 agosto 2019

Il giorno in cui Alonso si infilò tra Massa e Schumacher e contribuì suo malgrado a trasformare i miei sogni in realtà

Era il giorno in cui Mark Webber compiva trent'anni, mentre Gerhard Berger ne compiva quarantasette. Era anche l'undicesimo compleanno di Sergey Sirotkin, ma non sapevamo ancora chi fosse Sirotkin e poi, in ogni caso, non era come Webber che veniva erroneamente chiamato Berger nelle telecronache di Mazzoni (ci sono voci contrastanti sull'argomento, c'è chi dice fosse Rosberg quello che è stato definito Berger da Mazzoni, ma dato che non ne condivide il compleanno io non credo che sia un Webber onorario come Webber).
Era il giorno del gran premio di Turchia del 2006, quando Felipe Massa e Michael Schumacher scattavano entrambi dalla prima fila, cose a cui non siamo abituati granché, vedere due Ferrari in prima fila (l'ultima volta è successo in Bahrein, quindi tutto sommato non vedere le Ferrari entrambe in prima fila non è tanto peggio che vederle).

Immaginate una Milly Sunshine più giovane, che ancora non si faceva chiamare Sunshine, dato che non aveva un blog e di conseguenza non aveva un nickname.
Quella Milly aveva diciotto anni e seguiva la Formula 1 da quando aveva memoria e sapeva perfettamente come sarebbero andate a finire le cose. La legge non scritta della Formula 1 dice che, a meno che il mondiale non sia già stato assegnato, la seconda guida che parte dalla pole davanti al compagno di squadra ha ben poche speranze di vincere la gara, e che se il team coinvolto è la Ferrari che insegue il mondiale in maniera concreta le speranze diminuiscono ulteriormente.
Eppure a volte non bisogna perdere le speranze, anche se tutto gioca a sfavore.

Quel giorno entrò una safety car, nelle prime fasi di gara, quando Liuzzi andò in testacoda. Tutti si riversarono nella pitlane, in modo molto meno caotico di quanto sarebbe successo in Canada 2008.
Le due Ferrari entrarono insieme, suscitando poi indignazione da parte dei fanboy, e accadde l'inevitabile: Schumacher fu costretto ad aspettare che terminasse il pitstop di Massa e si ritrovò a tornare in pista alle spalle di Alonso.
I due si giocavano il mondiale, una decina di punti li separavano. Quella seconda posizione era preziosa, il loro duello avrebbe potuto in qualche modo condizionare la lotta per il titolo. Eppure, per la prima volta da quando seguivo la Formula 1, quel giorno mi resi conto che non me ne importava niente della lotta per il titolo: la presenza di una Renault tra Massa e Schumacher era quasi una garanzia, grazie al fatto che Alonso fosse lì, e non dietro a Schumacher, a Massa era data la possibilità di conservare la leadership.

Quando Massa tagliò il traguardo, alla fine, cinque secondi prima del duo che andava a completare il podio, pensai che a quel punto non aveva più importanza quello che sarebbe successo dietro di lui.
Anzi, sarebbe stato pittoresco se Schumacher avesse superato Alonso sulla linea del traguardo, avvicinandosi a lui in classifica, perché si entrasse davvero nel vivo di quella lotta per il titolo che talvolta sembrava esistere più in teoria che in pratica.
Alonso conservò il secondo posto, per otto centesimi su Schumacher. Non mi importava. Quel giorno capii che il mio desiderio era vedere Massa vincere una gara e che avevo visto quello che desideravo, poi who kers di chi avrebbe vinto il mondiale.
Nessuno disse mai esplicitamente che quel giorno il dovere di Massa sarebbe stato quello di spianare la strada del suo compagno di squadra; nessuno a parte Rob Smedley, durante una sorta di revival della carriera di Massa in concomitanza con il suo ritiro. Smedley disse che, quando aveva visto Alonso davanti a Schumacher, quel giorno, c'era la possibilità di vincere. È stato bello sentire, seppure a distanza di anni, qualcuno che ammetteva che quell'idea non era solo mia.

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