The strongest emotions
After all the harm I've caused
You still want my lovin'
I think I've lost your love
Oh baby, it's a shame
But how can I be mad at you
When I'm the one to blame
Ci sono canzoni che si dimenticano, si mettono da parte, poi all'improvviso ti tornano in testa di punto in bianco. E così ieri, subito dopo avere pranzato, ha iniziato a risuonarmi in testa una canzone che scoprii qualcosa come tre lustri fa, come soundtrack di un video visto su Youtube, forse non più esistente, dedicato a Roland Ratzenberger.
È una canzone elettronica, ma con un sound velatamente malinconico. Non è il tipo di canzone che solitamente viene scelta per video di quel tipo. Eppure, mentre me la riascoltavo ieri, pensavo che se l'automobilismo avesse una voce, potrebbe pronunciare proprio quelle parole, chiedere a noi appassionati come facciamo ad amarlo ancora nonostante tutto il male che ci ha fatto.
Avremmo le nostre buone ragioni per smettere di amarlo e quel fine settimana di trent'anni fa è sicuramente una di queste: l'incidente di Ratzenberger non era un primo segnale, era un punto di non ritorno, destinato ad aprire la strada a un punto di non ritorno ancora più grande.
You have the bravest heart
The strongest emotions
After all the harm I've caused
You still want my lovin'
I can't believe
I still receive
So much affection from your side
If you could give me one more chance
I'd love to turn the tide
Ero piccola, ma me li ricordo bene, entrambi gli incidenti, quello di Ayrton Senna l'indomani aveva come differenza primaria di avere per protagonista un pilota di cui conoscevo perfettamente l'esistenza, invece che uno dei signori nessuno di fondo griglia.
Al di là delle emozioni personali - che comunque in età adulta si sono sempre focalizzate su entrambi e non solo su uno dei due, specie considerato i miei slanci di affetto per le "cenerentole" di fondo classifica, penso che sia questo che ha cambiato il motorsport.
Con la morte di Senna è stato impossibile inventare scuse. Non so se mi spiego bene: era il pilota più esperto in griglia, l'unico campione del mondo, al volante di una vettura di primissima fascia. Nessuno poteva dire che fosse uno scarso o che avesse una vettura scarsa. In più era in testa al gran premio, senza nessuno davanti o nelle immediate vicinanze: Senna stava mettendo gap tra sé e gli inseguitori, non era possibile scaricare la responsabilità su altri, nemmeno arrampicandosi sugli specchi.
Ho la ferma convinzione che sia stata questa la ragione che ha portato a fare un passo avanti notevole, o almeno una delle ragioni che hanno portato a questo risultato: l'essere stati messi, al termine di un fine settimana assolutamente tragico, in cui la Formula 1 ha pagato il prezzo della relativa superficialità con cui ha sempre visto il tema della sicurezza, di fronte a una realtà ineluttabile, in cui non esisteva più la possibilità di appigliarsi alle vecchie basi.
Non ci si è arrivati per caso, a Imola 1994, né si è arrivati per caso a vent'anni senza incidenti mortali. Purtroppo, mentre in occasione del ventennale della loro morte Ratzenberger e Senna erano ancora gli ultimi piloti morti durante un weekend di gara, la realtà è drammaticamente cambiata con Jules Bianchi al GP del Giappone 2014, in cui ancora una volta sono stati sottovalutati aspetti cruciali, con tragiche conseguenze, perché venivano date troppe certezze per scontate.
Avendo vissuto gli eventi del 1994, sono sempre stata rassegnata all'idea che prima o poi ci sarebbero stati altri morti. Credo sia inevitabile, tutto ciò che si può ambire a raggiungere è fare sì che accada il più raramente possibile. Attualmente mi sembra che certe misure stiano funzionando, ma che altre facciano da contraltare, basta pensare alla crescente spettacolarizzazione degli incidenti e al generare situazioni che li favoriscano (come le bandiere rosse con i restart da fermi), il che potrebbe avere prima o poi conseguenze poco piacevoli.
Concludo invitandovi a vedere il video di @MotorStories sul GP di San Marino 1994, che trovate su Youtube: LINK.
After all the harm I've caused
You still want my lovin'
I think I've lost your love
Oh baby, it's a shame
But how can I be mad at you
When I'm the one to blame
Ci sono canzoni che si dimenticano, si mettono da parte, poi all'improvviso ti tornano in testa di punto in bianco. E così ieri, subito dopo avere pranzato, ha iniziato a risuonarmi in testa una canzone che scoprii qualcosa come tre lustri fa, come soundtrack di un video visto su Youtube, forse non più esistente, dedicato a Roland Ratzenberger.
È una canzone elettronica, ma con un sound velatamente malinconico. Non è il tipo di canzone che solitamente viene scelta per video di quel tipo. Eppure, mentre me la riascoltavo ieri, pensavo che se l'automobilismo avesse una voce, potrebbe pronunciare proprio quelle parole, chiedere a noi appassionati come facciamo ad amarlo ancora nonostante tutto il male che ci ha fatto.
Avremmo le nostre buone ragioni per smettere di amarlo e quel fine settimana di trent'anni fa è sicuramente una di queste: l'incidente di Ratzenberger non era un primo segnale, era un punto di non ritorno, destinato ad aprire la strada a un punto di non ritorno ancora più grande.
You have the bravest heart
The strongest emotions
After all the harm I've caused
You still want my lovin'
I can't believe
I still receive
So much affection from your side
If you could give me one more chance
I'd love to turn the tide
Ero piccola, ma me li ricordo bene, entrambi gli incidenti, quello di Ayrton Senna l'indomani aveva come differenza primaria di avere per protagonista un pilota di cui conoscevo perfettamente l'esistenza, invece che uno dei signori nessuno di fondo griglia.
Al di là delle emozioni personali - che comunque in età adulta si sono sempre focalizzate su entrambi e non solo su uno dei due, specie considerato i miei slanci di affetto per le "cenerentole" di fondo classifica, penso che sia questo che ha cambiato il motorsport.
Con la morte di Senna è stato impossibile inventare scuse. Non so se mi spiego bene: era il pilota più esperto in griglia, l'unico campione del mondo, al volante di una vettura di primissima fascia. Nessuno poteva dire che fosse uno scarso o che avesse una vettura scarsa. In più era in testa al gran premio, senza nessuno davanti o nelle immediate vicinanze: Senna stava mettendo gap tra sé e gli inseguitori, non era possibile scaricare la responsabilità su altri, nemmeno arrampicandosi sugli specchi.
Ho la ferma convinzione che sia stata questa la ragione che ha portato a fare un passo avanti notevole, o almeno una delle ragioni che hanno portato a questo risultato: l'essere stati messi, al termine di un fine settimana assolutamente tragico, in cui la Formula 1 ha pagato il prezzo della relativa superficialità con cui ha sempre visto il tema della sicurezza, di fronte a una realtà ineluttabile, in cui non esisteva più la possibilità di appigliarsi alle vecchie basi.
Non ci si è arrivati per caso, a Imola 1994, né si è arrivati per caso a vent'anni senza incidenti mortali. Purtroppo, mentre in occasione del ventennale della loro morte Ratzenberger e Senna erano ancora gli ultimi piloti morti durante un weekend di gara, la realtà è drammaticamente cambiata con Jules Bianchi al GP del Giappone 2014, in cui ancora una volta sono stati sottovalutati aspetti cruciali, con tragiche conseguenze, perché venivano date troppe certezze per scontate.
Avendo vissuto gli eventi del 1994, sono sempre stata rassegnata all'idea che prima o poi ci sarebbero stati altri morti. Credo sia inevitabile, tutto ciò che si può ambire a raggiungere è fare sì che accada il più raramente possibile. Attualmente mi sembra che certe misure stiano funzionando, ma che altre facciano da contraltare, basta pensare alla crescente spettacolarizzazione degli incidenti e al generare situazioni che li favoriscano (come le bandiere rosse con i restart da fermi), il che potrebbe avere prima o poi conseguenze poco piacevoli.
Concludo invitandovi a vedere il video di @MotorStories sul GP di San Marino 1994, che trovate su Youtube: LINK.
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