martedì 25 agosto 2020

Pippa Mann, le donne alla Indy 500, il contentino per le fangirl e una Road to Indy che alle donne non ci pensa proprio

Nel 2010 cinque donne tentavano di qualificarsi per la Indy 500: la veterana Sarah Fisher, l'astro nascente Danica Patrick, la pittoresca Milka Duno e le rookie Simona De Silvestro e Ana Beatriz Figueiredo. In quattro andavano in griglia, tutte tranne quella pittoresca. In altre occasioni abbiamo avuto numeri minori, ma comunque buoni numeri, anche grazie alla presenza di Katherine Legge e di Pippa Mann, quest'ultima una presenza quasi fissa alla Cinquecento Miglia.
Quest'anno, però, qualcosa è cambiato: la Mann non ha trovato sponsor ed è rimasta a casa. Ha fatto abbastanza proclami sui social denunciando una situazione in cui non c'è fiducia nelle donne che per questo non trovano sponsor fissi. Non mi si voglia accusare di sottovalutare il sessismo per come lo pone lei, ma credo che, seppure in parte la Mann abbia ragione, una parte sia un po' stonata, ovvero il suo volere quasi affermare tra le righe che *una donna deve esserci*. La Mann, suo malgrado, incarna alla perfezione le fan delle cinnamon roll acqua e sapone: queste glorificano la donna backmarker in quanto amata da tutti, lei lo è. Perché, si voglia perdonare la mia insinuazione, se Pippa Mann fosse Danica Patrick, probabilmente troverebbe un volante. Quindi è tutto molto bello e commovente, ma se sei Pippa Mann, la ragione per cui non sei in griglia può essere in parte perché sei donna, ma il fatto che tu non abbia mai ottenuto nella tua carriera risultati di spessore (eccetto una vittoria in Indylights) non è a mio vedere così indifferente. Per una Mann senza volante esistono almeno dieci piloti analoghi, o pure di maggiore spessore, che non hanno un volante.

Detto questo, non voglio sminuire in alcun modo le difficoltà che le donne possono incontrare a vario titolo nella vita. Quando ho finito le superiori, le compagne che cercavano lavoro si sentivano spesso dire in fase di colloquio "preferiremmo assumere un ragazzo perché c'è il rischio che tu rimanga incinta" (la crisi economica poi ha livellato almeno un po' di più le cose tra i "rookie" del mondo del lavoro, perché se ti fanno contratti di due mesi per volta una potenziale gravidanza non ha effetti su di *loro* e, siccome non hai i soldi per mantenere un figlio, tu stessa cerchi di evitare come la peste di rimanere incinta). Questo accadeva in settori non particolarmente legati al gender (anche a livello impiegatizio, in un mondo pieno di impiegate donne) figuriamoci come possa andare in un mondo prevalentemente maschile come quello dei motori.
Fermo restando questo, tuttavia, deve esserci qualcosa di più: la Indycar è stata la serie ad alto livello che fino a un decennio fa ha visto più di ogni altra la partecipazione femminile. I problemi di genere che esistono oggi esistevano anche dieci o quindici anni fa, quindi anche qualcos'altro deve essere cambiato. E guess what? Andando a vedere cosa succedeva in Indylights, la "GP2" della Indycar, ne viene fuori che da dieci anni a questa parte non ci sono ragazze nella massima serie junior americana. Ultima volta il 2010, con Pippa Mann full-time e qualche apparizione di (un certo fanalino di coda altresì noto come) Carmen Jordà. L'ultima volta che due ragazze hanno gareggiato full-time in Indylights è stata la stagione precedente, con Mann e Beatriz.

In anni più recenti si sono viste altre ragazze in Road to Indy, come Ayla Agren (vincitrice di un campionato americano più o meno ai livelli della Formula 4), Bruna Tomaselli e Sabré Cook. Vi dicono niente questi nomi? Esatto, è tutta gente che, a vario titolo, ha optato per il percorso W Series, nel caso di Cook in parallelo con la Indy Pro. Questo significa in primis che non sono sponsorizzate abbastanza per continuare a gareggiare stabilmente in America (Agreen era senza volante da anni) e in secondo luogo che l'America al momento sembra non offrire sufficienti sbocchi, se strizzano così tanto gli occhi all'Europa.
Il tutto mentre negli States di giovani emergenti ce ne sono per quanto riguarda le Stock Car, come Hailee Deegan in ARCA e altre ragazze in ARCA West e ARCA East (e Natalie Decker che ha cercato un passaggio nelle open wheel... ma in W Series). Il tutto mentre in Europa e Asia ci sono tante ragazze che gareggiano nelle serie minori: Calderon in Superformula, Florsch in GP3, Chadwick in F.Regional, le sorelle Al Qubaisi, Buhler, Pulling e Noda in Formula 4... e altrettante sono passate per queste serie in anni recenti, uscendo di scena per poco successo o pochi sponsor e/o intraprendendo carriere in diversi tipi di motorsport. Questo significa che, mentre la presenza femminile nel motorsport a livello junior sembra aumentare e neanche di poco, in Road to Indy è esponenzialmente calata rispetto a dieci o quindici anni fa (prima di Beatriz e Mann ci sono state altre ragazze in Indylights, seppure part-time, in più Legge e De Silvestro passavano dalla Formula Atlantic, altra serie junior americana).

Credo che, oltre a puntare il dito contro il sessismo nel motorsport, bisognerebbe seriamente interrogarsi anche su cosa abbia portato l'Indycar dall'essere il campionato più appetibile alle donne nel motorsport al diventare forse uno dei meno appetibili. Delle sette donne passate per l'Indycar in questo secolo, Danica Patrick è stata la più celebre. Eppure, a un certo punto, ha rinunciato a una carriera di livello medio-alto per la NASCAR, dove è stata tutt'altro che brillante. Delle altre, solo Fisher e Duno sono ritirate. A parte la Mann, le altre hanno gareggiato tutte in altri tipi di motorsport, in quest'ultimo decennio, alcune anche ad alti livelli (IMSA e Formula E, nel caso di Legge e De Silvestro). A questo aggiungo che Tatiana Calderon, che molto tempo fa aveva risultati quantomeno di livello discreto in Pro Mazda, ha preferito una carriera europea trascorsa nei bassifondi della F3 Europea e della GP3.
Mentre in Europa ci sono iniziative che sembrano promuovere in qualche modo la presenza femminile almeno a livello mediatico (di natura molto diversa tra loro, basti pensare ai "test femminili" della Formula E, alla volontà di certi team di espandere in loro junior team anche in direzione femminile, alla W Series, ecc...), negli Stati Uniti sembra esserci stata una grossa inversione di tendenza, un po' come se il vero obiettivo non fosse tanto quello di incrementare la presenza femminile in Indycar, quanto piuttosto lasciare perdere in quanto difficilmente si potrà replicare la popolarità della Patrick. Ho sempre detto che quello tra Danica e il motorsport americano è stato uno scambio equo: loro hanno ottenuto popolarità sfruttando la sua immagine, lei ha approfittato della situazione.

Ci sta. Ci sta in pieno. Solo, c'è anche un dopo, e se è vero che Pippa Mann ha scomodato il sessismo, mi pare che abbia scomodato solo quel tipo di sessismo che sembra riguardarla da vicino perché va contro di lei nello specifico. C'è che se sei donna, gli sponsor che ti cercano, spesso ti cercano per darti il ruolo che più ti si addice, secondo preconcetti di cui tutti, uomini e donne, siamo stati almeno in parte complici. C'è che purtroppo l'essere donna non ti salva automaticamente dal non avere pregiudizi contro le altre donne. Fin da ragazzine una parte di noi hanno avuto l'abitudine di giudicare le altre dall'aspetto, dalle scelte in fatto di abiti e di trucco.
Il motorsport mi sembra uno specchio di una realtà che esiste anche altrove. Quindi la Patrick era al centro dell'attenzione più per il suo aspetto che per altro (e le sue foto in costume considerate quasi uno scandalo nonostante a conti fatti fossero meno rivelatrici delle mutande bianche indossate quella volta da Hamilton) ed è stata cavalcara l'onda. Le altre avevano l'aspetto da backmarker dolci e kawaii, anche la De Silvestro che backmarker non era. Così essere sostenitori della Patrick diventava una questione da uomini arrapati, sostenere le altre e demonizzarla un dovere da donne acqua e sapone. Passata la Patrick, la presenza femminile in Indycar ha iniziato a sembrare studiata per dare un contentino al crescente pubblico femminile. E mentre ci sta che il pubblico femminile abbia a cuore la sorte della Mann, fintanto che c'è in giro la Mann, sembra che a nessuno importi trovare altre figure femminili per il motorsport open wheel americano... e tutti ci rimettono, perché sono propensa a pensare che esistano donne che gareggiano in open wheel di gran lunga più competitive della Mann, che avrebbero speranze anche di una carriera full time, e diversamente da Pippa non perché una donna "deve esserci".


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