Quando avevo l'abitudine di scrivere racconti di fantasia e aspiranti romanzi, avevo spesso a che fare con il "point of view". Per chi non se ne intende di scrittura creativa, il POV è essenzialmente stare dentro alla testa del personaggio e narrare, non necessariamente in prima persona, gli eventi nel modo in cui vengono visti dal personaggio stesso, che in caso di multi-POV può significare che a turno i personaggi vedono gli eventi in maniera anche molto diversa gli uni dagli altri. Così ho raccontato storie dal POV dei personaggi più disparati, personaggi che non mi somigliavano e che vivevano nella mia immaginazione vite completamente diverse dalla mia.
Eppure per anni, mentre per esigenze di scrittura entravo nella mente di gente che in universi finti fuggiva, si innamorava o uccideva, non mi rendevo conto che in fondo, un finale di stagione in cui viene assegnato un titolo, dopotutto, è un susseguirsi di POV. Mi sono focalizzata su quello che ritenevo più valido, che curiosamente rispecchiava quello dell'appassionato medio che riscopriva un enfant prodige quando era poco enfant e tanto prodige e lo eleggeva a proprio idolo, litigando su faccende che lo riguardavano risalenti ad anni prima con gente che affermava che in realtà l'enfant prodige non meritava così tanto e l'outsider era meglio.
Due POV contrastanti, la leggenda del "both sides" e che una debba essere la fonte della verità. Ebbene no, non è così, quando un mondiale viene assegnato, specie in maniera controversa, non ci sono solo due diversi schieramenti nelle due parti opposte del bar spesso virtuale. Ci sono un enfant prodige, un outsider, la gente che sta intorno a loro, i burattinai che hanno portato il mondiale a finire lì e in quella maniera... una lotta per il titolo non è un dualismo tra tifosi, è un "multiple sides". Anche se troppo spesso la vediamo in maniera semplicistica, una lotta per il titolo è un insieme di storie che si fondono in una sola, ma che può essere raccontata da diverse prospettive.
Sarebbe impossibile per me vedere tutto da ogni prospettiva. Però posso vederlo da una prospettiva molto migliore di quella che avevo eletto a prospettiva personale... perché è andata così e in una notte di luglio, rivedendo un gran premio vintage in cui veniva assegnato un mondiale, ho scoperto una nuova me stessa, una nuova appassionata di motori, una patita di motorsport retrò che non ha più paura di una verità un tempo inimmaginabile per lei. Quale verità? Arriveremo anche a questo. Adesso però, enfant prodige dalle vetture tamarre e sobri rockettari con aria da gentleman, seguitemi nei mid-90s. Oggi facciamo tappa in Australia.
La stagione 1994 è stata molto lunga e travagliata, ma stiamo per assistere alla sua conclusione. Da un lato c'è Michael Schumacher, pilota della Benetton, dominatore per gran parte della stagione, dall'altro c'è Damon Hill, pilota della Williams, ritornato prepotentemente in auge dopo le peripezie del rivale a proposito di squalifiche varie. Siamo in una di quelle situazioni che piacerebbe tanto a Liberty Media ventotto anni più tardi, forse una situazione che ha addirittura ispirato Liberty Media: la legge del caso, o forse neanche troppo del caso, vuole che in classifica i due giungano quasi appaiati, un solo punto mette Schumacher davanti a Hill, in un contesto in cui chi arriverà davanti all'altro in gara diventerà campione del mondo.
L'unica differenza tra il 1994 e gli anni 2020 è che nessuno ha l'audacia di affermare tra le righe che sarebbe bellissimo se il mondiale terminasse con un incidente tra i due championship contenders e magari continuare a operare ad arte affinché possa succedere. In tutto questo, comunque, Nigel Mansell mette i suoi baffi in pole position, mettendosi dietro Schumacher e Hill. Segue la McLaren di Mika Hakkinen con alle sue spalle le Jordan di Eddie Irvine e Rubens Barrichello. Johnny Herbert, compagno di squadra di Michael Schumacher a partire dal gran premio precedente è settimo in griglia, precedendo la Ferrari di Jean Alesi, la McLaren di Martin Brundle e la Sauber di Heinz-Harald Frentzen. Devono essere all'incirca le quattro e mezza di notte in Italia e probabilmente molta gente sta dormendo, invece di guardare il gran premio, che viene trasmesso dalla Rai con telecronaca di Mario Poltronieri (in questa versione l'ho trovato su Youtube qualche tempo fa - l'ho visto la sera del giorno in cui Sebastian Vettel ha annunciato il proprio ritiro a fine stagione, ma di questo ve ne parlerò alla fine). D'altronde le faccende che interessano agli italiani, nello specifico le posizioni delle Ferrari in griglia perché who kers della lotta per il titolo, non promettono molto bene, ho già specificato quale sia la posizione in griglia di Jean Alesi, mentre Gerhard Berger è solo undicesimo, precede la Ligier di Olivier Panis e le Tyrrell di Mark Blundell e Ukyo Katayama ai quali si frappone la Lotus di Alessandro Zanardi. Le Minardi di Michele Alboreto e Pierluigi Martini sono sedicesima e diciottesima con in mezzo a loro J.J.Lehto, adesso pilota della Sauber, mentre Christian Fittipaldi su Footwork e Franck Lagorce su Ligier completano i primi venti in una griglia che prevede la bellezza di ventisei vetture. A seguire c'è l'altra Footwork di Gianni Morbidelli, poi la Lotus di Mika Salo e le ultime due file in formato Larrousse/ Simtek, con Hideki Noda affiancato da David Brabham e Jean-Denis Deletraz affiancato da Domenico Schiattarella. Tanto per cambiare in griglia non ci sono le Pacific, con Paul Belmondo che ha fatto registrare il ventisettesimo tempo e Bertrand Gachot senza un tempo, ma se anche ci fossero nessuno se li filerebbe, come succede a chi in pista è invece presente.
Mansell fa una brutta partenza, poi mette anche le ruote sull'erba e si ritrova nella prima parte di gara a duellare prima con Barrichello poi con Hakkinen, mentre gli occhi di tutti sono concentrati su Schumacher e Hill, indipendentemente da tutto quello che accade sul circuito. Vediamo a malapena Herbert rientrare ai box per ritirarsi, è il primo a vedere la propria gara terminare, dopo di lui tocca anche a Irvine, Morbidelli, Noda, Katayama e Schiattarella, ma la cosa non ci tocca, perché Schumacher e Hill sono 1/2 ed è tutto quello che la regia intende mettere davanti ai nostri occhi, dato che non sono 1/2 in modo normale, nel senso di ben distanti l'uno dall'altro. No affatto, l'enfant prodige è in testa alla gara e l'outsider gli sta attaccato alla "coda", per dirla come la direbbe Poltronieri, insomma, uno negli scarichi dell'altro.
Sono attaccati prima di fermarsi ai box, sono attaccati quando rientrano ed escono nello stesso giro, sono attaccati quando iniziano ad arrivare le prime vetture da doppiare. Poltronieri ne approfitta per raccontarci, quando si apprestano a superare una sagoma nera che si fa anche un po' i fatti propri, che quello è Frentzen, l'ex compagno di squadra di Schumacher nelle formule minori, perché non siamo ancora ai tempi di Mazzoni che dopo "ex compagno di" non ci avrebbe messo il nome di Schumacher ma quello della sua signora. Ironia della sorte, è forse il doppiaggio di Frentzen il punto di non ritorno... non perché avvicini Schumacher e Hill mentre sono 1/2, ma perché sembra allontanarli.
Secondo Poltronieri, infatti, in un primo momento sembra che Frentzen non renda per niente facile il doppiaggio a Schumacher, ma poi in realtà succede la stessa cosa anche a Hill, forse in modo anche più accentuato rispetto a quanto accaduto a Schumacher - verosimilmente è l'effetto di dovere doppiare una vettura che, per quanto più lenta della loro, è pur sempre una Sauber e non una Simtek o una carriola di quel calibro, un avversario che, se anche avesse l'accortezza di farsi da parte, sarebbe comunque un po' più ostico dei piloti di fondo classifica, e Hill è quello che se lo ritrova da doppiare nel momento peggiore.
Il gap tra l'enfant prodige e l'outsider sembra aumentare più che diminuire e, anzi, di lì a poco una delle voci che fanno il loro ingresso occasionale in telecronaca osserva addirittura come Schumacher e Hill, nel corso della gara, non siano mai stati tanto lontani. Ed è proprio lì che suonano le trombe dell'Apocalisse. O suonano le trombe e basta, perché ci ritroviamo, di colpo, all'improvviso, con i due che si toccano e con Schumacher che si alza da terra, uscendo di pista e venendo costretto al ritiro. Cos'è successo? Come si è arrivati a tutto questo? La risposta, quella più lampante, la conosciamo tutti: Schumacher urta un muretto, Hill coglie l'opportunità per infilarsi, Schumacher non lo lascia infilare ed è lì che succede tutto quello che succede. C'è tuttavia un aspetto meno lampante, di cui non si parla e di cui non si parlerà mai negli anni a venire, una curiosità che in una notte di luglio noto per la prima volta, dopo quella considerazione, e finisco per farci caso grazie alla "gufata" di cui sopra: Schumacher e Hill sono attaccati e tutto va per il meglio, poi si allontanano ed ecco il grande caos.
A questo punto ci sono due narrazioni parallele che vorrei portare avanti, di cui una spezzettata in molteplici narrazioni parallele (per questo parlavo di diversi POV). Si tratra di quella strettamente legata all'incidente di Schumacher e Hill, che di fatto è la narrazione al centro della scena sia mentre avviene sia dopo, ma per esigenze di trama metterò da parte per qualche momento. Per ora accontentatevi di sapere che Schumacher si ritira sul posto, mentre Hill procede fino ai box dove è a sua volta costretto al ritiro. Immaginate di essere dei robot senza sentimenti e di non provare nulla di fronte a queste vicende e torniamo alla prospettiva più semplice, quella degli altri piloti ancora in pista.
Abbiamo infatti ancora poco più di metà gara da percorrere e la percorriamo con Mansell che in questo momento si trova in testa alla gara, ma si ritrova dietro a Berger per questione di differenza di strategia, con i telecronisti che osservano come sia Alesi il ferrarista su cui di solito si concentrano le aspettative, ma poi per un motivo o per un altro (problemi ai box, in questa occasione) è Berger quello che occasionalmente va a giocarsi la vittoria. Berger potrebbe anche portarsela a casa, questa vittoria (ma non succederà, quindi se siete ferraristi che si sono svegliati alle 4.30 nella speranza di una vittoria a caso mettetevi il cuore in pace), mentre nel frattempo ci sono tanti ritiri "poco importanti" per guasti vari, tra cui Zanardi, D.Brabham, Salo e Deletraz.
Si ritireranno anche Blundell per un incidente con Frentzen in cui il pilota della Sauber riuscirà a proseguire e Alboreto dopo un cedimento sulla sua vettura a causa di un contatto nella prima parte di gara, ma questi ultimi due ritiri sono successivi al momento decisivo in cui la leadership della gara cambia: Berger mette le ruote sull'erba (o per meglio dire, finisce in una via di fuga, erba zero), perdendo la testa della gara e ritrovandosi secondo alle spalle di Mansell.
Frattanto Hakkinen ha dovuto scontare uno stop and go per motivi imprecisati, tornando in pista quarto alle spalle del compagno di squadra di Brundle che andrà ad aggiudicarsi il podio. Hakkinen, invece, a pochi giri dalla fine sarà protagonista di un brutto incidente e costretto al ritiro. Barrichello arriverà quindi quarto, con Panis quinto e Alesi a completare la zona punti, rimontando dopo i problemi durante la sosta. Frentzen giungerà settimo, seguito da Fittipaldi, Martini, Lehto e Lagorce, undici vetture arrivate al traguardo sulle ventisei che hanno preso il via.
Questo è tutto, per l'aspetto legato alla gara "degli altri", adesso è il momento di tornare sui protagonisti, Schumacher e Hill, e su chi sta intorno a loro: torniamo al momento del fattaccio. Schumacher scende dalla vettura e vaga senza meta con aria struggente: è un enfant prodige che pensa di avere appena gettato al vento il titolo mondiale, un titolo che solo qualche mese prima sembrava così vicino. Hill nel frattempo rientra ai box: per aggiudicarsi il mondiale deve portare a casa una zona punti, ma è palese che non ci sia verso.
I meccanici si affrettano intorno alla sua monoposto, ma il verdetto è inequivocabile mentre il pilota scuote la testa e anche lui ha un'aria struggente: la Williams numero zero non è in condizioni tali da permettere al suo pilota di tentare un ultimo assalto a un titolo che qualche tempo prima sembrava impensabile. Hill scende dalla macchina, il suo destino ormai segnato: è un outsider che, venuto a trovarsi improvvisamente nelle condizioni di lottare per il mondiale è arrivato contro le aspettative vicinissimo a quel mondiale. Vicinissimo, ma gli è sfuggito, unica consolazione la certezza che adesso può essere preso sul serio.
Frattanto, mentre nel box della Williams regna la delusione (anche se comunque il titolo costruttori è invece certo visto il ritiro di entrambe le Benetton), mentre nel box della Benetton si inizia a esultare, nella quasi incredulità, perché al momento del ritiro di Schumacher sembrava un titolo perso. Poi un commissario di percorso rivela a Schumacher il ritiro di Hill. L'enfant prodige ha vinto il titolo che pochi minuti prima sembrava perso, un turning point che noi sapevamo già, ma di cui lui non era ancora al corrente, l'ultimo colpo di scena.
È una sola grande storia, ma può essere vista da molteplici prospettive e solo in quella notte di luglio, rivedendo questa gara, che avevo già guardato circa dieci anni fa, ho visto finalmente le cose da più punti di vista, compreso quello dei telecronisti: Poltronieri e soci hanno raccontato tutto come se fosse qualcosa di assolutamente normale e non destinato a generare polemiche quasi tre decadi più tardi, addirittura affermando che *non* fosse andata come ai tempi degli incidenti tra Prost e Senna! Anzi, sembrava quasi un volere dire: bene, il mondiale è stato assegnato, adesso assistiamo alle altre storie che questa gara ha da offrirci.
Altre storie, quella di un pilota Ferrari alla ricerca della vittoria che getta al vento la vittoria - oggi il povero Berger verrebbe massacrato per un simile errore - e quella di un over-40 che ottiene invece la suddetta vittoria, ultima consolazione per un team che ha appena perso il mondiale piloti, finiscono per intrecciarsi tutte in qualcosa di molto più grande. Ed è allora, in quella notte di luglio, che all'improvviso tutto, di farsi più confuso, finisce per farsi nettamente più chiaro. Ho visto questa gara perché, con l'annuncio del ritiro del primo pilota della mia età ad arrivare in Formula 1, ho pensato si stesse aprendo una fase di passaggio... e dopo averla vista credo di essere davvero passata oltre.
Quando avevo visto questa gara per la prima volta, una decina d'anni fa, pur conoscendone gli eventi, ne conoscevo in prevalenza una narrazione: quella dei ferraristi che, con l'avvento dell'era Schumacher, facevano loro i suoi successi pre-Ferrari, mescolati con gli antiferraristi o detrattori di Schumacher che per giustificare i suoi numeri affermavano che avesse gareggiato e vinto con piloti scarsi, insomma, una retorica secondo cui, in fin dei conti, o Schumacher era un fenomeno oppure non era granché, era un genio oppure uno che aveva commesso errori di gioventù, ma comunque la si vedesse Hill era uno scarso.
A questo si mescolava la mia passione infantile per la tamarraggine delle monoposto anglo-venete, contrapposta alla sobrietà della Williams. Poi ho conosciuto l'altra narrativa, quella benehhhh assolutohhhh vs malehhhh assolutohhhh portata avanti dai sostenitori britannici di Hill. Non mi hanno mai convinto questo tipo di retoriche, quindi ho dato scontato che la narrativa che conoscevo in precedenza fosse da considerarsi un di partenza. All'improvviso mi sono accorta che non lo era e che aveva ragione Murray Walker quando si limitava ad affermare qualcosa che suonava come "che peccato che sia finita così", se ben ricordo le parole che pronunciava proprio in telecronaca.
Concordo, quel mondiale poteva finire in modo molto migliore, con storie molto migliori da raccontare, ma visto al giorno d'oggi e dopo tutto il caos capitato nella scorsa stagione, penso che il GP d'Australia 1994 metta bene in chiaro quali sono i pericoli di prendere due piloti che lottano per il titolo, ingigantire ogni polemica o crearne ad hoc (peraltro tra gli Schumill non mi risulta ci fossero polemiche *dirette* in precedenza), poi piazzarli uno accanto all'altro inculcando loro in testa che devono vincere il mondiale a tutti i costi. Purtroppo non sempre si impara dal passato.
La consolazione, a volte, rimane quella di avere imparato qualcosa su sé stessi, che è esattamente quanto successo a me. Ho capito che non sempre bisogna scegliere da che parte stare, che solo perché qualcuno vince e qualcuno perde non significa che solo uno dei due potesse meritarsi una vittoria. E no, non ho più paura di ammettere che vedere questo gran premio mi ha fatto scoprire che non sono più quella che ero un tempo. C'è un enfant prodige in salsa tamarra considerato il futuro che va a giocarsi un mondiale contro un outsider su cui fino a un anno o due prima nessuno avrebbe scommesso un solo centesimo. E c'è la Milly di oggi che vede esattamente questo: un enfant prodige e un outsider screditato.
Non so come mi comportarei ora di fronte a un simile scontro mondiale (scontro in senso metaforico), però non ci sono dubbi su quale dei due, oggi come oggi, rappresenti meglio i piloti per i quali sento qualche genere di affinità. Non posso dire di essere certa che tiferei per Damon Hill, ma non è un'ipotesi che escludo a priori, specie adesso che mi rendo conto del fatto che, effettivamente, sia sempre stato, sia agli albori della propria carriera, sia in seguito sull'eco del finale deludente della sua carriera, molto snobbato e sminuito, forse nel finale proprio perché era stato poco preso in considerazione fin dal primo momento.
La sua posizione era molto diversa da quella di Michael Schumacher, pilota per il quale nutro tuttora molto rispetto, ma preferendolo di gran lunga, come personaggio, negli anni finali della sua carriera quando era un pilota come tutti gli altri e nonostante i successi passati si comportava esattamente come un pilota qualsiasi. In sintesi, Hill è per l'epoca retrò-moderna, un pilota a sé stante, difficile da emulare. Anche se non avremo mai un nuovo campione come lui, chissà, magari un giorno avremo un nuovo figlio sfigato di campione del mondo, discreto e con l'aria da gentleman, che debutta al volante di una carriola e la gente che lo accusa di stare lì per il cognom-... oh ca**o c'è già ed è il figlio dell'altro.
PS. So che non dovrei rovinare un post così lungo, riflessivo e struggente con una considerazione di infimo livello, ma devo raccontarvi una cosa che mi è rimasta impressa a distanza di moltissimi anni. All'università avevo un esame di idoneità di lingua inglese e in una prova d'ascolto c'era un dialogo tra due personaggi che venivano chiamati Nigel e Adelaide. Mi piace pensare che l'autore di quella prova abbia voluto omaggiare Mansell per la sua ultima vittoria in Australia, anche se probabilmente è stato casuale.