domenica 19 ottobre 2014

Cose di cui un lato di me sente la mancanza - atto secondo

A suo tempo ho già parlato delle cose di cui sento lamancanza, riferendomi al periodo fine anni ’90, primi anni ’00, ma devo dire che, secondo me, c’è stato un altro periodo piuttosto glorioso, nella storia della Formula 1 recente. Ripercorriamolo quindi con le cose di cui un lato di me sente la mancanza, atto secondo. Non sarà difficile intuire di che periodo si tratta.

I commenti ironici ai gran premi
Come può mancarmi qualcosa che c’è tuttora? Infatti non mi mancano, ma mi manca la spontaneità con cui nacquero. Adesso è scontato, per me, scrivere il commento al gran premio dopo che questo finisce, possano essere passate poche ore, pochi giorni o un paio di settimane nei casi peggiori. Un tempo non era così e i commenti ironici ai gran premi sono nati per puro caso, destinati a rimanere qualcosa di privato. Come sono cambiate le cose, da quel giorno... Sia chiaro, non rimpiango i momenti in cui a leggere i miei commenti era una sola persona che magari non era neanche interessata al cento per cento a quello che scrivevo. Rimpiango però il momento in cui, con naturalezza, compresi che dovevo scrivere un vero proprio commento a un gran premio, affinché i ricordi di quanto era accaduto non svanissero.

La Super Aguri
Arrivarono come il fanalino di coda, raggiunsero il momento della gloria, tornarono nelle retrovie e fallirono. Il primo punto ottenuto da Sato sulla Super Aguri fu un momento da standing ovation: all’improvviso non mi importava più nulla di tutto il resto, fu una frazione di secondo ma fu la prima volta nella mia vita in cui provai un’intensa soddisfazione per una carretta che conquistava un punto, ultima cosa che avrei mai e poi mai potuto immaginare nei mesi precedenti. Poi arrivò, un paio di gran premi dopo, la consacrazione definitiva: vedere Sato su Super Aguri superare Alonso su una McLaren fu qualcosa di indescrivibile: un pilota di medio livello su una carretta che superava un campione del mondo di un top team. Con tutto il rispetto per Alonso e per la McLaren, fu una scena orgasmica, mai più vista negli anni a venire.

L’uomo dei record
Ultimo alla partenza e primo al restart, conquistò peraltro la maggior percentuale di giri disputati in testa sul totale... al volante di una Spyker. Sto parlando di Markus Winkelhock, che mi è rimasto nel cuore e che ricordo tuttora nonostante la sua parentesi in Formula 1 durò pochissimo. Passerà molto tempo prima che qualcuno batta i suoi record... se accadrà mai, cosa di cui dubito fortemente.

“Prova a imparare!” “Prova tu a imparare!”
Passato momentaneamente l’entusiasmo per Winkelhock in testa al gran premio, e peraltro non fu neanche troppo difficile dato che venne superato da tutti un attimo prima che il suo motore finisse in fumo, continuammo a vederne delle belle. Vedemmo un duello per la prima posizione tra Massa e Alonso a pochi giri dalla fine, in cui quest’ultimo ne uscì vincitore. Qualcuno azzardò che sarebbe stato epico se fossero finiti fuori pista entrambi, perché sarebbe accaduto qualcosa che non aveva mai più speranze di accadere: Webber avrebbe vinto con una Redbull. Eh già, all’epoca lo credevamo davvero impossibile! Webber arrivò terzo e apprese da Alonso l’“arte di rosicare dopo una vittoria”, in cui Fernando si lamentò di come Massa avesse attentato alla sua leadership dopo che, per la vittoria, aveva lottato con... Heidfeld?!?!?! Sorvoliamo su questa inquietante prospettiva e concentriamoci su Felipe, che con grande eleganza rispose... no, è meglio sorvolare anche sulla risposta!
Bonus: i due litigarono in italiano.
Doppio bonus: in italiano l’espressione “prova a imparare” non ha senso, ma Alonso sembrò comprenderla perfettamente, dato che la sua risposta fu “prova tu a imparare”.
Triplo bonus: Massa mandò a quel paese anche Ron Dennis, sopraggiunto per calmare gli animi.
Quadruplo bonus: sul podio c’era Michael Schumacher a consegnare il trofeo al rappresentante della McLaren, e indossava una camicia a righe.

Oh, c’è un pilota che ha la mia età!
Sapevo che era uno dei piloti di riserva della BMW Sauber, sapevo che era conteso tra la BMW Sauber e la Toro Rosso/ Redbull (grazie alle telecronache di Mazzoni) e sapevo che aveva diciannove anni, proprio come me. L’unica differenza era che io avevo appena compiuto i diciannove, Sebastian Vettel stava per compiere i venti. Quello che contava, comunque, era che un pilota nato meno di dodici mesi prima di me avesse finalmente debuttato in Formula 1.
Al giorno d’oggi, in cui ci sono parecchi piloti nati negli anni ’90, in cui Ricciardo che è più giovane di me ha vinto dei gran premi, in cui si appresta a debuttare in Formula 1 Max Verstappen che ha nove anni in meno di me, mi sento dannatamente vecchia. Allora mi sentivo coetanea di almeno un pilota di Formula 1, e mi sentivo importante!
Bonus: abbandonando un attimo il discorso dell’età, quando Vettel passò alla Toro Rosso, il mio commento fu “come può, un pilota che può diventare titolare tra un anno o due sulla BMW Sauber, puntare a un team di livello medio-basso come la Redbull?”, il che dimostra che giustamente non avevo la più pallida idea di quello che ci aspettava.

Tre per quattro
Era il gran premio della Turchia del 2007 e, quanto mancavano cinque gran premi alla conclusione del mondiale, i piloti della McLaren e quelli della Ferrari avevano tutti quanti ottenuto tre vittorie ciascuno. Poi la situazione di “parità” svanì di lì a poco, ma in quel momento c’era un certo livello di epicità nella situazione che si era venuta a creare.

Quell’anno in cui non sentimmo mai l’inno tedesco
Era il 2007 e per tutta la stagione udimmo un susseguirsi di:
- inno britannico e basta;
- inno spagnolo + inno britannico;
- inno finlandese + inno italiano;
- inno brasiliano + inno italiano.
Né piloti né team tedeschi ottennero quindi la vittoria e, per un’intera stagione non udimmo l’inno tedesco nemmeno una volta!

OMG, c’è una Force India in quarta posizione!
C’era Sutil quarto e la cosa avrebbe anche potuto diventare orgasmica, se le cose fossero andate avanti così abbastanza a lungo da consentirgli di guadagnare punti. Purtroppo per lui Raikkonen gli frenò nel retrotreno. Successivamente vedemmo varie inquadrature di Sutil in lacrime dentro al box della Force India, segno evidente che da sobrio è capacissimo di mostrarsi contrariato a qualcosa o a qualcuno senza fare danni.
Bonus bonus: nella stagione successiva ci fu un altro incidente tra Sutil e Raikkonen quando Sutil era in top-ten.
Doppio bonus: sempre nella stagione successiva ci fu un gran premio in cui Sutil riuscì effettivamente ad arrivare quarto.

L’imminente debutto di Roldan Rodriguez
Dubbio esistenziale: chi sarebbe?
Risposta: effettivamente non lo so, ma era uno di cui si parlava sempre! Doveva debuttare alla Spyker, o forse alla Force India, o forse era associato prima alla Spyker e poi alla Force India.

Nelsinho Piquet
Nelson Angelo Piquet / Nelson Piquet Junior / Nelsinho Piquet aveva come obiettivo, secondo Mazzoni, quello di farsi chiamare solo Nelson, obiettivo per nulla realizzato, almeno durante il tempo della sua permanenza in Formula 1. Apparve alla Renault lo stesso anno in cui Alonso vi fece ritorno e da molti venne visto, in un primo momento, come un valido avversario per lo spagnolo. Molte fangirl, invece, lo ritennero un valido candidato quando erano desiderose di sbavare un po’.
Nonostante il suo fascino brasileiro Nelsinho Piquet è nato in Germania, non troppo lontano dal circuito di Hockenheim in cui ottenne una seconda posizione, uno degli unici due risultati decenti ottenuti per tutta la durata della sua carriera di pilota. Ebbe molto più successo nella sua carriera alternativa di manichino da crashtest, tanto che nessuno riesce ancora a stabilire con certezza se nel famigerato gran premio di Singapore del 2008 contro al muro ci andò apposta oppure no. Dobbiamo fidarci solo della sua parola e spero che, dal momento che raccontandolo pubblicamente ci fece sappiamo tutti che figura, spero almeno che l’abbia fatto davvero!

Il centesimo pilota nella storia della Formula 1 a vincere un gran premio
Ormai avevamo perso le speranze. Kovalainen era una sorta di nuovo Barrichello al volante di una McLaren, con la sola differenza che, quando c’era la possibilità di vincere quelle due o tre gare per anno, Barrichello era sempre lì al momento giusto, mentre di Kovalainen non si poteva dire altrettanto. Proveniente dalla Renault e giunto in McLaren dove avrebbe potuto fare sfaceli, in realtà passò nell’ombra. Poi un giorno, mentre era stabilmente terzo a una certa distanza da Hamilton che a sua volta era a una certa distanza da Massa, capitarono due miracoli: Hamilton forò e Massa ruppe il motore. Kovalainen vinse quindi quando nemmeno lui ci credeva più. In conferenza stampa, però, dichiarò che anche senza la rottura del motore di Massa avrebbe potuto puntare comunque alla vittoria, cosa non molto credibile visti i venti o trenta secondi di gap e il fatto che la gara fosse quasi finita. Comunque poco importa: Kovalainen non ha bisogno di essere creduto, quello che conta è che, da qualche parte ci sia la sua presenza illuminante.
Bonus: durante le interviste era sempre pronto a ridacchiare, specie nelle occasioni in cui arrivava dalla quindicesima posizione in poi.

“Ma quale Ferrari e McLaren, io spero in una vittoria della Toro Rosso!”
Era un commento fatto così, per sdrammatizzare un po’ sui risultati della Toro Rosso che, per carità, qualcosa di buono lo stava anche combinando, ma che mai e poi mai avrebbe potuto vincere un gran premio. Scherzavo così, una settimana prima del gran premio d’Italia del 2008. Poi una settimana più tardi Vettel tagliò il traguardo in prima posizione... con una Toro Rosso!

Una lampadina da minatore sul casco
Lo scenario era quello del primo gran premio di Singapore, primo gran premio in notturna della storia della Formula 1, in cui Robert Kubica, all’epoca pilota della BMW Sauber che doveva essere stato contagiato dalla follia di Vettel in fatto di caschi quando erano pseudo-compagni di squadra un anno prima, decorò il proprio casco con una sorta di lampadina da minatore, di cui Mazzoni parlò approfonditamente il telecronaca, nonostante non fosse nulla in confronto alle luci intermittenti messe sul casco da Vettel in un’occasione molto successiva sempre a Singapore.

I finali di stagione al cardiopalma
Sono cresciuta con i finali di stagione in cui tutto si decideva tra Schumacher e Hakkinen. Poi se ne andò Hakkinen, comparvero Montoya, Raikkonen e compagnia bella... ma mai mi capitò di vedere un vero e proprio duello per il titolo all’ultima gara stagionale. Non tra tre piloti, almeno. L’edizione del 2007, con il gran premio del Brasile in cui Hamilton era leader della classifica con 4 punti su Alonso e 7 su Raikkonen, si prospettava scoppiettante. Da un certo lato poteva sembrare un risultato già scritto, da certi altri lati invece notammo come tutto poteva essere messo in discussione e come tutto era (o almeno appariva tale) genuino spettacolo. Ci furono polemiche qua e là, ma ci fu anche un esito che non era quello più scontato e che, in quanto tale, ci ricordò che la Formula 1 può anche essere imprevedibile e che soltanto quando cala la bandiera a scacchi sull’ultimo gran premio stagionale si può stabilire chi abbia vinto il mondiale.
Interlagos ci diede appuntamento a un anno più tardi: stavolta non c’erano tre piloti, ma soltanto due, e Hamilton aveva 7 punti di vantaggio su Massa. Ancora una volta il risultato sembrava scontato, ma forse così scontato non era, dato che tutto si decise soltanto all’ultima curva, quindi ancora più in extremis di quanto fosse accaduto l’anno precedente. Stavolta la Formula 1 ci dimostrò che addirittura anche quando viene data la bandiera a scacchi nulla è ancora scontato.

A questo punto, con l’auspicio di rivedere al più presto finali di stagione altrettanto scoppiettanti, non mi resta che rendermi conto di un’inquietante verità: c’è un'altra cosa di cui un lato di me sente la mancanza... e il lato di fangirl che è dentro di me mi sta implorando di non risparmiarvela. Ci scommetto che in molti di voi stanno intuendo, almeno velatamente, che mi riferisca a una certa tuta verde-oro indossata da Massa al gran premio del Brasile del 2006... ma darò ascolto alla voce della mia coscienza e mi asterrò dal dedicarvi un intero paragrafo.


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