Ci sono casi in cui le impressioni a mente lucida, quando
è già passato un po’ di tempo, possono essere a loro volta più lucide di quelle
immediate. Stavolta è passato un anno, ma non credo che sia troppo tardi.
Un anno fa ci lasciava Maria De Villota e la notizia
della sua morte fece il giro del mondo, tra chi sapeva tutti di lei e chi non
ne sapeva niente.
Era il weekend del gran premio del Giappone, un gran
premio del Giappone che negli ultimi anni mi sta producendo una certa orticaria,
e la notizia bomba com’era arrivata svanì, perché era più importante quello che
accadeva in pista.
Era come se la Formula 1 si fosse spezzata in due: c’era
quella sotto gli occhi di tutti e c’era quella dei test organizzati dove
capitava a causa dello stesso regolamento a cui sottostava “la F1 sotto gli
occhi di tutti”. Anche la maggior parte dei piloti sembrarono, a dire il vero,
non del tutto colpiti (tranne quei pochi che Maria la conoscevano davvero bene)
dal fatto che una loro collega “di serie B” fosse deceduta a causa delle
conseguenze indirette dell’incidente di un anno e tre mesi prima. Mentre i
primi tre classificati festeggiavano così come se niente fosse, mi domandai se
si rendessero conto che, in una F1 a parti invertite, dall’altra parte avrebbe
potuto esserci uno di loro.
Fu la morte di Maria, come il suo incidente del 2012, ad
aprirmi gli occhi sulla “Formula 1 di serie B”. È inutile girarci intorno: come
pilota Maria non era particolarmente veloce e per un futuro in F1 non era più
tanto giovane. Ma importa davvero così tanto? Un anno fa ho visto una ragazza
che per tutta la vita aveva inseguito il proprio sogno e la propria passione,
in un mondo in cui c’è sempre qualcuno che è qualche decimo più veloce di te,
qualcuno che paga più di te, qualcuno che pensa che, in quanto donna, dovresti
stare fuori dall’auto a reggere un ombrello, sempre ammesso che tu sia attraente
abbastanza.
Alla fine Maria vide il proprio sogno materializzarsi:
anche se per un test aerodinamico, anche se per la Marussia che era il fanalino
di coda della Formula 1. Durò qualche secondo e si ritrovò a lottare tra la
vita e la morte. Fu lei a spuntarla, anche se con conseguenze irreversibili,
che finirono per condurla al decesso quindici mesi più tardi. In quei quindici
mesi reinventò una vita, forse sapendo che non sarebbe durata a lungo, dimostrando
che al di là dei risultati c’è tanto altro. Maria non rinnegò i propri sogni,
ebbe il coraggio di continuare ad essere se stessa e cercò nuovi stimoli e un
nuovo senso per la propria vita.
Ancora oggi, un anno dopo, mi è difficile rimanere
impassibile. Oggi, forse più di ieri, mi rendo conto di quanto il filo
invisibile che lega la Formula 1 di “serie B” da quella di “Serie A” sia
indissolubile e che girare un paio di decimi o di secondi più veloce degli
altri non sia sufficiente per sfuggire al proprio destino.
Riposa in pace, Maria, e, ovunque tu sia, non guardare
quello che ti sei lasciata alle spalle. Finirebbe per non piacerti.
Milù Sunshine
(Articolo scritto sia per il mio blog sia per F1GC)
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