lunedì 17 aprile 2023

Il Paradosso del 27 - puntata 2/9

Buonasera a tutti, spero che il vostro lunedì sia andato bene e per augurarvi un buon proseguimento di serata ecco qui la seconda puntata. Spero che vi piaccia e vi anticipo che per domani ho in mente un ritorno alla realtà, con un post vintage.



[CIRCUIT OF THE AMERICAS]

Il secondo evento della stagione era terminato. Si era svolto negli Stati Uniti, esattamente come quello precedente, dal momento che da quelle parti c’era un pubblico che aveva ancora bisogno di essere consolidato. Il circuito di Austin era ben costruito e degno di essere inserito in un calendario, ma quella valutazione aveva ben poco importanza. I tifosi statunitensi chiedevano a gran voce che la A+ Series smettesse di essere incentrata sull’Europa: in quanto mondiale doveva a loro parere toccare allo stesso modo tutti i continenti.
“Un gran premio in Europa, un gran premio in Asia, un gran premio in Africa, un gran premio in Oceania, un gran premio eventualmente in Sudamerica e tutto il resto del calendario negli Stati Uniti, perché possedere Indycar e NASCAR non basta più” si disse il CEO. “È questo che intendono.”
Ovviamente le location dei gran premi avrebbero continuato a essere incastrate secondo gli interessi economici del campionato, ma non si poteva sottovalutare un certo tipo di considerazione. Se da un lato nel resto del mondo gli appassionati di vecchia data avrebbero continuato a seguire la A+ Series indipendentemente dai circuiti sui quali gareggiava, seppure lamentandosi di certe innovazioni, il pubblico più recente teneva spesso il coltello dalla parte del manico. Non che il CEO considerasse certi soggetti così influenti - non sarebbe stato difficile trovare un altro pubblico target, avvicinandolo in maniera diversa - ma in nome del profitto era ben disposto a far credere loro di essere importanti.
«La vedo pensieroso» osservò Maelle.
Il CEO alzò gli occhi.
«Non l’avevo sentita entrare. Perché non ha bussato?»
«Oh, sì che ho bussato» si difese la Heidelberg. «Non mi ha sentito?»
Il CEO scosse la testa.
«Mi scusi, Maelle, stavo ancora pensando al Circuit of the Americas.»
«Non mi dica che stava pensando di raderlo al suolo e di disputare il prossimo gran premio texano all’interno di un parcheggio.»
«No, se dovessi radere al suolo un circuito a scelta e disputare il gran premio corrispondente in un parcheggio, allora distruggerei il Nürburgring e al suo posto proporrei un evento in una qualsiasi megalopoli americana.»
Maelle parve indispettita.
«Perché distruggere il Nürburgring?»
«Perché è sorpassato, ormai. Ai giovani non piace.»
«Dipende dai giovani.»
Il CEO ridacchiò.
«I giovani qualsiasi non mi interessano. I bimbiminchia che spendono tutti i loro soldi per abbonamenti televisivi o gadget, invece, mi importano tantissimo. Quelli sarebbero ben lieti se arrivasse una ruspa a portarsi via i tracciati storici. Peccato che la A+ Series non abbia il controllo dei circuiti e che questi vengano utilizzati anche per altre categorie, altrimenti sarebbe un segnale forte, per far capire loro che teniamo al loro parere.»
«Basta non raccontare loro dell’esistenza del Nürburgring» puntualizzò Maelle. «I tifosi di cui sta parlando non hanno la benché minima conoscenza della storia del motorsport... e per storia non mi riferisco a quello che succedeva a quaranta o cinquant’anni fa. Nemmeno cinque o dieci, in realtà. C’è gente che, in senso letterale, non sa cosa sia successo prima di cinque minuti fa, ma al contempo si autoproclama vera appassionata. Basta solo non dire loro quello che non vogliono sentirsi dire, ovvero che la A+ Series - e la Formula 1 in precedenza - avevano un pubblico piuttosto vasto, specie nei paesi che la conoscevano fin dai suoi albori.»
Quelle considerazioni erano interessanti, ma era meglio passare a qualcosa di meno astratto.
«Non le ho ancora detto perché le ho chiesto di raggiungermi, Maelle.»
«Mi dica.»
«Come ben sa, la nuova opzione finora non ha dato molti risultati.»
«Oh.»
Il CEO aggrottò la fronte.
«Quello che sto dicendo la stupisce?»
«No, per niente» ammise Maelle. «L’ho capito anch’io che potrà essere utile soltanto in certe situazioni. Magari, attivandola sotto la pioggia, potrebbe dare i suoi buoni risultati. Non è la prima volta che glielo dico.»
«Appunto, la pioggia, stavo pensando a questo» convenne il CEO. «Non l’ho chiamata per discutere della nuova opzione, quanto piuttosto per parlare di pioggia.»
«Non abbiamo controllo sulla pioggia.»
«Non c’è bisogno che me lo dica, Maelle. Lo so perfettamente, purtroppo non possiamo fare nulla per influenzare il meteo. Però possiamo sperare che il meteo sia poco promettente e fare qualcosa di concreto per rendere le gare più spettacolari, in quelle occasioni. Ci avevo già pensato e temevo fosse una follia, ma mi sono reso conto che potrebbe conciliare le esigenze di più tipi di pubblico. Te li ricordi i tifosi vintage, vero?»
«Tifosi vintage?» ripeté Maelle. «Quali intende, quelli che si lamentano perché le monoposto non fanno abbastanza rumore, perché non ci sono gare abbastanza spettacolari, perché non ci sono abbastanza incidenti gravi e perché una volta i piloti erano veri uomini che avrebbero guidato con le gomme slick sotto al diluvio?»
«Esatto, quel tipo di tifosi» confermò il CEO. «Non sono redditizi tanto quanto i tifosi di nuova generazione, ma non dobbiamo sottovalutarli. In fin dei conti certe sfumature dei bimbiminchia di cui parlavo prima ricordano il lato peggiore di questo tipo di appassionati. Anche i fanboy di oggi vorrebbero vedere incidenti gravi, non perché siano convinti che affrontare il pericolo possa incrementare lo status dei loro idoli, ma semplicemente perché così potrebbero sbarazzarsi dei piloti che non sono di loro gradimento. Amano un diverso tipo di circuiti, un diverso tipo di contesto, un intrattenimento totalmente diverso da quello di un tempo, ma non hanno solo ed esclusivamente idee radicalmente nuove. Ci ho pensato, durante il Gran Premio di Austin. Ci ho pensato mentre Argento Quattro dominava la gara conclusiva del fine settimana, quando c’era il cielo limpido e neanche l’ombra di una nuvola. Mi sono detto: sarebbe meraviglioso se cadesse un temporale, ma soprattutto sarebbe meraviglioso se i piloti fossero costretti ad affrontare il temporale con gomme da asciutto.»
Lo sguardo di Maelle si illuminò.
«Credo di capire dove voglia andare a parare.»
«Lo immagino, lei mi capisce sempre al volo» convenne il CEO. «Non possiamo influenzare il meteo, però possiamo decidere quali mescole di gomme sia consentito utilizzare e quali siano invece vietate. Le gomme intermedie o da bagnato estremo rendono le competizioni molto più sicure in caso di pista bagnata. Dobbiamo eliminarle.»
«E i team e i piloti cosa ne pensano?»
«I team e i piloti non hanno voce in capitolo.»
Maelle scosse la testa.
«Non sono sicura che possa funzionare.»
«Abbiamo autorità totale su di loro» replicò il CEO. «Depersonalizzarli totalmente, molti anni fa, è stata la mossa vincente. Non hanno più alcun potere. Certo, potrebbero rifiutarsi di correre, ma non lo faranno mai. Non sono nessuno, solo colori e numeri. Se Ferrari o Mercedes o altri nomi importanti facessero la voce grossa, qualcuno li starebbe a sentire. Non può succedere lo stesso, se a parlare sono solo dei fantocci riconoscibili dal loro colore. Allo stesso tempo, i piloti di una volta avrebbero potuto contestare idee a loro parere poco sensate senza correre il rischio di essere radiati definitivamente dalle competizioni. Non possiamo fare niente per radiarli da altre categorie motoristiche, ma possiamo impedire a chiunque vogliamo di gareggiare nella A+ Series. Mi dirà che alcuni piloti potrebbero accettare di buon grado anche di cambiare categoria, ma le assicuro che non è così. È vero, c’è una minima parte dei piloti che non rinuncerebbero a priori ad altre serie, se potesse essere una svolta utile per la loro carriera, ma chiunque corra nella A+ Series lo fa perché vuole la A+ Series a tutti i costi. Nessuno di loro nasconderebbe la propria identità e rinuncerebbe a vedere i propri successi associati al suo nome se non fosse perché considera questa categoria la più importante i tutte. I piloti di questo campionato fanno già tante rinunce in nome della A+ Series. Rinunciare alle gomme da bagnato non sarà così terribile, per loro.»
«Eppure, qualcuno di loro, già a Austin ha cercato di lamentarsi, per molto meno.»
Il CEO alzò le spalle, con indifferenza.
«Si riferisce al momento in cui Argento Quattro ha insinuato che fare ben tre gare sprint, tutte a griglia di partenza invertita, fosse un tentativo di ostacolarlo e di favorire i suoi avversari?»
«È successo.»
«Già, e ammetto che non me lo sarei mai aspettato, da Argento Quattro. Di solito è obbediente come una pecora, fa tutto quello che ci aspettiamo da un pilota senza battere ciglio. Peccato per quel suo sfogo, avevo un’opinione migliore di lui.»
Maelle azzardò: «Probabilmente lo considerava davvero un affronto nei suoi confronti. Dopo la vittoria di Viola Cinque nel Gran Premio di Las Vegas deve avere pensato che stiamo cercando di favorire il suo avversario. Lo considerava un pilota già finito e non l’ha mai nascosto. Non deve essere piacevole, per lui, ritrovarselo come avversario diretto. Le consiglio di non prenderla male. Argento Quattro è stato finora il pilota più adeguato alle nostre esigenze, ma è pur sempre un essere umano. Quando si sente toccato dove non dovrebbe, reagisce con un po’ di indignazione. Dopotutto mi sembrava molto più accomodante, dopo la vittoria finale. Certo, non gli faceva piacere condividere il podio con Ventisette e Ventotto, che già hanno ottenuto altri risultati di spessore, ma si è guardato bene dal fare altre invettive fuori controllo. Non abbiamo nulla di cui temere.»
Il CEO puntualizzò: «Invece abbiamo molto di cui temere, perché non sappiamo più come inquadrarlo. Non parlo della questione delle slick, ma proprio di lui come soggetto. Cosa potrebbe succedere se Argento Quattro non vincesse il mondiale nemmeno quest’anno? Accetterebbe l’idea, come ha sempre fatto, oppure corriamo il rischio che possa insorgere contro di noi?»
Maelle sbuffò.
«Direttore, la smetta di fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Non c’è alcun pericolo che si rompa la testa, se capisce cosa intendo. Non appena la fortuna gira a favore di Argento Quattro, ecco che torna docile come l’abbiamo sempre conosciuto. Non abbiamo ragione per temere che possa succedere qualcosa di diverso. Piuttosto, parliamo del prossimo gran premio. Spesso in Brasile otteniamo quello che vogliamo. Non la alletta l’idea di andare a Interlagos?»
«Solo perché spesso è piovuto a Interlagos, non significa che debba piovere per forza la domenica del gran premio all’orario in cui avviene il gran premio.»
«A Las Vegas c’erano due sprint, in Texas sono state aumentate a tre. Si potrebbero mettere più sprint, o comunque più prove. La fortuna ci assisterà, ci manderà un po’ d’acqua al momento giusto. Si potrebbero addirittura mettere le varie sprint a orario variabile, decidendo sulla base delle condizioni meteo.»
«Sta suggerendo un dry delay simile ai rain delay della NASCAR?»
«Qualcosa del genere.»
«E come lo giustifichiamo?»
«Non abbiamo nulla di cui giustificarci, direttore. Che cosa le succede? Non voglio essere indiscreta, ma mi sembra che sia un po’ meno determinato del solito. Pensi alla A+ Series. Pensi a tutto quello che rappresenta. È successo tutto grazie a lei. È stato lei che ha approfittato dalla confusione del 2009, dei dissidi tra la Federazione le squadre di Formula 1, per arrivare a questo. Se non avesse avuto le giuste intuizioni, probabilmente ci sarebbero stati due campionati alternativi, uno con i team storici, che non si chiamava più Formula 1, e uno con team senza un marchio importante, ma con il suo vecchio nome. Lei ha fatto molto di più: è riuscito a far sì che ci fosse un campionato solo e che i team per come li conoscevamo venissero spazzati via. Non ci sarà più nessuno che deciderà di smettere di seguire i gran premi perché uno specifico team vuole lasciare le competizioni, così come non ci sarà più nessuno che smetterà di guardarli in risposta al ritiro dalle corse del proprio idolo. La gente non ha più idoli, ma crede ancora di averne. Chiunque può essere rimpiazzato senza dare nell’occhio e tutto prosegue come prima. Può fare quello che vuole, ormai, il suo potere è assoluto. Ha messo le squadre e i piloti nella condizione di accettare l’idea di gareggiare con le gomme da asciutto sul bagnato...»
Il CEO obiettò: «Squadre e piloti non sanno ancora che dovranno correre con le slick in caso di pioggia.»
Maelle lo ignorò.
«Se può fare questo, allora può anche programmare gli orari delle gare come meglio crede.»
«Veramente ci sarebbero i diritti televisivi» le ricordò il CEO. «A seconda della fascia oraria, ci vengono in casa più o meno milioni.»
«Questa è una giusta considerazione.» Maelle, che fino a quel momento era stata in piedi, appoggiata contro la parete, prese una sedia e si accomodò di fronte a lui. «Dobbiamo lavorare a questo, altro che pensare al parere di team o piloti. Bisogna pianificare qualcosa, ormai abbiamo poco tempo. Non saprei, magari concordare con le televisioni una diretta nella quale le gare possono avvenire entro una certa fascia oraria, senza che si sappia effettivamente quando.»
«Dice che potrebbe attaccare con il pubblico?»
«Io dico di sì, almeno con un certo tipo di pubblico, quello che rende di più. Ci sono ragazzini che saltano la scuola per guardarsi le varie sessioni, insultando gli adulti che non saltano il lavoro per la stessa ragione e tacciandoli di non essere veri appassionati. Crede che per loro sia un problema passare sei o sette ore davanti alla televisione ad attendere che inizi una gara?»
«Ci penseremo.»
Maelle scosse la testa.
«No, non deve pensarci in futuro. Deve pensarci ora, prima che sia troppo tardi.»
Il CEO sospirò.
«Ha ragione, ma ammetto che al momento non riesco ancora del tutto a togliermi dalla testa le proteste di Argento Quattro. Non so se sia opportuno convocarlo e fargli notare che ci aspettiamo da lui un comportamento diverso.»
«Argento Quattro si è già dimenticato delle proprie proteste» replicò Maelle. «Non vedo motivi per cui dovrebbe essere lei a ricordargliele. La gente dimentica in fretta, dopotutto. È meglio fare finta di niente, la situazione è sotto controllo.»
Come al solito, Maelle aveva ragione. Il CEO si ritrovò a domandarsi come avesse fatto fino a poco tempo prima a lavorare senza il suo prezioso contributo.



[CONFERENZA STAMPA]

Argento Quattro detestava il giorno dedicato ai media. Le interviste che precedevano il weekend erano una prassi comune, ma doversi presentare ai microfoni in tuta e casco e parlare con un traduttore simultaneo che cancellava ogni sfumatura dell’accento non era mai stato di suo gradimento. I piloti venivano convocati a rotazione, cinque per ogni evento, e purtroppo a Interlagos era toccato a lui. Si era preparato a dovere ed era certo di non avere detto o fatto niente di inconsueto. Al Circuit of the Americas si era lasciato andare a qualche dichiarazione fuori luogo, di quelle che detestava udire sulla bocca dei propri colleghi, e non era certo che alla dirigenza fosse passato tutto inosservato. Si era impegnato per rientrare nei canoni che più si addicevano alla sua personalità - o almeno al lato della personalità che aveva scelto di mostrare - ed era convinto di avere fatto un buon lavoro.
Seduto accanto a lui c’era Rosso Ventisette, un Rosso Ventisette molto diverso da quello che aveva gareggiato nella A+ Series fino alla stagione precedente. Argento Quattro non si era ancora fatto un’idea ben precisa del nuovo pilota che vestiva quei prestigiosi colori, ma non era certo che meritasse il suo rispetto. Il Ventisette precedente, quello che sognava la Triple Crown e aveva anticipato la sua potenziale presenza sulla griglia della Cinquecento Miglia di Indianapolis, era un pilota apprezzato e stimato, nonostante non apparisse proprio il massimo della simpatia, quando gli veniva messo un microfono davanti. Quello nuovo, che stando ai pettegolezzi nella stagione precedente era stato Nero Trentacinque, aveva addosso l’aura del backmarker promosso in mancanza di colleghi di maggiore talento. Argento Quattro non lo considerava un vero Rosso Ventisette, ma solo un fantoccio che si spacciava per tale. Parte della tifoseria la pensava come lui e Quattro sperava che durasse: se i tifosi avessero iniziato ad apprezzare Ventisette, sarebbe stato perché Ventisette vinceva e quella prospettiva lo faceva inorridire. Ne aveva già abbastanza di avere a che fare con Viola Cinque, l’ipotesi di un nuovo avversario che gli mettesse i bastoni tra le ruote non lo allettava per niente.
Quando l’intervista terminò, si alzarono contemporaneamente. Bianco Due, Giallo Quindici e Turchese Ventisei si allontanarono e Argento Quattro cercò di fare lo stesso. Non gli fu possibile: fu proprio Rosso Ventisette a trattenerlo.
«Volevo farti i complimenti per Austin.»
Argento Quattro lo guardò storto.
«Cosa intendi?»
«Austin, la scorsa gara» ribadì Rosso Ventisette. «Eri imprendibile. Ci abbiamo provato tutti a raggiungerti, ma non c’era niente da fare.»
Argento Quattro ridacchiò, sprezzante.
«Hai mai pensato che certi obiettivi non fossero alla tua portata?»
«Quali obiettivi?»
«Indossi una tuta rossa, porti il numero 27» gli ricordò Argento Quattro, «Ma fino a pochi mesi fa eri un semplice pilota delle retrovie. Non saresti dove sei adesso, se il vero Ventisette non se ne fosse andato, o per meglio dire non fosse stato costretto ad andarsene. Non sarai mai un pilota come lui.»
«Nessuno è un pilota come gli altri» puntualizzò Rosso Ventisette, «E nessuno è un vero Ventisette o un falso Ventisette. Portiamo il numero che ci viene messo addosso, finché la dirigenza non decide altrimenti. È sempre stato così, fin da quando esiste la A+ Series. Anche Argento Quattro, un tempo, era un altro pilota. Dicono che sia diventato un influencer, dopo il titolo.»
«Appunto, ha mostrato la propria vera natura» ribatté Argento Quattro. «Poi sono arrivato io e non faccio altro che dimostrare il mio valore. Tu, invece? Cosa pensi di potere ottenere? Ridicolizzerai il colore che indossi, il colore della monoposto che guidi.»
«Un colore è solo un colore.»
«E il tuo era il nero.»
«Perché tu da dove vieni? Sei nato al volante di una monoposto color argento, per caso?»
«Non stiamo parlando di me, ma di te e della tua inadeguatezza.»
Rosso Ventisette annuì.
«Giusto, stiamo parlando della mia inadeguatezza. Perché? Perché ho osato complimentarmi con te per la tua performance nello scorso gran premio. Sei sempre così? Ti metti a insultare tutti quelli che dicono qualcosa di gentile su di te?»
«E tu sei sempre così?» replicò Argento Quattro. «Perdi il tuo tempo a parlare con persone che, giustamente, ti considerano una nullità? Dovresti tornartene nei bassifondi. Perfino quell’incapace che hanno messo al tuo posto farebbe più bella figura di te su una vettura rossa.»
«Davvero?» ribatté Rosso Ventisette. «Ogni tanto, dopo i gran premi, mi leggo i pareri dei tifosi. Se ti riferisci a Nero Trentacinque, c’è chi l’ha bollato come uno dei peggiori piloti della A+ Series. Sostengono, per assurdo, che sia arrivato in alto solo perché ha un manager rilevante.»
«Da quando i manager dei piloti sono considerati dei personaggi in vista? Neanche possono farsi vedere insieme ai piloti stessi.»
«Vallo a spiegare ai fanboy.»
«Comunque i fanboy qualcuna la azzeccano, non ti pare?»
«Sono più o meno come gli orologi fermi: dicono la cosa giusta due volte al giorno e per tutto il resto del tempo non fanno altro che ripetere una marea di cazzate.»
«Quella del manager non ha senso» convenne Argento Quattro, «Ma non mi sembra che ti apprezzino molto. Di conseguenza sono più lungimiranti di molte menti illuminate.»
«Quando inizierò a vincere mi acclameranno.»
«Non inizierai a vincere.»
«Aspetta e vedrai.»
«Davvero, parlo sul serio» insisté Argento Quattro. «Che tu sia un pilota scadente non lo metto in dubbio, ma non è difficile riuscire a vincere almeno qualche corsa, se sei in una posizione di prestigio. Qualche gara te la lasceranno vincere, ti aumenteranno la potenza nei momenti più opportuni e ti accompagneranno sotto la bandiera a scacchi. Non illuderti: sarà solo per qualche gara, non arriverai mai al titolo mondiale. Lo dico per te, faresti meglio a rassegnarti.»
Rosso Ventisette replicò: «Non penso al mondiale. Voglio dire, ovviamente sogno di diventare campione del mondo, prima o poi, ma so che non accadrà in tempi brevi. Non ho ancora vinto un gran premio e, al momento, nemmeno una sprint. Chiaramente punto in alto, ma devo procedere per gradi. Adesso sto inseguendo la mia prima vittoria.»
«Punti in alto, ma vuoi procedere per gradi.» Argento Quattro rise. «Lo vedi? Nessun vero campione direbbe una simile assurdità.»
«Sì, me ne rendo conto, la maggior parte dei piloti vogliono tutto e subito, ma non concretizzano.»
«La maggior parte dei piloti non concretizzano e basta, perché non hanno abbastanza talento o fortuna o perché non sono i favoriti dalla dirigenza. Questo non significa, però, che avere un atteggiamento passivo e attendere che le stelle si allineino in nostro favore ci porti lontano. Tu non arriverai da nessuna parte, Rosso Ventisette, né come Rosso Ventisette né con qualsiasi altro numero o colore. Avresti dovuto rifiutare la promozione. Avresti dovuto rimanere Argento Trentacinque e fare coppia con quel novellino che ogni tanto fa manovre strane.»
«Manovre strane?»
«O non sa guidare, o è stato usato per degli esperimenti.»
«E-esperimenti?» Rosso Ventisette appariva turbato. «Che genere di esperimenti?»
«Dai, lascia perdere» lo esortò Argento Quattro. «Ci sta che i piloti di poco conto vengano usati come cavie. Adesso andiamocene... e soprattutto lasciami in pace. Mi hai già fatto perdere abbastanza tempo, non posso trascorrere tutto il giorno a parlare con un perdente come te.»
Rosso Ventisette sospirò.
«Certo che sei proprio strano.»
«Strano? Io? Non direi. Mi sembri più strano tu, con tutte le tue chiacchiere sul procedere per gradi. Non ho mai sentito un vincente fare affermazioni simili.»
«Non mi stupisce. Tu non hai mai detto niente del genere e non ho dubbi che tu sia convinto di essere l’unico pilota davvero vincente.»
Argento Quattro precisò: «Ho un’elevata considerazione di me stesso, lo ammetto, ma ho le mie buone ragioni. Conosco il mio valore, così come conosco il poco valore dei miei avversari. Viola Cinque è un pilota a fine carriera. Non sarà difficile batterlo, anche se ha vinto il Gran Premio di Las Vegas e, in un primo momento, sembrava destinato a grandi cose. Al Circuit of the Americas, però, ha iniziato a dimostrare di non essere quella scheggia che sembrava in Nevada.»
Rosso Ventisette obiettò: «Viola Cinque è sempre stato un grande pilota e continua a dimostrarlo. È vero, non avrà più le performance strabilianti di qualche anno fa - dopotutto ha dato il meglio di sé quando ha vinto tutti quei mondiali di fila - ma fai male a darlo per spacciato. Sono sicuro che ci riserverà delle grandi sorprese.»
«Quattro mondiali regalati, ecco cosa vale.»
«I mondiali non sono mai regalati.»
«Non fare l’ingenuo. Sai benissimo tanto quanto me che spesso sono pilotati dall’alto.»
«Allora sono tutti regalati, non solo quelli di Viola Cinque.»
Argento Quattro osservò: «Non ti arrendi proprio mai, fuori dalla pista. Strano, non pensavo fossi così determinato, quando si tratta di parlare e parlare. Forse dovresti metterci la stessa grinta anche quando sei al volante.»
«Non ho alcun bisogno dei tuoi consigli su cosa fare quando sono al volante» mise in chiaro Rosso Ventisette. «Me la posso cavare benissimo da solo.»
«Permettimi di avere qualche dubbio, ma hai ragione, non devo darti consigli. Anzi, dovrei accontentarmi di avere degli avversari incapaci, piuttosto che cercare di suggerire loro di uscire dalla loro inettitudine. Adesso, comunque, me ne vado. È stato un piacere discutere con te.»
«Il piacere è stato tutto mio» replicò Rosso Ventisette, «E ti assicuro che non sono ironico. Mi piace conoscere meglio i miei colleghi e ora ho le idee molto più chiare su di te. Inizio a credere che, se ti incontrassi senza la tuta e il casco, potrei quasi arrivare a riconoscerti.»
Argento Quattro si irrigidì.
«Mi stai minacciando?»
Rosso Ventisette rise.
«Assolutamente no. Cosa credi, che divulgherei le tue generalità?»
«Di solito è quella la ragione per cui si cerca di scoprire chi siano gli altri piloti.»
«Sarà come dici tu, ma non lo farei mai. Siamo tutti nella stessa barca. Dobbiamo cercare di tutelarci a vicenda.»
Argento Quattro obiettò: «Adesso anche la tutela degli avversari. Mi spieghi che cazzo di pilota sei?»
«Sono un pilota consapevole che in pista abbiamo degli avversari, ma non dei nemici» rispose Rosso Ventisette. «I veri nemici stanno in alto e hanno il comando della categoria. Possono distruggerci da un momento all’altro, solo perché lo vogliono o perché credono sia la cosa giusta da fare davanti agli occhi dei tifosi. Potrebbero addirittura mandarci a morire deliberatamente, se servisse per i loro comodi. Cercano di dividerci, di metterci l’uno contro l’altro. Lo fanno per tutelare i propri interessi, perché sanno che, se ci unissimo, potremmo avere qualche concessione.»
«Posso sforzarmi di comprendere il tuo punto di vista» ammise Argento Quattro, «E tutto sommato, da una certa prospettiva, potresti anche avere ragione. Però non è così che funziona. Sei solo un idealista, che vorrebbe avere voce in capitolo e crede che l’unione faccia la forza. Non è così. L’unione è solo un grande casino in cui gli altri cercano di convincerti che la tutela dei loro specifici interessi è anche interesse tuo. È una farsa in cui ciascuno bada solo a se stesso. È meglio essere lupi solitari, credimi.»
«Adesso perché mi dai questi consigli? Non sono più uno scarso che dovrebbe tornare a vestirsi di nero?»
«Certo che sei uno scarso che dovrebbe tornare a vestirsi di nero, ma stiamo parlando della nostra incolumità. Alcuni di noi sono dei campioni e altri degli incapaci, ma questo vale soltanto finché siamo in vita e in buone condizioni fisiche. Dopo la morte, non conta più niente se prima fossimo degli idoli delle folle oppure le ultime ruote del carro, e neanche dopo un infortunio grave.»
«Dopo la morte, gli idoli delle folle diventano degli eroi, mentre i piloti dei bassifondi vengono dimenticati. Oppure, se proprio bisogna ricordarli, si fa sempre notare che fossero troppo inesperti per stare al loro posto e che abbiano pagato le loro scarse capacità con la vita.»
«Non stai più parlando della A+ Series. Se un pilota muore, lo fa nell’anonimato. Qualcun altro prende il suo colore e il suo numero, a partire dall’evento successivo, e si va avanti come se nulla fosse accaduto. Quando un pilota ha un incidente grave e nell’immediato non abbiamo le prove che sia vivo, c’è addirittura il rischio di non scoprire se sia morto o se sia solo rimasto infortunato. Chi muore viene cancellato, non ha nemmeno diritto a una lapide con il proprio nome. Neppure i suoi familiari vengono informati del decesso. Se hai in mente funerali sfarzosi con i fan che si disperano fuori dal cimitero, in attesa del momento in cui potranno visitare la tua tomba senza essere mandati via, allora ti sbagli di grosso. Non è questo il destino a cui andiamo incontro, in caso di morte.»
«Va bene, hai ragione, ma questo cosa c’entra? Perché mi stavi suggerendo di non puntare ad alleanze tra piloti?»
«Perché nessuno si preoccupa davvero di te. Fai quello che devi fare per te stesso e punta a proteggere i tuoi interessi, perché gli altri non faranno niente per te. E ora scusami, ma devo davvero andare via.»
Argento Quattro riuscì finalmente a liberarsi del rivale e ad abbandonare la sala stampa. Doveva raggiungere il proprio retrobox, per andare a riprendere le sembianze di Yannick Leroy e uscirne senza dare nell’occhio, avendo cura di potere essere scambiato tranquillamente per un meccanico o un membro generico del team.
Vi riuscì, d’altronde era ormai un esperto in quell’ambito. Nessuno fece caso a lui, quando uscì dal box e si mise ad aggirarsi per il paddock. Vide il rapper Hamster Gangster, vestito in abiti decisamente più sobri di quelli che portava sul palco, che parlava con l’attivista ambientale Axel Frosch. Sembravano piuttosto affiatati, mentre discutevano di biocarburanti.
Yannick si allontanò domandandosi che cosa ci facessero quei due in Brasile. Per caso Hamster Gangster era diventato il cantante ufficiale della A+ Series? Per quanto riguardava Frosch, non era raro vederlo in compagnia di persone appartenenti al team che schierava monoposto verdi, quindi doveva esserci qualche rapporto di collaborazione, ma era comunque strano che seguisse quella strada in giro per il mondo.
I suoi dubbi vennero messi a tacere quando una voce, dietro di lui, lo chiamò.
«Yannick? Yannick Leroy?»
Si girò, piuttosto lentamente, senza sapere chi si sarebbe ritrovato di fronte. Vide un uomo di origini asiatiche, che portava al collo un pass della stampa.
«Ryuji?» esclamò Yannick, aggrottando le sopracciglia. «Sei tu? Che cosa ci fai qui?»
Davanti a lui, Watanabe rise.
«Sono proprio io, esatto. Lavoro per un giornale giapponese, adesso. Scrivo qualche impressione sui gran premi, da insider.»
«Insider?» replicò Yannick. «Da quando sei un insider della A+ Series?»
«Non proprio insider della A+ Series» puntualizzò Ryuji Watanabe, «Ma sono pur sempre un pilota che ha fatto carriera. Anzi, un ex pilota. Tu, invece? Che cosa ci fai qui in Brasile? Lavori per qualche team?»
Yannick annuì.
«Sì, lavoro per un team, ma non posso dirti né cosa faccio né il colore del team.»
Ryuji parve approvare.
«Mi sembra la decisione più saggia. È meglio cercare di non dare troppo nell’occhio. Comunque mi ha fatto molto piacere rivederti.»
«Anche a me» confermò Yannick. «Non pensavo ti avrei incontrato qui, dopo tanti anni. Possiamo andare a bere qualcosa insieme, una di queste sere.» Ridacchiò. «Magari alla fine del weekend.»«Alla fine del weekend sarebbe perfetto» convenne Ryuji. «Prima è meglio di no, siamo dei professionisti, dopotutto.»



[INTERLAGOS]

Accadde tutto in un istante e Rosso Ventisette ebbe la certezza che nessuno, dall’alto, avesse cercato di proposito quel risultato. Anzi, doveva apparire come un ottimo diversivo da gettare in pasto al pubblico, dopo le performance dirompenti di Argento Quattro nelle sprint race che avevano preceduto il gran premio. Erano state quattro in totale, due con griglia di partenza stilata in maniera canonica e due con reverse grid. Quattro era scattato dalla pole position in due di esse, mentre quando la griglia di partenza era stata invertita aveva rimontato agevolmente fino a posizioni di spessore, il tutto senza essere mai aiutato dal meteo.
Il meteo, in realtà, aveva giocato un ruolo del tutto inesistente nel corso della settimana. Talora il Gran Premio del Brasile era un continuo scrutare il cielo, nell’attesa che i nuvoloni neri si traducessero in un violento scroscio d’acqua. Non era scesa una sola goccia e, quando le nubi avevano fatto la loro comparsa, se n’erano andate tanto rapidamente quanto quella domenica svanirono di punto in bianco le speranze di Rosso Ventisette di conquistare il primo gran premio della propria carriera. Non sarebbe stata considerata la sua prima vittoria personale, ma soltanto un’ennesima vittoria da associare al numero 27, ma Rosso Ventisette non dava troppo peso alle statistiche.
Argento Quattro aveva trascorso in testa la prima metà della gara, ma era stato messo fuori gioco da una foratura. Era un colpo di fortuna, Rosso Ventisette lo sapeva, ma era altrettanto a conoscenza del fatto che i colpi di fortuna dovessero essere sfruttati nel migliore dei modi. Non solo Argento Quattro era precipitato nelle retrovie e, molto probabilmente, aveva anche danneggiato il fondo della propria vettura mentre rientrava ai box su tre ruote, stando ai tempi fatti registrare dopo la foratura, ma anche Viola Cinque, l’altro avversario più temibile, aveva avuto problemi. Pareva si trattasse di motore.
La loro assenza dalle posizioni di rilievo non significava non avere avversari. Rosso Ventisette aveva capito fin dal primo momento che avrebbe dovuto vedersela con il compagno di squadra Ventotto, su una diversa strategia dopo essere partito su una mescola di gomme più dura rispetto alla sua. Dalle informazioni che gli giungevano via radio dai box, Ventisette sapeva di non doversi più fermare ai box. Ventotto, invece, prima della fine della gara avrebbe dovuto effettuare una sosta, anche se al momento non aveva ancora un degrado tale da vedere crollare le proprie prestazioni.
In sintesi, Ventotto non era nelle condizioni di potere lottare per la vittoria, nemmeno se fosse riuscito a passare in testa, a meno che non fosse accaduto qualcosa di totalmente imprevedibile. Non che gli ingressi della safety car che ribaltavano i risultati delle gare fossero totalmente da escludere, così come non si poteva stabilire a priori che non sarebbe stato necessario esporre una bandiera rossa, ma era tutte idee molto astratte. La soluzione più semplice, per Ventotto, sarebbe stato attendere pazientemente alle sue spalle che giungesse il momento della sosta. Infine, negli ultimi giri, con gomme più fresche rispetto alla concorrenza, avrebbe potuto giocarsela con eventuali piloti che gli si fossero messi davanti per effetto del suo pit-stop.
Inutile dire che Rosso Ventotto non era portato per quel genere di ragionamenti, né aveva mai avuto una visione di gara tale da prendere le decisioni più sensate. Ventisette lo sapeva, aveva sentito spesso critiche nei suoi confronti, anche nella stagione precedente. C’era chi, facendo notare il taglio orientale dei suoi occhi, sosteneva che doveva essere un pilota venuto dal Giappone, dove tendenzialmente le competizioni prevedevano uno stile di guida meno tranquillo e attendista. Non vi era, in realtà, alcuna prova che Rosso Ventotto fosse giapponese, né che avesse mai gareggiato in Giappone, così come non sempre i pettegolezzi corrispondevano a realtà. A volte, comunque, ci azzeccavano: si parlava tanto di Rosso Ventisette che nella stagione precedente era Nero Trentacinque, il che era maledettamente vero.
Come Nero Trentacinque non aveva mai potuto ambire a grandi risultati, dopotutto era in una squadra di fondo classifica, ma come Rosso Ventisette aveva avuto chiara fin dal primo momento la possibilità di prendersi delle rivincite. Sarebbe accaduto quel giorno, se Ventotto non l’avesse affiancato di colpo, tentando una manovra tanto assurda quanto inutile. Ventisette reagì d’istinto e chiuse ogni porta: cozzarono l’uno contro l’altro e la loro gara terminò con una lenta agonia. O meglio, quella di Ventotto si concluse di colpo, quando la sua vettura scarlatta rimase ferma, girata di novanta gradi, nel bel mezzo della pista. Mentre i loro avversari lo schivavano, Ventisette riuscì a dirigersi lentamente fino alla pitlane, ma giunto in corrispondenza del proprio box aveva già chiaro di essere destinato al ritiro.
Viola Sei vinse la gara, mentre Arancione Otto uscì vincente da un duello con Verde Quindici per la seconda posizione. Mentre celebravano sul podio, in maniera robotica come prevedevano le consuetudini della A+ Series, Rosso Ventisette attendeva, ancora in tuta e casco, che giungesse il momento delle dichiarazioni post-gara. Non aveva detto nulla e credeva che il suo compagno di squadra avesse optato per la stessa decisione, ma le immagini di Rosso Ventotto su uno schermo, con un microfono davanti, ribaltarono la sua convinzione. Lo ascoltò, inorridito dalle sue parole: Ventotto gli stava dando la colpa del loro contatto, il che era ridicolo.
In circostanze normali, Ventisette non si sarebbe stupito più di tanto di una simile affermazione, d’altronde i piloti avevano la pessima abitudine di dare sempre la colpa agli altri, qualunque incidente accadesse. Se Ventotto non fosse stato il suo compagno di squadra, avrebbe potuto prendere in considerazione l’idea di starlo almeno a sentire, prima di metterlo a tacere. Il fatto che appartenessero alla stessa scuderia cambiava tutto, non perché Ventisette fosse contrario ai duelli tra compagni di squadra - anzi, nelle retrovie vi aveva fatto l’abitudine, negli anni precedenti - quanto piuttosto perché a Ventotto, quando l’aveva affiancato, doveva essere ben chiaro di non essere nella posizione di lottare per la vittoria. Se avesse avuto qualche possibilità concreta di batterlo, con un tentativo di sorpasso, avrebbe avuto senso. Il fatto di essere comunque condannato a una seconda posizione, a una certa distanza dalla vetta, cambiava totalmente le carte in tavola.
Rosso Ventisette non aveva abitudine di fare polemica, dopo gli incidenti, dopotutto chi, nelle retrovie, aveva poco da perdere, spesso aveva la tendenza a rischiare più del dovuto e a infilarsi in situazioni che un top driver avrebbe preferito evitare. Non ne aveva l’abitudine, ma sapeva di dovere mettere in chiaro con Ventotto che non avrebbe tollerato ulteriori accuse pubbliche.
Trovò il suo compagno di squadra ancora in tuta e casco - del resto non avrebbe avuto altro modo di riconoscerlo - poco dopo avere udito la sua intervista. Gli si parò davanti, inveendo contro di lui come mai aveva fatto con altri.
«Che cazzo avevi in mente, coglione?»
«Ehi, calmati» ribatté Ventotto, senza lasciarsi intimidire. «Avevo in mente di passarti davanti ed è esattamente quello che sarebbe successo se tu non mi fossi venuto addosso.»
«Sei stato tu a venire addosso a me» replicò Ventotto. «Che cosa ti eri messo in testa di fare? Lo sai come funziona un gran premio della A+ Series?»
«Certo che lo so. Tu, invece, ne sei così sicuro? Ti hanno mai spiegato che non devi necessariamente fare a ruotate per tutta la durata della gara?»
«Ruotate per tutta la durata della gara? Di che cazzo parli?»
«Sappiamo tutti chi eri l’anno scorso... ed eri poco tranquillo, di solito. I fanboy maschilisti dei social, dicevano addirittura che guidavi come una donna.»
«Perché, come guidano le donne?»
«Non saprei, quantomeno non ho idea di come guidino quelle della A+ Series. Non sappiamo nemmeno se ci siano donne sulla griglia e chi siano.»
«Tu invece hai gli occhi a mandorla. Che sia vero quello che dicono dei piloti giapponesi?»
«Potrei essere anche cinese o coreano, per quanto ne sai, o magari un cittadino di Singapore, la Città del Leone.»
«La città di cosa?»
«Singapore. Città del Leone. Deriva dal sanscrito, “singapura”, e...»
Ventisette interruppe subito la spiegazione del compagno di squadra.
«Non ho bisogno di una guida turistica che mi illustri la città. Siamo a Interlagos, non a Singapore, peraltro.»
«Qui vicino al circuito» lo informò Ventotto, «Ci sono le case popolari del progetto Singapura, che parecchi anni fa fu finanziato dalla città-stato di Singapore. Sorgono dove un tempo c’era una favela.»
«Molto interessante, ma questo cosa c’entra con il nostro incidente?»
«Dicevo così, perché entrambi abbiamo bisogno di calmarci. Condividere questi aneddoti è bello, non trovi?»
«No, non trovo che sia bello, né ho alcun bisogno di calmarmi» replicò Ventisette, con freddezza. «Cosa pensavi di fare dopo essermi passato davanti? Pensavi davvero di potere allungare, in quei pochi giri che ti separavano dal cambio gomme, e di potermi rimanere davanti dopo la sosta?»
«Sono un pilota e, in quanto tale, non mi fermo di fronte a queste sottigliezze» mise in chiaro Ventotto. «È vero, non c’erano molte possibilità, per me, di giocarmi la vittoria, ma le gare finiscono quando viene esposta la bandiera a scacchi, non prima. Può succedere di tutto, fino a quel momento. Ecco spiegato perché ho provato a superarti.»
«Per colpa tua abbiamo buttato via una gara in cui avremmo fatto sicuramente doppietta.»
«No, non per colpa mia. Per colpa tua.»
Rosso Ventisette scosse la testa.
«Tu sei completamente pazzo.»
«No, per niente» replicò Ventotto. «Rifletti, dovevo ancora fermarmi e dietro c’erano dei piloti che avrebbero potuto rimanere davanti a me dopo la sosta. Se tu ti fossi levato di mezzo e mi avessi fatto passare, avrei potuto allungare e, una volta fatto il pit-stop, sarei riuscito a rimanere davanti a tutti, tranne che a te. Mi accusi di avere innescato un incidente, quando in realtà stavo solo cercando di massimizzare il mio risultato. Non ho mai voluto fare nulla contro di te.»
«Non hai mai voluto fare nulla contro di me» ribatté Ventisette, sprezzante. «Inventatene una migliore. Non fai altro che ripetere che tu non guardi mai in faccia a nessuno, che non ci sono compagni di squadra per te, ma solo avversari da battere.»
«Infatti avrei cercato di batterti, se fosse stato possibile» puntualizzò Ventotto. «Però ci vuole realismo e, a meno che non fosse accaduto nulla di strano, non sarebbe accaduto.»
Ventisette gli ricordò: «Hai detto tu stesso, pochi istanti fa, che stavi lottando per la vittoria. Un attimo dopo hai cambiato versione dei fatti. È l’atteggiamento tipico di chi ha torto e cerca di pararsi il culo a tutti i costi.»
«Non sto cercano di pararmi il culo, non ne ho bisogno» ribatté Ventotto. «Sono responsabile delle mie azioni, così come tu sei responsabile delle tue. E, per quanto tu voglia negare, hai la tua parte di responsabilità in quello che è successo.»
«Vedo che stai cambiando versione dei fatti un’altra volta» osservò Ventisette. «Prima era tutta colpa mia, adesso è colpa mia solo in parte. Ti vedo piuttosto indeciso. Del resto non mi stupisce, uno come te non deve essere molto sicuro di quello che gli passa per la testa. Non saprai nemmeno se sei un vero pilota o solo uno sfasciacarrozze...»
«Sembri uscito da una polemica sui social. Siamo ancora qui a mettere in discussione chi sia o non sia un vero pilota?»
«Impara a guidare e vedrai che nessuno lo metterà in discussione.»
«Forse sei tu che dovresti imparare a guidare e ad accettare l’idea di potere subire un sorpasso. So che nelle retrovie correvate sempre con il coltello tra i denti, ma qui funziona diversamente.»
Rosso Ventisette rise, sprezzante.
«No, per favore, non venirmi a spiegare tu come guidano i top driver. È la cosa più ridicola che potresti fare.»
«Lo ammetto, a volte mi sono ritrovato in qualche situazione non troppo simpatica» confermò Ventotto, «E ho fatto manovre avventate, ma oggi non è uno di quei giorni.»
«Eppure» precisò Ventisette, «La gara di entrambi è finita perché tu hai preso un’assurda iniziativa.»
«Il nostro mestiere è prendere iniziative» tagliò corto Ventotto. «Io ho preso la mia, tu hai preso la tua. Pensi che non avrei dovuto cercare il sorpasso? Va bene, posso accettarlo. Tu, però, devi accettare l’idea che io la pensi diversamente da te.»
«Adesso sei disposto ad accettare che io abbia un’opinione diversa, pur di non doverti più arrampicare sugli specchi per trovare una giustificazione, quindi.»
Rosso Ventotto sbuffò.
«Sembra di parlare con quel cazzone di Argento Quattro!»
Il loro collega non aveva esattamente un’ottima reputazione, per quanto riguardava il modo di rapportarsi con gli altri piloti fuori pista, quindi Ventisette si difese: «Non mi sembra di avere fatto nulla di tanto spropositato. Mi sono solo lamentato di essere stato messo fuori pista e tacciato di essere io il colpevole. Non so che cosa ti aspettassi da me, ma non puoi rovinarmi la gara e parlare male di me alle mie spalle senza vedere alcun tipo di reazione.»
«Ehi, piano con le accuse» si difese Ventotto. «Non ho parlato male di te alle tue spalle. L’ho fatto in un’intervista pubblica, che tu stavi ascoltando. Avresti potuto fare la stessa cosa, dare la tua versione dei fatti invece di startene rintanato nel retrobox. Era un tuo diritto, non è colpa mia se hai preferito tacere. La prossima volta svegliati prima, invece di lamentarti perché non tutto gira intorno alle tue esigenze.»
«Non tutto gira intorno alle mie esigenze?! Le senti le assurdità che stai dicendo? Sei tu, adesso, quello che somiglia ad Argento Quattro.» Ventisette voltò le spalle al compagno di squadra. «Va beh, ho già sentito abbastanza stronzate, meglio che vada. Cerca di non fare altri casini... intendo la prossima volta in cui ti metterai al volante, almeno quando non stai guidando immagino che tu sia capace di non fare danni.»
Si era già allontanato di alcuni metri quando, di colpo, qualcuno gli arrivò alle spalle e lo afferrò per un braccio.
Rosso Ventisette si voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia con il suo compagno di squadra.
«Cosa vuoi ancora?»
«Niente, solo dirti che per me questa storia finisce qui. Non sono come Argento Quattro e mi auguro nemmeno tu.»
«Come Argento Quattro?» ripeté Ventisette. «Cosa vuoi dire?»
Ventotto chiarì: «Più di una volta, quando succedeva qualcosa di controverso, ha avuto reazioni strane, a volte spropositate. Io non sono come lui. Non sono tipo da revenge crash o cose del genere, né da rallentarti di proposito in qualifica. Naturalmente mi aspetto la stessa cosa da te.»
«Mi stai dicendo che credi nella convivenza civile?»
«Assolutamente sì. Mi dispiace per l’incidente di oggi, anche se sono davvero convinto di non avere fatto nulla di esagerato e di non essere l’unico colpevole. Non si ripeterà più. O meglio, non escludo che prima o poi ci saranno altri incidenti tra noi due, ma di certo non intendo innescarne uno di proposito. Spero che anche per te valga la stessa cosa.»
Rosso Ventisette annuì.
«Sì, certo. Ho avuto la reputazione di pilota spericolato, e forse ce l’ho ancora, ma nemmeno io faccio danni di proposito. Puoi fidarti di me.»
«E tu di me» rispose Ventotto. «Per me quello che succede in pista finisce in pista. Non avrei nemmeno discusso dell’incidente con te, se non fosse stata tua intenzione farlo. Non sono uno di quei piloti che cercano di scoprire la tua identità per cercare di metterti in difficoltà. Chissà, magari ci conosciamo addirittura, fuori dalla pista.»
Non capitava spesso che qualcuno facesse una simile osservazione.
«Già, magari certi piloti con cui ci prendiamo a sportellate in pista sono addirittura nostri amici quando non stiamo guidando. Non credo sia il tuo caso, però: non ho amici giapponesi con i capelli sparati in aria e le punte tinte di blu.»
«Cosa ti fa pensare che io abbia i capelli sparati in aria e le punte tinte di blu?»
Ventisette ridacchiò.
«Non hai negato di essere giapponese. Forse è il primo passo per scoprire chi sei davvero. Non per farti radiare, sia chiaro, solo per poterti conoscere anche come persona.»«Vola basso, Ventisette» gli suggerì Ventotto. «È meglio non farsi venire certe idee. Conoscersi come persone è pericoloso, sarà meglio evitarlo.»

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