domenica 16 aprile 2023

Il Paradosso del 27 - puntata 1/9

Buona domenica a tutti, eccomi pronta per svelarvi la prima puntata di questo racconto, di cui vi avevo anticipato qualcosa di ieri sera. Spero che possa essere di vostro gradimento.
Qualora non siate abituati alla lettura di opere di fantasia, vi ricordo che il POV dell'Autrice(C) non corrisponde a quello dei personaggi, in particolare di quelli più svalvolati.
Vi esorto tutti, specie se lavorate per Liberty Media, a non replicare nel mondo reale quello che succede nella mia fan fiction. O almeno pagatemi i diritti d'autore! ;-)



[PRE-SEASON]

Era la fine di settembre. Milionari disposti a spendere migliaia e migliaia di dollari per assistere dal vivo agli eventi che avrebbero fatto da contorno al Gran Premio di Las Vegas presto avrebbero potuto posare sulle tribune extralusso con l’aria annoiata e le mani sulle orecchie per proteggersi dal frastuono dei motori. Frattanto squattrinati disposti a spendere decine e decine di euro, dollari o sterline per sottoscrivere abbonamenti alle PayTV e acquistare gadget a tema, si sarebbero affaccendati sui social network a scrivere insulti rivolti a chi, per impegni lavorativi, avesse saltato la visione sistematica di qualsiasi sessione di prove libere. Non che fossero rimaste molte sessioni di prove libere, prontamente sostituite da gare sprint o a griglia di partenza invertita da dare in pasto all’affamato pubblico che amava la A+ Series, ma quello che contava era il concetto.
Talvolta lo stesso CEO si stupiva di quanto fosse facile raggiungere menti poco brillanti e di convincerle che tutto venisse fatto per assecondare i loro desideri. In realtà non erano che parte del tutto: seguivano un campionato automobilistico con un interesse maniacale per qualsiasi elemento di contorno, prestando addirittura più attenzione a colore delle paillettes della giacca che avrebbe indossato il celebre rapper Hamster Gangster al concerto di apertura della stagione piuttosto che alla competizione. Perfino quel pubblico che un tempo si lamentava perché il fragore dei motori era calato a poco a poco, nel corso degli ultimi tre lustri, aveva da tempo dimenticato l’argomento. Del resto ormai erano qualifiche e gare a fare da contorno a un evento più ampio, spesso contornato dalla presenza di ospiti d’onore che non avevano il benché minimo legame con l’automobilismo, piuttosto che il contrario.
Un tempo il CEO stesso era stato scettico di fronte all’idea di un simile futuro, ma un’ottima collaboratrice gli aveva aperto gli occhi e l’aveva messo a tu per tu con una verità scintillante: l’idea di preservare l’essenza delle competizioni motoristiche era il nulla, gli incassi erano tutto, e da ogni click, ogni flame e ogni commento ai colori delle bandane portate in testa dalle celebrità che si aggiravano per il paddock senza la benché minima comprensione di quanto vedevano portava all’aumento degli incassi.
La collaboratrice in questione si chiamava Maelle Heidelberg e aveva lavorato come social media manager della A+ Series fin dal primo momento in cui i social network avevano iniziato ad avere un ruolo attivo nello sport. A distanza di anni, tuttavia, era giunto il momento di una promozione. Il CEO aveva bisogno di collaboratori fidati e nessuno era più fidato della Heidelberg. Tra i quaranta e i cinquant’anni, il CEO non ricordava la sua età precisa, era una donna piuttosto pragmatica, che offriva il proprio contributo in molteplici forme. La sua competenza era molto utile, il suo genere anche: le tifose non facevano altro che invocare la rappresentazione delle donne nel motorsport e Maelle faceva al caso loro. Sorrideva con aria compiacente alle ragazzine che urlavano “girlpower!” e una volta tornata dietro le quinte si occupava di ciò che importava a ogni affarista, indipendentemente dal genere: l’interesse economico della categoria.
In più il CEO doveva riconoscerle una buona dose di sadismo. Non aveva molta confidenza con lei e non gli interessava conoscerla meglio in ambito non lavorativo - anzi, forse ne avrebbe quasi avuto paura - ma sul lavoro non aveva alcun pelo sulla lingua. Non si faceva remore a pronunciare ad alta voce parole o frasi che molti altri avrebbero avuto a malapena il coraggio di pensare e non era raro che se ne uscisse con qualche invettiva contro gli standard di sicurezza troppo elevati. Secondo Maelle, una maggiore possibilità che si verificassero incidenti gravi o addirittura mortali durante le gare avrebbe contribuito a innalzare il livello di attenzione da parte dei tifosi. Non aveva tutti i torti: buona parte del pubblico non l’avrebbe mai ammesso, ma il sogno di buona parte dei telespettatori era quello di vedere il proprio idolo morire e diventare un eroe. Non era più possibile alla stessa maniera di un tempo, ma bisognava lavorare a quell’aspetto. Purtroppo prima c’era una brutta gatta da pelare e, proprio per quella ragione, il CEO attendeva Maelle.
La Heidelberg bussò allo stipite della porta, prima di entrare. Conosceva la prassi: se trovava aperto, poteva introdursi liberamente nell’ufficio del CEO, a condizione di segnalare la propria presenza. Aveva l’aria soddisfatta, mentre si infilava dentro. Per chi non la conosceva, nel suo completo grigio e con i capelli raccolti, poteva apparire come una professionista qualsiasi. Non lo era e l’espressione del suo volto significava una cosa sola.
«Buongiorno Maelle» la accolse il CEO. «Si sieda.»
Maelle si accomodò di fronte a lui e, con un sorrisetto beffardo, osservò: «Il nuovo sistema di influenza esterna è fantastico. Secondo me dovrebbe essere sperimentato già a Las Vegas. Ho già in mente perfino il pilota.»
Quella donna stava facendo il passo più lungo della gamba.
«Maelle, l’ho convocata per parlare di Rosso Ventisette.»
«Sì, direttore, lo immaginavo. Pensavo che, dato che siamo qui, si potrebbe parlare anche della nuova opzione, tuttavia. Le assicuro che la mia idea le piacerà tanto quanto a me piace il concetto.»
«Non lo metto in dubbio» ammise il CEO, «Ma manca una settimana all’inizio del campionato e abbiamo un pilota che sta violando le regole della categoria, o quantomeno minaccia apertamente di violarle. Spero si renda conto della gravità della situazione e del fatto che necessiti la priorità.»
Maelle scrollò le spalle, con aria quasi indifferente.
«Mi ha chiamato per questo? Non voglio essere scortese, ma credo non abbia bisogno del mio parere per agire. Morto un Ventisette se ne fa un altro.»
«Lei è troppo ossessionata dalla morte» ribatté il CEO. «Quel tipo non deve essere soppresso, ma semplicemente radiato dalle competizioni. Dopotutto deve essere il suo obiettivo. Vuole andare a correre in Indycar, perché il suo sogno è ottenere la Triple Crown. Da come parla, sembra voglia lasciare intendere di avere già vinto la Ventiquattro Ore di Le Mans, e questo finirebbe per dare indizi sulla sua effettiva identità. Come se non fosse già abbastanza grave, sembra considerare la sua vittoria al Gran Premio di Montecarlo di parecchi anni fa come una vittoria effettivamente sua e non del numero che porta. Tutto ciò non è accettabile. Il lavoro fatto per rendere i colori e i numeri superiori alle scuderie di un tempo e ai piloti non può essere vanificato dalle sue ambizioni.»
Maelle obiettò: «Radiarlo, però, non farà altro che risvegliare la sua sete. Finora si sta trattenendo perché deve sottostare alle nostre regole. Dovremmo fare qualcosa di più. Potrebbe bastare poco, non dico necessariamente un’uscita di pista, quelle hanno effetti così difficili da controllare. Vediamo botti micidiali, ma fin troppo spesso i piloti ne escono senza nemmeno un graffio. Dicono che hanno visto tutta la loro vita scorrere davanti ai loro occhi, e quelle scemenze lì, ma il giorno dopo se ne dimenticano e tutto continua esattamente come prima. Non c’è molto che possiamo fare, da quell’aspetto, ma si può pensare ad altro. Non saprei, magari potrebbe ricevere una scossa elettrica dalla monoposto mentre è al volante e...»
Il CEO interruppe quella proposta sul nascere: «Dobbiamo rimanere ancorati alla realtà, Maelle. Mi rendo conto che sarebbe molto bello potere influire sulle gare e sulla vita dei piloti anche tramite scosse elettriche mentre stanno guidando, ma non possiamo spingerci così tanto in là, possiamo solo sognarlo. Abbiamo dodici opzioni meravigliose per controllare, se necessario, gli esiti delle competizioni. Rispettano tutte certi principi etici e non dobbiamo allontanarcene.»
Maelle riprese improvvisamente a sorridere.
«Dodici?»
«Finora erano dodici» ammise il CEO. «Lo so, vuole parlare a tutti i costi dell’opzione tredici, ma le assicuro che...»
Maelle lo interruppe: «Nero Trentasei.»
Il CEO non capì.
«Cosa intende?»
«Intendo Nero Trentasei, quel pilotino arrivato dalla Seconda Divisione.»
«So benissimo di chi sta parlando, ma in che modo si collega alla nuova opzione?»
«Quell’opzione deve essere sperimentata in opera» puntualizzò Maelle. «Abbiamo bisogno di una cavia e non potrei immaginare una cavia migliore di lui.»
«È solo un pilotino delle retrovie» replicò il CEO. «La gente si rende conto a malapena della sua presenza. Potrebbe essere chiunque: il figlio di un milionario qualsiasi, un pilota supportato da un grosso sponsor che ha creduto nel suo talento, oppure addirittura un pilota di seconda generazione con un cognome famoso. Però è solo Trentasei, l’ultima ruota del carro.»
«Appunto» ribatté Maelle. «Dobbiamo fare una prova, non qualcosa di altisonante. Quello di Las Vegas sarà il primo gran premio della stagione. Non abbiamo alcun motivo valido per bloccare all’improvviso e a sorpresa il traction control sulla vettura di uno dei big, quello potremmo farlo quando sarà il momento opportuno e inizierà a delinearsi la lotta per il mondiale. Per questo ho proposto Nero Trentasei. È solo un tizio qualsiasi di cui non importa nulla a nessuno. Non si farà male, le vetture di oggi sono indistruttibili. Poi c’è pure l’halo, non gli arriverà una ruota in testa, se dovesse staccarsi dalla sua vettura. Peccato perché al pubblico piace il sangue, ma in questo momento non dobbiamo pensarci.»
«Perché Nero Trentasei?»
«Perché mi piace l’ironia.»
«Le ho mai detto che è un genio del male, Maelle?»
«Decine e decine di volte.»
«Allora glielo ripeto, ma le faccio anche notare che certa ironia possiamo coglierla soltanto noi, che stiamo ai piani alti.»
Nemmeno a quelle parole Maelle smise di sorridere.
«Ancora meglio, non crede? Gli affari sono importanti, ma non bisogna mai smettere di cercare un po’ di allegria. Il modo migliore per trovarla è essere al di sopra di tutto. Il pubblico non sa. Il personale dei team non sa. La stampa e gli addetti ai lavori non sanno. Noi sappiamo benissimo chi c’è dietro a ogni numero, chi sono quei piloti senza identità che pubblicamente devono sempre indossare tuta e casco e parlare attraverso un congegno che neutralizza il loro accento. Nessuno può riconoscerli, ma noi sappiamo perfettamente quale sia l’identità di ciascuno di loro. Abbiamo un potere enorme, abbiamo il controllo di tutto. Dobbiamo sfruttarlo per il nostro interesse, ma non c’è nulla di male a farlo per puro divertimento personale. Ci pensi e mi faccia sapere cosa ne pensa, se sperimentare l’opzione tredici sulla macchina di Nero Trentasei non le sembra una possibilità meravigliosa.»
Il CEO annuì.
«Come vuole. Adesso, però, parliamo di cose serie. Ho già trovato un nuovo Ventisette, non ci resta altro da fare che formalizzare l’addio con quello precedente.»
Maelle non parve indifferente alla notizia.
«Chi è il nuovo Rosso Ventisette?»
«Non abbia fretta, Maelle» ribatté il CEO. «Ogni cosa a suo tempo.»
«Pensavo mi avrebbe dato almeno qualche anticipazione. Chiaramente è normale che io non sia stata consultata, nemmeno a titolo informativo, ma sa benissimo che può fidarsi di me. Abbiamo sempre gestito bene la stanza dei bottoni e mi piacerebbe se...»
«Lo so, le piacerebbe essere informata subito. È proprio insaziabile, Maelle. Uno vale l’altro, non crede? Ho scelto il profilo più adeguato per le nostre esigenze: Rosso Ventisette deve essere in grado di competere alla pari con Argento Quattro e con Viola Cinque. Dobbiamo chiaramente assicurarci che non vinca il mondiale, per la solita regola aurea secondo cui le monoposto di colore rosso devono arrivare vicine al titolo, almeno occasionalmente, ma non vincerlo, il che ovviamente sarà molto facile da controllare.»
«Si è assicurato che Rosso Ventisette sia un pilota più veloce del suo compagno di squadra? L’altra regola aurea è che alle vetture rosse corrispondono i numeri 27 e 28 e che chi porta il numero 27 debba essere considerato un pilota più interessante e promettente del compagno di squadra.»
«Non si preoccupi per questo aspetto, Maelle. Mi fa piacere che sia così interessata alle sorti del campionato, ma non metta costantemente in dubbio le mie capacità.» Il CEO ridacchiò. «Invecchiando non perdo colpi, anzi, mi viene sempre in mente qualche trovata migliore. Non sarò diabolico tanto quanto lo è lei, in alcune occasioni, ma me la posso ancora cavare.»
Maelle lo guardò con aria implorante, insistendo: «Il nome?»
Il CEO sospirò.
«Come vuole. Lo saprà.»
Fissò la sua assistente, mentre pronunciava le vere generalità del prescelto Rosso Ventisette.
Maelle parve spiazzata.
«Oh, non mi aspettavo che...»
Il CEO le strizzò un occhio.
«Lo vede? Sono ancora capace di stupirla. La A+ Series è in buone mani.»
«Assolutamente» convenne Maelle. «Mi fa piacere che abbia avuto questa idea. Non potevo immaginare candidati migliori, se devo essere sincera.»
«Veniamo alle cose davvero serie, invece» ribatté il CEO, un po’ come se il nuovo pilota chiamato a guidare la vettura più in vista della griglia fosse una questione di poco conto. «Ho convocato l’attuale - quasi ex - Rosso Ventisette per oggi. Arriverà tra circa un’ora. Voglio essere da solo con lui, quando lo informerò della sua radiazione. Gli proporrò un accordo vantaggioso anche per lui, affinché non gli venga in mente di violare le nostre regole anche quando non farà più parte della A+ Series. Presto questa faccenda sarà chiusa e potremo occuparci a tutto tondo del campionato imminente.»
«E i fan» osservò Maelle, «Potranno occuparsi del colore dei pantaloni attillati di Hamster Gangster come se da quelli dipendesse il destino delle corse automobilistiche.»
«Esattamente» confermò il CEO, «Mentre noi valuteremo come sperimentare la nuova opzione. Aveva ragione. Nero Trentasei potrebbe essere il candidato ideale.»
«Sapevo che avrebbe tenuto in considerazione la mia proposta» concluse Maelle. «Ne sono davvero felice, mi fa molto piacere.»



[LAS VEGAS]

Concerti, spettacoli, passerelle per vip americani con un’idea piuttosto creativa di cosa fosse l’eleganza e una ancora più creativa di cosa fosse il motorsport: era così che iniziava il Gran Premio di Las Vegas, evento di apertura da tempo autoproclamato come il migliore di tutta la stagione. Argento Quattro era piuttosto scettico, non comprendeva la ragione di circondarsi di personalità dei reality show statunitensi che venivano invitati ad assistere all’evento, senza la benché minima idea di cosa fosse la A+ Series, e non nella maniera in cui non ne avevano idea gli statunitensi appassionati di Indycar o di NASCAR. Quel tipo di ospiti non sapeva nemmeno di cosa fossero Indycar e NASCAR e vedeva la A+ Series come un mero palcoscenico sul quale esibirsi.
Non era neanche tanto il caso di chi si esibiva veramente, come il rapper chiamato a cantare nel concerto di apertura, sulla cui identità c’erano comunque molti dubbi e che difficilmente era statunitense, dall’accento con cui parlava, quanto piuttosto di gente che, non sapendo fare niente, non poteva nemmeno essere convocata per fare spettacolo. Uomini e donne da reality show, conosciuti soltanto a un pubblico di teledipendenti a stelle e strisce, facevano grid-walk prima delle gare, urlando dei “mi lasci in pace, altrimenti chiamo le guardie del corpo, io sono una persona importante, mentre lei chi è?” ad affermati giornalisti del settore che chiedevano loro quale fosse la loro squadra preferita della A+ Series oppure se tifassero per un pilota nello specifico.
Argento Quattro disprezzava con tutte le proprie forze quel teatrino ed era molto felice che non venisse replicato in ogni dove. Fortunatamente almeno nei luoghi che avevano cultura dell’automobilismo quel fenomeno era molto più contenuto. Si contava ovviamente la presenza di qualche influencer, ma difficilmente l’influencer diventava il fulcro dell’evento stesso. Disprezzava quel teatrino, ma non vi si sarebbe mai opposto pubblicamente: quello che contava, per Argento Quattro, non era la piacevolezza dell’evento per il tifoso che avesse un’idea almeno vaga di cosa fossero le corse automobilistiche, quanto la possibilità di conquistare un titolo mondiale. Non gli importava nemmeno di offrire agli appassionati una guida spettacolare o manovre destinate a entrare negli annali, tutto ciò che contava era il risultato finale.
Il colore argento, con il 4 come numero di gara, aveva già vinto un titolo, diversi anni prima, e in quanto successore del precedente pilota, Argento Quattro era di fatto considerato un ex campione del mondo, ma quel ruolo gli era sempre stato stretto, così come le assurde regole della A+ Series secondo le quali, una volta che un pilota usciva di scena, chi veniva dopo di lui ne dovesse prendere l’identità. Nessuno veniva informato pubblicamente di questo avvicendamento, spettava ad appassionati, giornalisti o addetti ai lavori accorgersi dello scambio e tentare di comprenderne le ragioni: c’era chi si ritirava spontaneamente dalle competizioni, come sembrava fosse avvenuto nel caso del precedente Argento Quattro dopo la vittoria del titolo mondiale, chi veniva radiato per qualche ragione, come si vociferava che fosse accaduto a Rosso Ventisette, con il nuovo che veniva tacciato di essere un pilota diverso a quello che aveva guidato la monoposto rossa nelle passate stagioni, chi semplicemente veniva assegnato a un altro volante per qualsivoglia ragione.
Era accaduto anche questo, al vecchio compagno di squadra di Argento Quattro. Non ne conosceva l’identità, né di quello precedente né di quello nuovo, ma era ben felice che il vecchio Tre fosse stato levato di mezzo. Era forse il pilota più competitivo presente sull’intera griglia, avrebbe collezionato mondiali a raffica se non fosse stato spostato al volante di una vettura meno performante. Era molto probabile che fosse divenuto Arancione Otto, anche se statura, occhi e contorno occhi erano tutto ciò che rendevano riconoscibile un pilota, abbinati in minima parte al modo di muoversi e di parlare. Non veniva mostrato molto dei piloti, quando non erano al volante, ma vederli camminare in tuta e casco non era così inconsueto. Anche l’accento veniva neutralizzato da un apposito congegno, quando parlavano, ma era impossibile rendere i piloti del tutto anonimi, nonostante quell’aggeggio funzionasse anche come traduttore simultaneo, allo scopo di impedire di far trapelare fino a che punto un pilota fosse fluente nella lingua nel quale si esprimeva. Alcuni dei colleghi di Argento Quattro, incuranti dei rischi ai quali finivano per esporsi, spesso si lasciavano andare a esternazioni che non sarebbe stato difficile attribuire proprio a loro, anche da parte di chi non avesse saputo chi fosse a esprimere tali concetti. C’era chi si lamentava sempre delle manovre di altri piloti, comportamento del tutto innocuo, e chi faceva lo stesso tentando di screditare i piani alti del campionato.
Argento Quattro comprendeva il bisogno di ribellione, ma riteneva con convinzione che un certo tipo di atteggiamento fosse piuttosto infantile. Erano tutti adulti, non erano più scolaretti convinti che tutto dovesse essere contestato. Dopotutto gli adolescenti erano costretti a frequentare la scuola, dalla famiglia oppure dalle leggi dello Stato di residenza, ci stava in pieno che si sentissero stretti nelle imposizioni alle quali dovevano sottostare. Non funzionava così per i piloti della A+ Series e ogni tipo di ribellione era del tutto inutile: nessuno di loro era stato costretto a diventare pilota, ma anzi, la maggior parte di loro erano arrivati in alto grazie a sacrifici economici più o meno ingenti di famiglie già molto abbienti, in più ciascuno di loro avrebbe potuto scegliere tranquillamente di gareggiare in un’altra categoria. I piloti di Indycar, endurance, turismo, stock car e chissà quante altre categorie erano liberi di mostrare il proprio volto sotto la luce del sole e di presentarsi con il proprio nome. Potevano essere normalissimi esseri umani, portare partner, figli, genitori, fratelli, sorelle e amici con loro sui circuiti, potevano pubblicare sui social network i propri pensieri - a condizione, ovviamente, che esprimessero concetti accettabili ed entro i limiti della legalità, così come accadeva per qualsiasi altro libero cittadino - oppure le fotografie dei loro animali domestici. In più le vittorie e i titoli che ottenevano erano associati al loro nome e destinati a rimanere indelebili nella storia del motorsport per tutti i decenni a venire, così come era stato un tempo in Formula 1, la categoria automobilistica che aveva preceduto la A+ Series.
Detestare le dinamiche del campionato era assolutamente accettabile, ma Argento Quattro riteneva che ciascuno dovesse avere la decenza di tenere per sé i propri pensieri, invece di condividerli con il resto del mondo. Chiunque di loro avrebbe potuto andarsene in qualsiasi momento e dimostrare il proprio talento, mettendoci la propria identità, in qualsiasi altra categoria. I contestatori avrebbero fatto meglio a lasciare la A+ Series una volta per tutte e cercare di costruirsi una nuova carriera in Indycar o in endurance, senza aspettare di essere vicini alla soglia dei quarant’anni oppure di essere cacciati. D’altronde erano quelle le strade che tentavano una volta tagliati fuori, tanto valeva farlo prima, se le regole della A+ Series erano troppo strette per i loro gusti.
Chi restava, pensava Argento Quattro, avrebbe fatto meglio a tollerare personalità imbarazzanti che si aggiravano per i circuiti, così come un format creativo almeno tanto quanto gli indumenti fashion - altresì definibili come estremamente tamarri - delle star dei reality. Il programma del weekend poteva cambiare in corso d’opera ed era diverso da un gran premio all’altro. Solo uno degli eventi era ancorato a rituali precisi, destinati a non cambiare mai, ovvero il Gran Premio di Montecarlo che si svolgeva in genere nell’ultimo fine settimana di maggio. Ciò non avveniva per preservarne la storia, quanto piuttosto per aumentarne la percezione di anacronismo e spingere i tifosi a chiederne a gran voce la cancellazione. Si vociferava ormai da anni che fosse destinato all’eliminazione dal calendario, per essere sostituito da un gran premio a Miami. Il pubblico americano, quel tipo di pubblico attirato grazie a campagne social orientate all’adolescente medio, fosse esso adolescente per effettiva età o solo per età mentale, ne era entusiasta, convinto che Montecarlo danneggiasse l’etica dello sport in quanto vetrina per celebrità milionarie europee anziché per celebrità milionarie americane. Si parlava addirittura di un porto finto disegnato sul circuito cittadino di Miami, che non si trovava vicino all’acqua, nel quale piazzare yacht veri, a imitare lo scenario del Gran Premio di Montecarlo. Inutile dire che quel tipo di tifoseria, in prevalenza americana, sul quale si investiva tanto era molto affascinato da questa prospettiva. Si vociferava addirittura che a Miami si potesse gareggiare, in via sperimentale, all’avvio della successiva stagione, il che avrebbe significato rimpiazzare Las Vegas per un anno.
Ad Argento Quattro quell’ipotesi era indifferente, tendenzialmente i circuiti cittadini americani erano indecenti, tradizione ereditata dalla Formula 1 degli anni ’80, e rinunciare a un’edizione del Gran Premio di Las Vegas per avere al suo posto quello di Miami non gli avrebbe cambiato la vita. In più mancava ancora un anno e aveva ben altro di cui occuparsi. L’evento inaugurale della stagione 2021/22 non era andato male, anche se si sarebbe aspettato di più. Era inevitabile che i suoi pensieri andassero avanti e indietro verso la gara sprint nella quale si era imposto raccogliendo una certa quantità di punti, per poi non riuscire a rimontare nella seguente, con griglia di partenza invertita rispetto al risultato della prima. Nell’evento finale, quello che somigliava a un vero e proprio gran premio come quelli di un tempo e che assegnava la parte più grossa del punteggio, aveva ottenuto solo un quarto posto. Viola Cinque aveva dominato la gara e Rosso Ventisette e Rosso Ventotto erano saliti sui gradini più bassi del podio.
In sintesi, ciò che era iniziato bene si era trasformato in una delusione, nella fattispecie una di quelle delusioni che avrebbe dovuto cercare di togliersi dalla testa, perché Argento Quattro non era solo Argento Quattro. Quando si toglieva tuta e casco tornava a chiamarsi Yannick. Aveva ventinove anni, anche se ormai era vicinissimo ai trenta, gli piacevano le moto potenti, i film d’azione, la musica rock e le donne come Alysse. Si conoscevano di vista da diversi anni, ma solo alla fine del mondiale precedente avevano preso a frequentarsi. Non si erano incontrati nel corso dell’estate, ma erano rimasti in contatto. Yannick non sapeva esattamente che professione svolgesse Alysse, ma aveva dedotto che dovesse essere una social media manager o un’addetta stampa di qualche squadra della A+ Series.
Le aveva confidato di essere un pilota della categoria, ma ovviamente non aveva fatto cenno alla propria identità. Se fosse stata divulgata, sarebbe stato immediatamente radiato. Non poteva permettersi che ciò accadesse, non prima di avere placato la propria sete di vittorie conquistando il titolo, almeno, quindi non doveva mai abbassare la guardia. Alysse era una donna piacente di trentadue anni, con lunghi capelli biondi e l’aria piuttosto atletica, in apparenza leale e sensibile, con la quale era stato a letto un paio di volte e che gli aveva rivelato di essere stata sposata in passato, ma dietro a quell’immagine avrebbe potuto nascondersi una spia sul libro paga dei suoi avversari. Yannick sapeva di essere uno dei piloti più forti, tra i top-team, e non si sarebbe stupito se i suoi rivali avessero ricorso a qualsiasi mezzo pur di sbarazzarsi di lui. D’altronde, se avesse conosciuto l’identità di qualcuno di loro, non avrebbe esitato a usarla per ottenere i propri scopi: la A+ Series era un mondo maledettamente competitivo e c’erano due sole possibilità, essere pronti a tutto oppure mantenersi sempre molto entro i limiti della correttezza. C’erano tanti piloti dall’animo nobile che optavano per la seconda, ma ciò diminuiva di gran lunga le loro probabilità di vittoria. Yannick aveva capito già da tempo che quella strada non si abbinava bene ai suoi obiettivi. Non era dotato dello stesso talento che avevano le punte di diamante del campionato, se voleva batterli doveva colpirli dove meno se lo aspettavano.
Le sue riflessioni vennero interrotte proprio dall’arrivo di Alysse. Portava un abito rosso lungo fino al ginocchio che le stava d’incanto e si guardava intorno come a cercarlo. Yannick attirò la sua attenzione con un cenno e sperò che si accorgesse di lui e lo raggiungesse al tavolo. In altre circostanze avrebbe evitato di gran lunga di sedersi in un bar di Las Vegas, nel quale perfino un semplice caffè poteva costare quanto la cena di uno chef stellato, ma la prospettiva di incontrare Alysse dopo tanto tempo era più importante di tutto il resto.
La presunta social media manager venne verso di lui e gli si sedette di fronte osservando: «Non sono sicura che potrò permettermi il conto di questo locale.»
Yannick ridacchiò.
«Ci stavo pensando anch’io.»
Alysse gli strizzò un occhio.
«Non dire assurdità, lo so che voi piloti siete tutti pieni di soldi.»
«Allora avrei dovuto inventarmi che ero un inviato sottopagato di qualche televisione random» borbottò Yannick. «Sarebbe stato tutto molto più semplice.»
«Già, non ti avrei chiesto come sia andato il gran premio.»
«La devo prendere come una domanda?»
«Una domanda a cui temo non darai risposta» ammise Alysse, «Ma pur sempre domanda.»
«Hai ragione, non posso risponderti» confermò Yannick, «Comunque avrebbe potuto andare meglio.»
«So per certo che non hai vinto tu» ribatté Alysse. «Non puoi essere Viola Cinque.»
Yannick non sapeva se fosse opportuno alzare la guardia, di fronte a una simile osservazione, ma c’era solo un modo per scoprirlo.
«Come lo sai?» le chiese. «Per caso vai in giro a fare domande su di me?»
Alysse scosse la testa.
«No, figurati. Non faccio domande inutili, nessuno mi darebbe una risposta. Immagino, peraltro, che nessuno sappia chi sei davvero.»
«Immagini bene. Allora da che cosa hai dedotto che non sono Viola Cinque?»
«I tuoi occhi sono azzurri, ma non di quell’azzurro così brillante.»
Era tutto molto più semplice di quanto Yannick avesse immaginato.
«Non pensavo facessi caso al colore degli occhi dei piloti. Mi sembra un comportamento molto da fangirl. Non so se hai presente, quelle che sui social si comportano come se i piloti fossero componenti di una boyband.»
«Non faccio molto caso al colore degli occhi dei piloti o delle persone in generale» replicò Alysse, «Ma è l’unica cosa che ci è concesso vedere di voi. Ecco, è questa la ragione per cui ho fatto caso alle diverse sfumature di azzurro.»
A proposito di sfumature di azzurro, Yannick notò un uomo e una donna che si sedevano proprio in quel momento al tavolo accanto al loro. Quel tizio si chiamava Axel Frosch ed era una sorta di attivista ambientale che spesso veniva invitato agli eventi per discutere di biocarburanti. Le sue iridi avevano una tonalità molto simile a quella di Viola Cinque. Era molto probabile che Frosch non vi avesse mai fatto caso, ma la donna che gli stava accanto sembrava perdersi a guardarli, quegli occhi così appariscenti. Aveva lunghissimi capelli neri e lineamenti che potevano essere quelli di una latinoamericana. A Yannick sembrava di averla vista lavorare per la televisione brasiliana e, se non ricordava male, si chiamava Tina Menezes o qualcosa del genere. Notò che Alysse le rivolgeva un fugace segno di saluto, ricambiato prontamente dall’altra donna.
«La conosci?» le chiese.
Alysse annuì.
«Sì, ci ho avuto a che fare.»Non aggiunse altro, lasciando intorno a sé un’aura di mistero. Yannick non poté fare a meno di pensare che, se da un lato i piloti mantenevano il riserbo assoluto sulla loro identità, dall’altro le persone che avevano intorno non erano molto ben disposte a raccontare qualcosa di sé. Si domandò per un attimo se fosse una diretta conseguenza dell’anonimato dei piloti, poi una cameriera venne a prendere le ordinazioni e allora non pensò più a niente, se non alla sua serata con Alysse.



[OPZIONE TREDICI]

La serata svoltò quando Yannick osservò che si stava facendo tardi. Le propose di andare via insieme, e Alysse avrebbe accettato molto volentieri, se non avesse avuto qualcosa di molto importante di cui occuparsi. Una delle persone presenti all’interno del locale le aveva mandato una serie di messaggi, pregandola di fermarsi, quando i rispettivi compagni se ne fossero andati, allo scopo di discutere di un fatto probabilmente avvenuto durante il gran premio. Quel “probabilmente” fu la ragione che convinse Alysse ad accettare, nonostante desiderasse riprendere la relazione con Yannick dallo stesso punto in cui si era interrotta diversi mesi prima in occasione del Gran Premio di Montecarlo.
Rifilò una scusa a Yannick - non mentì, in realtà, informandolo che avrebbe dovuto vedere una persona per questioni di lavoro, e non ricevette domande in proposito, dato che il suo interlocutore sapeva che non gli avrebbe parlato di ciò che faceva - e attese che l’inviata della televisione brasiliana rimanesse da sola. Non fu necessario attendere molto a lungo: anche l’attivista con la passione dei biocarburanti doveva sentirsi un pesce fuori dall’acqua in quel posto.
Alysse abbandonò il proprio tavolo e andò a prendere il posto lasciato libero da Frosch.
«Eccomi qui» disse, sedendosi. «Di cosa devi parlarmi?»
«Come stai, Alysse?» le domandò Tina.
«Bene, grazie.»
«Com’è andato il fine settimana?»
Alysse si irrigidì.
«In che senso?»
«Non so cosa fai esattamente, ma lavori nello stesso ambiente frenetico in cui lavoro io» le ricordò Tina. «A volte non vedo l’ora che il weekend sia finito... e a dire la verità più si va avanti e meno un weekend è un semplice weekend, anche se, per qualche assurdo motivo, ci si riferisce alle settimane di gara come a dei fine settimana.»
«Gli spettatori, qui a Las Vegas, hanno talmente tanti soldi da vivere di rendita. Poi ci sono i ragazzini che seguono le sessioni da casa, saltando la scuola per vederle. Per questa gente è fine settimana anche di lunedì e glielo lasciano credere.» Alysse si rese conto che Tina attendeva ancora una risposta a proposito della sua esperienza a Las Vegas, quindi si affrettò ad accontentarla, in modo tale che non le ponesse altre domande. «Diciamo che non è andata male, per niente. Quest’anno mi sento molto più a mio agio, nell’attuale ruolo.»
Tina non le chiese nulla, si limitò ad affermare: «Anche il mio “fine settimana” non è stato poi così male. Diciamo che non avrebbe potuto andare meglio.»
I suoi occhi scuri brillavano, mentre pronunciava quelle parole, ma Alysse conosceva la prassi: non chiedere nulla, per quieto vivere. Passò quindi al sodo, ricordando alla Menezes la ragione per cui si erano trovate allo stesso tavolo dopo essersi sbarazzate dei propri partner.
«Cos’è successo durante il gran premio? Anzi, cos’è successo, probabilmente, durante il gran premio?»
Tina sospirò.
«Non lo so con esattezza, ma qualcosa di strano. Me ne ha parlato Axel.»
«Axel?»
«Sì, l’uomo che era seduto con me fino a poco fa.»
Alysse fece un mezzo sorriso.
«Axel è l’anagramma di Alex.»
«E quindi?»
«No, niente. In passato sono stata sposata e mio marito si chiamava Alex.»
Tina non doveva farsene molto di quell’informazione, dato che riprese a riferirle le confidenze di Frosch.
«Ad Axel piace scambiare qualche parola con i piloti, all’occorrenza. D’altronde non è vietato. Ogni tanto ne trova qualcuno piuttosto espansivo ed è il caso di Nero Trentasei. Dice anche che è un nuovo Nero Trentasei, ne è sicuro. Quello precedente potrebbe essere passato in Indycar. C’è un nuovo pilota che ha occhi che gli somigliano.»
«Ho sentito dire anch’io che Nero Trentasei non è più lo stesso pilota delle scorse stagioni, e in realtà neanche Nero Trentacinque» ammise Alysse, memore di avere udito pettegolezzi a proposito del fatto che il precedente Trentacinque fosse il nuovo Rosso Ventisette, «Ma è normale che sia così. Anche quando non ce ne accorgiamo, c’è un certo ricambio generazionale. Dopotutto ci pensi? Certi piloti che correvano quindici anni fa potrebbero avere già superato i quarant’anni da un pezzo, è ovvio che prima o poi vengano sostituiti.»
«Non è questo il punto» replicò Tina, «E non è neanche la nuova identità di Nero Trentasei, in realtà. Oggi ha raccontato ad Axel che gli è successo qualcosa di strano, mentre stava guidando.»
Alysse rise, con amarezza.
«Sarà un pilota appena promosso dalla seconda divisione. Le opzioni di disturbo sono molto più limitate, nelle serie minori.»
«Ovvio, sarà arrivato dalla seconda divisione» convenne Tina, «Ma non è uno sprovveduto, è pur sempre un pilota e sa come funzionano le corse di A+ Series. I novellini vengono istruiti a dovere, sanno cosa potrebbe capitare durante le gare. Nero Trentasei dice che è accaduto qualcosa di nuovo, qualcosa che non riesce a identificare. A un certo punto ha faticato a controllare la vettura, non ha capito cosa stesse accadendo. Axel ipotizza che potrebbe trattarsi di una nuova opzione.»
«Sono anni che non vengono inserite nuove opzioni.»
«Non è mai troppo tardi per inventarsi qualche nuova diavoleria, non credi?»
«Saremmo...» Alysse si interruppe. «In realtà noi no, ma almeno i piloti sarebbero stati avvisati.»
«Axel non ne è convinto» mise in chiaro Tina. «Crede alle parole di Nero Trentasei.»
«Axel è un attivista ecologico, non un pilota» puntualizzò Alysse. «Non può sapere con esattezza a quali sfide vengano messi di fronte i piloti.»
Tina annuì.
«Comprendo il tuo punto di vista, ma ti assicuro che c’è qualcosa di grosso nell’aria, altrimenti non si sarebbe scomodato di parlarmene.»
Alysse ammise: «Nero Trentasei potrebbe avere ragione e i suoi sospetti potrebbero essere fondati, non lo metto in dubbio, ma perché aggiungere una nuova opzione senza avvisare i piloti? È giusto che sappiano a che cosa vanno incontro.»
«È giusto che lo sappiano, certo, ma non sarebbe la prima volta che la dirigenza se ne sbatte dei principi etici di base» replicò Tina. «Credo che i piloti siano in pericolo. Ormai sono considerati solo come pedine per intrattenere il pubblico. Non sarebbe neanche tanto grave, se il pubblico non fosse così becero. Sto iniziando seriamente a preoccuparmi.»
Alysse cercò di rassicurare Tina, quella sera, ma se ne andò convinta che la Menezes avesse ragione. Per il CEO tutto era lecito e non c’era da stupirsi che Maelle Heidelberg, la sua fidata assistente, avesse ben poco controllo sulle sue azioni. Peraltro l’ex social media manager della A+ Series sembrava una persona pacata e ragionevole, ma erano qualità che il CEO non avrebbe ben visto in una collaboratrice così stretta. Talvolta ad Alysse veniva il dubbio che anche la stessa Maelle non fosse troppo diversa da chi le aveva dato un incarico di così alto livello.
Era dubbiosa, non sapeva cosa fare. In linea teorica non avrebbe dovuto sapere che Yannick era un pilota della categoria, ma sentiva di avere il bisogno di informarlo di quanto le era stato riferito. Non l’avrebbe fatto subito, non le piacevano le decisioni prese d’impulso, almeno in quelle circostanze. Ci avrebbe comunque riflettuto e, se avesse pensato ancora di doverlo mettere in guardia, l’avrebbe fatto senza più esitare.
Il giorno seguente si decise. Non aveva idea di dove fosse Yannick nel momento in cui si apprestava a telefonargli, chissà, magari era su un volo diretto dall’altra parte del mondo. Forse ci sperava, contava troppo sulla possibilità di non ottenere risposta. Non andò a quel modo, Yannick era raggiungibile e Alysse udì la sua voce soltanto dopo pochi squilli.
«Ehi, allora ti ricordi di me!»
Quell’esclamazione sorprese Alysse, che subito gli domandò: «Cosa intendi dire?»
«Ieri sera avevo fatto dei bei programmi, ma li hai mandati a monte» ribatté Yannick. «Pensavo fosse il tuo modo per segnalarmi che non ne volevi più sapere di me.»
«Se non ne avessi voluto più sapere di te» puntualizzò Alysse, «Non mi sarei nemmeno presentata all’appuntamento. Mi spiego meglio, non voglio dire che ti avrei dato buca, quanto piuttosto che ti avrei detto che non mi andava di uscire.»
«Cos’avevi di così importante da fare?»
«Niente.»
«Non dire assurdità» replicò Yannick. «Avevi una tale aria da cospiratrice. Per caso sospetti quale sia il mio alter-ego e vuoi sbandierarlo ai quattro venti per stroncare la mia carriera nella A+ Series?»
«Perché dovrei?» obiettò Alysse. «No, non so chi sei e, ovviamente, non mi verrebbe mai in mente di mettere in pericolo la tua carriera per la volontà di smascherarti. Conosco le regole a cui dovete sottostare voi piloti. Non farei nulla del genere contro nessuno, nemmeno contro quei piloti che vengono tacciati di essere troppo pericolosi per la categoria.»
«Okay, va bene, mi fido» ribatté Yannick. «Scusa se ti sono sembrato uno stalker. Ovviamente non devi darmi spiegazioni su quello che fai. Spero di non averti fatto una cattiva impressione.»
«Mi hai fatto una buona impressione già parecchio tempo fa» mise in chiaro Alysse, «E non mi farai cambiare idea tanto facilmente. Comunque hai ragione, avevo una cosa importante da fare e aveva a che vedere con la A+ Series. Ho parlato con una persona.»
«Con chi?»
«Una della stampa, ma non ha importanza.»
«Di cosa parlavate?»
«Di un fatto che le è stato riferito da un amico che ha ricevuto una confidenza da un pilota.»
Yannick azzardò: «La persona della stampa deve essere quella tizia che era seduta poco lontana da noi ieri sera, quella della televisione brasiliana. Su chi sia il suo amico, non saprei. La vedo spesso con un tale dal sorriso da ebete di cui non conosco il nome, oppure con Frosch, l’attivista che parla continuamente dei biocarburanti. Mi sembra di averla notata addirittura insieme a Hamster Gangster, l’altro giorno. Non ne sono totalmente sicuro: gli somigliava un sacco, ma non era vestito in modo ridicolo come quando sale sul palco per esibirsi. Anzi, era vestito elegante e sembrava un modello, piuttosto che uno svitato come al solito.»
«Ho visto anch’io Hamster Gangster in “abiti civili”, se così li possiamo chiamare» confermò Alysse, «E ha un certo fascino. Questo, però, non ha alcuna importanza. Non c’entra un cazzo Hamster Gangster e non c’entra niente chi sia stato a riferirmi quello che mi è stato detto. Solo, c’è un pilota convinto che esista una nuova opzione.»
«Chi?»
«Non ha importanza nemmeno questo.»
«Invece credo che ne abbia eccome. È uno di quelli importanti o un megalomane delle ultime file alla ricerca di qualche minuto di popolarità?»
Alysse rifletté un istante, poi la risposta le venne spontanea.
«Se fosse un megalomane che cerca popolarità, probabilmente avrebbe fatto una dichiarazione pubblica invece di parlarne con un tizio qualsiasi, non credi? E poi, perché i piloti delle ultime file dovrebbero essere dei megalomani? Non siamo più ai tempi in cui qualunque pilota di basso rango poteva comprarsi un volante.»
«Ti sbagli, Alysse, i pay driver esistono ancora» puntualizzò Yannick. «Nelle categorie minori vai avanti se hai gli sponsor giusti.»
«Non nego l’esistenza dei pay driver» replicò Alysse, «Sto solo dicendo che nessuno può avere un volante nella A+ Series senza essere selezionato dalla dirigenza. Certi lumaconi che un tempo avrebbero potuto tranquillamente gareggiare tra i migliori e intralciarli durante i doppiaggi al giorno d’oggi stanno esattamente dove dovrebbero stare, cioè fuori dai piedi e ben lontani dai circuiti della A+ Series, a meno che non siano stati invitati in qualche hospitality. Con questo non voglio dire che il campionato attuale sia migliore di quello precedente, sia chiaro, ma solo che bisognerebbe portare un po’ più di rispetto per i backmarker. Alcuni di loro, prima o poi, verranno promossi in una squadra di maggiore livello.»
«Verranno promossi, ma nessuno lo saprà mai» le ricordò Yannick. «Diventeranno qualcuno, ma nessuno saprà chi erano prima di diventare top driver. Nessuno saprà nemmeno che non sono più i top driver che prima vestivano gli stessi colori e portavano lo stesso numero.»
Alysse ridacchiò.
«Non so dove tu voglia arrivare con questa invettiva, ma potrebbe avere due significati diametralmente opposti.»
«Ovvero?»
«O sei un top driver che detesta i backmarker, oppure sei un backmarker che, per sviare i sospetti, finge di detestare i backmarker.»
Yannick replicò, con freddezza: «Chi sono in pista non è affare tuo. Anzi, ho sbagliato a farti capire di essere un pilota, molto tempo fa.»
«A proposito di sbagli, anche divagare come stiamo facendo noi adesso potrebbe essere un errore» osservò Alysse. «C’è un pilota che sostiene di essere stato vittima dell’attivazione improvvisa di un’opzione, ma si dice convinto che non sia una delle opzioni già esistenti. Ne sai qualcosa?»
«No» rispose Yannick, «Quel pilota non sono io.»
«Lo so.»
«Come puoi esserne certa?»
«Ha occhi diversi dai tuoi e probabilmente è molto più giovane. Sembra sia arrivato dalla seconda divisione.»
«Un megalomane, allora» tagliò corto Yannick, «Oppure uno che non capisce un cazzo delle opzioni esistenti.»
«Non ti spaventa nemmeno un po’ la possibilità che la direzione stia agendo alle vostre spalle?» obiettò Alysse. «Se hanno inventato qualcosa di nuovo e non siete preparati, potrebbero accadere degli incidenti. Non hai paura?»
«E di cosa? Che uno di quei ragazzini senza né arte né parte si faccia male? Sinceramente non è un problema mio. Hanno scelto loro di fare un mestiere che non è alla loro portata.»Alysse sospirò. Yannick era troppo cinico, era impossibile concludere qualcosa, parlando con lui, aveva sbagliato a telefonargli.

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