Innanzi tutto il documentario è composto da cinque parti, che coprono essenzialmente le seguenti tematiche: 1) il Nurburgring e le questioni di sicurezza strettamente legate a quel circuito, 2) l'incidente di Lauda del 1976, 3) il ritorno in pista di Niki già al GP d'Italia, 4) un focus sull'evoluzione della sicurezza in Formula 1, 5) una breve conclusione a proposito della vita di Lauda dopo il ritiro dalle competizioni.
Vengono alternati filmati d'epoca e interviste d'epoca a interviste contemporanee e, in particolare, ci sono lunghi interventi di Jackie Stewart, in merito alla sicurezza ai vecchi tempi, e di David Coulthard e Mark Webber per quanto riguarda la Formula 1 moderna.
Personalmente posso dire di avere apprezzato questo documentario, di cui ho cercato pareri, trovandone dei discordanti. Le due critiche principali che ho letto sono state: 1) il fatto che un documentario su Lauda parli anche di argomenti che non hanno a che vedere con Lauda, 2) il titolo per certi versi fuorviante.
Sulla prima non sono d'accordo: se da un lato è vero che si spazia anche ad altro, in particolare il tema della sicurezza, anche nei decenni successivi, dall'altro è altrettanto vero che il documentario prosegue ben lineare e si capisce perfettamente il collegamento tra una tematica e l'altra (specie quando Stewart specifica che una delle grosse problematiche della sicurezza negli old gold days era l'assenza di un numero di commissari e mezzi di soccorso sufficienti a coprire tutto il circuito - ragione che ha portato all'uscita di scena di un circuito lungo come il vecchio Nurburgring): non ci sono cose messe a caso, né viene mai data una simile impressione.
Sul titolo "untold story"... lo ammetto, questo è vero, è abbastanza clickbait, perché la maggior parte delle cose che vengono dette sono tutto tranne che "untold". Con questo non voglio dire che il documentario non sia gradevole - anzi, è gradevolissimo, a mio vedere - ma se conoscete la storia di Niki Lauda avrete senz'altro ben poche sorprese.
Le cose più "inedite" che ho preferito? Sicuramente uno stralcio di vecchia intervista di Mario Andretti, in cui interpellato sul valore di Lauda come pilota, dà una risposta nello specifico su Niki come "pilota di Formula 1", in quanto non ha mai gareggiato in altre categorie di primo piano. Le impressioni di un pilota molto versatile su un pilota dalla carriera più "statica" sono assolutamente interessanti e comunque ben lontane dalla modalità "da bar" con cui occasionalmente certi piloti contemporanei commentano le carriere Formula 1-centriche di altri, come se volessero sminuire necessariamente la categoria.
Un altro passaggio sicuramente illuminante e ben lontano dalle osservazioni "da bar" è inoltre un intervento contemporaneo di Hans Joakim Stuck, nel quale confronta piloti di una volta e piloti moderni, sostenendo che quelli di un tempo erano esposti a rischi di gran lunga maggiori che li rendevano eroici, ma non avendo la preparazione fisica dei piloti contemporanei avrebbero sicuramente faticato molto a guidare le monoposto odierne.
Ho apprezzato molto anche il focus sul "voyeurismo": si parla di come al suo ritorno Lauda abbia ricevuto da parte della stampa molte domande sul proprio aspetto, un po' come fosse un fenomeno da baraccone, e quasi nessuna sulle proprie condizioni fisiche. Niki spiegava inoltre, in interviste realizzate per il documentario, di come la scelta di indossare sempre il cappellino non fosse dovuta propriamente al nascondere le cicatrici, quanto al fatto che, a suo dire, chi gli parlava gli guardava le cicatrici invece che guardarlo negli occhi.
Questo aspetto credo che non sia mai stato molto approfondito, così come, molto più inerente alla vita privata, non sapevo né che negli anni '70 vivesse in una fattoria e possedesse dei bovini (ne viene anche inquadrato uno accanto a lui durante un'intervista) né che avesse vissuto a Ibiza negli anni successivi al suo ritiro. Di fatto di lui si ricorda più che altro la passione per gli aerei e le compagnie aeree fondate, ma si parla poco di tutto il resto.
Per finire, alcune osservazioni più neutre e occasionalmente negative. Come tanti documentari della prima metà degli anni 2010 si sofferma sul fatto che dal 1994 in poi non ci siano più stati incidenti mortali; non è che questa osservazione abbia portato molto bene.
A proposito di 1994, il problema immagino sia solo legato al doppiaggio italiano, ma non mi sembra tanto difficile pronunciare correttamente il nome (nel senso di "first name", per intenderci, non il cognome) di Ratzenberger che, come solito, da Roland diviene puntualmente "Ronald".
Infine quando si parla di piloti deceduti durante competizioni motoristiche si vede una schermata su cui sono scritti moltissimi nomi. Sparisce troppo in fretta per leggerli tutti (il che ci sta, senza problemi) ma non ho apprezzato per niente che siano scritti in dimensioni molto diverse, a seconda dell'importanza percepita.
Non comprendo, a titolo di esempio il fatto di scrivere microscopici alcuni nomi, come quello di Stefan Bellof, ai tempi detentore del record assoluto sul giro al Nurburgring, che viene pure citato, ma menzionando solo la Porsche e non il suo nome. Non so come ho fatto a intravederlo, specie considerato che poco più sotto c'era - è il suo destino insindacabile - il nome di Ayrton Senna scritto a caratteri cubitali!
Vengono alternati filmati d'epoca e interviste d'epoca a interviste contemporanee e, in particolare, ci sono lunghi interventi di Jackie Stewart, in merito alla sicurezza ai vecchi tempi, e di David Coulthard e Mark Webber per quanto riguarda la Formula 1 moderna.
Personalmente posso dire di avere apprezzato questo documentario, di cui ho cercato pareri, trovandone dei discordanti. Le due critiche principali che ho letto sono state: 1) il fatto che un documentario su Lauda parli anche di argomenti che non hanno a che vedere con Lauda, 2) il titolo per certi versi fuorviante.
Sulla prima non sono d'accordo: se da un lato è vero che si spazia anche ad altro, in particolare il tema della sicurezza, anche nei decenni successivi, dall'altro è altrettanto vero che il documentario prosegue ben lineare e si capisce perfettamente il collegamento tra una tematica e l'altra (specie quando Stewart specifica che una delle grosse problematiche della sicurezza negli old gold days era l'assenza di un numero di commissari e mezzi di soccorso sufficienti a coprire tutto il circuito - ragione che ha portato all'uscita di scena di un circuito lungo come il vecchio Nurburgring): non ci sono cose messe a caso, né viene mai data una simile impressione.
Sul titolo "untold story"... lo ammetto, questo è vero, è abbastanza clickbait, perché la maggior parte delle cose che vengono dette sono tutto tranne che "untold". Con questo non voglio dire che il documentario non sia gradevole - anzi, è gradevolissimo, a mio vedere - ma se conoscete la storia di Niki Lauda avrete senz'altro ben poche sorprese.
Le cose più "inedite" che ho preferito? Sicuramente uno stralcio di vecchia intervista di Mario Andretti, in cui interpellato sul valore di Lauda come pilota, dà una risposta nello specifico su Niki come "pilota di Formula 1", in quanto non ha mai gareggiato in altre categorie di primo piano. Le impressioni di un pilota molto versatile su un pilota dalla carriera più "statica" sono assolutamente interessanti e comunque ben lontane dalla modalità "da bar" con cui occasionalmente certi piloti contemporanei commentano le carriere Formula 1-centriche di altri, come se volessero sminuire necessariamente la categoria.
Un altro passaggio sicuramente illuminante e ben lontano dalle osservazioni "da bar" è inoltre un intervento contemporaneo di Hans Joakim Stuck, nel quale confronta piloti di una volta e piloti moderni, sostenendo che quelli di un tempo erano esposti a rischi di gran lunga maggiori che li rendevano eroici, ma non avendo la preparazione fisica dei piloti contemporanei avrebbero sicuramente faticato molto a guidare le monoposto odierne.
Ho apprezzato molto anche il focus sul "voyeurismo": si parla di come al suo ritorno Lauda abbia ricevuto da parte della stampa molte domande sul proprio aspetto, un po' come fosse un fenomeno da baraccone, e quasi nessuna sulle proprie condizioni fisiche. Niki spiegava inoltre, in interviste realizzate per il documentario, di come la scelta di indossare sempre il cappellino non fosse dovuta propriamente al nascondere le cicatrici, quanto al fatto che, a suo dire, chi gli parlava gli guardava le cicatrici invece che guardarlo negli occhi.
Questo aspetto credo che non sia mai stato molto approfondito, così come, molto più inerente alla vita privata, non sapevo né che negli anni '70 vivesse in una fattoria e possedesse dei bovini (ne viene anche inquadrato uno accanto a lui durante un'intervista) né che avesse vissuto a Ibiza negli anni successivi al suo ritiro. Di fatto di lui si ricorda più che altro la passione per gli aerei e le compagnie aeree fondate, ma si parla poco di tutto il resto.
Per finire, alcune osservazioni più neutre e occasionalmente negative. Come tanti documentari della prima metà degli anni 2010 si sofferma sul fatto che dal 1994 in poi non ci siano più stati incidenti mortali; non è che questa osservazione abbia portato molto bene.
A proposito di 1994, il problema immagino sia solo legato al doppiaggio italiano, ma non mi sembra tanto difficile pronunciare correttamente il nome (nel senso di "first name", per intenderci, non il cognome) di Ratzenberger che, come solito, da Roland diviene puntualmente "Ronald".
Infine quando si parla di piloti deceduti durante competizioni motoristiche si vede una schermata su cui sono scritti moltissimi nomi. Sparisce troppo in fretta per leggerli tutti (il che ci sta, senza problemi) ma non ho apprezzato per niente che siano scritti in dimensioni molto diverse, a seconda dell'importanza percepita.
Non comprendo, a titolo di esempio il fatto di scrivere microscopici alcuni nomi, come quello di Stefan Bellof, ai tempi detentore del record assoluto sul giro al Nurburgring, che viene pure citato, ma menzionando solo la Porsche e non il suo nome. Non so come ho fatto a intravederlo, specie considerato che poco più sotto c'era - è il suo destino insindacabile - il nome di Ayrton Senna scritto a caratteri cubitali!
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