giovedì 5 ottobre 2023

5 Ottobre 2014

Era il 3 Ottobre ed era venerdì. Quel pomeriggio in ufficio, nel mio primo posto di lavoro, i miei due colleghi per qualche motivo si ritrovarono a parlare del loro lavoro dei sogni.
Lei gli chiese: "Quale sarebbe il tuo lavoro ideale?"
Lui rispose: "Pilota di Formula 1."
Quella risposta mi stupì. Lavoravamo insieme da quasi un anno e mai una volta l'avevo sentito parlare di Formula 1 o di corse automobilistiche in generale.
Peraltro era da tutto il giorno che parlava di un weekend alle terme(?) che aveva programmato per fare una sorpresa a sua moglie e mi venne da pensare che lui, il gran premio previsto per quel fine settimana neanche l'avrebbe guardato.
Io non pensavo ad altro. Quando uscii alle 17,30 corsi a casa e mi misi a passare l'aspirapolvere perché temevo che altrimenti mia madre me lo facesse fare il giorno dopo, a un orario inopportuno perché sovrapposto alle qualifiche.
Volevo disporre totalmente del mio tempo, quel fine settimana, incentrarlo sulla visione del gran premio.
Qualifiche in differita sulla Rai, gara in diretta su qualche sito non propriamente legittimo, quello era il mio piano.
Così iniziavo ad aspettare che fosse sabato e che venissero le 14.00.

Era il 4 Ottobre ed era sabato. Avevo deciso di andare in discoteca anche se la mattina dopo c'era il gran premio alle otto.
Avevo indossato un paio di scarpe che non avevo mai messo prima. Avevano delle cuciture che mi davano fastidio, me ne accorsi durante la serata.
Andai in bagno, per mettermi dei cerotti per evitare che i piedi mi si riempissero di vesciche.
Facevo un po' il countdown del tempo che mancava al gran premio, fregandomene del fatto che avrei dormito poche ore.
Rievocavo le 13.50, quando era iniziata la telecronaca - in differita - di Mazzoni.
Ai tempi non avevo lo smartphone, ma un cellulare anteguerra. Per essere sul pezzo con le ultime news dovevo accendere il computer oppure beccare un telegiornale.
Non avevo acceso il computer e, fino a quel momento, neanche la TV. Niente spoiler, avevo pensato, credendo che il momento clou fosse alla fine delle qualifiche.
Invece no, il momento clou, quello che spiazzava, era arrivato prima ancora che le vetture scendessero in pista, con una notizia bomba di mercato. Non mi aspettavo di sentire che un pluricampione del mondo stava per lasciare il team con cui aveva vinto quattro mondiali.
Le implicazioni erano chiare e l'impressione era che qualcosa stonasse. C'erano pezzi che non si incastravano, ma non potevo fare altro che evitare altri incastri.
Rimaneva comunque un weekend di gara. Non restava altro da fare, al momento, che pensava alla domenica mattina e alle otto che sarebbero arrivate di lì a qualche ora.

Era il 5 Ottobre, infine, ed era domenica, erano le otto, con le voci di mercato che si spegnevano, come invece non si spegnevano le luci della safety car, pronte a lasciare spazio alla bandiera rossa.
Venti minuti dopo le vetture si sarebbero riallineate dietro la safety car e diversi giri dopo si spegnevano anche le luci della safety car. La pioggia si era placata, iniziava la vera gara.
Sembrava uno di quei giorni già scritti, in cui la seconda guida di turno che si atteggiava a potenziale campione del mondo sarebbe stato ridicolizzato dal compagno di squadra, l'unico capace di essere preso sul serio. Ci fu un momento, in effetti, che pensai andasse davvero così, che fosse quello il succo della giornata.
Una volta deciso l'affare della leadership, si passava a quelle che vedevo come cose serie, come il contorno che non era solo un contorno. Poi ci fu quel pensiero, che ricordo con chiarezza. Arrivò più avanti, quando la pioggia aveva ripreso a cadere, i giri di soste venivano ultimati e ogni tanto il sentore che qualcosa stesse per accadere si faceva vivo: "ora sto iniziando a divertirmi".
Era raro che non mi succedesse, nel vedere un gran premio. Sono sempre stata capace di emozionarmi anche per il dettaglio che a molti sembra inutile. Non so nemmeno cosa mi divertisse, quella mattina, non me lo ricordo, probabilmente un dettaglio da nulla. O forse quel meteo incerto che poteva cambiare le carte in tavola.

C'eravamo noi, nelle nostre case, sui nostri divani, davanti ai televisori - oppure, nel mio caso e forse di parecchi altri, seduti sul letto con computer portatile sulle gambe in incrociate - che guardavamo il gran premio inoltrato, ancora ignari di cosa ci aspettava.
C'eravamo ancora noi, spaccati inesorabilmente in due sottogruppi, che non sapevamo che stavamo per diventare una cosa sola, mentre la pioggia controllata si faceva diluvio e una pagina oscura della storia del motorsport stava per essere scritta.
Le anime innocenti non mi avevano mai convinta con la loro teoria secondo cui in Formula 1 c'era un livello di sicurezza tale per cui nessuno poteva morire. Però, nonostante tutto, li capivo, semplicemente non erano mai stati messi di fronte alla realtà. Quando la realtà precipitò addosso a tutti noi, anime innocenti o meno, allora non ci furono più distinzioni.
Quella che era sempre stata un'ombra che stava sempre in agguato, da qualche parte, era una certezza. La verità è che prima o poi ci sarà sempre un prossimo incidente mortale. Il progresso della sicurezza serve per rimandare questo momento il più a lungo possibile, o almeno così funzionava.

L'incidente di Jules Bianchi e la sua morte mi portarono a suo tenpo a farmi delle domande dell'integrità del mondo della Formula 1 e, a distanza di anni, pur ritenendo corretti tutti i miei dubbi, inizio seriamente a temere che, pure in assenza di altri morti - per fortuna, il livello di integrità si sia di gran lunga abbassato.
Onde evitare fraintendimenti, ci tengo a specificare che ritengo siano stati fatti progressi dal 2014 a oggi, molti progressi. Se non altro, negli anni immediatamente successivi, la Formula 1 ha dimostrato di avere imparato almeno qualcosa dai propri errori.
Però, altrove, mi sembra ci sia un decadimento che personalmente trovo molto difficile da accettare. Si può discutere della poca moralità del "si corre a ogni costo in nome dei soldi, anche mettendo in conto la possibilità di incidenti gravi", ma se non altro posso riconoscere alla Formula 1 di quei tempi di avere avuto quantomeno la decenza di essersi limitata a strizzare un occhio al passato e non a un futuro ai limiti della distopia motoristica.
Se in quei giorni l'incidente era visto come un rischio che poteva essere accettato in nome delle ragioni economiche, pensiero sicuramente poco etico, al giorno d'oggi sembra sempre più visto come qualcosa di auspicabile, qualcosa da spettacolarizzare a ogni costo, qualcosa che deve essere desiderato e cercato e che magari esso stesso è alla base di introiti - questo lo trovo davvero raccapricciante, oltre che irrispettoso di chi in passato è stato vittima di questo sport.


Il 5 Ottobre 2014, stesso giorno in cui Jules Bianchi ebbe il devastante incidente per il quale morì dopo nove mesi di coma, Andrea De Cesaris perse la vita in un incidente in moto a Roma. Aveva 55 anni.
Un tempo, durante gli anni finali della sua carriera, Murray Walker lo definì come "il pilota che ha vinto più gare di tutti, senza vincerne nessuna". Era una gaffe, ma mi piace considerarla una metafora.



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Milly Sunshine