mercoledì 3 maggio 2023

Il Paradosso del 27 - puntata 4/9

Bene, dopo un breve periodo di assenza di nuove puntate, credo sia giusto riprendere a postare. Buona lettura! *-*


[KYALAMI]
La A+ Series poteva avere portato più male che bene al mondo del motorsport, ma era riuscita in un obiettivo che la Formula 1 aveva sempre fallito: disputare un mondiale che prevedesse la presenza di cinque continenti. Il ritorno in Sudafrica, location che aveva ospitato un gran premio molti decenni prima, con ultime sporadiche apparizioni nella prima metà degli anni ’90, era uno dei motivi di vanto della dirigenza. Era il primo circuito veramente nuovo per la A+ Series che veniva introdotto da tempo - in Bahrein era stato utilizzato un layout differente da quello tradizionale, ma si trattava pur sempre di una diversa conformazione di un tracciato già stabilmente utilizzato - e Alysse avrebbe tanto desiderato potervi gareggiare. Purtroppo non era possibile: aveva ancora addosso gli strascichi dell’infortunio riportato ad Al Sahkir, quando il suo alter-ego era rimasto coinvolto in uno spaventoso botto al restart.
I medici le avevano dato speranze, inizialmente, ma non c’era stato molto da fare e, ai primi di gennaio, eccola a interpretare la parte della potenziale social media manager o PR per tutta la durata del fine settimana, come veniva chiamato generalmente il periodo di tempo, spesso di una settimana intera, nel quale si svolgeva un evento del campionato. Per Kyalami era prevista una sola gara sprint, o almeno così era stata definita, con la reverse grid, lunga però quanto almeno due terzi di un gran premio convenzionale. Nonostante ciò, il punteggio rimaneva piuttosto limitato.
Vedendo la situazione dall’esterno, Alysse fu costretta ad ammettere che era molto caotica. I tifosi di vecchia data dovevano confondersi tantissimo, con punteggi che variavano di volta in volta e un format che non aveva mai un andamento lineare. In compenso, quelli di nuova generazione sembravano non avere alcun problema con tutto ciò e, anzi, si esaltavano per un nonnulla, perfino per Blu Ventuno che vinceva la sprint. Ne aveva già vinte diverse, per quanto gareggiasse per una squadra di fondo classifica, o al massimo di centro nei suoi giorni migliori, quando partiva davanti a tutti era molto difficile da superare, stesso problema a cui andavano incontro i piloti che si ritrovavano ad avervi a che fare nel corso dei gran premi. Era veloce e determinato, come se portare a casa la posizione fosse una questione di vita o di morte. In molti sostenevano che, se fosse stato piazzato in una scuderia migliore, avrebbe potuto vincere almeno un titolo, se non una serie.
Purtroppo i piloti erano legati alla scuderia alla quale venivano assegnati, a meno che non venisse deciso diversamente. I piloti delle retrovie o di centro griglia potevano ambire a un volante migliore e, se dimostravano di meritarselo e di potere contribuire alla visibilità della categoria, venivano messi nella situazione di realizzare i propri obiettivi. Purtroppo succedeva anche l’inverso: piloti abituati a considerarsi top driver potevano essere messi da parte da un giorno all’altro, senza il benché minimo preavviso, e ritrovarsi nei bassifondi, oppure senza volante. In sintesi, buona parte delle ragioni che avevano portato allo sciopero dei piloti di quarant’anni prima proprio in Sudafrica erano state riciclate dalla dirigenza e accettate senza battere ciglio da quella sorta di robot che guidavano le monoposto negli eventi della A+ Series. A pensarla in quei termini, non c’era nulla di cui andare fieri.
Alysse si tolse dalla testa quei pensieri e cercò di concentrarsi sul monitor che aveva davanti. La partenza era ormai imminente e Argento Quattro e Rosso Ventisette erano affiancati sulla prima fila. Le inquadrature andavano ancora a cercarli, nonostante ormai avessero entrambi abbassato la visiera del casco e gli occhi assorti di Quattro non fossero più visibili. Allo sguardo di Ventisette, invece, era stata riservata solo qualche inquadratura fugace, un po’ come se le sue iridi di un azzurro maledettamente brillante fossero da proteggere come un segreto di stato.
Quando gli orologi segnarono le quattordici in punto, partì il giro di formazione. Faceva sempre uno strano effetto vedere su uno schermo le monoposto che percorrevano il circuito a bassa velocità. Argento Quattro completò quella tornata e andò a posizionarsi sulla casella della pole position. Al suo fianco, Rosso Ventisette si posizionò lievemente girato, un po’ come se fosse già pronto per andare a tentare di tagliare la strada all’avversario, strategia che tendenzialmente non aveva molto effetto e che, anzi, portava il pilota che la metteva in pratica a correre il rischio di non coprirsi abbastanza le spalle da chi aveva dietro di sé.
Le monoposto delle retrovie non si erano ancora posizionate, un po’ come se i concorrenti di fondo classifica contassero sulla speranza che i piloti che si trovavano nelle prime file dello schieramento, dopo la lunga attesa, potessero avere più facilmente un’esitazione, o che addirittura lasciassero spegnere le proprie vetture. Il pensiero del pilota medio, infatti, era quello di potere senza alcuna difficoltà evitare ogni intoppo, senza doversi lasciare minimamente spaventare dalla possibilità di ritrovarsi davanti qualcuno che partiva al rallentatore oppure che non partiva affatto. Alysse lo sapeva bene, così come sapeva quanto fosse deleterio credere di essere al di sopra di ogni rischio, specie in un campionato in cui spesso il rischio era pilotato dall’alto, ma non c’era molto che un pilota potesse fare per liberarsi del proprio istinto.
Anche le ultime monoposto, quelle di Nero Trentasei e Nero Trentacinque, andarono a posizionarsi sulla diciannovesima e ventesima casella. Le cinque luci rosse del semaforo si accesero, una dopo l’altra. Il Gran Premio del Sudafrica era pronto a scattare.
Scattò con Argento Quattro che manteneva la leadership, nonostante il tentativo piuttosto maldestro di attacco da parte di Rosso Ventisette. Viola Cinque, che partiva dalla quarta posizione sulla griglia, nonostante fosse dal lato sporco della pista poté approfittare del fatto che Ventisette si fosse spostato dall’altro lato. L’obiettivo di Cinque era palesemente quello di sorprenderli entrambi in un colpo solo, ma non poté fare nulla contro la vettura argentata, che mantenne la testa della gara. Qualche fila più indietro, Blu Ventuno cercava di farsi notare in duello ruota contro ruota contro Rosso Ventotto che, autore di una qualifica non eccezionale, era scattato soltanto dalla quinta fila.
Argento Quattro, Viola Cinque, Rosso Ventisette, quelle erano le prime tre posizioni una volta superata la prima curva e lo rimasero per tutta la durata del primo stint. Blu Ventuno cercò di impressionare come meglio poteva, del resto impressionare sembrava essere il suo scopo principale, mentre Rosso Ventotto riuscì a risalire di alcune posizioni, portandosi sesto alle spalle di Viola Sei e Argento Tre, che procedevano al quarto e al quinto posto a una certa distanza dal terzetto di testa, che invece era ancora piuttosto compatto.
In una situazione come quella tutto avrebbe dovuto andare per il meglio, in occasione del cambio gomme, affinché le posizioni rimanessero invariate. Argento Quattro fu il primo a rientrare. I meccanici furono molto performanti e la sosta si svolse senza il benché minimo intoppo. Chiaramente tutto parlava a suo favore, c’era da aspettarsi che, dopo il rientro dei suoi diretti avversari, potesse riprendere la prima posizione senza difficoltà.
Un giro più tardi fu la volta di Rosso Ventisette. La ruota posteriore sinistra ebbe qualche difficoltà di fissaggio, un paio di secondi preziosi se ne andarono irreparabilmente. Sarebbe riuscito a conservare la posizione, quello era certo, perché le vetture dal quarto posto in poi erano molto arretrate, dato che non i primi tre avevano allungato e non vi era stato ancora alcun ingresso della safety car, ma difficilmente avrebbe potuto insidiare la seconda piazza di Viola Cinque, se per quest’ultimo fosse filato tutto liscio.
Doveva essere il giorno fortunato di Rosso Ventisette. La vettura di Viola Cinque rischiò di spegnersi, durante la sosta, e la procedura andò per le lunghe. Cinque uscì dalla pitlane in terza posizione, staccato ormai di diversi secondi da Ventisette, che invece sembrava avvicinarsi al leader. Tutto parlava contro Cinque, ormai, il resto della gara sarebbe stato verosimilmente un doversi accontentare del gradino più basso del podio.
Alysse stava iniziando a stupirsi di come tutte le vetture fossero ancora in gara e non vi fosse stato alcun incidente, ma quel pensiero non durò molto a lungo. A causa di un’improvvisa foratura, Viola Sei uscì violentemente di pista andando a sbattere contro le barriere. Scese senza difficoltà dall’auto, mentre entrava la safety car affinché un mezzo dei commissari potesse rimuovere la monoposto incidentata. Il gruppo si ricompattò e Argento Tre ne approfittò per rientrare ai box. Fu l’unico a effettuare un secondo cambio gomme, tra i piloti che contavano, e finì per perdere diverse posizioni. Rosso Ventotto era ormai risalito quarto, con alle sue spalle un Verde Quindici che, dopo non avere mai davvero convinto fin dall’inizio dell’evento, sembrava improvvisamente sul punto di mettere a tacere i suoi detrattori. Se fosse riuscito a conservare la posizione in cui si trovava in quel momento fino alla fine avrebbe concluso la gara al quinto posto.
Alysse continuò a seguire la gara con attenzione, finché una persona, all’improvviso, dietro di lei non attirò la sua attenzione posandole una mano su una spalla.
Si voltò e fu sorpresa di ritrovarsi a tu per tu con l’assistente del CEO.
«Signora Heidelberg?»
L’altra sorrise.
«Già, proprio io, in persona.»
«Cosa posso fare per lei?»
«Dovrebbe seguirmi.»
Quelle parole non promettevano nulla di positivo, per cui Alysse cercò di prendere tempo.
«In questo momento non...»
La Heidelberg la interruppe: «Il CEO vuole vederla. Se fossi al posto suo, non lo farei aspettare.»
Alysse annuì.
«No, si figuri, non intendo farlo attendere. Vuole vedermi subito?»
«Se non volesse vederla subito, non sarei qui» replicò Maelle Heidelberg. «Forza, mi segua, non gli faccia perdere tempo.»
«Va bene, non gli farò perdere tempo» convenne Alysse. «Anzi, mi scusi se in un primo momento mi è sembrato strano. Non mi era mai successo prima d’ora.»
«Posso immaginare che non le fosse mai successo» confermò la Heidelberg, «Ma c’è sempre una prima volta.»
Iniziò ad avviarsi, e Alysse con lei.
«Dove dobbiamo andare?»
«Mi segua e lo scoprirà.»
Ormai erano sole, non c’era più nessuno nei paraggi, quindi Alysse si affrettò a domandare: «È successo qualcosa?»
«È successo che il CEO vuole vederla» fu la secca replica di Maelle Heidelberg. «Glielo dirà lui, quello che desidera.»
Alysse si rassegnò. Che la Heidelberg fosse o non fosse informata, non c’era mezzo di toglierle di bocca la verità.
Il CEO attendeva Alysse nell’edificio del circuito che ospitava le alte cariche della categoria. La Heidelberg la accompagnò fino a un ufficio situato in fondo a un corridoio.
«Bussi alla porta, poi entri, se il CEO la invita a farlo» la istruì. «L’incontro sarà riservato a soltanto voi due, io non ci sarò.»
Alysse la guardò allontanarsi, prima di bussare.
Il CEO la invitò subito a entrare.
Alysse abbassò la maniglia. Aveva appena scostato la porta, quando vide il CEO in piedi a poca distanza ed ebbe un sussulto.
«Avanti, entri» la esortò l’uomo. Alysse fece ciò che gli era stato ordinato e continuò a farlo quando si sentì dire: «Adesso richiuda e si sieda.»
Andarono ad accomodarsi e Alysse non poté fare a meno di chiedergli: «Come mai ha voluto vedermi? È successo qualcosa?»
«Immagino che sia stata una sorpresa, per lei» convenne il CEO. «Non avrei voluto spaventarla. Vorrei solo parlare della situazione che si è venuta a creare dopo il suo infortunio.»
«Oh.» Quelle parole non promettevano nulla di buono. «Mi dispiace, ho cercato di fare del mio meglio, ma i medici mi hanno bloccata e...»
Il CEO non la lasciò finire.
«Conosco la situazione. Sono stato io a chiedere loro di bloccarla.»
Alysse spalancò gli occhi.
«Che cosa?!»
«Ha sentito benissimo» ribatté il CEO. «Mi dispiace, non l’ho fatto contro di lei, ma c’era una cosa che dovevo provare. Nessuno le ruberà il volante in pianta stabile, ma volevo vedere come avrebbe potuto rendere un certo pilota al posto suo.»
«Perché?» obiettò Alysse. «Perché mi ha portato via il mio volante?»
«Come le ho detto, nessuno le ha portato via il volante» ribadì il CEO. «Dovevo fare un piccolo esperimento con il suo volante, ma lo riavrà molto presto.»
«In Malesia?»
«Vedremo.»
«Cosa farò nel frattempo?»
«Aspetterà, con pazienza.»
«Perché?» insisté Alysse. «Non ho mai fatto niente contro la categoria.»
«E infatti non mi pare di averla accusata» replicò il CEO. «Stia tranquilla, Alysse, presto riavrà ciò che le spetta.»
«Immagino di poterle chiedere, almeno, perché mi sta dicendo la verità.»
«Perché non era giusto nasconderglielo.»
«O perché vuole che io sappia di essere assoggettata al suo potere?»
«Questo lo sapeva già, Alysse. Non si preoccupi. Presto potrà tornare a occupare il suo ruolo. Al momento, però, non posso darle certezze per Sepang. D’altronde lo sa, nel motorsport non vi sono mai certezze.»
Non vi erano nemmeno in termini di risultato, avrebbe saputo una volta uscita dall’ufficio del CEO: un incidente tra Argento Quattro e Rosso Ventisette aveva spianato la strada della vittoria per Viola Cinque, con Rosso Ventotto e Verde Quindici a completare il podio. Qualcuno, nel frattempo, insinuava che il Verde Quindici di Kyalami non guidasse come quello visto in pista fino a quel momento, ma ovviamente non vi erano certezze nemmeno in tal senso.


[SEPANG]
Il CEO era soprappensiero. Affacciato alla finestra a scrutare il cielo, non si accorse di Maelle Heidelberg già all’interno della stanza. Non era possibile che fosse entrata senza segnalare la sua presenza, perciò non le chiese nemmeno se avesse dimenticato di bussare.
Da parte sua, Maelle gli domandò, centrando subito il punto: «Per caso sta tenendo d’occhio le nubi, direttore?»
Non gli capitava spesso di sorridere spontaneamente, se non nei casi in cui era molto compiaciuto. In quella situazione, tuttavia, il suo sorriso fu dettato da ragioni più “umane”. Maelle stava diventando brava a coglierlo di sorpresa.
«Sì, tengo d’occhio le nubi, un po’ come i tifosi che sperano in una gara bagnata.»
«Il radar dice che non cadrà pioggia.»
«Lo so.»
«È un vero peccato» osservò Maelle. «Non sarebbe il caso di iniziare a prendere sul serio l’idea degli irrigatori artificiali?»
«No, non mi piace l’idea degli irrigatori artificiali» obiettò il CEO. «Le squadre potrebbero in qualche modo arrivare preparate.»
«Anche alla pioggia possono arrivare preparate» replicò Maelle.
«Capisco quello che vuole dire e, lo ammetto, non mi dispiacerebbe affatto l’idea di avere gare bagnate in cui i piloti siano costretti a gareggiare con gomme da asciutto. È dall’inizio della stagione, o da poco più tardi, che non vedo l’ora che succeda. Il meteo, tuttavia, non sta mai dalla nostra parte.»
«Per questo suggerivo fosse opportuno dare una mano al meteo.»
Il CEO scosse la testa.
«Mi piacerebbe potere controllare il meteo, ma non è così. Un irrigatore artificiale non avrà mai lo stesso fascino di un temporale che arriva all’improvviso. Come avrà capito, non avrei problemi a stravolgere la storia e a cancellarla, se fosse possibile ricavarne denaro. Tuttavia non vedo come una gara bagnata in maniera artificiale possa incrementare i nostri profitti. Il fanbase invoca la pioggia, perché spera di vedere gare più caotiche oppure più incidenti. Non so se mi spiego.»
Maelle annuì.
«Si spiega, si spiega. Di per sé non è la pioggia, quella che vogliono, quanto piuttosto il caos e la possibilità che ci siano problemi, quindi bisognerebbe piuttosto lavorare costantemente su quello.»
«Esattamente» confermò il CEO. «Vogliono vedere piloti che affrontano fenomeni naturali, non un irrigatore che, per quanto ne sa il pubblico, potrebbe intervenire in maniera programmata. Non voglio una tifoseria convinta che le squadre e i piloti vengano informati in maniera preventiva dell’intensità dell’acqua e del momento esatto in cui questa arriverà sul circuito. Chiaramente, in caso di irrigatori, nessuno verrebbe informato, ma sarebbe difficile convincerne i tifosi. Per giunta potrebbero insinuare che certe squadre o certi piloti vengano favoriti con comunicazioni efficaci.» L’espressione che comparve in quel momento sul volto di Maelle Heidelberg fece comprendere immediatamente al CEO che cosa stesse per dirgli, quindi interruppe le sue proteste sul nascere. «Lo so, sta pensando che l’accusa di favoritismi comporti l’incremento dei flame e, di conseguenza, dell’interesse per la A+ Series. Me ne rendo conto anch’io, ma penso ci voglia comunque una certa dignità. Polemiche dovute a incidenti e penalità sono accettabili. Polemiche relative alla pioggia artificiale rischiano di coprirci di ridicolo. Per non parlare del fatto che c’è una ragione per cui le gare bagnate piacciono così tanto, ovvero che avvengono raramente e che non vi sia alcun possibile controllo. Si immagina se ci fosse una pioggia finta a ogni gran premio? I tifosi, per quanto trash siano, vogliono comunque vedere un po’ di poesia e non c’è nulla di romantico nella pioggia finta.»
Maelle si arrese, sfoderando un sorriso.
«Va bene, mi ha convinta.»
«Sapevo che l’avrei fatta ragionare» ribatté il CEO. «Adesso, in ogni caso, dobbiamo rassegnarci: oggi non pioverà, quantomeno durante la gara.»
«Ci vorrebbe una bandiera rossa» obiettò Maelle. «In tal caso la corsa finirebbe più tardi, per l’orario in cui è prevista una possibile perturbazione.»
«Rosso Ventisette è al comando e prosegue indisturbato, davanti ad Argento Quattro e Argento Tre» puntualizzò il CEO. «Oggi abbiamo già la nostra storia del giorno, senza doverci mettere in mezzo anche una bandiera rossa.»
«Il rosso è solo un colore e il 27 è solo un numero.»
«È un nuovo pilota che porta lo stesso numero. C’è chi lo capisce e chi approva l’idea che possa andare a conquistare la sua prima vittoria con quel colore. In più c’è chi disapprova. Lasciamo che tutto vada come deve andare. Ci sarà comunque da discutere: da un lato ci saranno i sostenitori di questo Ventisette, che affermeranno senza mezzi termini che è allo stesso livello di quello precedente, dall’altro ci saranno i suoi detrattori, convinti che quello di un tempo sia inarrivabile.»
«Nel frattempo Santiago Fernandez si appresta a diventare un pilota di Indycar.»
«Quello che fa Santiago Fernandez non mi tocca più.»
«Molti appassionati sono entusiasti della sua presenza in Indycar» puntualizzò Maelle. «Ci sono gruppi social in cui c’è gente che afferma che, per via della sua presenza in Indycar, inizierà a seguire un campionato che finora non ha mai preso in considerazione.»
Il CEO insisté: «Quello che fa Santiago Fernandez non mi tocca, così come non mi tocca quello che fanno i suoi sostenitori. Le altre categorie motoristiche non sono un nemico da annientare. Anzi, spesso ad appassionarsi a una serie sono quelli che già sono appassionati di altre categorie. Non deve interessarci se la gente disposta a spendere soldi per la A+ Series guarda le gare di Indycar o spende soldi anche per la Indycar. Tutto quello che importa è che continui a spendere soldi per la A+ Series e che non se ne allontani. Non possiamo prenderci il lusso di denigrare chi segue la Indycar o tifa per i suoi piloti, finiremmo per allontanare una parte del nostro stesso fanbase. Dobbiamo convivere con tutto ciò che non ci distrugge... e le altre categorie motoristiche, glielo assicuro, non ci distruggono. Anzi, per ogni Santiago Fernandez che se ne va, c’è un nuovo Ryuji Watanabe che diviene un nostro adepto.»
«Watanabe non era nessuno in Indycar» replicò Maelle. «Anzi, era un pilota che spesso e volentieri finiva per fare da contorno.»
«Infatti nessuno sa che Ryuji Watanabe sia divenuto un pilota della A+ Series» puntualizzò il CEO. «Non saremmo riusciti sicuramente a promuoverci grazie alla sua presenza, ma il fatto stesso che abbia accettato di gareggiare in questa categoria, fingendo di essersi ritirato dalle competizioni, significa che la A+ Series ha una rilevanza enorme.»
«Quel Watanabe è troppo scaltro, per i miei gusti.»
«No, è solo un idiota, come la maggior parte dei suoi colleghi.»
«Potrebbe riconoscere Ventisette.»
Il CEO la guardò storto.
«Che razza di idea è questa?»
Maelle precisò: «Voglio dire, potrebbe essere in grado di capire chi sia che sta disputando questo gran premio con quei colori.»
«Nessuno lo capirà» tagliò corto il CEO, «E in ogni caso nessun pilota potrà parlarne. Watanabe se ne resterà in silenzio, come prevede il suo contratto con la A+ Series. Comunque non si preoccupi, nessuno si è nemmeno reso conto che i quattro titoli consecutivi vinti da Viola Cinque non sono stati vinti dallo stesso pilota.»
«Nessuno può parlarne apertamente» ribatté Maelle. «Non possiamo avere la certezza assoluta che nessuno sappia.»
«Non possiamo averne la certezza assoluta, ma i pettegolezzi prima o poi giungono anche alle mie orecchie. Le assicuro che non mi è mai giunta alcuna voce su una presunta sostituzione di Viola Cinque nel corso della sua striscia vincente. Sono passati diversi anni, ormai. Se nessuno ha capito, possiamo avere relative certezze a proposito di molte altre sostituzioni. Non dobbiamo preoccuparci, se non in una sola circostanza, ovvero quando i nostri ex piloti decidono di rivelare segreti compromettenti, non avendo più niente da perdere. Convincerli a tacere, tuttavia, non si rivela mai così tanto complicato. Possiamo stare sicuri, Maelle, le assicuro che siamo in una botte di ferro e vi rimarremo molto a lungo.»
Maelle sospirò, poco convinta.
«Se lo dice lei.»
«Non veda sempre tutto così nero» la esortò il CEO. «Anche il cielo lo è, in questo momento, ma non cade una sola goccia di pioggia. A volte le nubi sono soltanto nubi.»
Inaspettatamente, Maelle si mise a ridere, senza dargli alcuna spiegazione.
Il CEO le domandò: «La cosa la diverte?»
«No» rispose Maelle, «Solo, non mi aspettavo fosse capace di un pensiero così poetico.»
«Devo esserne impressionato, oppure offeso?»
«Non volevo certo offenderla. Anzi, mi scusi se le sono scoppiata a ridere in faccia.»
«Non c’è nessun problema, Maelle» la rassicurò il CEO. «Anzi, sono felice di scoprire che abbia anche un lato umano.»
Maelle obiettò: «Parliamo spesso degli aspetti meno tecnologici del motorsport. Avrebbe dovuto capire che sono umana già molto tempo fa.»
«Più che umana, a volte mi sembra disumana» ribatté il CEO. «Sono certa che, mentre è qui che mi parla, stia pensando che un bell’incidente mortale renderebbe questo gran premio decisamente più movimentato e spettacolare.»
«No, affatto» replicò Maelle. «Personalmente non ritengo gli incidenti mortali il punto di partenza per avere spettacolo. Mi limito a rendermi conto una certa fetta di fanbase ne sia convinta. Quando lavoravo come social media manager, mi capitava spesso di vedere i commenti dei tifosi. Ce n’erano che stilavano classifiche di quali piloti avrebbero preferito vedere morire o infortunarsi gravemente. Altri si limitavano ad augurarsi la morte degli avversari diretti dei loro idoli. Non importa come la penso io, che cosa faccia battere il mio cuore quando vedo una gara. Anzi, per me le gare sono solo lavoro, ormai. Non nego che l’automobilismo mi abbia sempre affascinato e che il mio stesso mestiere sia ragione di soddisfazione, per me, ma non è intrattenimento. Ho scelto di dedicare la vita alla mia professione, non certo di dedicarla alla A+ Series in sé. Le opportunità mi hanno portata qui, ma ci sarebbero state altre opzioni altrettanto gratificanti, per me. Non mi interessa davvero se Rosso Ventisette vincerà oggi, né se sia più o meno veloce di quello ufficiale, né mi interessa se alla fine di questa giornata sarà vivo o morto. Tutto quello di cui mi importa è che Rosso Ventisette, insieme ai suoi diciannove colleghi, possa generare introiti per la categoria. Non mi interessa nemmeno quale percentuale del pubblico sarà soddisfatta dal risultato con cui finirà il gran premio di oggi, quello che conta davvero è che l’attenzione rimanga alta. Lo sa anche lei, d’altronde: una grande fetta di tifosi vorrebbe vedere un pilota in rosso vincere il mondiale, ma ci guardiamo sempre bene dal dare soddisfazione a quella tifoseria. Puntualmente, ogni anno, si illudono di un titolo mondiale destinato a non arrivare mai. Puntualmente si dicono delusi, disgustati dagli avversari, convinti di essere vittime di un complotto. Però rimangono legati alla A+ Series, legati ai colori che sostengono. Lo resteranno almeno fino al giorno in cui uno tra Ventisette e Ventotto realizzerà il loro sogno. Certo, rimarranno anche dopo, su questo non ho dubbi, così come rimarrebbero anche se vedessero i loro idoli vincere quattro o cinque titoli uno dietro l’altro, ma perché cambiare le cose? Il loro obiettivo, a parole, è assistere alla vittoria del campionato da parte della loro scuderia del cuore, ma la realtà è che sono abituato a vederla perdere.»
«La sua analisi delle dinamiche del campionato riesce a spiazzarmi ogni volta.»
«Il campionato, di per sé, è spiazzante.»
«Lei crede?»
«Non per noi, ma per chi lo vede dal di fuori.»
Il CEO obiettò: «Considerato quanto sia elevata la percentuale di presunti appassionati che danno più peso al colore del farfallino di Hamster Gangster ai concerti che non a quello che succede in pista, non sono sicuro che sia così spiazzante. Forse, per farli rimanere spiazzati, basterebbe far vedere loro Hamster Gangster vestito in modo sobrio, come effettivamente si veste quando non deve esibirsi.»
Maelle osservò: «Hamster Gangster è un bel ragazzo. È un vero peccato che spesso se ne vada in giro conciato come un pagliaccio.»
«Non per noi e per le nostre casse» ribatté il CEO. «Comunque, Maelle, riesce sempre a stupirmi. Non pensavo fosse il tipo di persona che si focalizza sulla bellezza esteriore delle persone, né che la notasse quando le si presenta davanti.»
«Perché, lei non è colpito dalle belle donne?»
«In minima parte.»
«Cosa significa?»
«Significa che un sacco di uomini potenti e facoltosi finiscono per utilizzare il proprio potere e i propri soldi per attirare a sé una donna di bell’aspetto - o più, magari saltando dall’una all’altra - con la quale finiscono per deconcentrarsi e non focalizzarsi più su quello che conta davvero. Se mi sta chiedendo se ho una vita sessuale attiva...»
Maelle lo interruppe: «Oh, no, non mi permetterei mai!»
Il CEO la ignorò: «Sì, ogni tanto scopo, però contare milioni è infinitamente più emozionante che avere un orgasmo. Ci sono uomini convinti che avere una mantenuta di bell’aspetto con cui andare a letto e che penda dalle loro labbra sia la parte migliore dell’avere tanti soldi. Io non sono come loro: la parte migliore dell’avere i soldi, è avere soldi. C’è chi pensa che il massimo dell’ambizione sia potere controllare una compagna facendola vivere nel lusso. Li trovo ridicoli. Non hanno idea di come ci si senta nel controllare un campionato di automobilismo, chiunque ci lavori e l’esistenza stessa di ciascun pilota. Per quanto mi riguarda, quegli uomini possono pure rimanere davanti alla TV a guardare Rosso Ventisette che vince il Gran Premio della Malesia per poi andarsene a scopare con le loro mogli o fidanzate subito dopo la bandiera a scacchi. Non li invidio. Anch’io potrei fare quello che fanno loro, da un momento all’altro. Nessuno di loro, tuttavia, potrebbe mai fare quello che faccio io.»


[IL NUOVO EROE]
Alcuni piloti sembravano nati per trascinare le folle, un concetto che poteva apparire la normalità in qualunque categoria motoristica, ma non nella A+ Series. Anche dall’altra parte dell’oceano, quando gareggiava con il suo vero nome, Ryuji Watanabe, Rosso Ventotto aveva visto quel tipo di attaccamento, ma aveva sempre ritenuto impossibile che un simile fenomeno potesse essere replicato laddove l’identità dei piloti rimaneva celata.
Dopo il suo passaggio in quella che comunque veniva considerata la massima categoria, si era dovuto ricredere e, ancora una volta, doveva ricredersi mentre il pubblico acclamava il suo compagno di squadra Rosso Ventisette, che svettava sul gradino più alto del podio. Era la prima vittoria, quantomeno con quel colore e con quel numero, per quel Ventisette e, chissà, forse sarebbe rimasta l’ultima.
Quegli ultimi due eventi non erano stati per niente facili per Ventotto. Era riuscito ad artigliare un’insperata seconda posizione in Sudafrica, mentre avrebbe lasciato la Malesia con una quarta posizione ottenuta a fatica, dopo un acceso duello con Rosso Ventuno che, ormai stanco di farsi notare soltanto le gare con reverse grid, nelle quali superava senza difficoltà la metà più lenta dello schieramento, dietro alla quale si apprestava a partire, risalendo fino alle posizioni di spessore, la domenica lottava senza alcun timore reverenziale contro piloti molto più altolocati di lui.
Nel frattempo Ventisette aveva lottato per la vittoria a Kyalami, prima di uscire di scena per una manovra controversa avvenuta tra lui e Argento Quattro - si erano accusati a vicenda dell’incidente, ma i commissari avevano deciso di lasciare correre, probabilmente sperando che la faccenda avesse risvolti polemici sui social media - mentre a Sepang era riuscito a imporsi davanti alle vetture argentate di Quattro e Tre. Sul podio appariva composto, ma faceva cenni al pubblico, mentre veniva acclamato. Sembrava sentisse di essere un eroe.
Quando la cerimonia di premiazione terminò, passò alle interviste insieme ai due colleghi in argento. Rosso Ventotto attese pazientemente che tutto fosse finito. Voleva complimentarsi con il compagno di squadra per la sua performance altisonante. Non gli faceva piacere essere andato molto più lento di lui per due gran premi consecutivi, ma aveva sempre saputo riconoscere il merito e il talento altrui. Non sapeva come l’avrebbe presa Ventisette, se gli avesse messo di fronte la verità, perciò aveva deciso di non esporsi troppo.
Attese di incontrarlo ed esordì, senza mostrare troppa emozione: «Sei stato fantastico. Oggi li hai messi in fila, quei due.»
Ventisette annuì.
«Sì, è andata bene, lo ammetto, anche se siamo stati fortunati che Viola Cinque e Viola Sei abbiano avuto dei problemi. Dove hanno finito?»
«Qualche posizione più indietro di me.»
«Tu, invece, avevi Ventuno attaccato al fondoschiena, mi hanno detto.»
«Già» borbottò Rosso Ventotto. «Quel ragazzino va davvero forte.»
Rosso Ventisette ridacchiò.
«Come sai che è un ragazzino?»
«Si vede che è giovane.»
«Ti ricordo che corre nella A+ Series da molti anni, ormai.»
«Dipende quanti anni aveva quando ha debuttato» puntualizzò Rosso Ventotto. «Si dice che probabilmente sia stato il più giovane debuttante della storia della categoria.»
Ventisette gli ricordò: «Questo non lo sapremo mai. Si raccontano un sacco di storie, ma non è detto che siano vere. Conosci la leggenda metropolitana secondo cui sarebbe in realtà il figlio di un backmarker della vecchia Formula 1, addestrato fin dall’infanzia per divenire un campione e vendicare quindi i risultati non troppo esaltanti del padre?»
«Eccome se la conosco, ma non ho idea di chi abbia messo in giro questa voce» ammise Ventotto. «In ogni caso, è un pilota velocissimo. Ti assicuro che è uno dei migliori, tra quelli attualmente presenti sulla griglia. Se la giocano lui e Arancione Otto, anche se...» Esitò, ma poi decise di andare fino in fondo. «Anche se non sottovaluterei Verde Quindici.»
«Verde Quindici?» ripeté Rosso Ventisette.
«Non quello che ha disputato l’evento di Kyalami e questo» puntualizzò Rosso Ventotto, guardandolo negli occhi azzurri brillanti. «Era un altro pilota.»
«Ha ottenuto un podio, la scorsa volta.»
«Un podio che nessuno attribuirà mai a lui.»
«Così è la A+ Series.»
«È uno dei tester, ne sono sicuro» insisté Rosso Ventotto. «L’hanno messo al volante provvisoriamente, forse quello vero tornerà al proprio posto.»
«Sì, il vero Quindici tornerà al proprio posto» confermò Rosso Ventisette. «Ovunque sia ora, tornerà alla sua vettura verde e al suo sperare ogni volta che qualcuno dei piloti di testa sia un flop, in modo da potere puntare a qualche buona posizione vacante.»
Ventotto abbassò lo sguardo.
«Non deve essere una bella prospettiva.»
Ventisette azzardò: «Cosa, tornare a guidare invece di stare a piedi?»
«Non sono convinto che Quindici sia a piedi, adesso» replicò Rosso Ventotto. «So che potrei apparire scortese, ma credo di sapere dove...»
Rosso Ventisette lo interruppe: «Non importa dove sia il vero Quindici adesso. Tu non sei nella A+ Series da tanto, vero?»
«È la mia seconda stagione.»
«Allora forse non ti è ancora chiaro. Sei sempre stato Rosso Ventotto.»
«Cosa non mi è chiaro?»
«Che nessuno di noi è un vero o un finto numero o colore. A nessuno importa di chi siamo davvero, siamo solo il nostro involucro. Hai visto come mi acclamavano, prima, mentre stavo sul podio? Non acclamavano me, acclamavano solo la tuta che indosso e il numero che porto.»
«Non sarebbe stato diverso ai vecchi tempi, quelli della Formula 1. Siamo vestiti di rosso, come i piloti della Ferrari ai tempi. Anche loro venivano amati quasi solo ed esclusivamente perché erano piloti Ferrari, dai loro tifosi.»
«Una volta che lasciavano la Ferrari, però, venivano visti o come traditori o come vecchi bolliti che avrebbero dovuto ritirarsi. In alternativa, se erano stati disprezzati quando guidavano la Rossa perché non ritenuti abbastanza competitivi, poteva capitare che venissero apprezzati se passavano in qualche team di centro griglia che non dava disturbo alla Ferrari. Che cosa ne sarà di noi, invece? Quando non saremo più al volante di una vettura rossa, la gente faticherà a distinguerci dai nostri successori, così come fa fatica a distinguerci dai nostri predecessori. Non si ricorderà di noi, nemmeno per scaricarci addosso odio e frustrazione. La A+ Series significa questo: non essere più persone, ma soltanto dei manichini votati all’intrattenimento del pubblico. Per compiacere chi ci guarda dobbiamo gareggiare, vincere, o all’occorrenza morire. Non siamo niente di più.»
«Sei così drastico.»
«Solo solo realista.»
«Allora, senza offesa, perché rimani?»
«Perché la Formula 1 era il mio sogno, fin da quando ero bambino e vedevo Silberblitz vincere titoli mondiali. La A+ Series è ciò che le somiglia di più al mondo.»
Rosso Ventotto scosse la testa.
«No, non le somiglia, è quello che vogliono farci credere.»
«L’hanno trasformata nella A+ Series, di fatto» insisté Rosso Ventisette. «È la sua diretta discendente. So che esistono altre categorie e che un pilota saggio sarebbe già scappato a gambe levate verso nuovi orizzonti. Io, però, non sono un pilota saggio. Sono ancora quel bambino che sognava, un giorno, di guidare una monoposto rossa, come Silberblitz.»
«E adesso che la guidi» volle sapere Ventotto, «Per caso ti senti appagato? Non mi pare, da quello che hai detto.»
«La vita non è fatta solo di appagamento» sentenziò Ventisette. «Non sarò mai come Silberblitz, non vincerò mai tanti titoli quanto lui e non ne vincerò nemmeno uno in tuta rossa. Nessuno si ricorderà di me, nessuno saprà mai che faccia io abbia. Però è tutto quello che posso avere. Ho cercato di fare del mio meglio, sempre, fin dal primo giorno, anche quando ho capito che quella vecchia categoria che un tempo sognavo non esisteva più. Cosa importa, adesso, se quando ero ragazzino speravo un giorno di vincere a Monza e di essere acclamato dai tifosi della Ferrari? Anche se, lo ammetto, il top non sarebbe stato vincere a Monza con una Ferrari, ma con una squadra che nessuno prendeva in considerazione, da outsider. Me la immaginavo così, a volte, la mia prima vittoria: uno sconosciuto che, per uno strano scherzo del destino, si ritrova a vincere a Monza, un giorno in cui le Ferrari sono escluse dalla lotta per il primo posto. Un rivale che vince a casa della Ferrari verrebbe fischiato e screditato, un outsider no, almeno fintanto che viene considerato innocuo.»
C’era un che di poetico, in quello che Ventisette gli stava raccontando. Non importava il colore degli occhi, non importava che questo fosse più alto, Ventotto poteva comprendere perfettamente già dalla sua personalità e dalle sue parole di non essere di fronte al suo solito compagno di squadra. Il pilota che era stato al suo fianco, sull’altra monoposto di colore rosso, in Sudafrica e in Malesia era una persona molto diversa, oltre che un pilota molto più competitivo e dotato. Con tutto il rispetto per il Ventisette visto in pista nella prima parte della stagione, Ventotto era convinto di essere di fronte a un potenziale campione del mondo. Chissà, magari aveva già vinto un mondiale, anche se non poteva chiederglielo. Decise comunque di osare, di spingersi un po’ più in là di dove fosse tradizionalmente consentito.
«Tu eri Verde Quindici, vero?»
L’altro non tentò nemmeno di negare.
«Come l’hai capito?»
«Tu non sei il mio compagno di squadra e quel Verde Quindici che è andato a podio la scorsa volta non era il solito Verde Quindici. Non è stato difficile fare due più due. Certo, mi verrebbe da chiedermi che fine abbia fatto il Rosso Ventisette che era mio compagno di squadra fino a qualche tempo fa, ma dubito che tu conosca la risposta.»
«Tornerà.»
«Quindi, invece, conosci davvero la risposta. Wow, interessante.»
«No, non so dove sia l’altro Ventisette, adesso» chiarì Verde Quindici/ Rosso Ventisette. «Il CEO mi ha convocato prima del Gran Premio del Sudafrica, mi ha detto che sarei stato spostato in un altro team, per breve tempo. Immagino che l’altro Ventisette si sia infortunato in quell’incidente in Bahrein. Però, non preoccuparti, non deve essere niente di grave. Presto tornerà al suo posto.»
«Lo spero.»
Quindici/ Ventisette ridacchiò.
«Vuoi liberarti di me?»
«No, non voglio liberarmi di te, figurati» ribatté Ventotto. «Anzi, lo ammetto, mi sembri un tipo simpatico. È solo che, in fondo, ammetto di volere bene all’altro Ventisette.»
«Non sai nemmeno chi sia.»
«È Ventisette. Sono abituato a vederlo in tuta e casco, così come Ventisette vede me in tuta e casco. Una volta mi ha detto che immagina che io abbia i capelli sparati in aria con le punte tinte di blu. Io stesso, di tanto in tanto, cerco di immaginarmelo, di figurarmi come possa essere a partire dai suoi occhi. Però non ho la stessa fantasia che ha lui.»
«Anche tu sembri un tipo a posto. Anch’io ho un’ammissione da fare: mi piacerebbe restare qui, se potessi, invece di tornare a vestirmi di verde.»
«Ti sembro un tipo a posto e vorresti restare.» Rosso Ventotto rise. «Mi stai dicendo che vorresti restare qui per me?»
«Ma no, cos’hai capito!» ribatté l’altro. «Sono contento di averti potuto conoscere meglio, ma non perché sia tu nello specifico. Le interazioni che abbiamo con gli altri piloti sono limitate. Non sappiamo quasi nulla l’uno dell’altro. Temo che torneremo a comportarci da estranei.»
«Capisco cosa vuoi dire, scendiamo in pista tutti insieme e, una volta che siamo fuori dalla pista, le nostre strade si dividono. Io, da parte mia, ho sempre cercato, in qualche modo, di costruire un minimo di rapporto con chi mi capita a tiro. Purtroppo molti preferiscono rimanersene per conto loro, ormai ci hanno fatto l’abitudine.»
«Tu invece no. Vieni da una categoria in cui tutti si conoscono, immagino.»
«Adesso ti stai allargando troppo. Non posso dirti da dove vengo.»
«Nemmeno io avrei potuto dirti da dove vengo, però lo sai, sai che fino a poco tempo fa ero Verde Quindici e, molto probabilmente, già dal prossimo gran premio smetterò di essere l’eroe delle folle che ha vinto qui a Sepang.»
«Tu eri Verde Quindici, io ero un nome e un cognome. Non è la stessa cosa.»
Verde Quindici/ Rosso Ventisette sospirò.
«Già, non è la stessa cosa e, se devo essere sincero, penso che tu sia più pazzo di me. Io, almeno, sognavo la Formula 1 e ho fatto di tutto per gareggiare nella categoria che ne è derivata. Non ho mai conosciuto altre realtà, una volta uscito dalle formule minori. Tu, invece, hai avuto un’altra vita e un’altra carriera, in cui potevi essere te stesso. Non avresti dovuto rinunciarvi.»
«Anch’io sognavo la Formula 1» fu costretto ad ammettere Rosso Ventotto. «Temo sia questa la ragione per cui sono qui.»
Fu l’ultima considerazione di un certo spessore, prima che le loro strade si dividessero. Rosso Ventotto andò a spogliarsi dei suoi panni di pilota e a farsi una doccia, pronto per tornare a essere Ryuji Watanabe. Decise che presto si sarebbe tinto le punte dei capelli di blu, affinché il solito Rosso Ventisette potesse riconoscerlo. Da parte sua, un’idea assurda stava iniziando a ronzargli in testa.
“I fanboy maschilisti dei social” l’aveva informato tempo prima, quella volta del loro incidente, “dicevano che guidavi come una donna.”
“Perché, come guidano le donne?” aveva replicato il suo compagno di squadra.
Quelle parole gli rimbombavano in testa e tutti i pezzi sembravano andare a incastrarsi al posto giusto. E se Rosso Ventisette fosse davvero stato una donna?
Alysse Montanari era stata una kartista e, all’improvviso, sembrava non avere più avuto nulla a che fare con gli sport motoristici. Di recente, però, era ricomparsa come Alysse Mercier, nel paddock della A+ Series, con un ruolo imprecisato. Sembrava sparita nel nulla, il giorno in cui Rosso Ventisette era verosimilmente rimasto infortunato ad Al Sahkir. Il taglio e il colore dei suoi occhi, così come la sua statura, erano compatibili con quelli del pilota. In sintesi, cercando di dare un’identità al proprio compagno di squadra, Ryuji stava iniziando a prendere in seria considerazione l’idea che si trattasse proprio di Alysse.

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