giovedì 8 aprile 2021

Il Sussurro della Farfalla - Puntata n.4 (blog novel)

Nelle puntate precedenti si sono incrociate le strade dei due protagonisti: Selena, a suo tempo fidanzata con un pilota della Diamond Formula, ha rivisto Oliver, professione giornalista, nel paddock del Gran Premio di Valencia, dove Selena è stata invitata da una team principal sua amica. Tra i due si è venuta a creare una situazione di vicinanza, che entrambi sembrano voler sfruttare a proprio vantaggio: Oliver vuole carpire informazioni a Selena, Selena cerca di avere controllo su ciò che Oliver intende scrivere a proposito di fatti che la toccano da vicino. In questa puntata (in cui ci sono anche due citazioni - attenzione a chi non ha mai vinto nel proprio paese natale e a chi solitamente gareggia su  a due ruote) fa il proprio ingresso trionfale Keith, un personaggio che tornerà a trovarci di frequente.


Oliver camminava da solo sulla spiaggia, incurante del vento che gli gettava la sabbia addosso. Il cielo era nuvoloso e l'ora del crepuscolo sempre più vicina. Le condizioni meteo gli suggerivano di tornare a casa, ma non poteva permettersi di comportarsi nella maniera più ovvia.
Per quanto non avesse idea della sua precisa identità, Oliver sapeva di aspettare una persona, qualcuno che avrebbe potuto incontrare soltanto lì, su quella spiaggia, e non da altre parti.
Lo vide arrivare da lontano e solo allora, tutto d'un tratto, ebbe chiaro chi fosse. Quel giorno, mentre scendeva la sera, Oliver avrebbe incontrato Keith Harrison. Non aveva idea di che cosa volesse esattamente da lui, ma sapeva di dovergli parlare, non poteva fare altrimenti.
Non sapeva come accoglierlo, che cosa dire: era un perfetto sconosciuto per l'ex pilota della Diamond Formula, o almeno così pensava. L'altro, tuttavia, si comportò come se sapesse esattamente chi fosse e se non ci fosse bisogno di presentazioni.
Si limitò ad affermare: «Ci hai messo tanto tempo. Ho dovuto aspettarti a lungo.»
Per quanto Oliver avrebbe potuto sostenere il contrario, gli parve che le parole di Harrison avessero perfettamente senso.
«Sono desolato» mormorò. «Non era mia intenzione.»
Keith Harrison ridacchiò.
«Non fa niente. Mi posso permettere di attendere, da quando i giorni hanno smesso di avere un significato.»
Oliver annuì.
«Va bene. Perché siamo qui?»
«Sei sempre andato di fretta, anche una volta. Raccontami un po', come sta Emma?»
«Emma?!»
«Sì, Emma, so che lavorate insieme.»
«Sta bene» gli riferì Oliver. «A volte rompe un po' troppo le palle, ma potevano capitarmi colleghi peggiori. Ne ho avuti, negli scorsi anni.»
«Cara, carissima Emma...» borbottò Keith Harrison. «Meno male che non ha mai sospettato niente, era convinta fossero solo mie fantasie. Questo le ha permesso di non subire ritorsioni e di non mettersi in pericolo.»
«Ti assicuro che Emma non è affatto in pericolo» replicò Oliver. «Non hai niente di cui preoccuparti, se la cava benissimo anche senza di te, Harrison.»
«Keith» lo corresse l'altro.
«Scusa, non mi viene spontaneo chiamare per nome gli sconosciuti.»
«Sì, ma noi non siamo sconosciuti. Per quanto tu possa rifiutarti di accettare la realtà, almeno io so chi sei.»
Oliver alzò gli occhi al cielo.
«Non ho idea di che cosa tu stia parlando, ma va bene lo stesso. C'è qualcos'altro che vuoi sapere?»
«Mi sono giunte voci poco rassicuranti.»
«Come fanno queste voci ad arrivarti?»
«Diciamo che non ho molto da fare e mi tengo impegnato cercando di scoprire che cosa stia succedendo a certe persone con cui abbiamo avuto a che fare in passato.»
«Bene. Che voci ti sono arrivate?»
«Un certo Oliver Fischer vuole scrivere un libro su Patrick Herrmann.»
Oliver riferì: «Fischer sono io e ti confermo che sto lavorando a quel progetto.»
«Quell'Oliver Fischer si è anche trasferito nell'appartamento accanto a quello di Selena Bernard e ha avuto a che fare con lei.»
«Sì, ti posso confermare che quell'Oliver Fischer ha conosciuto Selena Bernard circa due settimane fa e che da allora ha fatto di tutto per approfondire la conoscenza.»
«Cosa ti sei messo in testa?»
«Niente di cui tu debba preoccuparti.»
«Mi preoccupo eccome, invece. Perché l'hai messa in mezzo?»
Oliver sospirò.
«Stammi a sentire, Harrison. Selena Bernard mi sta aiutando a scremare gli eventi del passato per la biografia di Patrick Herrmann. Avevo intenzione di scrivere cose scottanti, che però potrebbero turbarla, se divenissero di dominio pubblico. Siccome Selena mi piace e mi trovo bene con lei, intendo essere il più possibile rispettoso del suo punto di vista relativamente a certe faccende.»
«Cosa c'è tra te e lei?»
«Non vedo in che modo la cosa possa riguardarti.»
«Hai ragione, non mi riguarda» ribatté Keith, «Dato che non sono io quello che rischia la vita.»
«Come sei esagerato» sbottò Oliver. «Guarda in faccia la realtà, nessuno sta rischiando la vita.»
«Come la fai facile. Davvero sei convinto di non sapere fino a che punto possano spingersi?»
«Sì, lo so fino a che punto si sono già spinti, chiunque siano i responsabili, ma non possono fare niente contro di me. Un conto è un sabotaggio, un altro dovere eliminare una persona di punto in bianco, senza avere un modo per farlo senza destare sospetti.»
Keith insisté: «Io rimango del parere che non avresti dovuto coinvolgere Selena Bernard.»
«Selena Bernard è già coinvolta, da sempre» puntualizzò Oliver. «Io, da parte mia, non sto facendo niente per buttarla in mezzo a una situazione con cui non deve avere a che fare. Quella donna mi piace, tutto qui. Mi sembra che si stia aprendo con me e che questo le faccia bene. Il portiere del palazzo dice che gli è sempre sembrata un po' chiusa, come se volesse sfuggire ai legami...»
Keith non lo lasciò finire.
«Guarda, di quello che pensa il portiere del palazzo me ne frega proprio meno di zero. Quello che conta è che tu non faccia casini e che la verità venga alla luce. Pensi di potercela fare?»
«Cercherò di fare del mio meglio» lo rassicurò Oliver, «Ma mi sembra difficile riuscire a dimostrare qualcosa. Posso magari far nascere qualche sospetto e far sorgere qualche ombra, ma non posso fare molto. Purtroppo quella gente è considerata piuttosto rispettabile e non ci sono molti modi per convincere gli altri del contrario. Perfino Edward Roberts, che ho sempre considerato una persona saggia, dimostra di non essere capace di capire di chi sia giusto fidarsi e di chi no.»
«A proposito, tra le varie voci che mi sono giunte ce n'è una anche su Edward Roberts. Sbaglio o quell'Oliver Fischer di cui stavamo parlando prima sta cercando di avviare una campagna mediatica contro di lui?»
«Ti sbagli, e anche di grosso. Va bene, a volte sono stato poco... mhm... poco elegante, se così possiamo dire, nei suoi confronti, ma non ho mai fatto niente di inappropriato né ho cercato di mettere la gente contro di lui. Ho solo messo in chiaro che secondo me è un pilota finito.»
«E questo, ovviamente, non ha niente a che vedere con le sue frequentazioni o con i suoi legami di lavoro.»
«Ovviamente.»
«Come no. Raccontalo a qualcun altro. Quando vuoi qualcosa te lo prendi, annientando chiunque si metta sulla tua strada.»
«Come sei melodrammatico, Harrison.»
«Keith, prego.»
«Harrison, Keith... qualunque sia il modo in cui vuoi essere chiamato, rimani sempre troppo melodrammatico. Non sto annientando nessuno, né mi sto mettendo contro nessuno. Sono solo un giornalista e voglio fare il mio lavoro. Anzi, nello specifico sono un giornalista affascinato da Selena Bernard e oltre a volere fare il mio lavoro voglio anche uscire con Selena Bernard.»
«Siete già arrivati a quel punto, quindi.»
«Siamo usciti insieme, punto e basta. Siamo andati in un locale a bere qualcosa insieme e siamo venuti a fare qualche passeggiata sulla spiaggia. Non c'è stato altro tra di noi, anche se confesso di essermi dovuto trattenere per non farmi avanti.»
«E ora cos'hai in mente?»
«Con Selena niente. Domani devo partire per Roma, per la copertura del Gran Premio cittadino dell'Eur. Non la vedrò fino al mio ritorno.»
«Mi raccomando, non tormentare Edward.»
«Roberts è in una botte di ferro. Non posso neanche dire niente contro di lui, visto che a Valencia è arrivato sul podio quando nessuno avrebbe scommesso più un solo centesimo su di lui. Ti dirò, mi ha sorpreso. Non guiderà mai come Patrick Herrmann, ma ci sono le sue buone ragioni se è rimasto nella Diamond Formula per così tanti anni.»
Keith gli strizzò un occhio.
«Edward guida molto meglio di Patrick.»
«Dici così solo perché non l'hai mai potuto sopportare.»
«Ti sbagli. Io e Herrmann andavamo d'accordo, prima che si portasse a letto mia moglie. Poi, alla fine, stavamo entrambi dalla stessa parte e credevamo in un obiettivo comune. Ma non c'è bisogno di spiegarti queste cose. Sei davvero sicuro di non ricordare, Oliver Fischer?»
Oliver scosse la testa.
«Davvero, non capisco di che cosa tu stia parlando.»
«Prima o poi lo capirai, ne sono certo» replicò Keith. «Spero solo che non sia troppo tardi.»

******

Lontana dal paddock, Veronica Young poteva sembrare una qualsiasi quarantenne elegante. Nel bar nel quale era seduta nessuno sembrava fare caso a lei, se non per lanciare qualche occhiata chiaramente dettata dalla sua bellezza. Veronica, da parte sua, sorseggiava il suo tè senza curarsi del mondo circostante, nemmeno di Oliver che la teneva d'occhio già da un po'. Riuscire a trovarla non era stato affatto semplice ed era servita la collaborazione di Emma, alla quale aveva dovuto rifilare innumerevoli scuse.
Oliver decise di non indugiare ulteriormente - aveva già sprecato abbastanza tempo, cercando di rievocare qualcosa di indefinibile come un incontro puramente onirico - e si avvicinò alla team principal, che si rese conto della sua presenza soltanto quando le domandò: «Posso sedermi?»
Veronica mise da parte la tazza, alzò gli occhi e lo riconobbe subito.
«Fischer?»
Oliver si accomodò di fronte a lei, pur senza averne ancora avuto l'autorizzazione.
«Esatto, sono proprio io. Vedo che il mio nome non passa inosservato.»
«Tu dovresti essere il fan di Christine Strauss, che non fa altro che smontare gli altri piloti con allusioni trash alla loro presunta incapacità.» Veronica accennò un sorriso. «Che cosa ti porta a pensare che la Strauss sia invece così fenomenale?»
«Ammiro Christine Strauss, come pilota e come mia connazionale» puntualizzò Oliver, «Ma non ho mai fatto niente per mettere in cattiva luce gli altri piloti. Spesso ci pensano già da soli.»
«Spero che tu non sia qui per dirmi che hai da ridire anche sul mio lavoro di team principal.»
«Oh, no, per niente. Ammiro chiunque riesca a gestire un team da tanti anni.»
«Meglio non ricordare quanti. Seppure fossi giovanissima all'epoca, non mi piace che la gente pensi troppo alla mia età.»
«Un'età portata benissimo.»
«Grazie, ma non c'era bisogno che tu me lo dicessi, Fischer» ribatté Veronica. «Me ne rendo conto da sola ogni volta in cui mi guardo allo specchio. Se sei venuto qui solo per ricordarmi che sono una bella donna, hai fatto un viaggio a vuoto.»
«Non sono qui per questo» puntualizzò Oliver. «Volevo parlare di una persona con cui hai avuto a che fare molto tempo fa.»
«Ovvero?»
«Ovvero Patrick Herrmann.»
Veronica alzò le spalle.
«Herrmann è morto e sepolto. Io guardo avanti, non indietro.»
«Herrmann sarà anche morto, ma è stato un grandissimo pilota.»
«Esatto, e molti hanno iniziato a definirlo un grandissimo soltanto dopo la sua morte.»
«È un grande classico.»
«Esatto, e per tale ragione preferirei non essere ipocrita come tutti gli altri.»
«Patrick Herrmann è stato campione del mondo due volte e avrebbe potuto vincere addirittura un terzo titolo» le ricordò Oliver. «In molti lo stimavano come pilota, durante la sua carriera, anche se non era proprio formidabile quando si trattava di farsi apprezzare come persona.»
«Te lo concedo, Herrmann è stato davvero un grandissimo pilota, ma non capisco perché dovrei perdere tempo a parlare di lui con un giornalista. Che cosa vuoi sapere su Patrick? Perché non ti preoccupi di quello che succede al giorno d'oggi in Diamond Formula? Il tuo lavoro è questo, dopotutto.»
«Non mi pongo limiti, quando si tratta di lavoro. Patrick Herrmann è una figura che mi ha sempre affascinato.»
«Buon per te, ma io cosa posso farci?»
«Potresti rispondere a una mia domanda.»
«Non mi hai fatto domande.»
«Per forza, non hai fatto altro che replicare che Herrmann non ti interessa e che non dovrebbe interessare nemmeno a me. Io, però, ho intenzione di scrivere un libro su di lui, che l'idea ti piaccia o no.»
Veronica, che fino a quel momento era apparsa comunque piuttosto rilassata, si fece più rigida.
«Come sarebbe a dire che vuoi scrivere un libro su Herrmann?»
Oliver azzardò: «L'idea ti turba?»
«No, affatto, perché dovrebbe?»
«Già, perché dovrebbe?»
Veronica tagliò corto: «Cosa vuoi chiedermi, Fischer? Si sta facendo tardi e domani sarà una lunga giornata di lavoro, almeno per me. Gradirei andare via e andarmene a letto, se per te non è un problema.»
«Nessun problema, non ti impedirei mai di dormire nella serenità più totale, è quello che ti meriti.»
«Smettila di parlare in modo improponobile e vieni al dunque: cosa vuoi?»
Era arrivato il momento, Oliver sapeva di non potere più rimandare. I suoi minuti con Veronica si erano ormai esaurito, almeno per quella sera, e doveva fare presto. Le domandò, quindi, a bruciapelo: «La Dynasty avrebbe ingaggiato Herrmann, ai tempi, anche se non fosse intervenuta Alexandra Bernard?»
Veronica spalancò gli occhi.
«Alexandra Bernard?! La madre della tua amica?»
Oliver sussultò.
«Di che amica parli?»
«Frequenti Selena Bernard o sbaglio?»
«Come lo sai?»
«Non importa come lo so. Potresti chiedere a Selena di farti parlare direttamente con sua madre, se proprio ti interessa così tanto questa faccenda.»
«Invece ne parlo con te.»
Veronica scosse la testa con fermezza.
«No, mio caro Fischer, non ne parli con me perché me ne sto andando. Per me Herrmann era semplice lavoro, e il lavoro di quindici anni fa non ha importanza, al giorno d'oggi. Non ricordo con chiarezza i dettagli contrattuali a distanza di così tanti anni, né ha alcuna utilità per me andare a ripescare vecchie storie che non portano da nessuna parte. Buona notte, giornalista.»

******

Il cielo si stava nuovamente riempendo di nubi, ma ancora una volta non importava. Oliver non era in grado di spiegarsi perfettamente come e quando avesse lasciato l'Italia, ma era tornato al punto di partenza, dove Keith Harrison lo attendeva ancora da una volta.
L'altro lo salutò con un cenno della mano, sorridendo impassibile alla sabbia portata in aria dal vento.
«Temevo che non saresti riuscito a venire, stanotte.»
Oliver aggrottò la fronte.
«Notte?»
Era a malapena l'ora del tramonto, una giornata serena a quell'orario sarebbe stata ancora piena di luce.
Keith ignorò il suo commento. Volle piuttosto sapere: «È successo qualcosa di nuovo a Roma?»
Non vi erano ragioni per cui Oliver dovesse riferirgli la sua conversazione con Veronica, ma si ritrovò comunque a farne menzione.
«Ho parlato con la Young.»
«Quando?»
«In un bar, stasera.»
Solo dopo avere pronunciato quell'ultima parola si rese conto del paradosso che stava vivendo: la sera era già passata, eppure era ancora giorno.
Doveva avere l'aria smarrita, dal momento che Keith Harrison ci tenne a rassicurarlo: «Può sembrarti strano, ma non lo è. Quando ti sveglierai, ti sembrerà di avere sognato.»
Dunque quello era un sogno, così come lo era il loro incontro precedente.
«Perché ti sto sognando?»
«Non mi stai sognando, è tutto vero. Noi non siamo qui, nel posto che vedi. Sei tu che te lo immagini così, perché ti è difficile calarti in un'altra atmosfera. Deve essere stato per lo scambio, forse vedi il posto in cui la tua strada si è incrociata con quella del ragazzino.»
«Non ti seguo. Di cosa stai parlando, di quale ragazzino?»
«Non mi dire che sei ancora in piena fase negazionista.»
Oliver alzò gli occhi al cielo.
«Ma negazionista di cosa?! Non so nemmeno di cosa stai parlando, come potrei negarlo?»
«Stai calmo, Oliver Fischer» ribatté Keith. «È così che ti chiami adesso, giusto?»
«È così che mi sono sempre chiamato.»
«Sì, come no...»
«Perché mi hai convocato qui?»
«Non sono io che ti ho convocato. Sei tu che sei venuto, di tua spontanea volontà. È un po' come quella volta in cui hai chiesto disperatamente il mio aiuto, perché sapevi di non potertela cavare da solo.»
«Smettila di parlare per enigmi» lo supplicò Oliver. «È la seconda volta in cui ti vedo, non ti ho mai chiesto niente. Temo che tu mi abbia scambiato per qualcun altro, deve essere questo il motivo per cui sono qui.»
Keith rise.
«È fantastico vederti così smarrito. Se non fosse una situazione seria, sarebbe bello poterlo raccontare in giro.»
«Non mi sembra che tu sia in grado di raccontarlo in giro» replicò Oliver. «Perché non ti limiti a fare quello che fanno tutti quelli nelle tue condizioni?»
«Quelli che sono nelle mie stesse condizioni si potrebbero comportare esattamente come me, per quanto ne sai tu. Smettila di fare il saccente e, se proprio non ricordi nulla del tuo passato, raccontami almeno com'è andata a finire con Veronica.»
«Ehi, aspetta, come fai a sapere del mio passato?» replicò Oliver. «Come sai del mio incidente e della mia amnesia?»
«Che tu sia vittima di un'amnesia, e anche bella pesante, non è certo un mistero» rispose Keith, «Però non sono la tua balia, non è affare mio. Parlami di Veronica, cosa vi siete detti?»
«Niente di che» ammise Oliver, abbandonando per il momento i propri dubbi su come Keith Harrison fosse venuto a conoscenza del suo incidente passato, nonché il senso che non riusciva ad afferrare di molte affermazioni dell'ex pilota. «Ho provato a chiederle di Patrick Herrmann e lei ha iniziato a vaneggiare sul fatto che sia stato glorificato dopo la morte.»
«Tutti veniamo glorificati dopo la morte, non c'è niente di nuovo. Perfino Diaz veniva considerato un pluricampione del mondo, dopo il suo incidente.»
Oliver non commentò i risultati di Diaz, in quanto non di suo interesse in quel contesto - e in realtà nemmeno in altri.
«Si capiva che non aveva voglia di parlare di lui, ha cercato di girarci intorno finché ha potuto e quando l'ho messa alle strette mi ha suggerito di parlarne con Alexandra Bernard, dato che sono amico di sua figlia. Ecco, c'è una cosa che non mi spiego, come faccia Veronica a sapere chi frequento.»
«A volte, invece di cercare spiegazioni, sarebbe meglio prendere precauzioni» gli consigliò Keith. «Se Veronica è venuta a sapere che tu e Selena Bernard siete amici, può venirlo a sapere anche chiunque altro, tra cui persone poco raccomandabili.»
«Perché, Veronica è raccomandabile?»
«Non lo so, non l'ho mai capito fino in fondo. Sei tu quello che l'ha conosciuta meglio.»
«Io?!»
«Va beh, lasciamo stare, che tanto sei un po' troppo rintronato per capire certe cose. Cerca di fare mente locale e di ricordare chi sei davvero, se proprio non vuoi concentrarti su un'altra cosa fondamentale: toglierti dalla testa Selena Bernard.»
«No, su questo non mi convinci. Io non smetto di frequentare chi voglio solo perché c'è gente che si impiccia.»
«Poi, quando inizieranno i veri problemi, non dirmi che non ti avevo avvertito. Hai sempre fatto di testa tua e non è mai andata bene, neanche una volta!»
Oliver sbuffò.
«Sei peggio di mia madre!»
«A proposito di tua madre, provo compassione per quella poveretta. Immagino che tu stia parlando della signora Fischer...»
«Esatto, di madre ne ho solo una.»
«Deve avere pensato di avere un figlio completamente pazzo.»
«No, ti sbagli. È sempre stata molto soddisfatta di me, nonostante tutto.»
«Mi fa piacere. Almeno nella tua vita quotidiana sei riuscito a trovare il tuo posto.»
«Qualcosa del genere.»
«A maggior ragione, non ti resta altro da fare che trovarlo anche qui. Cerca di non chiudere gli occhi. Se tu fossi chi credi di essere, non potresti essere al corrente di certi fatti. Chieditelo: come sai cosa successe a quei tempi? Non hai doti di chiaroveggenza, sei semplicemente...»
«No» lo interruppe Oliver. «Non sono nessuno. Sono quello che vedi, niente di più, e preferirei che i nostri incontri terminassero qui.»
«Non è me che devi convincere, ma il tuo subconscio» ribatté Keith. «Temo sarà molto difficile. Quando Oliver Fischer chiude gli occhi e si addormenta, entri in gioco tu.»
«Da come parli, sembra che Oliver Fischer sia posseduto.»
«No, Oliver Fischer non è posseduto. Semplicemente il ragazzino che era un tempo non è più qui. Non c'è mai stato, da quando hai memoria. Il suo spirito è libero, ha varcato il confine che avresti dovuto varcare tu.»

******

Per quanto Emma Dupont avesse imparato a memoria il discorso da fare per la registrazione del servizio che sarebbe stato trasmesso l'indomani prima della sprint race, Oliver non poté fare a meno di notare quanto apparisse spontanea. Qualcuno, di tanto in tanto, aveva insinuato che non sarebbe finita a lavorare alla televisione, se non fosse stata la moglie di Keith Harrison, ma la gente, a quanto pareva, preferiva andare in giro con il paraocchi.
Oltre ad avere un viso che bucava lo schermo, Emma Dupont era molto di più e la sua voce lo confermava, mentre narrava, senza mai essere pesante, i fatti significativi della stagione.
«Appena due settimane prima del Gran Premio di Singapore, che lo scorso autunno ha aperto il campionato, era stata avanzata dai team la proposta di rivedere il punteggio della sprint race, in quanto ritenuto sproporzionato, con soltanto cinque punti per il vincitore e rispettivamente due e un punto per i piloti che si classificano sui gradini più bassi del podio. Il sistema, in effetti, pare in contrapposizione con il punteggio della gara, che dà punti a tutta la top-ten, con quindici punti al vincitore, dieci al secondo classificato, otto al terzo e poi, via a scalare, da sette a un punto ai piloti che si classificano dalla quarta alla decima posizione. Nessuna revisione, tuttavia, è stata attuata, ma non sembrava un problema di Edward Roberts, che ha dominato l'evento di Marina Bay. Partito dalla pole position nella sprint race, ha conquistato i cinque punti della vittoria, salendo a venti l'indomani, quando ha vinto la main race davanti a Shinji Nakamura e Christine Strauss. I piloti del team Albatros erano partiti rispettivamente dalla quarta e dalla quinta posizione e si sono confermati come i suoi avversari più accaniti. Il giapponese e l'austriaca hanno conquistato le prime due posizioni nella sprint race del successivo Gran Premio, quello di Hong Kong, mentre Roberts ha dovuto accontentarsi di un terzo posto. Il giorno seguente era in lotta per la vittoria con Nakamura, quando i due sono stati protagonisti di un contatto, che ha aperto le porte a Christine Strauss. Roberts ha rimontato in seguito fino alla nona posizione guadagnando almeno due punti, mentre il giapponese è stato costretto al ritiro.»
Preso com'era dall'ascoltare la narrazione di Emma, per poco Oliver non dimenticò che era arrivato il momento del suo intervento.
«Christine Strauss si è portata in testa alla classifica, con quella vittoria nel secondo evento della stagione» riferì, «Due lunghezze in più di Edward Roberts. Nakamura, invece, era terzo in classifica con quindici punti, ma avrebbe avuto occasione di rimontare con la vittoria sia nella sprint race sia nella gara principale del successivo Gran Premio di Macao.»
La parola tornò a Emma: «Il prestigioso evento un tempo riservato alle vetture di Formula 3 ha visto sia la Strauss sia Roberts in netta difficoltà, con i due costretti a partire dalle retrovie nella sprint race. Sarebbero risaliti rispettivamente al nono e al decimo posto, rimediando tuttavia un gap consistente in termini di punteggio da Shinji. La fortuna, però, non era dalla parte di Nakamura, che in sprint race al Gran Premio di Hanoi, l'ultimo dei quattro disputati nel continente asiatico, si è reso protagonista di un brutto incidente, nel quale ha riportato una frattura alla gamba sinistra, infortunio che l'avrebbe costretto a saltare anche il successivo Gran Premio di Adelaide, disputato in Australia un mese più tardi.»
Dopo la sintesi di Emma, Oliver continuò: «Era fermo a quota trentacinque punti, mentre quelli di Edward e Christine continuavano ad aumentare: per Roberts un secondo e un terzo posto a Hanoi, poi un terzo posto e una vittoria ad Adelaide, per la Strauss due vittorie a Hanoi, seguite da una sprint race non all'altezza in Australia, poi da un ottavo posto nella gara principale. A quel punto i due erano appaiati in classifica a cinquanta punti, entrambi con tre vittorie, per Edwards due in main race, per la Strauss una sola, con due vittorie in sprint race. Nakamura, sotto di quindici punti, era richiamato a una grande rimonta al suo ritorno.»
«Ciò, tuttavia, non è accaduto. L'evento successivo era il Gran Premio di Sao Paulo, sul circuito cittadino sul quale ha gareggiato in passato anche il campionato di Indycar. Il giapponese, ricevuta l'autorizzazione dei medici a scendere in pista, è stato tuttavia costretto a un forfait dopo le prove libere. Da parte loro, Christine Strauss ed Edward Roberts, non hanno tuttavia approfittato più di tanto della situazione.»
A quel punto Oliver dimenticò totalmente di riprendere la parola, non perché fosse affascinato dalle parole di Emma, ma perché, in lontananza, gli era parso di intravedere Veronica Young.
Qualcun altro, al posto della Dupont, non si sarebbe comportato come fosse stata una diretta. Emma, invece, decise di proseguire al posto di Oliver, con un'improvvisazione tanto spontanea quanto accurata: «La vittoria della sprint race è andata a Marco De Rossi, il pilota italiano compagno di squadra di Roberts, finalmente autore di una prestazione all'antezza, mentre la Strauss ha portato a casa almeno il punto del terzo posto. L'indomani, invece, il team Whisper ha conquistato la prima vittoria della stagione. La squadra, che per tradizione affida, per eventi selezionati, le proprie vetture a piloti one-off di alto profilo, è stata ricompensata per la propria decisione: davanti al pubblico brasiliano, la vittoria è andata a un pilota di casa, in passato nome di spessore della Formula 1, per la gioia degli spettatori in giubilio, oltre che per la sua stessa gioia, dato che non aveva mai vinto il suo gran premio di casa in un campionato internazionale. Edward Roberts, da parte sua, ne ha approfittato per battere Christine Strauss: giungendo terzo, è salito a cinquantotto punti in classifica, uno in più della rivale, che ha tagliato il traguardo al quinto posto.»
Il resto del servizio fu tutto in calare, per Oliver. Ormai distratto da ciò che aveva visto - nulla di che, in realtà, semplicemente Veronica Young nel paddock - si limitò a cercare di non fare sfigurare la collega, aiutandola a rievocare gli eventi di Città del Messico, nel quale la Strauss aveva vinto ambedue le gare davanti a Edwards, secondo in entrambe le occasioni, e Buenos Aires, dove Nakamura era tornato alla vittoria in sprint race, quando ormai era troppo tardi per la classifica generale, e i due principali avversari, a secco di punti al sabato, si erano ripresi alla domenica, Roberts vincendo dalla quarta casella della griglia di partenza, salendo così a settantacinque punti, e la Strauss cogliendo un misero settimo posto, che tuttavia le aveva permesso di rimanere in vetta, con ottantuno punti, situazione che si era ribaltata a Valencia, quando giungendo secondo nella gara principale era salito a ottantacinque.
«Come tutti ricorderete» concluse Oliver, «La vittoria della sprint race è andata, a sorpresa, a un celebre veterano dei campionati di motociclismo che nel corso degli anni non ha disdegnato di mostrare le proprie prodezze anche su mezzi a quattro ruote. Il successo è giunto al volante di una delle vetture del team Whisper e per giunta, l'indomani, pur non ripetendosi, è arrivato nuovamente a podio, al terzo posto, dietro a Nakamura e a Roberts.»
Per fortuna poco dopo le telecamere si spensero e quel servizio, ormai divenuto uno strazio, giunse finalmente al termine. Oliver decise di andare da Veronica Young, per tentare di chiederle nuovamente delucidazioni a proposito dell'ingaggio di Patrick Herrmann.
Non riuscì a raggiungerla e gli venne da chiedersi quale sarebbe stata la reazione di Keith Harrison nell'apprendere che non aveva concretizzato il proprio intento. Quel pensiero lo fece rabbrividire subito dopo, dato che Keith Harrison era morto quindici anni prima.

******

Le nubi formavano striature macchiate di rosso, nel cielo al tramonto. Il vento si era placato, come se l'imminente maltempo avesse cambiato idea e deciso di dare tregua. Il meteo, tuttavia, non aveva alcun significato per Oliver, che camminava ancora una volta lungo la spiaggia, con addosso la spiacevole sensazione che qualcuno lo stesse tenendo d'occhio. Si aspettava di vedere comparire Keith Harrison da un momento all'altro, ma l'ex pilota decise di non apparire al suo cospetto.
Continuò a camminare lungo la spiaggia, consapevole di essere alla ricerca di qualcuno. Non aveva idea di chi lo stesse aspettando e quando vide due persone che discutevano tra di loro comprese che in realtà né lo attendevano né potevano vederlo, come se tra di loro ci fosse un muro, un muro che per Oliver era trasparente, mentre non lo era per chi stava dall'altra parte.
A conversare sulla spiaggia erano una donna minuta dai vaporosi capelli ramati e una ragazza bionda vestita in maniera poco appariscente, una giovanissima Selena Bernard ben lontana dalla donna elegante che sarebbe diventata e che Oliver avrebbe conosciuto in un'altra vita. Era insieme alla madre, Alexandra Bernard, e non vi erano dubbi chi, tra le due, avesse in quel momento il coltello dalla parte del manico.
Selena scuoteva la testa, nell'udire le parole della madre. Alexandra, da parte sua, non sembrava affatto turbata dalla reazione della figlia e insisteva: «Dobbiamo fare come ti dico, non ci sono alternative.»
«Invece credo che di alternative ce ne siano» replicò Selena. «Quello che hai in mente non ha alcun senso.»
«Invece ne ha eccome» insisté Alexandra. «Rifletti, Selena, hai vent'anni e non hai niente in mano. Perfino il tuo ragazzo è in punto di morte e non ha possibilità di sopravvivenza... sembra quasi un segno del destino, non credi? Un giorno finirai per essere contenta che Patrick si sia levato di torno, rendendo tutto questo possibile.»
Selena spalancò gli occhi.
«Che cosa stai dicendo?»
«La verità.»
Selena riprese a scuotere la testa.
«No, non sai quello che dici.»
Alexandra sospirò.
«Va bene, va bene, non sei ancora pronta per accettare la verità, ma non importa. Un giorno capirai che la morte di Patrick - che speriamo arrivi il prima possibile - è stata una liberazione per entrambe.»
«Patrick non è ancora morto» puntualizzò Selena. «Non puoi dire che...»
Alexandra non la lasciò finire.
«Invece posso dire tutto quello che è opportuno. Sii realista: le ferite che ha riportato non gli possono lasciare scampo, i miracoli non esistono. E se anche dovessero esistere, sarà meglio che non ne capiti uno stavolta. Lo capisci che sarebbe un problema non da poco?»
«E tu ti rendi conto che stai parlando di Patrick come se la sua stessa esistenza fosse un problema?»
«Lo è, lo è sempre stata. Mi dispiace per te, so che ci tenevi a lui, ma la tua vita potrebbe essere migliore senza di lui.»
«Talmente migliore che hai già deciso che vuoi sconvolgerla definitivamente.»
«Avrai tutti i comfort che ti servono. Ti darò soldi, molti soldi. Più di quanti tu possa immaginare. Ti lascerò casa mia, quando non saremo più costrette a nasconderci.»
«Nasconderci?!»
«È inevitabile, dovremo nasconderci per un periodo e trovare una persona disposta ad aiutarci. A questo, comunque, ci ho già pensato.»
«Ti stai comportando come se io ti avessi già detto di sì.»
«Perché mi dirai di sì.»
«Tu sei pazza.»
«No, Selena, sei tu che saresti pazza a rifiutare. Lo sai, vero, che non puoi dirmi di no?»
«E, sentiamo, perché non posso?»
«Perché hai già rovinato la mia vita una volta e non ti permetterò di farlo di nuovo. Non puoi rifiutarti, non dopo quello che hai fatto.»
Selena obiettò: «Non ho fatto nulla e lo sai bene.»
Alexandra rise, sprezzante.
«Ti sei presa tutto quello che volevi, quindi adesso è giusto che sia io a prendere quello che voglio. E sai benissimo cosa voglio. Non sarei mai libera, se facessimo in un altro modo.»
«Ci sono altre alternative.»
«Sì, ci sono, ma ho deciso di fare di testa mia» precisò Alexandra, «E tu non mi metterai i bastoni tra le ruote. Non sei nella posizione di poterlo fare. Non sarà un grosso fardello per te. Metterò a tua disposizione persone che possano aiutarti, se non vuoi trovarle da sola. Un giorno mi ringrazierai per quello che ho fatto per te.»
«Ne dubito.»
«Sì, invece, perché se non accetterai troverò un modo per rovinarti una volta per tutte. Non mi sarà difficile, sai che conosco tanta gente che conta e che posso influire sulla vita delle persone.»
«Mi stai dicendo che...»
Alexandra la interruppe: «Sto dicendo che nella vita bisogna affrontare le conseguenze delle proprie azioni. Sei liberissima di dirmi di no, ma se rifiuterai sarò pronta a distruggere tutto ciò che cercherai di costruire nella tua vita. Non hai alternative. Hai voluto intrometterti in faccende che non ti riguardavano e adesso devi pagare per quello che hai fatto. Dopotutto ti sto comunque concedendo di vivere una vita più che agiata, di potere continuare i tuoi studi e di abitare in un appartamento meraviglioso. I lati positivi superano di gran lunga quelli negativi, non credi?»
Selena abbassò lo sguardo.
«Non so cosa dire.»
«Non importa che tu non sappia cosa dire adesso» rispose Alexandra. «So già cosa dirai, quando sarà il momento giusto. Dopotutto tra poco rimarrà solo una cosa di Patrick Herrmann... e sarà suo figlio.»
Oliver rabbrividì.
Non c'erano dubbi, aveva capito bene, Alexandra Bernard aveva nominato il figlio di Patrick Herrmann... ed era abbastanza chiaro quale fosse la sua identità.
«Non è possibile» replicò tuttavia Selena. «Non è possibile che sia il figlio di Patrick.»
In effetti, dai calcoli che Oliver aveva fatto, Thomas Bernard doveva essere stato concepito poco prima del giorno in cui Selena e Patrick si erano conosciuti, ma in tal caso di chi poteva essere figlio? Era nel bel mezzo di quella riflessione, quando una voce alle sue spalle richiamò la sua attenzione.
«A quanto pare non puoi fare a meno di venire da me.»
Oliver si voltò di scatto.
«Harrison, che cosa ci fai qui?»
«La vera domanda non è cosa ci faccio io, ma cosa ci fai tu» ribatté Keith, «Ma ormai è inutile cercare di spiegartelo. Cosa vuoi da me?»
«Non voglio niente da te. Stavo ascoltando loro...» Girò la testa in direzione delle due Bernard, ma non vide nessuno. «Non ci sono più.»
«Chi?»
«Selena e sua madre.»
«Capisco. Era un ricordo, immagino.»
«Un... cosa?»
«Forse Selena e Alexandra Bernard erano qui, quando avvenne lo scambio. Devi avere visto o sentito qualcosa che poi hai rimosso, come tutto il resto.»
«Non ti capisco. Ti costa così tanto parlare chiaro?»
«Non penso spetti a me parlare chiaro. Non so cosa potrebbe succedere se i tuoi ricordi passati fossero risvegliati all'improvviso. In fondo hai la vita di Oliver Fischer da vivere, potrebbe essere un grande casino.»
Oliver allargò le braccia.
«La vita di Oliver Fischer è già un grande casino.»
«È successo qualche imprevisto?»
«Non ancora.»
«Pensi possa accadere qualcosa?»
«Non lo so. So solo che non sono più concentrato come dovrei, ormai ho in mente solo Patrick Herrmann e quello che lo riguarda. Mi sembra quasi di essere ossessionato da lui. Forse dovrei mettere in stand-by il mio libro.»
«Temo sia troppo tardi.»
«Troppo tardi per cosa?»
La risposta di Keith fu alquanto sibillina: «Per tornare indietro. Se continui a venire qui e a pensare al passato, non penso che tu possa avere scampo. Forse tutto ciò che devi fare è ricordare. Ti lascio andare. Vai a cercare la tua verità.»
Per un attimo, Oliver rimase senza parole. Infine domandò: «Cosa intendi?»
Era troppo tardi: Keith Harrison non c'era più, come se si fosse volatilizzato. Era scomparso allo stesso modo in cui erano svanite nel nulla Selena e Alexandra poco prima.
Oliver riprese a camminare, mentre il vento riprendeva a soffiare e si faceva progressivamente più buio. Infine un lampo squarciò in due il cielo. Fu allora, quando i suoi occhi incrociarono il bagliore di quella saetta, che Oliver Fischer, giornalista sportivo ossessionato da Patrick Herrmann, rammentò come tutto era iniziato, con addosso la certezza che avrebbe ricordato anche dopo il proprio risveglio.

******

Quando Oliver bussò alla porta, dall'interno giunse la voce di Emma: «Avanti, non è chiuso a chiave.»
Oliver aprì e varcò la soglia della camera della collega. La Dupont era seduta sul letto e indossava una t-shirt bianca abbinata a un paio di pantaloncini da pigiama. Evidentemente aveva scelto di non cambiarsi in attesa del suo arrivo.
«Allora?» gli domandò. «Perché avevi tutta questa fretta di vedermi?»
Oliver chiuse la porta alle proprie spalle e si appoggiò alla parete.
«Ho bisogno di parlare con te di qualcosa di urgente.»
Emma sospirò.
«Vorrei sperarlo. Sono le due e un quarto di notte. Mi auguro vivamente che il motivo per cui mi hai chiamato sia così importante da non potere aspettare almeno fino alle sette o alle otto di domani mattina, o per meglio dire, di stamattina.»
«Sì, certo, non ti avrei disturbata in piena notte, se non fosse stato per una buona ragione» la rassicurò Oliver. «Ti devo fare alcune domande su quello che ricordi di... mhm... di quei tempi.»
Emma borbottò: «Di... quei tempi?! E, sentiamo, quali sarebbero quei tempi e perché hai deciso, alle due di stanotte, che improvvisamente erano importanti?»
«Non riesco a togliermi dalla testa che sia partito tutto da Emiliano Diaz.»
«Tutto... cosa?! E perché sei venuto qui per parlarmi di Diaz? Ti rendi conto di quanti anni sono passati dalla sua morte?»
La reazione di Emma Dupont era più che lecita, ma Oliver non era disposto ad arrendersi all'evidenza e ad andarsene. Doveva approfondire più che poteva e doveva farlo subito.
«Patrick Herrmann era convinto che il team avesse commesso dei gravi errori e che la morte di Diaz dipendesse da quegli errori. Te ne ha mai parlato?»
«Perché avrebbe dovuto parlarmene?»
«Tu e Patrick avete avuto una relazione...»
Emma si prese la testa tra le mani.
«Una delle cose più stupide che io abbia mai fatto nella mia vita. Non avrei dovuto mettermi con lui nemmeno se fossi stata single, figurarsi rischiare di mandare a monte il mio matrimonio per un tipo del genere.»
«Perché? Era così terribile?»
«No, affatto. Solo, non eravamo compatibili come coppia, quindi era meglio evitare.»
«Ad ogni modo» realizzò Oliver, «Non hai risposto alla mia domanda. Ti ricordi che cosa ti abbia detto Patrick a proposito di Emiliano Diaz?»
«Non ti ho mai detto che Patrick me ne abbia parlato» puntualizzò Emma.
«Ma l'avrà sicuramente fatto.»
«Sì, ogni tanto mi ha accennato all'argomento, però non gli ho mai prestato troppa attenzione. Volevo restarne fuori.»
«In che senso?»
«Lavoravo già per la Formula Diamond ai tempi e, conoscendo Patrick, avevo la sensazione che volesse trascinarmi dalla sua parte e convincermi a scrivere qualcosa che avrebbe potuto compromettere la mia carriera. Io non sarei stata d'accordo. Ero giovane e appena agli inizi, non potevo permettermi di farmi dei nemici... soprattutto senza avere le prove che quanto affermava Herrmann fosse vero.»
Oliver le si avvicinò.
«Ti ringrazio per avermelo riferito. Adesso, però, ho un'altra domanda. A quei tempi avevi sicuramente paura che Patrick Herrmann cercasse di manipolarti, se ti parlava di Emiliano Diaz. Però non avresti avuto la stessa paura, immagino, se a riferirti qualcosa su Diaz fosse stato il tuo amato marito perfetto. Quindi quello che ti chiedo, adesso, è se anche Keith Harrison ti abbia mai parlato di Diaz.»
Emma annuì.
«Keith ha sempre avuto gli stessi sospetti di Patrick, però ha preferito tenere un profilo più basso. Il suo obiettivo non era quello di infangare il nome della squadra per cui gareggiava.»
Oliver obiettò: «Patrick voleva portare alla luce la verità, non infangare il nome di qualcuno.»
«Permettimi di dubitarne» replicò Emma. «Ho conosciuto Patrick bene abbastanza da rendermi conto che non faceva niente per niente.»
«Tutto ciò è ridicolo!» sbottò Oliver. «Patrick non avrebbe mai finto di essere davvero interessato alla sorte di Diaz solo per spargere merda sul team!»
«Non ho detto questo» obiettò Emma. «Solo, non l'avrebbe fatto se non avesse già avuto buone ragioni per volersi allontanare dal team. Keith è rimasto dalla loro parte fino all'ultimo, finché non ha avuto la certezza che avevano qualcosa da nascondere. Patrick, invece, li ha abbandonati al primo sospetto.»
«Insomma, mi stai dicendo che Keith Harrison era l'uomo perfetto che Patrick Herrmann non sarebbe mai potuto diventare.»
Emma sbuffò.
«Non sono una persona portata per pensare male, quindi non voglio pensare che tu mi abbia svegliata alle due di notte per lamentarti del fatto che ho amato mio marito più di quanto abbia amato il tuo pilota preferito.»
Oliver ignorò quel commento, anche perché era giunto il momento di passare a un altro aspetto piuttosto rilevante.
«Ho bisogno di chiederti un'altra cosa e mi serve che tu faccia uno sforzo per ricordare, anche se la domanda ti sembrerà un po' strana.» Attese una reazione da parte di Emma, ma la sua collega non parlò. Oliver si ritenne quindi autorizzato a proseguire. «Dopo la morte di Patrick Herrmann, cos'hanno fatto Alexandra Bernard e sua figlia? Che tu sappia, sono rimaste in contatto con qualcuno della Dynasty? O con qualcun altro che possa sapere cos'abbiano fatto e dove siano state nei mesi successivi?»
Emma si alzò in piedi di scatto.
«C'è una cosa che ti sfugge, Oliver.»
«Ovvero?»
«Ovvero che sono una giornalista sportiva, non l'addetta alla posta del cuore della Diamond Formula. Perché mai avrei dovuto preoccuparmi di Alexandra Bernard una volta che non era più l'impresaria di un pilota? E soprattutto perché avrei dovuto preoccuparmi di quello che accadeva a sua figlia?»
«Non mi interessa perché avresti dovuto farlo. Di sicuro, però, sai qualcosa più di me, che all'epoca ero solo un ragazzino e non avevo mai avuto a che fare con la Diamond Formula. Per me è fondamentale sapere.»
Emma gli ricordò: «Non sono la persona giusta a cui chiedere, se vuoi sapere i loro fatti privati. Selena è una tua amica, dopotutto, mi pare di capire. Puoi parlarne direttamente con lei, non credi?»
Oliver si affrettò a replicare: «No, non posso chiedere direttamente a Selena, perché penso che abbia dei segreti e che non me li rivelerebbe. Anzi, mi caccerebbe via a calci, se le facessi certe domande, e non è quello che voglio.»
«E va bene» si arrese Emma. «Dopo la morte di Patrick, Alexandra Bernard non si è mai più fatta vedere. Selena, invece, anche negli anni immediatamente successivi è riapparsa occasionalmente nel paddock. Era molto amica della moglie di Edward Roberts. Se c'è qualcuno che poteva essere al corrente dei suoi segreti, doveva essere quella donna, Sharon, mi sembra si chiamasse.»
«Esatto, si chiamava Sharon» convenne Oliver, «Ed è morta cinque anni fa a causa di una malformazione cardiaca congenita, quindi non fa al caso mio.»
«Allora c'è Edward Roberts» ribatté Emma, «Ma temo tu ti sia bruciato ogni possibilità di interagire civilmente con lui, dopo le tue sparate di Valencia.»


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