Mi capitava di averne il sospetto, ultimamente, ma dopo
la 500 miglia di Pocono una pessima certezza ha iniziato a farsi largo nella
mia mente: gli appassionati di automobilismo sono condannati alla tristezza. È un
destino ineluttabile, è come un animale che si morde la cosa. Eppure, dopo
qualcosa come 23 o 24 anni di passione per i motori, non posso farne a meno, e
credo di non essere l’unica.
È assurdo come tutto possa accadere quando meno te lo
aspetti, quando anzi hai addirittura avuto la strana impressione che tutto stia
iniziando ad andare bene. Poi è questione di un attimo e la tua memoria inizia
ad essere selettiva. A chi mi chiedesse che cosa mi stesse dando l’impressione
che tutto stesse andando per il verso giusto, risponderei che non ne ho la più
pallida idea. È così, mi ricordo a malapena quello che è successo, perché ha
perso d’importanza. Forse un giorno mi rileggerò la cronaca in chiave ironica
che stavo scrivendo passo passo mentre guardavo la gara e che ho deciso di
conservare sul mio computer e in backup sulla mia casella di posta elettronica.
Forse un giorno me la rileggerò, avendo per un attimo ancora l’illusione che,
interrompendosi ad un certo punto, tutto quello che è successo dopo non sia
reale.
Quella di Pocono sarebbe stata la gara perfetta per
ironizzare sul fatto che partire alle 14.37 appare nonsense alla mia mentalità
europea, o magari per osservare che i tipi che annunciano “drivers, start your
engines”, di tanto in tanto sembrano degli svitati.
Oppure era la gara perfetta per osservare che vedere una
volpe che attraversa la pista e che, così dal nulla, in tutta tranquillità
scavalca un muretto e se ne va così come se niente fosse, ignara di avere
appena provocato uno dei millemila ingressi della safety car, è estremamente
pittoresco.
Invece Pocono non è stata niente di tutto questo e, nel
momento in cui mi sono accorta che, prima di andare a sbattere a sua volta,
Wilson era stato colpito da un pezzo della vettura di Karam, ho capito che c’era
qualcosa di cui preoccuparsi.
Ho sperato.
Ho sperato di sbagliarmi.
Non mi sbagliavo.
Non mi sbagliavo ed era maledettamente chiaro.
Tanti momenti di cui ricordavo a malapena mi sono
riaffiorati in testa. Uno di quelli era un giorno dell’estate del 2003, in cui
guardando le qualifiche insieme a mio padre non ci raccapezzavamo di che cosa
ci facesse Wilson alla Jaguar anziché alla Minardi.
Un altro è un tweet che, tra l’altro, a mio parere con
pessimo gusto, un tizio che mi segue su twitter mi ha linkato. Risaliva più o
meno a marzo, e avevo scritto che speravo di rivedere Justin Wilson in Indycar.
A volte mi chiedo chi mi fa sperare una cosa o l’altra.
È passato un giorno e mezzo tra il momento dell’incidente
e quello della morte di Justin, un giorno e mezzo di speranze che non sono
andate a buon fine.
Solo tre settimane fa, nel commento alla gara precedente,
avevo lasciato intendere che la sua seconda posizione mi aveva soddisfatto, ma
che avevo sperato in una sua vittoria.
Ancora una volta mi rendo conto di quanto i risultati
siano inutili.
Mi manchi, JW.
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per essere arrivato/a fino in fondo. Se vuoi, fammi cosa ne pensi con un commento. :-) Puoi farlo anche in maniera anonima.
Se sei capitato/a qui per caso ti invito a visitare il mio blog, in particolare le etichette "Commenti ai GP" e "F1 vintage".
Se invece mi leggi abitualmente e sei arrivato/a qui di proposito, ti ringrazio per l'apprezzamento e spero continuerai a leggermi.
Buon proseguimento di giornata (o a seconda dell'orario, di serata, o buona notte). <3
Milly Sunshine