Questa "breve" fan fiction l'ho scritta per il Forum F1GC come regalo di Natale e ho deciso di postarla anche qui sul blog.
Ho realizzato anche un booktrailer nei giorni scorsi, come anticipazione. Lo trovate QUI.
***
Formula Future
Una
fan fiction di Milù Sunshine, altresì nota come l’Autrice©
Era l’ultimo giorno di Novembre. Il
Tifoso Ultrasessantenne era seduto, in trepidante attesa, ad un tavolo,
rigorosamente con vista televisore, di un bar. Era solo, ma del resto mancavano
ancora dieci minuti abbondanti alla partenza dell’ultimo gran premio della stagione
e un telecronista parlava a raffica, snocciolando statistiche di dubbia
importanza. Era il gran premio che concludeva la stagione, nella gloriosa
Interlagos, dove si contavano sulle dita di una mano, tutte insieme, le pole
position di Kvyat, le vittorie di Verstappen e i di giri record di Sainz Jr.
Al Tifoso Ultrasessantenne importava ben
poco di tutto ciò. Quello che contava era che il tempo passasse in fretta e che
iniziassero le danze.
Il telecronista, intanto, parlava di
chissà quale pilota, forse del leader della classifica: «...gli basterebbero
pochi punti per conquistare il suo primo titolo mondiale e da lui ci si può
aspettare una gara conservativa...»
«Che assurdità!» sbottò il Tifoso Ultrasessantenne.
«Nessuno corre per i punti, tutti inseguono la vittoria!»
Qualcuno, dietro di lui, si schiarì la
voce, probabilmente per attirare la sua attenzione.
Il Tifoso Ultrasessantenne si girò e
guardò il nuovo arrivato. Era un altro classico Tifoso da Bar, più giovane di
lui di un paio di decenni, che sembrava poco intenzionato a schiodarsi di lì.
Il Tifoso Ultrasessantenne si sentì
estasiato. L’idea di avere qualcuno con cui litigare durante la visione del
gran premio era allettante e quella consapevolezza incrementò nell’udire la sua
voce che protestava: «Io credo che ci siano anche tanti piloti che corrono per
i punti, magari senza avere chance concrete di ottenerli. Quelli sono i veri
campioni, altro che quelli che stanno là davanti a sbraitare “you have to leave
the space” quando qualcuno non gli spiana la strada!»
Il Tifoso Ultrasessantenne s’irrigidì.
Come si permetteva quello sprovveduto di insultare il nome dei grandi campioni
e dei piloti più promettenti per esaltare gli sfasciacarrozze che nelle
retrovie si sportellavano per la penultima posizione, magari sentendosi
estasiati solo per il semplice fatto di non essere arrivati ultimi?
«Tu non hai capito proprio niente dalla
vita!» sbottò, infastidito ma allo stesso tempo allettato dal fatto che il
Tifoso Ultraquarantenne si stesse permettendo, di propria iniziativa, di
sedersi al suo stesso tavolo con vista televisore. «La Formula 1 l’hanno fatta
i vari Alonso e Vettel e non di certo Pic e Van Der Garde!»
L’altro lo guardò storto.
«È tutto da vedere. Intanto guarda la Marussia
dov’è, quando in passato ha rischiato più volte il fallimento, e guarda il
piccolo Massa che scatta dalla pole position nella sua terra natale.»
«Vedi» puntualizzò il Tifoso Ultrasessantenne,
«Tu parli tanto dei piloti delle retrovie... ma guardi chi parte primo e non
certo chi parte ultimo!»
«Io guardo anche chi parte ultimo»
puntualizzò il più giovane. «Sei tu che chiudi gli occhi per fingere di non
vedere.»
Il Tifoso Ultrasessantenne non replicò.
Era bene non far notare il proprio coinvolgimento emotivo e non ammettere che
vedere Ferrari, McLaren e Williams battagliare per le ultime file poteva sembrare
un brutto spettacolo, specie quando venivano ammesse alla gara per gentile
concessione dei commissari, nonostante non fossero riuscite a qualificarsi.
L’inquadratura si spostò in quel momento
proprio sul box della Ferrari, dove un pilota brasiliano stava vivendo i propri
drammi interiori.
Eduardo
si sentì sollevato dall’avere accanto a sé tutta la sua famiglia. Nonostante il
suo tempo in qualifica fosse stato oltre il 107% e, per completare l’opera,
dopo l’ammissione alla gara fosse stato retrocesso a partire dalla pit-lane per
modifiche apportate alla sua vettura in parco chiuso, mamma Silvana, papà
Rubinho e nonno Rubão cantavano cori da ultrà, facevano la ola e saltellavano, vestiti
di rosso Ferrari dalla testa ai piedi, anche se non si notava più di tanto dal
momento che erano tutti avvolti in enormi bandiere verde-oro.
Eduardo
si allacciò la tuta, asciugandosi nel frattempo una lacrima e sentendosi
commosso - seppure non per la stessa ragione - come quando sei mesi prima il
suo fratello minore aveva trionfato nella Cinquecento Miglia di Indianapolis.
Pensò
a quanto avrebbe desiderato partire dalla griglia di partenza. Il suo compagno
di squadra Mick e i loro degni avversari - Hugo e Dayton sulle McLaren,
Sebastian e David sulle Williams - erano tutti là, mancava soltanto lui.
“Non
fa niente” si consolò Eduardo. “Io almeno ho una famiglia che mi adora e sta
sempre al mio seguito, non come tutti gli altri, che sono messi talmente male
che nessun familiare si degna più di seguirli da ogni parte del mondo per
vederli battagliare per il ventunesimo posto.”
La
sua mente andò a rievocare gli intensi duelli con Mick, con le McLaren e con le
Williams. Quelli sì che erano duelli epici, altro che quelli che avvenivano tra
le prime posizioni! Piloti come Mick Schumacher e Dayton Coulthard, nei loro
accesi scontri, non si erano mai aspettati di ricevere favori, cosa che invece
facevano quei piloti da quattro soldi che stavano nelle zone alte della
classifica! Eduardo era felice di appartenere alla loro stessa cerchia, invece
che di trascorrere ogni gara a lamentarsi via radio di chi aveva opposto
resistenza ai tentativi di sorpasso.
«Grande Eduardo!» esclamò il Tifoso
Ultraquarantenne, alzandosi in piedi e mettendosi a esultare per la sua
inquadratura. «Ecco finalmente un pilota che vincerà molti titoli...
considerando le posizioni al contrario. Io l’ho sempre detto che la Ferrari e
gli altri team storici, prima o poi, si sarebbero ritrovati da quelle parti. La
Formula 1 è come una ruota panoramica che gira: un team domina, ma non sarà per
sempre. Non sarà sempre lo stesso team a dominare.»
Il Tifoso Ultrasessantenne gli lanciò
un’occhiata gelida.
«Ti piacciono le ruote panoramiche, per
caso?»
Il Tifoso Ultraquarantenne scosse la
testa con fermezza.
«No, le detesto. Sai, troppi brutti
ricordi.»
«Però sei un sadico, nei confronti dei
team storici, e sembri odiarli quasi quanto le ruote panoramiche. Questa è la
dimostrazione che la tua generazione non capisce nulla di Formula 1! Ferrari,
McLaren e Williams hanno fatto la storia della Formula 1, nel caso non ti sia
chiaro. Adesso, invece, in fila ci sono le Marussia, le Lotus che non hanno
nulla a che vedere con quelle storiche, le Sauber, le Caterham...»
Quelli
che precedevano la partenza erano i minuti più dolceamari di tutto il
campionato, per chi sapeva di avere la sola necessità di controllare la
situazione.
Durante
la stagione precedente, fatta di alti e bassi nonostante le elevate performance
della Marussia, l’esordiente Felipinho Massa, non si era mai aspettato di poter
competere per il titolo già al suo secondo anno in Formula 1.
Dodici
mesi più tardi tutto era cambiato. C’era lui, in testa alla classifica, con il
suo compagno di squadra, una delle Sauber e le due Lotus dietro a inseguire.
“Gli
basta poco” stava senz’altro declamando, in quel momento, qualche telecronista
seduto in tutta tranquillità in cabina di commento, senza avere nemmeno la più
pallida idea di quali sensazioni provasse un pilota seduto nell’abitacolo della
propria monoposto. “Ormai è fatta, per lui.”
Invece
non era fatta neanche da lontano, con quei quattro che gli stavano col fiato sul
collo come falchi assassini e che, dal punto di vista dell’aritmetica, avevano
ancora concrete possibilità di strappargli il titolo di campione del mondo.
C’era solo un grosso problema, per lui, che era in testa al campionato: mentre
l’opinione pubblica aveva ormai legittimato i suoi avversari a perdere, a lui
non sarebbe mai stato concesso lo stesso favore. La sconfitta avrebbe
significato l’improvviso e repentino crollo della sua reputazione e, forse,
l’impossibilità di ritrovarsi, un giorno, nello stesso posto.
“Gli
basta mantenere la posizione fino alla fine” era senz’altro il tormentone che
andava per la maggiore, in quel momento, “E conquisterà il titolo.”
Felipinho
proferì, per sentirsi più al sicuro, in un poco elegante gesto scaramantico,
mentre intorno a lui iniziava ad aleggiare uno spiacevole sentore di disgrazia
imminente.
«Gli basta mantenere la posizione fino
alla fine» disse il telecronista, mentre le vetture stavano per terminare il
giro di formazione, «E conquisterà il titolo. Felipinho Massa, che compie
ventidue anni proprio questo weekend, sa quello che deve fare.»
«Esattamente come il padre» concluse il
Tifoso Ultrasessantenne, con una risata, «Che però faceva sempre l’esatto opposto.»
Si guadagnò un’occhiataccia dal proprio compagno di tavolo. «Hai qualcosa in
contrario, per caso?»
«Sì, ho molto in contrario» ribatté
l’altro. «Possibile che nessuno stia neanche lontanamente accennando al povero
Eduardo che partirà dalla pit-lane?»
Il Tifoso Ultrasessantenne sospirò.
«E poi magari dovremmo parlare anche di
Sirotkin che ha debuttato in Formula 1 quando aveva già i capelli bianchi?»
Il Tifoso Ultraquarantenne scosse la
testa.
«Sirotkin non c’entra niente. Dopotutto
parte sesto, appena tre posizioni più indietro rispetto al compagno di squadra
che si sta giocando il titolo alla veneranda età di quarantun anni!»
«Aveva già promesso molto tempo fa che
avrebbe spaccato il culo a tutti» ricordò il Tifoso Ultrasessantenne.
«Purtroppo quelli della McLaren non gli hanno mai creduto, un paio di decenni
fa.»
Il Tifoso Ultraquarantenne non replicò.
Contemplava il teleschermo, mentre il telecronista parlava a raffica: il
momento della partenza si stava avvicinando.
«Ehi, che cosa...»
Il Tifoso Ultrasessantenne spalancò gli
occhi, osservando una sagoma nera e gialla che sembrava avere anticipato i
semafori.
Alla TV il rumore dei motori fu coperto
da un boato.
«Sta per partire il Gran Premio del
Brasile, ultima prova del campionato 2031 con cinque piloti che si contendono
il titolo. Non è mai capitato nella storia della Formula 1 e... si accendono le
luci rosse e... SCATTANO LE VETTUREEEEEE!» Lo speaker parve restare spiazzato.
«...E in realtà quella di Victoria è già scattata da un bel po’! Vediamo la
Lotus della diciottenne venezuelana ormai davanti alle Sauber e... CHE COLPO DI
SCENA! Si toccano! Collisione tra Victoria e Si-... Pe-... Sirotkin? No,
scusate, è Perez! ...Che confusione!»
Il
grigio dell’asfalto, il bianco e il rosso dei cordoli e il verde dell’erba
sintetica si fusero in una spirale di colori che a Checo parve infinita.
Non
lo era. Non lo era per niente e tutto, tranne lui stesso, tornò al proprio
posto, nel momento in cui il suo testacoda finì. Si era insabbiato, ed era
tutta colpa di quella ragazzina viziata che aveva pensato bene di iniziare
l’ultima gara stagionale in grande stile, bruciando la partenza.
“Tale
padre, tale figlia” pensò Checo, che si era appena reso conto di avere buttato
via quella che poteva essere la sua ultima chance.
La
Sauber non sarebbe stata al vertice per sempre.
Lui
stesso non sarebbe stato al vertice per sempre: non sentiva i suoi quarantun anni,
ma quanto a lungo sarebbe durata?
Aveva
buttato via la sua ultima chance, e non era nemmeno colpa sua!
Le
donne dovevano stare in cucina, come aveva ricordato tante volte in passato
alla sua amica Susie Wolff, quindi non c’era ragione per cui quella diciottenne
che vestiva i colori della Lotus fosse lì, invece che in una classe dell’ultimo
anno dell’istituto alberghiero, dove avrebbe potuto sfogare al meglio i propri
istinti con pentole, mestoli e matterelli. Già, perché quella fallita non si
era accontentata di partire in anticipo, ma gli aveva anche tagliato la strada
e, quando lui aveva cercato, gesticolando e sbraitando via radio, di
riprendersi ciò che gli spettava, lei gli aveva rifilato una vistosa
sportellata. A peggiorare la situazione, nessuno avrebbe preso in
considerazione l’idea di radiarla dalla Formula 1, ma con tutta probabilità se
la sarebbe cavata con un misero stop and go di appena cinque secondi: avrebbe
perso molto meno tempo di quanto ne perdeva mediamente Felipe Massa nei suoi
gloriosi giorni ogni volta che ai box qualcuno perdeva un bullone.
Desideroso
di dirne quattro a quella sfasciacarrozze, Checo avrebbe dovuto tra l’altro
aspettare fino alla fine del gran premio, e questo era inconcepibile! Per
fortuna che nel box della Lotus c’era l’artefice di tutte le sue disgrazie:
l’intramontabile Pastor Maldonado. Se sua figlia era troppo impegnata a mettere
in pericolo gli avversari per ascoltarlo, lui lo sarebbe stato a sentire,
volente o nolente, invece di stare ai box a sognare a occhi aperti il giorno in
cui sarebbe stato eletto presidente della repubblica venezuelana.
«Brava Victoria!» urlò il Tifoso
Ultrasessantenne, alzandosi in piedi per esultare. «Speedy Gonzales non merita
altro che di essere buttato fuori! Anch’io, se fossi stato in pista con lui,
gli sarei andato addosso molto volentieri, a costo di rischiare di spiccare il
volo!»
Il Tifoso Ultraquarantenne, infastidito
dal suo atteggiamento inopportuno, lo richiamò subito all’ordine.
«Ehi, non fare l’antisportivo. Vuoi
essere scambiato per un tifoso da bar?»
«Veramente siamo al bar... Cosa dovrei
fare?»
«Dovresti commuoverti per la sorte di
Checo. Si stava giocando il mondiale e ora si ritrova fuori per colpa della
figlia del suo nemico storico.»
Il Tifoso Ultrasessantenne spalancò gli
occhi, nel vedere un inferocito Perez che camminava in gran fretta nella corsia
dei box, tenendo il casco in mano.
«Ma adesso dove sta andando?»
«Dovresti saperlo» replicò il Tifoso
Ultraquarantenne, strizzandogli un occhio. «Dovresti sapere qual è la reazione
tipica di un pilota che viene buttato fuori!»
Si sorprese nel vederlo scuotere la
testa, mentre replicava: «Veramente non ho la più pallida idea di cos’abbia in
mente.»
«Te
l’avevo detto» puntualizzò Romain. «Sacha è un pilota molto più completo e
immune da errori, rispetto a Victoria. Senza offesa per tua figlia, ma credo
che il suo passaggio così prematuro in Formula 1 sia stato molto azzardato.»
Pastor
si mordicchiò la lingua per impedirsi una piccata replica. D’altronde lui era
sempre stato un uomo di gran cuore, non poteva mettersi a insultare
chicchessia, soprattutto se si trattava del suo ex compagno di squadra, del
padre del compagno di squadra di sua figlia e, chissà, forse addirittura un suo
futuro parente, se tra Sacha e Victoria fosse scoppiata la scintilla, cosa che
sia sua moglie Gabriela sia la signora Grosjean sembravano sperare.
Romain,
che lo scrutava con la sua solita aria da furbetto, sembrava sul punto di
aggiungere qualcos’altro, ma l’improvvisa comparsa di un intruso all’interno
del box lo fermò.
Strabuzzarono
gli occhi entrambi, nel vedere Perez che, agitando la mano con cui reggeva il
casco, urlava: «Il mondo è mio! Non permetterò a nessuno di mettersi contro di
me.»
Terrorizzato
dall’idea che Checo gli lanciasse addosso il casco, Pastor fu tentato di
nascondersi dietro a Romain, ma scelse in extremis di affrontare il suo
avversario con dignità.
«Sei
tu che ti metti contro a tutti!» puntualizzò, quindi, parandosi davanti a lui.
«Nella tua carriera ultraventennale, quanti sono i piloti con cui non hai
litigato?»
«Mhm...»
Checo sembrò assorto in una profonda riflessione. «Uno: Gutierrez, perché ha
tentato di farti cappottare e quindi mi stava simpatico.»
Pastor
non replicò. Sapeva di essere di gran lunga superiore al suo nemico storico e,
piuttosto che parlare con lui, preferiva prenderlo a calci nel culo. Non lo
fece solo per non infangare la propria reputazione. Gli indicò una sedia e gli
suggerì di mettersi lì e di guardare il resto del gran premio in silenzio,
gufando tra sé e sé i suoi quattro agguerriti avversari ancora in pista. Con
sua sorpresa Checo si accomodò senza protestare, posando il casco a terra.
Il Tifoso Ultrasessantenne spalancò gli
occhi.
«Tutto qui?! Io mi aspettavo come minimo
uno spargimento di sangue... In realtà Perez è un cane che abbaia ma non morde.»
«Te lo credo che non morde» ribatté
l’altro. «Nessuno lo sopporta, tutti quelli che gli stanno intorno ci
metterebbero ben poco a schierarsi contro di lui, non credo che apprezzerebbe.»
Guardò con attenzione il televisore. «Intanto Victoria ha forato...» Scosse la
testa con aria affranta, mentre la giovane pilota della Lotus rientrava ai box,
pronta a ripartire, ma nelle retrovie e senza più speranze. «Non era destino.»
«Avrà tutto il tempo di rifarsi»
puntualizzò il Tifoso Ultrasessantenne. «Tra tutta questa gente che non vale la
metà dei piloti degli anni Novanta e dei primi anni Duemila, anche lei ha
qualche chance.»
Il Tifoso Ultraquarantenne si girò di
scatto verso di lui.
«Ne sei proprio convinto? Io invece
credo che quel tipo che se ne sta là in ultima posizione sulla Ferrari numero 7
sia di gran lunga più forte di suo padre!»
«Ma chi, Mick Schumacher, figlio dell’Intramontabile
Imperatore dei Sette Cavallini d’Argento?» sbottò il Tifoso Ultrasessantenne,
sforzandosi di non scoppiare a ridere a crepapelle. «E magari quell’altro che è
secondo sulla Marussia numero 4 è più forte di tutti i suoi compagni di squadra
presenti, futuri e passati?»
L’altro gli scoccò un’occhiataccia.
«E perché no? Intanto sembra che voglia
dare del filo da torcere al piccolo Felipinho...»
Rob
- lo “zio Smeddy”, come lo chiamava il suo nipote “adottivo” - strinse i denti
per non lasciarsi sfuggire un insulto che a buona parte del team sarebbe stato
sgradito.
«Felipinho
Baby, non lasciare che si avvicini a te!»
Via
radio non giunse altro che uno strano grugnito. Rob si domandò se Felipinho
approvasse le sue parole o se lo stesse mandando a quel paese.
“In
ogni caso” pensò, con un mix di rimpianto per il passato e di desolazione,
“dopo tanti anni di onorato servizio dovrei finalmente decidermi ad andare in
pensione.”
Se
Felipinho fosse riuscito a vincere il titolo l’avrebbe fatto. In caso contrario...
Rob non voleva nemmeno pensarci! Se quel giovane talento si fosse lasciato
sfuggire il campionato, sarebbe stato solo per colpa di suo padre Felipe, che
gli aveva inculcato valori come l’altruismo e la generosità senza spiegargli
che in pista doveva dimenticarsi della loro esistenza.
Intanto
quel vecchio fossile dai capelli sempre meno dorati e sempre più bianchi,
sull’altra Marussia, stava col fiato sul collo del suo protetto. Dietro di lui
c’era anche Sacha Grosjean, terzo, che però sembrava essere più impegnato a
tenere dietro un arrembante Sirotkin, tanto per stare in tema di vecchi
fossili.
Rob
sospirò. Sarebbero seguiti molti giri di fuoco...
Nel bar era calato il silenzio.
«Questo gran premio sta diventando
veramente palloso» osservò il più anziano dei due telespettatori. «Negli anni
Novanta e Duemila le cose non sarebbero andate così.»
«Non è il gran premio che è palloso!»
sbottò il Tifoso Ultraquarantenne. «Dì un po’, hai perso talmente tante
diottrie da non riuscire a leggere i distacchi? Non vedi che le posizioni,
dietro, cambiano continuamente? È tutta colpa della regia che non ci fa vedere
tutte le cose più interessanti che succedono! Le posizioni di Mick Schumacher e
Dayton Coulthard si sono invertite tre volte negli ultimi quaranta secondi, ma
tu non te ne sei accorto, perché eri troppo impegnato a lamentarti! Questo è
atroce, perché significa che là in fondo è in atto un duello epico e che
nessuno si sta degnando di inquadrarlo!» Spinse indietro la sedia, scattò in
piedi e si mise a saltellare agitando le braccia. «FORZA DAYTON! SPACCA IL CULO
A TUTTI!»
«Perché tifi per Dayton?» gli domandò il
Tifoso Ultrasessantenne. «Che cos’ha lui che Mick non ha?»
«Lasciamo stare, è una vecchia storia»
borbottò il Tifoso Ultraquarantenne. «Non sono mai riuscito a capire la Ferrari
fin dai tempi in cui è stato ingaggiato Vettel.»
L’altro rise.
«Beato te. Io ho smesso di capire la
Ferrari già quando è stato ingaggiato Alonso... però la amo
incondizionatamente. Non è questo il compito di un buon tifoso da bar?»
Il Tifoso Ultraquarantenne annuì.
«Tutto sommato sì, anch’io la adoro. Ma
smettiamola di parlare della Ferrari, se no ci perdiamo quello che questo gran
premio può offrirci.» All’improvviso fu inquadrata la battaglia nelle retrovie
tra i due storici avversari, che ormai avevano la McLaren di Hakkinen Jr. negli
scarichi. «VAI! YOU ARE THE BOSS... HUGO BOSS!»
Purtroppo, sul più bello, la regia andò
a concentrarsi sul box della Williams, nel quale una donna sudamericana
spalancava gli occhi per il probabile stupore.
«Ecco Paulina» disse il telecronista, «figlia
di Juan Pablo Montoya e sorella di Sebastian, moglie di David Schumacher e
nuora di Ralf. Sembra concentrata su quello che succede in pista e...
ATTENZIONE, INCIDENTE IN PIENO RETTILINEO... ci sono una Williams e...» Vennero
inquadrate due vetture ridotte a due catorci. Da una delle due era sceso
Sebastian Montoya, inconfondibile, con il suo casco con i colori della bandiera
colombiana, che gesticolava furiosamente nei confronti dell’altro pilota coinvolto
nell’incidente. «...una Williams e... Scusate, entrambe! SONO LE DUE WILLIAMS!
INCIDENTE TRA LE DUE WILLIAMS AL 22° GIRO DI GARA!» Anche David Schumacher
scese dalla monoposto e prese a fare gesti poco cordiali. «Intanto vediamo
Paulina con aria piuttosto affranta, nel box della Williams. Che brutto finale
di stagione per il team di Grove... ma non si può dire che stiano mancando le
emozioni, dopo che la gara è iniziata con un botto tra Victoria Maldonado e
Checo Perez, che ha messo fuori gioco quest’ultimo e che ha reso praticamente
impossibile la scalata di Victoria verso il titolo, che al momento sembra
essere saldamente tra le mani di Felipinho Massa. Intanto entra la safety car e
ai box si preparano i meccanici. Tutti o quasi ne approfitteranno per rientrare
per il primo cambio gomme.»
Non
era ancora finita, ma più il tempo passava e più Romain si sentiva rassegnato.
Dopo i fuochi d’artificio della partenza aveva sperato che i due piloti della
Marussia eseguissero una simile performance. Era l’unica chance per suo figlio
di divenire il più giovane campione del mondo della storia della Formula 1...
ma ormai le speranze erano perdute: superata la metà della gara, con Sacha
stabilmente secondo, in mezzo alle due Marussia, una delle quali attardata a
causa del pit-stop dietro la safety car, non c’era più speranza di un duello
intestino che finisse male.
Romain
scosse la testa, desolato. Almeno Pastor, seppure stesse provando la sua stessa
delusione, poteva sentirsi estasiato, nel vedere sua figlia che, nelle
retrovie, si lasciava alle spalle avversari che non le rendevano certo la vita
facile.
Checo,
ancora seduto sulla sedia su cui l’avevano piazzato dopo il suo ingresso
tutt’altro che trionfale nel box Lotus, sembrava invece essersi calmato.
Seguiva con aria assorta il gran premio, accennando lievi sorrisi nel vedere
Victoria risalire.
«Tutto
sommato» ammise, quando la vide entrare in top-ten, «Quella pazza scatenata
qualcosa lo sa fare. Rimane un disonore essere stato speronato a quel modo, ma
non posso dire che quella sfasciacarrozze sia stata un’avversaria indegna.»
Come
a smentirlo, Victoria fece un evidente salto su un cordolo.
«Tu
porti sfiga!» sbottò Pastor. «Alzati da lì e vattene, prima che sia io a
cacciarti fuori!»
Checo
lo guardò con aria innocente.
«Così,
lontano da te, posso gufarla meglio?»
«Lontano
o vicino» replicò Pastor, «Dovrai passare sul mio cadavere, prima che le tue
gufate facciano effetto.»
Romain
sospirò. Doveva inventarsi qualcosa per placare la rissa imminente, e non
sarebbe stato facile.
Il Tifoso Ultrasessantenne tacque. Era
doveroso, dal momento che parlare avrebbe significato dare ragione al suo
avversario, che finalmente aveva smesso di esultare e si era seduto di nuovo:
dopotutto era vero, quella gara non era così noiosa e, tutto sommato, i piloti
delle retrovie sembravano animare e non poco il gran premio.
“Peccato che davanti non si stiano dando
altrettanto da fare.”
Arrivati all’ultimo gran premio non
c’era nulla di epico in un pilota che vinceva il mondiale partendo dalla prima
posizione e rimanendoci dall’inizio alla fine. Sarebbe stato molto più
pittoresco se avesse toppato la partenza e avesse dovuto recuperare nei
confronti di qualche avversario, oppure se per qualche ragione fosse rimasto
coinvolto in qualche incidente con il proprio diretto sfidante... Anzi, no,
meglio di no! Avere incidenti con gli altri contendenti al titolo non sempre
era la strategia vincente, specie se gli avversari riuscivano a proseguire
verso il traguardo...
Perso in quelle riflessioni, aveva si
era ormai distratto dall’andamento del gran premio. Fu un’esclamazione
dell’altro tifoso a riportarlo alla realtà.
«Povero piccolo canadese ossigenato che
un giorno perderà i capelli! La Mercedes di oggi è messa peggio della B.A.R.
del 2000!»
«In effetti» puntualizzò il Tifoso
Ultrasessantenne, mentre il pilota in questione parcheggiava a bordo pista e scendeva
dalla macchina scuotendo la testa, «La Mercedes discende dalla Honda che
discendeva dalla B.A.R., quindi si può dire che sia l’erede della B.A.R., per
certi versi. È giusto che segua il suo destino.»
«E quel poveretto che stava difendendo
la sua ottava posizione da una Victoria Maldonado scatenata come non mai ti
lascia indifferente?»
«Oh, certo che no. Vederlo ritirarsi è
uno spasso! È il degno erede di suo padre!»
Maledetta
Mercedes che rimaneva sempre a piedi! La vettura del 2031 avrebbe disgustato
perfino Lewis Hamilton e Nico Rosberg, che in passato avevano guidato la
miglior Mercedes di tutti i tempi.
Jonas
si tolse i guanti e li scagliò a terra.
Non
c’era proprio nulla di buono in quella vettura.
In
realtà non c’era stato nulla di buono nemmeno in tutto il resto, in quella
stagione, ed erano ormai passati i gloriosi tempi delle sue sportellate con
Mick Schumacher, che un tempo aveva addirittura sperato di rubargli il volante,
ma che negli ultimi due anni si era accontentato di una Ferrari che faceva
acqua da tutte le parti ma che almeno gli permetteva di arrivare al traguardo,
seppure doppiato di almeno un giro. Forse avrebbe dovuto cercarsi un volante in
Indycar, dove il suo fratello maggiore stava facendo sfaceli.
A
peggiorare le cose, non c’era nemmeno un motorino dei commissari di percorso
che lo accompagnasse ai box. Percorse quindi un paio di chilometri a piedi e
finalmente andò a rintanarsi nel proprio motorhome.
Si
sedette a terra, mettendosi le mani tra i capelli e ripensando a quando suo
padre gli aveva detto che quella tinta era ridicola. Evidentemente da quando
era rimasto completamente calvo aveva rimosso dai propri ricordi le proprie
improbabili acconciature del passato.
Qualche
istante più tardi, per svagarsi un po’, Jonas prese il cellulare e si mise a
smanettare. Entrò su Twitter e spalancò gli occhi nel vedere un messaggio
infamante che lo riguardava.
“Complimenti
a Villeneuve che ha migliorato il suo stesso record: zero gran premi completati
su diciannove. Dovrebbe cambiare mestiere!”
Jonas
se ne sarebbe fregato altamente, se l’autore non fosse stato nientemeno che
Taki Inoue. Decise quindi di rispondergli a tono.
“Almeno
io sono arrivato ai box senza andare a sbattere da nessuna parte. Forse sei tu
che dovresti trovarti un lavoro, invece di passare il tempo a criticare piloti
migliori di te sui social network!”
Lo
inviò e si sentì soddisfatto, per la prima volta da parecchio tempo. Fece per
mettere via il telefono ma un “beep” lo fece desistere: NUOVO MESSAGGIO IN
ENTRATA, stava scritto sul display.
Era
la donna della sua vita.
“Vorrei
tanto essere lì in Brasile con te. Quest’anno è andata male, ma il prossimo ti
rifarai, sempre che tu non decida di darti all’ippica, proprio come me!”
Jonas
sorrise e all’improvviso gli fu tutto chiaro: non gli importava niente della
differenza di età, dei pettegolezzi e della segretezza in cui la loro relazione
era sempre stata avvolta; intendeva chiedere a Gina Marie Schumacher di
sposarlo.
Le speranze della Lotus erano ormai
perdute e, dentro di sé, il Tifoso Ultraquarantenne non poté fare a meno di
avvertire un lieve brivido di soddisfazione, seppure non avesse nulla contro
Sacha Grosjean, che lasciava la seconda posizione a un altro pilota che avrebbe
necessitato di un miracolo per laurearsi campione del mondo.
Il Tifoso Ultraquarantenne ridacchiò.
“Campione del mondo lui... come no!”
La vittoria del titolo era un’impresa
impossibile, per lui. Lo era stata quasi un ventennio prima e sarebbe stata per
sempre.
Guardò il corridoio che conduceva verso
il bagno. Il Tifoso Ultrasessantenne si era allontanato in quella direzione,
due minuti prima.
Finalmente stava tornando.
«Ehi!» urlò il Tifoso Ultraquarantenne,
«Sacha è fuori!»
L’altro si affrettò e tornò a piazzarsi
al proprio posto, davanti al televisore.
«Cos’ha fatto?»
Il Tifoso Ultraquarantenne gli indicò il
teleschermo.
«Lui non ha fatto niente. È il motore
che l’ha abbandonato.»
Alexander
Rossi, team manager della Marussia, fissava lo schermo con gli occhi sgranati.
Con il ritiro di Sacha Grosjean, i suoi due piloti, che si giocavano il
mondiale, erano di nuovo primo e secondo.
Rob
gli lanciò un’occhiataccia, della quale Alexander non si accorse nemmeno.
“Felipinho
deve vincere.”
Non
c’erano alternative, era il completamento di un destino già scritto... eppure
il suo compagno di squadra e avversario non faceva altro che rosicchiargli
decimi interi a ogni giro, e di giri ne mancavano sette.
Rob
incrociò le dita.
«Ce
la devi fare, Baby!» urlò, alla radio. «Hai ancora tre secondi e quattro.»
«Taci»
fu la laconica risposta del pilota. «So quello che faccio, quindi smettila di
rompere i coglioni!»
Il Tifoso Ultrasessantenne sogghignò.
«E così il piccolo Felipinho in realtà
sembra avere preso molto da Raikkonen» osservò. «Tutto mi sarei aspettato,
tranne che questo.»
«È molto meno glaciale» lo smentì il
Tifoso Ultraquarantenne. «Non puoi paragonare l’uno all’altro, sono due esatti
opposti. È come paragonare il ghiaccio al fuoco, è come paragonare la neve alle
braci, il che è tutta una contraddizione, dato che abbiamo bisogno del calore
del fuoco, ma nessuno di noi vuole stare sulle braci.»
«A volte» puntualizzò il Tifoso Ultrasessantenne,
«Le braci potrebbero essere l’alternativa migliore. Ho deciso: io sto con il
calore, con il fuoco e con le braci!»
Sei
giri al termine.
Cinque
giri al termine.
Quattro
giri al termine...
Tutto
stava scorrendo verso l’inesorabile fine e, dopo dieci anni di telecronache,
era giunta quella su cui era impossibile concentrarsi a pieno.
«Interlagos
è stata spesso teatro di avvincenti duelli per il titolo mondiale» stava
ripetendo Gianfranco, accanto a lui, come se non l’avesse già ripetuto almeno
venti volte nell’ora e mezza precedente, «E anche in questa occasione non ci
sta smentendo, vero Felipe?»
Ecco,
l’aveva interpellato.
Felipe
s’irrigidì.
«Sì,
ancora una volta i fatti ti stanno dando ragione. Il distacco tra i due piloti
della Marussia», cercò di non pensare al fatto che il primo dei due fosse
proprio suo figlio, «è sceso al di sotto del secondo.»
Era
la fine.
Tutto
stava crollando, proprio quando era arrivato a illudersi che Felipinho potesse
farcela; era inutile chiudere gli occhi per non vedere.
Quando
era toccato a lui, ventitré anni prima, era stato tutto molto diverso. Non
aveva mai avuto la situazione sotto controllo e quello che era accaduto non
poteva in alcun modo dipendere soltanto da lui.
«ECCOLO!»
urlò Gianfranco, facendo un salto sulla sedia. «ECCOLO CHE ATTACCA IL SUO
COMPAGNO DI SQUADRA! La spunterà, vero Felipe?»
Felipe
gli lanciò un’occhiata di fuoco.
«Soltanto
la bandiera a scacchi ce lo dirà.»
Mancavano
tre giri al termine.
Il tempo delle risate era finito. Il
Tifoso Ultraquarantenne notò come l’altro tifoso si fosse notevolmente calmato.
Fissava il televisore con la bocca
spalancata.
Fissavano entrambi il televisore con la
bocca spalancata, in realtà.
Era un duello avvincente, forse il più
avvincente fin dagli albori del terzo millennio.
Finalmente il Tifoso Ultraquarantenne
ebbe la forza di parlare. A quel punto osservò: «Penso di capire, per certi
versi, come potrebbe sentirsi Felipinho in questo momento. È un po’ come una
partita a briscola: non sai mai quello che potrebbe capitarti.»
Il Tifoso Ultrasessantenne lo guardò
storto.
«Che cosa c’entrano la Formula 1 e la
briscola?»
Il Tifoso Ultraquarantenne rise,
sentendo finalmente la tensione che si allentava.
«Secondo me c’entra molto di più di
quanto tu possa immaginare.»
«Non
è mai finita, almeno finché non conti i punti e ti rendi conto che sono di meno
rispetto a quelli dei tuoi avversari.»
L’aveva
detto Kamui Kobayashi, molti anni prima, durante una partita organizzata nel
box della Caterham dopo la fine della prima manche di qualifiche.
Sarebbe
stato bello, ricordò Max, organizzare una briscola con sei partecipanti, ma
Gutierrez e Maldonado non ne avevano voluto sapere. Secondo era troppo
avvilente sfidarsi a carte, dopo l’eliminazione dalle qualifiche.
Come
al solito, si erano ritrovati loro quattro: Max e Jules contro Kamui e Marcus.
I piloti della Caterham si erano dimostrati agguerriti tanto quanto in pista.
Erano stati degli avversari difficili da battere... e infatti erano rimasti
imbattuti, diversamente dalla pista dove la Marussia stava ormai uno scalino
più in su rispetto alla Caterham.
Max
si sentì rincuorato.
La
filosofia nipponica di Kamui, risalente a un giorno ormai lontano, poteva
adattarsi a qualunque circostanza.
“Ce
la farò.”
Max
sapeva cosa doveva fare: se avesse vinto, davanti a Felipinho, sarebbe stato
campione del mondo, la conclusione migliore per la sua lunga carriera, iniziata
alla Marussia e finita, dopo molti anni, di nuovo alla Marussia.
Mancavano
tre giri.
Potevano
essere pochi, ma allo stesso tempo gli apparivano come un’infinità.
Felipinho
era più lento di lui. Max si sentiva vicino come non gli era mai stato per
tutto il weekend. Su quella pista, il giovane brasiliano volava.
“Adesso,
però” si disse Max, “È giunto il momento di strappargli le ali.”
«AL PENULTIMO GIRO!» Il telecronista
appariva molto emozionato. «AL PENULTIMO GIRO, IL SORPASSO!» Urlava, forse tra
le lacrime. «Ancora una delusione, vero Felipe?»
L’altro telecronista non disse nulla.
Il Tifoso Ultrasessantenne non ebbe
difficoltà a comprenderne il motivo. Anzi, gli appariva incredibile che fosse
riuscito a non emozionarsi fino al punto di perdere le parole e che, seppure
non avesse parlato tanto nell’ultima ora e quaranta minuti, fosse stato capace
di dire tutto quello che andava detto.
«Cosa ne pensi?» domandò all’uomo più
giovane, che non staccava più gli occhi dal teleschermo, con un’espressione di
rimpianto stampata sul volto.
L’altro abbassò lo sguardo.
«Penso che sia andato tutto come doveva
andare.»
Venne inquadrato il box della Lotus.
Romain Grosjean, Checo Perez e Pastor
Maldonado sembravano piuttosto affranti. Non era sorprendente: il settimo posto
di Victoria non sarebbe servito a molto e il ritiro di Sacha doveva essere
stato il colpo di grazia, almeno per Romain e Pastor. Come la pensasse Checo
non era ben chiaro. Era comparso in quel box un’ora e mezza prima sbraitando,
ma sembrava essere ormai completamente calmo.
Poi la bandiera a scacchi mise fine a
tutto.
La voce del telecronista rimbombò.
«MAX CHILTON VA A VINCERE IL GRAN PREMIO
DEL BRASILE E DIVENTA CAMPIONE DEL MONDO! Chi l’avrebbe mai detto, tanti anni
fa?»
Era
finita.
Felipinho
lo sapeva: non c’era più nulla da fare... non per quella stagione, almeno; e,
se quel giorno il futuro gli interessava relativamente, una parte di lui aveva
la consapevolezza che ci sarebbero state molte altre occasioni.
Tutto
sommato Max se l’era cavata alla grande, per tutto l’anno.
“E
poi” si disse Felipinho, “Se ce l’ha fatta lui posso farcela anch’io.”
Era
finita, come tutto il resto.
Era
finita, ma nessuna speranza crolla mai per sempre.
Felipinho
si asciugò le lacrime.
Di
lì a pochi minuti, oltre il podio, avrebbe visto tante persone che lo amavano e
che quel giorno avevano sperato e pianto insieme a lui.
Il gran premio del Brasile, il
pomeriggio al bar e i numerosi drink consumati fingendo di ascoltare i commenti
post-gara erano ormai parte di un recente passato già giunto alla conclusione.
Quel Tifoso Ultrasessantenne se n’era
andato addirittura prima di lui, come se avesse avuto qualcosa di importante da
fare. Il Tifoso Ultraquarantenne, quindi, spalancò gli occhi nel vederlo
trafficare, nel parcheggio di fronte al bar, intorno a una vecchia Fiat grigia
metallizzata.
«Quella è la tua macchina?!» gli
domandò, dopo essersi avvicinato con il solo scopo di curiosare e impicciarsi
negli affari suoi.
L’altro si girò e gli lanciò
un’occhiataccia.
«Sì, perché?»
«Niente... mi sembra strano. Tutti
associano la Cinquecento Twin Air a Fernando Alonso, perché vent’anni fa ne
faceva la pubblicità. Non avrei mai immaginato che tu...»
«Sì, hai ragione» confermò l’altro, «È
abbastanza stressante andarsene in giro su una macchina che tutti collegano ad
Alonso. Io, però, la considero un vero e proprio gioiellino.»
Il Tifoso Ultraquarantenne sospirò. Forse
quello era il giorno delle rivelazioni.
Gli indicò un’auto malmessa,
parcheggiata in un angolo.
«La vedi quella?»
Il Tifoso Ultrasessantenne spalancò gli
occhi.
«È tua?»
Il Tifoso Ultraquarantenne annuì.
Si trattava di un’altra Cinquecento Twin
Air - anche con lui, qualcuno aveva fatto il collegamento con la pubblicità
interpretata da Alonso - non altrettanto splendente: era rossa, ma le portiere
posteriori e quella del bagagliaio erano state sostituite ed erano nere anziché
rosse dello stesso colore di tutto il resto.
Il Tifoso Ultrasessantenne vi si
avvicinò.
«Non ti vergogni ad andare in giro con
un catorcio del genere?»
Il Tifoso Ultraquarantenne s’irrigidì.
«No, per niente. Sono sicuro, anzi, che
è più veloce e scattante della tua.»
«Ah, sì?» L’altro si lasciò andare a un
sorriso malizioso. «Sarà come dici, ma sei sicuro di essere anche tu più veloce
e scattante di me?»
Il Tifoso Ultraquarantenne lo fulminò
con lo sguardo.
«Mi stai sfidando?»
Il Tifoso Ultrasessantenne obiettò: «Temo
che sia tu, quello che sta sfidando qualcuno, ignorando il rischio di essere
arrestato per guida in stato di ebbrezza.»
«In effetti sfidarti potrebbe essere una
buona idea» ribatté il Tifoso Ultraquarantenne. «Sali in macchina. Vince il
primo che fa tutta la via del mercato, passa per l’incrocio laggiù in fondo,
davanti al negozio del tabaccaio all’angolo della strada e, dopo avere fatto
una pernacchia alla gente che compra le sigarette al distributore automatico, torna
qui per quell’altra strada non asfaltata, percorrendo in successione la curva
più veloce e quella più lenta di tutto il paese.»
«Quindi» dedusse il Tifoso
Ultrasessantenne, «Non solo stai decidendo tu il percorso, ma stai anche
sfidando un uomo molto più anziano di te.»
Il Tifoso Ultraquarantenne puntualizzò:
«Sono appena vent’anni, quelli che ci separano.»
L’altro scosse la testa.
«Di più.»
«Vent’anni e mezzo.»
L’altro puntualizzò: «Vent’anni e sette
mesi tondi tondi, secondo me.»
«Magari, già che ci sei, vuoi contare
anche le ore e i secondi?» ribatté il Tifoso Ultraquarantenne. «È per caso il
tuo modo di dirmi che hai paura di confrontarti con me?»
Il Tifoso Ultrasessantenne negò con
fermezza.
«Non ho mai avuto paura di confrontarmi
con voi giovincelli. Sono sicuro che ti farò mangiare la polvere, come ho
sempre fatto con tutti.»
«Io, invece» replicò il Tifoso
Ultraquarantenne, «Sono convinto del contrario.» Prese fuori le chiavi della
macchina, che teneva in tasca. «Adesso vediamo come andrà a finire.»
Sacha
si guardò intorno.
Non
c'erano telecamere a inquadrarlo, per fortuna, altrimenti avrebbe preferito
mettersi in testa un sacchetto di carta per sfuggirvi.
Detestava
essere ripreso, soprattutto dopo un ritiro.
A
peggiorare le cose, vide comparire una sagoma che conosceva bene: capelli
lunghi e neri, occhi luminosi, tuta della Lotus.
Era
Victoria, colei che voleva distruggerlo e annientarlo.
Lo
guardava.
Sorrideva.
«Sai
cosa pensavo?» gli domandò.
Sacha
la fissò con aria interrogativa.
«Cosa?»
«Adesso
che il campionato è finito, stasera potremmo andare a bere qualcosa insieme.»
Victoria Rise. «Non ti metterò il cianuro nel bicchiere, te lo prometto.»
Sacha
si finse pensieroso.
«Cercherò
di non metterlo io nel tuo, per quanto mi riguarda.»
Victoria
annuì.
«Bene,
lo prendo per un sì.»
«Però
cerchiamo di non farci scoprire» la pregò Sacha. «Non vorrei che nascessero
degli strani pettegolezzi su di noi.»
Victoria
ridacchiò.
«Certo,
se pensi che nessuno ci riconosca.»
Sacha
aggrottò la fronte.
«Mhm...
che cosa ne pensi... di metterci un sacchetto di carta in testa?»
«Penso
che devi avere esalato i fumi del tuo motore troppo a lungo» ribatté Victoria,
«E che tu stia delirando.» Si guardò intorno. «Ora scusami, ma devo andare a
raggiungere mio padre, per controllare che non abbia ancora ucciso il suo amico
Checo!»
Sacha
la seguì.
Anche
lui era abbastanza preoccupato: Pastor e Checo erano un duo esplosivo e non
voleva che demolissero il box.
Per
fortuna non stava accadendo nulla di allarmante: Sacha notò che i due, insieme
a suo padre, si erano piazzati in un angolo e stavano parlando dei bei tempi
andati, in cui avevano dominato le scene in Formula 1.
«Mi
ritengo fortunato» concluse Checo, «Di essere ancora qui a di poter continuare
a dimostrare quanto valgo.» Alzò gli occhi e vide Victoria. «...O meglio, a
provarci, dato che c’è sempre qualche sfasciacarrozze che sconvolge i miei
piani.»
Sacha
sperò che Victoria gli rispondesse a tono, ma la giovane venezuelana non prese
nemmeno in considerazione l’idea di accontentarlo.
Stava
fissando Perez con occhi sognanti.
Sacha
scosse la testa.
“Non
sarà segretamente innamorata di lui?!”
«Scusami,
Checo» mormorò Victoria, priva della determinazione che aveva in pista. «Non ti
avevo visto e ti sono venuta addosso.»
Sacha
sospirò.
“Sì,
è innamorata di lui.”
Doveva
essere quella la ragione per cui non si era mai accorta delle sue avance, ma un
giorno le cose sarebbero cambiate, ne era sicuro.
Il tempo si fermò per un istante, per il
Tifoso Ultrasessantenne.
Quanti anni erano trascorsi dall'ultima
volta in cui, mettendosi al volante, aveva davvero potuto essere se stesso?
Quanti anni erano trascorsi prima che un
qualsiasi tifoso da bar, come quello che aveva incontrato quel pomeriggio, gli
desse la possibilità di rimettersi in discussione?
Lanciò un'occhiata all'avversario, già
seduto al volante.
«Preparati a perdere» esclamò,
facendogli l'occhiolino, «Come hanno sempre fatto tutti, dal primo all’ultimo...
anzi, dal secondo all’ultimo.»
Il Tifoso Ultraquarantenne replicò: «Non
sono io quello che deve prepararsi moralmente. Sei tu che, se non vinci, sei finito.»
Il Tifoso Ultrasessantenne scosse la
testa.
«Ho aspettato sessantadue anni e
trecentotrentuno giorni per disputare la gara più avvincente ed epica della mia
vita e, qualunque sia il risultato finale, questo scontro su due Cinquecento
malandate rimarrà sempre il mio ricordo migliore.»
«Aspetta di arrivare al traguardo» gli
suggerì l’altro. «Tra poco sentirai il sapore della sconfitta e mi dirai
l’effetto che ti fa.»
Il Tifoso Ultrasessantenne alzò gli
occhi al cielo.
«Non eri tu che dicevi che la vittoria
non è essenziale?»
Il Tifoso Ultraquarantenne si finse
sorpreso.
«Chi, io? Neanche per idea! E adesso
taci e pensa a guidare!»
Il Tifoso Ultrasessantenne guardò la
strada davanti a sé.
Era proprio quello che avrebbe fatto.
Max
entrò in bagno barcollando.
Aveva
bevuto troppo, alla festa data in onore della sua vittoria.
Aveva
bevuto troppo ed era stato costretto a nascondersi, per rimandare il più
possibile il momento in cui Chloe se ne sarebbe accorta e gli avrebbe fatto una
predica interminabile.
Si
aggrappò al lavandino.
La
sua immagine annebbiata si rifletteva nello specchio.
Fu
questione di un attimo, gli parve solo di udire un sussurro.
«Bravo,
campione.»
Max
sussultò.
Si
guardò intorno, prima da un lato, poi dall’altro.
«C’è
qualcuno?» domandò.
Gli
era sembrato di avere conservato almeno un minimo di lucidità, ma a quanto
pareva si era sbagliato.
Tornò
ad appoggiarsi al lavandino, fingendo che non fosse accaduto nulla. Dopotutto
non era accaduto nulla.
La
voce, però, tornò a manifestarsi.
«È
stato fantastico. Meriteresti il bacio del vincitore.»
Era
una voce femminile, dall’accento latino.
«Volentieri»
disse Max. Fu in quel momento che vide la sagoma sfuocata di una donna che si
rifletteva nello specchio. Spalancò gli occhi. «Chi sei? Sei venuta qui solo
per baciarmi?»
Lei
rise.
«No,
per niente. Io sono venuta qui solo per farti i complimenti, perché grazie a te
la Marussia ha ottenuto il suo primo titolo.»
«E
a te» obiettò Max, «Cosa importa?» Si girò, ma non la vide. «Dove sei finita?»
«Sono
qui, davanti ai tuoi occhi» rispose lei, «Ma non credo che tu possa vedermi.»
«Infatti
non ti vedo» confermò Max. «A meno che tu non sia il mio angelo custode, temo
che da adesso in poi dovrò bere solo acqua e aranciata.»
«Non
essere troppo egocentrico» la ammonì lei. «Non posso vegliare solo su di te.»
Max
spalancò gli occhi.
«Questo
significa che tu sei davvero un angelo custode, ma che non riservi i tuoi
servizi soltanto a me?»
«Più
o meno. Veglio sulla Marussia da molti anni.»
Max
tornò a voltarsi verso lo specchio.
Si
rivolse a se stesso.
«Non
devi bere mai più! E non devi assolutamente raccontare niente di tutto questo a
Chloe, altrimenti ti farà internare!» Si sentì sollevato nel non vedere altro
che la propria immagine, riflessa nello specchio. «Se non altro c’è un margine
di recupero.»
«Non
disperarti» replicò la voce. «L’alcool altera le percezioni, quindi...»
«Quindi»
dedusse Max, «Kimi Raikkonen ha trascorso la maggior parte della propria vita a
parlare con angeli custodi e fantasmi! Molto interessante!»
«Come
sei polemico» ribatté lei. «Ho cambiato idea. Non meriti affatto il bacio del
vincitore, anche se ti sarò per sempre grata per avere portato in alto il nome
del nostro team. L’unica cosa che meriti è un ricordo del nostro incontro.»
Max
strabuzzò gli occhi.
Un’altra
sagoma confusa, quella della sua interlocutrice, stava ricomparendo, seppure
offuscata ancora più di prima, nello specchio.
«Vuoi
strapparti una piuma e lasciarmela come omaggio?»
Lei
scoppiò in una risata fragorosa.
«Non
ho ali e non ho piume. Non me ne farei niente, dato che posso spostarmi con la
forza del pensiero. Comunque ho già sprecato anche troppo tempo con te. Ho
un’altra gara importante da seguire, oggi. Adios, chico!»
Max
non udì più nulla, se non un fruscio.
Qualcosa
cadde nel lavandino.
Era
una benda rossa, ed era la prova che non aveva sognato a occhi aperti.
Il Tifoso Ultraquarantenne lanciò
un’ultima occhiata al suo avversario, che sembrava averlo preso sul serio: il
suo invito a tacere e a guidare non era stato pronunciato invano.
Entrambi accesero il motore.
Poi, all’improvviso, la vide e non capì.
«Ehi, tu, cosa ci fai in mezzo alla
strada?» sbottò, abbassando il finestrino, verso la sagoma femminile che,
davanti alla sua macchina, gli voltava le spalle.
Il suo avversario, alla sua sinistra,
anche lui col finestrino abbassato, gli domandò: «Con chi parli? Non vedi che
non c’è nessuno?»
Il Tifoso Ultraquarantenne spalancò gli
occhi.
«Niente, lascia stare» mormorò, senza
riuscire a capacitarsi di quello che vedeva, dal momento che la nuova arrivata
sembrava tutto tranne che una donna in carne e ossa. «Io, prima di gareggiare,
passo sempre il mio tempo a parlare con creature celestiali immaginarie che
danzano intorno alla mia macchina! È tutto regolare! L’unico dubbio che mi
pongo è: quel succo di pompelmo al retrogusto di caipirinha era davvero un
succo di pompelmo?»
«Mai fidarsi di un barista brasiliano!»
lo ammonì l’uomo più vecchio. «Secondo me era un fan di Di Grassi, che sfoga
sui clienti la propria frustrazione per i risultati del suo eroe decaduto!»
«Come sai che era brasiliano?»
«Lo si vedeva. Alla fine del gran premio
si è asciugato le lacrime con una bandiera del Brasile, proprio come avrebbe
fatto Rubens Barrichello al suo posto!»
«Era brasiliano» confermò anche la
sagoma sfuocata, voltandosi verso di lui, «E tu non hai mai ordinato succo di
pompelmo, stasera.»
«Oh, dannazione, è vero...» Il Tifoso
Ultraquarantenne decise di non scoraggiarsi. «Riuscirò comunque a battere
questo fossile!»
«Non ci contare» insisté il Tifoso
Ultrasessantenne. «Io sono lucido abbastanza da non avere visioni mistiche
prima del via.»
«Non ascoltarlo» ribatté l’eterea
interlocutrice. «Se non riesce a vedermi, peggio per lui. Non tutti sono dei
privilegiati.»
«Quello che non capisco» azzardò il
Tifoso Ultraquarantenne, «È che cosa vuoi da noi. Io e lui avevamo una
questione in sospeso.»
«Infatti non dovreste perdervi in
chiacchiere» azzardò lei. «Se vuoi posso essere io a darvi il via.»
Il Tifoso Ultraquarantenne aggrottò le
sopracciglia.
«Ma lui non ti vede...»
«E allora? Quando vedrà che sei partito,
scatterà anche lui!»
«Okay, ci sto!»
L’altro continuava a guardarlo senza
capire, ma il Tifoso Ultraquarantenne lo abbandonò al proprio destino.
Partì, pronto a mostrare all’avversario
che non doveva mai sottovalutare nessuno.
Anche l’altro partì, sicuramente pronto
a dimostrare di non avere sottovalutato nessuno.
Ciascuno dei due rincorreva la propria
verità.
Due verità distinte, ma indissolubili
l’una dall’altra li aspettavano sulla linea del traguardo.
Cosa importava se non c’erano monoposto
dai colori scintillanti, ma soltanto due vecchi catorci stradali?
Cosa importava se non c’erano ragazze
pronte a dare il bacio del vincitore a chi tagliava il traguardo in prima
posizione?
C’era una strada, c’era l’asfalto e
c’era la passione per cui entrambi avevano sempre vissuto. Tutto il resto non
aveva importanza.
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per essere arrivato/a fino in fondo. Se vuoi, fammi cosa ne pensi con un commento. :-) Puoi farlo anche in maniera anonima.
Se sei capitato/a qui per caso ti invito a visitare il mio blog, in particolare le etichette "Commenti ai GP" e "F1 vintage".
Se invece mi leggi abitualmente e sei arrivato/a qui di proposito, ti ringrazio per l'apprezzamento e spero continuerai a leggermi.
Buon proseguimento di giornata (o a seconda dell'orario, di serata, o buona notte). <3
Milly Sunshine