giovedì 25 dicembre 2014

Formula Future

Questa "breve" fan fiction l'ho scritta per il Forum F1GC come regalo di Natale e ho deciso di postarla anche qui sul blog.
Ho realizzato anche un booktrailer nei giorni scorsi, come anticipazione. Lo trovate QUI.

***


Formula Future

Una fan fiction di Milù Sunshine, altresì nota come l’Autrice©

Era l’ultimo giorno di Novembre. Il Tifoso Ultrasessantenne era seduto, in trepidante attesa, ad un tavolo, rigorosamente con vista televisore, di un bar. Era solo, ma del resto mancavano ancora dieci minuti abbondanti alla partenza dell’ultimo gran premio della stagione e un telecronista parlava a raffica, snocciolando statistiche di dubbia importanza. Era il gran premio che concludeva la stagione, nella gloriosa Interlagos, dove si contavano sulle dita di una mano, tutte insieme, le pole position di Kvyat, le vittorie di Verstappen e i di giri record di Sainz Jr.
Al Tifoso Ultrasessantenne importava ben poco di tutto ciò. Quello che contava era che il tempo passasse in fretta e che iniziassero le danze.
Il telecronista, intanto, parlava di chissà quale pilota, forse del leader della classifica: «...gli basterebbero pochi punti per conquistare il suo primo titolo mondiale e da lui ci si può aspettare una gara conservativa...»
«Che assurdità!» sbottò il Tifoso Ultrasessantenne. «Nessuno corre per i punti, tutti inseguono la vittoria!»
Qualcuno, dietro di lui, si schiarì la voce, probabilmente per attirare la sua attenzione.
Il Tifoso Ultrasessantenne si girò e guardò il nuovo arrivato. Era un altro classico Tifoso da Bar, più giovane di lui di un paio di decenni, che sembrava poco intenzionato a schiodarsi di lì.
Il Tifoso Ultrasessantenne si sentì estasiato. L’idea di avere qualcuno con cui litigare durante la visione del gran premio era allettante e quella consapevolezza incrementò nell’udire la sua voce che protestava: «Io credo che ci siano anche tanti piloti che corrono per i punti, magari senza avere chance concrete di ottenerli. Quelli sono i veri campioni, altro che quelli che stanno là davanti a sbraitare “you have to leave the space” quando qualcuno non gli spiana la strada!»
Il Tifoso Ultrasessantenne s’irrigidì. Come si permetteva quello sprovveduto di insultare il nome dei grandi campioni e dei piloti più promettenti per esaltare gli sfasciacarrozze che nelle retrovie si sportellavano per la penultima posizione, magari sentendosi estasiati solo per il semplice fatto di non essere arrivati ultimi?
«Tu non hai capito proprio niente dalla vita!» sbottò, infastidito ma allo stesso tempo allettato dal fatto che il Tifoso Ultraquarantenne si stesse permettendo, di propria iniziativa, di sedersi al suo stesso tavolo con vista televisore. «La Formula 1 l’hanno fatta i vari Alonso e Vettel e non di certo Pic e Van Der Garde!»
L’altro lo guardò storto.
«È tutto da vedere. Intanto guarda la Marussia dov’è, quando in passato ha rischiato più volte il fallimento, e guarda il piccolo Massa che scatta dalla pole position nella sua terra natale.»
«Vedi» puntualizzò il Tifoso Ultrasessantenne, «Tu parli tanto dei piloti delle retrovie... ma guardi chi parte primo e non certo chi parte ultimo!»
«Io guardo anche chi parte ultimo» puntualizzò il più giovane. «Sei tu che chiudi gli occhi per fingere di non vedere.»
Il Tifoso Ultrasessantenne non replicò. Era bene non far notare il proprio coinvolgimento emotivo e non ammettere che vedere Ferrari, McLaren e Williams battagliare per le ultime file poteva sembrare un brutto spettacolo, specie quando venivano ammesse alla gara per gentile concessione dei commissari, nonostante non fossero riuscite a qualificarsi.
L’inquadratura si spostò in quel momento proprio sul box della Ferrari, dove un pilota brasiliano stava vivendo i propri drammi interiori.

Eduardo si sentì sollevato dall’avere accanto a sé tutta la sua famiglia. Nonostante il suo tempo in qualifica fosse stato oltre il 107% e, per completare l’opera, dopo l’ammissione alla gara fosse stato retrocesso a partire dalla pit-lane per modifiche apportate alla sua vettura in parco chiuso, mamma Silvana, papà Rubinho e nonno Rubão cantavano cori da ultrà, facevano la ola e saltellavano, vestiti di rosso Ferrari dalla testa ai piedi, anche se non si notava più di tanto dal momento che erano tutti avvolti in enormi bandiere verde-oro.
Eduardo si allacciò la tuta, asciugandosi nel frattempo una lacrima e sentendosi commosso - seppure non per la stessa ragione - come quando sei mesi prima il suo fratello minore aveva trionfato nella Cinquecento Miglia di Indianapolis.
Pensò a quanto avrebbe desiderato partire dalla griglia di partenza. Il suo compagno di squadra Mick e i loro degni avversari - Hugo e Dayton sulle McLaren, Sebastian e David sulle Williams - erano tutti là, mancava soltanto lui.
“Non fa niente” si consolò Eduardo. “Io almeno ho una famiglia che mi adora e sta sempre al mio seguito, non come tutti gli altri, che sono messi talmente male che nessun familiare si degna più di seguirli da ogni parte del mondo per vederli battagliare per il ventunesimo posto.”
La sua mente andò a rievocare gli intensi duelli con Mick, con le McLaren e con le Williams. Quelli sì che erano duelli epici, altro che quelli che avvenivano tra le prime posizioni! Piloti come Mick Schumacher e Dayton Coulthard, nei loro accesi scontri, non si erano mai aspettati di ricevere favori, cosa che invece facevano quei piloti da quattro soldi che stavano nelle zone alte della classifica! Eduardo era felice di appartenere alla loro stessa cerchia, invece che di trascorrere ogni gara a lamentarsi via radio di chi aveva opposto resistenza ai tentativi di sorpasso.

«Grande Eduardo!» esclamò il Tifoso Ultraquarantenne, alzandosi in piedi e mettendosi a esultare per la sua inquadratura. «Ecco finalmente un pilota che vincerà molti titoli... considerando le posizioni al contrario. Io l’ho sempre detto che la Ferrari e gli altri team storici, prima o poi, si sarebbero ritrovati da quelle parti. La Formula 1 è come una ruota panoramica che gira: un team domina, ma non sarà per sempre. Non sarà sempre lo stesso team a dominare.»



Il Tifoso Ultrasessantenne gli lanciò un’occhiata gelida.
«Ti piacciono le ruote panoramiche, per caso?»
Il Tifoso Ultraquarantenne scosse la testa con fermezza.
«No, le detesto. Sai, troppi brutti ricordi.»
«Però sei un sadico, nei confronti dei team storici, e sembri odiarli quasi quanto le ruote panoramiche. Questa è la dimostrazione che la tua generazione non capisce nulla di Formula 1! Ferrari, McLaren e Williams hanno fatto la storia della Formula 1, nel caso non ti sia chiaro. Adesso, invece, in fila ci sono le Marussia, le Lotus che non hanno nulla a che vedere con quelle storiche, le Sauber, le Caterham...»

Quelli che precedevano la partenza erano i minuti più dolceamari di tutto il campionato, per chi sapeva di avere la sola necessità di controllare la situazione.
Durante la stagione precedente, fatta di alti e bassi nonostante le elevate performance della Marussia, l’esordiente Felipinho Massa, non si era mai aspettato di poter competere per il titolo già al suo secondo anno in Formula 1.
Dodici mesi più tardi tutto era cambiato. C’era lui, in testa alla classifica, con il suo compagno di squadra, una delle Sauber e le due Lotus dietro a inseguire.
“Gli basta poco” stava senz’altro declamando, in quel momento, qualche telecronista seduto in tutta tranquillità in cabina di commento, senza avere nemmeno la più pallida idea di quali sensazioni provasse un pilota seduto nell’abitacolo della propria monoposto. “Ormai è fatta, per lui.”
Invece non era fatta neanche da lontano, con quei quattro che gli stavano col fiato sul collo come falchi assassini e che, dal punto di vista dell’aritmetica, avevano ancora concrete possibilità di strappargli il titolo di campione del mondo. C’era solo un grosso problema, per lui, che era in testa al campionato: mentre l’opinione pubblica aveva ormai legittimato i suoi avversari a perdere, a lui non sarebbe mai stato concesso lo stesso favore. La sconfitta avrebbe significato l’improvviso e repentino crollo della sua reputazione e, forse, l’impossibilità di ritrovarsi, un giorno, nello stesso posto.
“Gli basta mantenere la posizione fino alla fine” era senz’altro il tormentone che andava per la maggiore, in quel momento, “E conquisterà il titolo.”
Felipinho proferì, per sentirsi più al sicuro, in un poco elegante gesto scaramantico, mentre intorno a lui iniziava ad aleggiare uno spiacevole sentore di disgrazia imminente.

«Gli basta mantenere la posizione fino alla fine» disse il telecronista, mentre le vetture stavano per terminare il giro di formazione, «E conquisterà il titolo. Felipinho Massa, che compie ventidue anni proprio questo weekend, sa quello che deve fare.»
«Esattamente come il padre» concluse il Tifoso Ultrasessantenne, con una risata, «Che però faceva sempre l’esatto opposto.» Si guadagnò un’occhiataccia dal proprio compagno di tavolo. «Hai qualcosa in contrario, per caso?»
«Sì, ho molto in contrario» ribatté l’altro. «Possibile che nessuno stia neanche lontanamente accennando al povero Eduardo che partirà dalla pit-lane?»
Il Tifoso Ultrasessantenne sospirò.
«E poi magari dovremmo parlare anche di Sirotkin che ha debuttato in Formula 1 quando aveva già i capelli bianchi?»
Il Tifoso Ultraquarantenne scosse la testa.
«Sirotkin non c’entra niente. Dopotutto parte sesto, appena tre posizioni più indietro rispetto al compagno di squadra che si sta giocando il titolo alla veneranda età di quarantun anni!»
«Aveva già promesso molto tempo fa che avrebbe spaccato il culo a tutti» ricordò il Tifoso Ultrasessantenne. «Purtroppo quelli della McLaren non gli hanno mai creduto, un paio di decenni fa.»
Il Tifoso Ultraquarantenne non replicò. Contemplava il teleschermo, mentre il telecronista parlava a raffica: il momento della partenza si stava avvicinando.
«Ehi, che cosa...»
Il Tifoso Ultrasessantenne spalancò gli occhi, osservando una sagoma nera e gialla che sembrava avere anticipato i semafori.
Alla TV il rumore dei motori fu coperto da un boato.
«Sta per partire il Gran Premio del Brasile, ultima prova del campionato 2031 con cinque piloti che si contendono il titolo. Non è mai capitato nella storia della Formula 1 e... si accendono le luci rosse e... SCATTANO LE VETTUREEEEEE!» Lo speaker parve restare spiazzato. «...E in realtà quella di Victoria è già scattata da un bel po’! Vediamo la Lotus della diciottenne venezuelana ormai davanti alle Sauber e... CHE COLPO DI SCENA! Si toccano! Collisione tra Victoria e Si-... Pe-... Sirotkin? No, scusate, è Perez! ...Che confusione!»

Il grigio dell’asfalto, il bianco e il rosso dei cordoli e il verde dell’erba sintetica si fusero in una spirale di colori che a Checo parve infinita.
Non lo era. Non lo era per niente e tutto, tranne lui stesso, tornò al proprio posto, nel momento in cui il suo testacoda finì. Si era insabbiato, ed era tutta colpa di quella ragazzina viziata che aveva pensato bene di iniziare l’ultima gara stagionale in grande stile, bruciando la partenza.
“Tale padre, tale figlia” pensò Checo, che si era appena reso conto di avere buttato via quella che poteva essere la sua ultima chance.
La Sauber non sarebbe stata al vertice per sempre.
Lui stesso non sarebbe stato al vertice per sempre: non sentiva i suoi quarantun anni, ma quanto a lungo sarebbe durata?
Aveva buttato via la sua ultima chance, e non era nemmeno colpa sua!
Le donne dovevano stare in cucina, come aveva ricordato tante volte in passato alla sua amica Susie Wolff, quindi non c’era ragione per cui quella diciottenne che vestiva i colori della Lotus fosse lì, invece che in una classe dell’ultimo anno dell’istituto alberghiero, dove avrebbe potuto sfogare al meglio i propri istinti con pentole, mestoli e matterelli. Già, perché quella fallita non si era accontentata di partire in anticipo, ma gli aveva anche tagliato la strada e, quando lui aveva cercato, gesticolando e sbraitando via radio, di riprendersi ciò che gli spettava, lei gli aveva rifilato una vistosa sportellata. A peggiorare la situazione, nessuno avrebbe preso in considerazione l’idea di radiarla dalla Formula 1, ma con tutta probabilità se la sarebbe cavata con un misero stop and go di appena cinque secondi: avrebbe perso molto meno tempo di quanto ne perdeva mediamente Felipe Massa nei suoi gloriosi giorni ogni volta che ai box qualcuno perdeva un bullone.
Desideroso di dirne quattro a quella sfasciacarrozze, Checo avrebbe dovuto tra l’altro aspettare fino alla fine del gran premio, e questo era inconcepibile! Per fortuna che nel box della Lotus c’era l’artefice di tutte le sue disgrazie: l’intramontabile Pastor Maldonado. Se sua figlia era troppo impegnata a mettere in pericolo gli avversari per ascoltarlo, lui lo sarebbe stato a sentire, volente o nolente, invece di stare ai box a sognare a occhi aperti il giorno in cui sarebbe stato eletto presidente della repubblica venezuelana.

«Brava Victoria!» urlò il Tifoso Ultrasessantenne, alzandosi in piedi per esultare. «Speedy Gonzales non merita altro che di essere buttato fuori! Anch’io, se fossi stato in pista con lui, gli sarei andato addosso molto volentieri, a costo di rischiare di spiccare il volo!»
Il Tifoso Ultraquarantenne, infastidito dal suo atteggiamento inopportuno, lo richiamò subito all’ordine.
«Ehi, non fare l’antisportivo. Vuoi essere scambiato per un tifoso da bar?»
«Veramente siamo al bar... Cosa dovrei fare?»
«Dovresti commuoverti per la sorte di Checo. Si stava giocando il mondiale e ora si ritrova fuori per colpa della figlia del suo nemico storico.»
Il Tifoso Ultrasessantenne spalancò gli occhi, nel vedere un inferocito Perez che camminava in gran fretta nella corsia dei box, tenendo il casco in mano.
«Ma adesso dove sta andando?»
«Dovresti saperlo» replicò il Tifoso Ultraquarantenne, strizzandogli un occhio. «Dovresti sapere qual è la reazione tipica di un pilota che viene buttato fuori!»
Si sorprese nel vederlo scuotere la testa, mentre replicava: «Veramente non ho la più pallida idea di cos’abbia in mente.»

«Te l’avevo detto» puntualizzò Romain. «Sacha è un pilota molto più completo e immune da errori, rispetto a Victoria. Senza offesa per tua figlia, ma credo che il suo passaggio così prematuro in Formula 1 sia stato molto azzardato.»
Pastor si mordicchiò la lingua per impedirsi una piccata replica. D’altronde lui era sempre stato un uomo di gran cuore, non poteva mettersi a insultare chicchessia, soprattutto se si trattava del suo ex compagno di squadra, del padre del compagno di squadra di sua figlia e, chissà, forse addirittura un suo futuro parente, se tra Sacha e Victoria fosse scoppiata la scintilla, cosa che sia sua moglie Gabriela sia la signora Grosjean sembravano sperare.
Romain, che lo scrutava con la sua solita aria da furbetto, sembrava sul punto di aggiungere qualcos’altro, ma l’improvvisa comparsa di un intruso all’interno del box lo fermò.
Strabuzzarono gli occhi entrambi, nel vedere Perez che, agitando la mano con cui reggeva il casco, urlava: «Il mondo è mio! Non permetterò a nessuno di mettersi contro di me.»
Terrorizzato dall’idea che Checo gli lanciasse addosso il casco, Pastor fu tentato di nascondersi dietro a Romain, ma scelse in extremis di affrontare il suo avversario con dignità.
«Sei tu che ti metti contro a tutti!» puntualizzò, quindi, parandosi davanti a lui. «Nella tua carriera ultraventennale, quanti sono i piloti con cui non hai litigato?»
«Mhm...» Checo sembrò assorto in una profonda riflessione. «Uno: Gutierrez, perché ha tentato di farti cappottare e quindi mi stava simpatico.»
Pastor non replicò. Sapeva di essere di gran lunga superiore al suo nemico storico e, piuttosto che parlare con lui, preferiva prenderlo a calci nel culo. Non lo fece solo per non infangare la propria reputazione. Gli indicò una sedia e gli suggerì di mettersi lì e di guardare il resto del gran premio in silenzio, gufando tra sé e sé i suoi quattro agguerriti avversari ancora in pista. Con sua sorpresa Checo si accomodò senza protestare, posando il casco a terra.

Il Tifoso Ultrasessantenne spalancò gli occhi.
«Tutto qui?! Io mi aspettavo come minimo uno spargimento di sangue... In realtà Perez è un cane che abbaia ma non morde.»
«Te lo credo che non morde» ribatté l’altro. «Nessuno lo sopporta, tutti quelli che gli stanno intorno ci metterebbero ben poco a schierarsi contro di lui, non credo che apprezzerebbe.» Guardò con attenzione il televisore. «Intanto Victoria ha forato...» Scosse la testa con aria affranta, mentre la giovane pilota della Lotus rientrava ai box, pronta a ripartire, ma nelle retrovie e senza più speranze. «Non era destino.»
«Avrà tutto il tempo di rifarsi» puntualizzò il Tifoso Ultrasessantenne. «Tra tutta questa gente che non vale la metà dei piloti degli anni Novanta e dei primi anni Duemila, anche lei ha qualche chance.»
Il Tifoso Ultraquarantenne si girò di scatto verso di lui.
«Ne sei proprio convinto? Io invece credo che quel tipo che se ne sta là in ultima posizione sulla Ferrari numero 7 sia di gran lunga più forte di suo padre!»
«Ma chi, Mick Schumacher, figlio dell’Intramontabile Imperatore dei Sette Cavallini d’Argento?» sbottò il Tifoso Ultrasessantenne, sforzandosi di non scoppiare a ridere a crepapelle. «E magari quell’altro che è secondo sulla Marussia numero 4 è più forte di tutti i suoi compagni di squadra presenti, futuri e passati?»
L’altro gli scoccò un’occhiataccia.
«E perché no? Intanto sembra che voglia dare del filo da torcere al piccolo Felipinho...»

Rob - lo “zio Smeddy”, come lo chiamava il suo nipote “adottivo” - strinse i denti per non lasciarsi sfuggire un insulto che a buona parte del team sarebbe stato sgradito.
«Felipinho Baby, non lasciare che si avvicini a te!»
Via radio non giunse altro che uno strano grugnito. Rob si domandò se Felipinho approvasse le sue parole o se lo stesse mandando a quel paese.
“In ogni caso” pensò, con un mix di rimpianto per il passato e di desolazione, “dopo tanti anni di onorato servizio dovrei finalmente decidermi ad andare in pensione.”
Se Felipinho fosse riuscito a vincere il titolo l’avrebbe fatto. In caso contrario... Rob non voleva nemmeno pensarci! Se quel giovane talento si fosse lasciato sfuggire il campionato, sarebbe stato solo per colpa di suo padre Felipe, che gli aveva inculcato valori come l’altruismo e la generosità senza spiegargli che in pista doveva dimenticarsi della loro esistenza.
Intanto quel vecchio fossile dai capelli sempre meno dorati e sempre più bianchi, sull’altra Marussia, stava col fiato sul collo del suo protetto. Dietro di lui c’era anche Sacha Grosjean, terzo, che però sembrava essere più impegnato a tenere dietro un arrembante Sirotkin, tanto per stare in tema di vecchi fossili.
Rob sospirò. Sarebbero seguiti molti giri di fuoco...

Nel bar era calato il silenzio.
«Questo gran premio sta diventando veramente palloso» osservò il più anziano dei due telespettatori. «Negli anni Novanta e Duemila le cose non sarebbero andate così.»
«Non è il gran premio che è palloso!» sbottò il Tifoso Ultraquarantenne. «Dì un po’, hai perso talmente tante diottrie da non riuscire a leggere i distacchi? Non vedi che le posizioni, dietro, cambiano continuamente? È tutta colpa della regia che non ci fa vedere tutte le cose più interessanti che succedono! Le posizioni di Mick Schumacher e Dayton Coulthard si sono invertite tre volte negli ultimi quaranta secondi, ma tu non te ne sei accorto, perché eri troppo impegnato a lamentarti! Questo è atroce, perché significa che là in fondo è in atto un duello epico e che nessuno si sta degnando di inquadrarlo!» Spinse indietro la sedia, scattò in piedi e si mise a saltellare agitando le braccia. «FORZA DAYTON! SPACCA IL CULO A TUTTI!»
«Perché tifi per Dayton?» gli domandò il Tifoso Ultrasessantenne. «Che cos’ha lui che Mick non ha?»
«Lasciamo stare, è una vecchia storia» borbottò il Tifoso Ultraquarantenne. «Non sono mai riuscito a capire la Ferrari fin dai tempi in cui è stato ingaggiato Vettel.»
L’altro rise.
«Beato te. Io ho smesso di capire la Ferrari già quando è stato ingaggiato Alonso... però la amo incondizionatamente. Non è questo il compito di un buon tifoso da bar?»
Il Tifoso Ultraquarantenne annuì.
«Tutto sommato sì, anch’io la adoro. Ma smettiamola di parlare della Ferrari, se no ci perdiamo quello che questo gran premio può offrirci.» All’improvviso fu inquadrata la battaglia nelle retrovie tra i due storici avversari, che ormai avevano la McLaren di Hakkinen Jr. negli scarichi. «VAI! YOU ARE THE BOSS... HUGO BOSS!»
Purtroppo, sul più bello, la regia andò a concentrarsi sul box della Williams, nel quale una donna sudamericana spalancava gli occhi per il probabile stupore.
«Ecco Paulina» disse il telecronista, «figlia di Juan Pablo Montoya e sorella di Sebastian, moglie di David Schumacher e nuora di Ralf. Sembra concentrata su quello che succede in pista e... ATTENZIONE, INCIDENTE IN PIENO RETTILINEO... ci sono una Williams e...» Vennero inquadrate due vetture ridotte a due catorci. Da una delle due era sceso Sebastian Montoya, inconfondibile, con il suo casco con i colori della bandiera colombiana, che gesticolava furiosamente nei confronti dell’altro pilota coinvolto nell’incidente. «...una Williams e... Scusate, entrambe! SONO LE DUE WILLIAMS! INCIDENTE TRA LE DUE WILLIAMS AL 22° GIRO DI GARA!» Anche David Schumacher scese dalla monoposto e prese a fare gesti poco cordiali. «Intanto vediamo Paulina con aria piuttosto affranta, nel box della Williams. Che brutto finale di stagione per il team di Grove... ma non si può dire che stiano mancando le emozioni, dopo che la gara è iniziata con un botto tra Victoria Maldonado e Checo Perez, che ha messo fuori gioco quest’ultimo e che ha reso praticamente impossibile la scalata di Victoria verso il titolo, che al momento sembra essere saldamente tra le mani di Felipinho Massa. Intanto entra la safety car e ai box si preparano i meccanici. Tutti o quasi ne approfitteranno per rientrare per il primo cambio gomme.»

Non era ancora finita, ma più il tempo passava e più Romain si sentiva rassegnato. Dopo i fuochi d’artificio della partenza aveva sperato che i due piloti della Marussia eseguissero una simile performance. Era l’unica chance per suo figlio di divenire il più giovane campione del mondo della storia della Formula 1... ma ormai le speranze erano perdute: superata la metà della gara, con Sacha stabilmente secondo, in mezzo alle due Marussia, una delle quali attardata a causa del pit-stop dietro la safety car, non c’era più speranza di un duello intestino che finisse male.
Romain scosse la testa, desolato. Almeno Pastor, seppure stesse provando la sua stessa delusione, poteva sentirsi estasiato, nel vedere sua figlia che, nelle retrovie, si lasciava alle spalle avversari che non le rendevano certo la vita facile.
Checo, ancora seduto sulla sedia su cui l’avevano piazzato dopo il suo ingresso tutt’altro che trionfale nel box Lotus, sembrava invece essersi calmato. Seguiva con aria assorta il gran premio, accennando lievi sorrisi nel vedere Victoria risalire.
«Tutto sommato» ammise, quando la vide entrare in top-ten, «Quella pazza scatenata qualcosa lo sa fare. Rimane un disonore essere stato speronato a quel modo, ma non posso dire che quella sfasciacarrozze sia stata un’avversaria indegna.»
Come a smentirlo, Victoria fece un evidente salto su un cordolo.
«Tu porti sfiga!» sbottò Pastor. «Alzati da lì e vattene, prima che sia io a cacciarti fuori!»
Checo lo guardò con aria innocente.
«Così, lontano da te, posso gufarla meglio?»
«Lontano o vicino» replicò Pastor, «Dovrai passare sul mio cadavere, prima che le tue gufate facciano effetto.»
Romain sospirò. Doveva inventarsi qualcosa per placare la rissa imminente, e non sarebbe stato facile.

Il Tifoso Ultrasessantenne tacque. Era doveroso, dal momento che parlare avrebbe significato dare ragione al suo avversario, che finalmente aveva smesso di esultare e si era seduto di nuovo: dopotutto era vero, quella gara non era così noiosa e, tutto sommato, i piloti delle retrovie sembravano animare e non poco il gran premio.
“Peccato che davanti non si stiano dando altrettanto da fare.”
Arrivati all’ultimo gran premio non c’era nulla di epico in un pilota che vinceva il mondiale partendo dalla prima posizione e rimanendoci dall’inizio alla fine. Sarebbe stato molto più pittoresco se avesse toppato la partenza e avesse dovuto recuperare nei confronti di qualche avversario, oppure se per qualche ragione fosse rimasto coinvolto in qualche incidente con il proprio diretto sfidante... Anzi, no, meglio di no! Avere incidenti con gli altri contendenti al titolo non sempre era la strategia vincente, specie se gli avversari riuscivano a proseguire verso il traguardo...
Perso in quelle riflessioni, aveva si era ormai distratto dall’andamento del gran premio. Fu un’esclamazione dell’altro tifoso a riportarlo alla realtà.
«Povero piccolo canadese ossigenato che un giorno perderà i capelli! La Mercedes di oggi è messa peggio della B.A.R. del 2000!»
«In effetti» puntualizzò il Tifoso Ultrasessantenne, mentre il pilota in questione parcheggiava a bordo pista e scendeva dalla macchina scuotendo la testa, «La Mercedes discende dalla Honda che discendeva dalla B.A.R., quindi si può dire che sia l’erede della B.A.R., per certi versi. È giusto che segua il suo destino.»
«E quel poveretto che stava difendendo la sua ottava posizione da una Victoria Maldonado scatenata come non mai ti lascia indifferente?»
«Oh, certo che no. Vederlo ritirarsi è uno spasso! È il degno erede di suo padre!»

Maledetta Mercedes che rimaneva sempre a piedi! La vettura del 2031 avrebbe disgustato perfino Lewis Hamilton e Nico Rosberg, che in passato avevano guidato la miglior Mercedes di tutti i tempi.
Jonas si tolse i guanti e li scagliò a terra.
Non c’era proprio nulla di buono in quella vettura.
In realtà non c’era stato nulla di buono nemmeno in tutto il resto, in quella stagione, ed erano ormai passati i gloriosi tempi delle sue sportellate con Mick Schumacher, che un tempo aveva addirittura sperato di rubargli il volante, ma che negli ultimi due anni si era accontentato di una Ferrari che faceva acqua da tutte le parti ma che almeno gli permetteva di arrivare al traguardo, seppure doppiato di almeno un giro. Forse avrebbe dovuto cercarsi un volante in Indycar, dove il suo fratello maggiore stava facendo sfaceli.
A peggiorare le cose, non c’era nemmeno un motorino dei commissari di percorso che lo accompagnasse ai box. Percorse quindi un paio di chilometri a piedi e finalmente andò a rintanarsi nel proprio motorhome.
Si sedette a terra, mettendosi le mani tra i capelli e ripensando a quando suo padre gli aveva detto che quella tinta era ridicola. Evidentemente da quando era rimasto completamente calvo aveva rimosso dai propri ricordi le proprie improbabili acconciature del passato.
Qualche istante più tardi, per svagarsi un po’, Jonas prese il cellulare e si mise a smanettare. Entrò su Twitter e spalancò gli occhi nel vedere un messaggio infamante che lo riguardava.
“Complimenti a Villeneuve che ha migliorato il suo stesso record: zero gran premi completati su diciannove. Dovrebbe cambiare mestiere!”
Jonas se ne sarebbe fregato altamente, se l’autore non fosse stato nientemeno che Taki Inoue. Decise quindi di rispondergli a tono.
“Almeno io sono arrivato ai box senza andare a sbattere da nessuna parte. Forse sei tu che dovresti trovarti un lavoro, invece di passare il tempo a criticare piloti migliori di te sui social network!”
Lo inviò e si sentì soddisfatto, per la prima volta da parecchio tempo. Fece per mettere via il telefono ma un “beep” lo fece desistere: NUOVO MESSAGGIO IN ENTRATA, stava scritto sul display.
Era la donna della sua vita.
“Vorrei tanto essere lì in Brasile con te. Quest’anno è andata male, ma il prossimo ti rifarai, sempre che tu non decida di darti all’ippica, proprio come me!”
Jonas sorrise e all’improvviso gli fu tutto chiaro: non gli importava niente della differenza di età, dei pettegolezzi e della segretezza in cui la loro relazione era sempre stata avvolta; intendeva chiedere a Gina Marie Schumacher di sposarlo.

Le speranze della Lotus erano ormai perdute e, dentro di sé, il Tifoso Ultraquarantenne non poté fare a meno di avvertire un lieve brivido di soddisfazione, seppure non avesse nulla contro Sacha Grosjean, che lasciava la seconda posizione a un altro pilota che avrebbe necessitato di un miracolo per laurearsi campione del mondo.
Il Tifoso Ultraquarantenne ridacchiò.
“Campione del mondo lui... come no!”
La vittoria del titolo era un’impresa impossibile, per lui. Lo era stata quasi un ventennio prima e sarebbe stata per sempre.
Guardò il corridoio che conduceva verso il bagno. Il Tifoso Ultrasessantenne si era allontanato in quella direzione, due minuti prima.
Finalmente stava tornando.
«Ehi!» urlò il Tifoso Ultraquarantenne, «Sacha è fuori!»
L’altro si affrettò e tornò a piazzarsi al proprio posto, davanti al televisore.
«Cos’ha fatto?»
Il Tifoso Ultraquarantenne gli indicò il teleschermo.
«Lui non ha fatto niente. È il motore che l’ha abbandonato.»

Alexander Rossi, team manager della Marussia, fissava lo schermo con gli occhi sgranati. Con il ritiro di Sacha Grosjean, i suoi due piloti, che si giocavano il mondiale, erano di nuovo primo e secondo.
Rob gli lanciò un’occhiataccia, della quale Alexander non si accorse nemmeno.
“Felipinho deve vincere.”
Non c’erano alternative, era il completamento di un destino già scritto... eppure il suo compagno di squadra e avversario non faceva altro che rosicchiargli decimi interi a ogni giro, e di giri ne mancavano sette.
Rob incrociò le dita.
«Ce la devi fare, Baby!» urlò, alla radio. «Hai ancora tre secondi e quattro.»
«Taci» fu la laconica risposta del pilota. «So quello che faccio, quindi smettila di rompere i coglioni!»

Il Tifoso Ultrasessantenne sogghignò.
«E così il piccolo Felipinho in realtà sembra avere preso molto da Raikkonen» osservò. «Tutto mi sarei aspettato, tranne che questo.»
«È molto meno glaciale» lo smentì il Tifoso Ultraquarantenne. «Non puoi paragonare l’uno all’altro, sono due esatti opposti. È come paragonare il ghiaccio al fuoco, è come paragonare la neve alle braci, il che è tutta una contraddizione, dato che abbiamo bisogno del calore del fuoco, ma nessuno di noi vuole stare sulle braci.»
«A volte» puntualizzò il Tifoso Ultrasessantenne, «Le braci potrebbero essere l’alternativa migliore. Ho deciso: io sto con il calore, con il fuoco e con le braci!»

Sei giri al termine.
Cinque giri al termine.
Quattro giri al termine...
Tutto stava scorrendo verso l’inesorabile fine e, dopo dieci anni di telecronache, era giunta quella su cui era impossibile concentrarsi a pieno.
«Interlagos è stata spesso teatro di avvincenti duelli per il titolo mondiale» stava ripetendo Gianfranco, accanto a lui, come se non l’avesse già ripetuto almeno venti volte nell’ora e mezza precedente, «E anche in questa occasione non ci sta smentendo, vero Felipe?»
Ecco, l’aveva interpellato.
Felipe s’irrigidì.
«Sì, ancora una volta i fatti ti stanno dando ragione. Il distacco tra i due piloti della Marussia», cercò di non pensare al fatto che il primo dei due fosse proprio suo figlio, «è sceso al di sotto del secondo.»
Era la fine.
Tutto stava crollando, proprio quando era arrivato a illudersi che Felipinho potesse farcela; era inutile chiudere gli occhi per non vedere.
Quando era toccato a lui, ventitré anni prima, era stato tutto molto diverso. Non aveva mai avuto la situazione sotto controllo e quello che era accaduto non poteva in alcun modo dipendere soltanto da lui.
«ECCOLO!» urlò Gianfranco, facendo un salto sulla sedia. «ECCOLO CHE ATTACCA IL SUO COMPAGNO DI SQUADRA! La spunterà, vero Felipe?»
Felipe gli lanciò un’occhiata di fuoco.
«Soltanto la bandiera a scacchi ce lo dirà.»
Mancavano tre giri al termine.

Il tempo delle risate era finito. Il Tifoso Ultraquarantenne notò come l’altro tifoso si fosse notevolmente calmato.
Fissava il televisore con la bocca spalancata.
Fissavano entrambi il televisore con la bocca spalancata, in realtà.
Era un duello avvincente, forse il più avvincente fin dagli albori del terzo millennio.
Finalmente il Tifoso Ultraquarantenne ebbe la forza di parlare. A quel punto osservò: «Penso di capire, per certi versi, come potrebbe sentirsi Felipinho in questo momento. È un po’ come una partita a briscola: non sai mai quello che potrebbe capitarti.»
Il Tifoso Ultrasessantenne lo guardò storto.
«Che cosa c’entrano la Formula 1 e la briscola?»
Il Tifoso Ultraquarantenne rise, sentendo finalmente la tensione che si allentava.
«Secondo me c’entra molto di più di quanto tu possa immaginare.»

«Non è mai finita, almeno finché non conti i punti e ti rendi conto che sono di meno rispetto a quelli dei tuoi avversari.»
L’aveva detto Kamui Kobayashi, molti anni prima, durante una partita organizzata nel box della Caterham dopo la fine della prima manche di qualifiche.
Sarebbe stato bello, ricordò Max, organizzare una briscola con sei partecipanti, ma Gutierrez e Maldonado non ne avevano voluto sapere. Secondo era troppo avvilente sfidarsi a carte, dopo l’eliminazione dalle qualifiche.
Come al solito, si erano ritrovati loro quattro: Max e Jules contro Kamui e Marcus. I piloti della Caterham si erano dimostrati agguerriti tanto quanto in pista. Erano stati degli avversari difficili da battere... e infatti erano rimasti imbattuti, diversamente dalla pista dove la Marussia stava ormai uno scalino più in su rispetto alla Caterham.
Max si sentì rincuorato.
La filosofia nipponica di Kamui, risalente a un giorno ormai lontano, poteva adattarsi a qualunque circostanza.
“Ce la farò.”
Max sapeva cosa doveva fare: se avesse vinto, davanti a Felipinho, sarebbe stato campione del mondo, la conclusione migliore per la sua lunga carriera, iniziata alla Marussia e finita, dopo molti anni, di nuovo alla Marussia.
Mancavano tre giri.
Potevano essere pochi, ma allo stesso tempo gli apparivano come un’infinità.
Felipinho era più lento di lui. Max si sentiva vicino come non gli era mai stato per tutto il weekend. Su quella pista, il giovane brasiliano volava.
“Adesso, però” si disse Max, “È giunto il momento di strappargli le ali.”

«AL PENULTIMO GIRO!» Il telecronista appariva molto emozionato. «AL PENULTIMO GIRO, IL SORPASSO!» Urlava, forse tra le lacrime. «Ancora una delusione, vero Felipe?»
L’altro telecronista non disse nulla.
Il Tifoso Ultrasessantenne non ebbe difficoltà a comprenderne il motivo. Anzi, gli appariva incredibile che fosse riuscito a non emozionarsi fino al punto di perdere le parole e che, seppure non avesse parlato tanto nell’ultima ora e quaranta minuti, fosse stato capace di dire tutto quello che andava detto.
«Cosa ne pensi?» domandò all’uomo più giovane, che non staccava più gli occhi dal teleschermo, con un’espressione di rimpianto stampata sul volto.
L’altro abbassò lo sguardo.
«Penso che sia andato tutto come doveva andare.»
Venne inquadrato il box della Lotus.
Romain Grosjean, Checo Perez e Pastor Maldonado sembravano piuttosto affranti. Non era sorprendente: il settimo posto di Victoria non sarebbe servito a molto e il ritiro di Sacha doveva essere stato il colpo di grazia, almeno per Romain e Pastor. Come la pensasse Checo non era ben chiaro. Era comparso in quel box un’ora e mezza prima sbraitando, ma sembrava essere ormai completamente calmo.
Poi la bandiera a scacchi mise fine a tutto.
La voce del telecronista rimbombò.
«MAX CHILTON VA A VINCERE IL GRAN PREMIO DEL BRASILE E DIVENTA CAMPIONE DEL MONDO! Chi l’avrebbe mai detto, tanti anni fa?»

Era finita.
Felipinho lo sapeva: non c’era più nulla da fare... non per quella stagione, almeno; e, se quel giorno il futuro gli interessava relativamente, una parte di lui aveva la consapevolezza che ci sarebbero state molte altre occasioni.
Tutto sommato Max se l’era cavata alla grande, per tutto l’anno.
“E poi” si disse Felipinho, “Se ce l’ha fatta lui posso farcela anch’io.”
Era finita, come tutto il resto.
Era finita, ma nessuna speranza crolla mai per sempre.
Felipinho si asciugò le lacrime.
Di lì a pochi minuti, oltre il podio, avrebbe visto tante persone che lo amavano e che quel giorno avevano sperato e pianto insieme a lui.

Il gran premio del Brasile, il pomeriggio al bar e i numerosi drink consumati fingendo di ascoltare i commenti post-gara erano ormai parte di un recente passato già giunto alla conclusione.
Quel Tifoso Ultrasessantenne se n’era andato addirittura prima di lui, come se avesse avuto qualcosa di importante da fare. Il Tifoso Ultraquarantenne, quindi, spalancò gli occhi nel vederlo trafficare, nel parcheggio di fronte al bar, intorno a una vecchia Fiat grigia metallizzata.
«Quella è la tua macchina?!» gli domandò, dopo essersi avvicinato con il solo scopo di curiosare e impicciarsi negli affari suoi.
L’altro si girò e gli lanciò un’occhiataccia.
«Sì, perché?»
«Niente... mi sembra strano. Tutti associano la Cinquecento Twin Air a Fernando Alonso, perché vent’anni fa ne faceva la pubblicità. Non avrei mai immaginato che tu...»
«Sì, hai ragione» confermò l’altro, «È abbastanza stressante andarsene in giro su una macchina che tutti collegano ad Alonso. Io, però, la considero un vero e proprio gioiellino.»
Il Tifoso Ultraquarantenne sospirò. Forse quello era il giorno delle rivelazioni.
Gli indicò un’auto malmessa, parcheggiata in un angolo.
«La vedi quella?»
Il Tifoso Ultrasessantenne spalancò gli occhi.
«È tua?»
Il Tifoso Ultraquarantenne annuì.
Si trattava di un’altra Cinquecento Twin Air - anche con lui, qualcuno aveva fatto il collegamento con la pubblicità interpretata da Alonso - non altrettanto splendente: era rossa, ma le portiere posteriori e quella del bagagliaio erano state sostituite ed erano nere anziché rosse dello stesso colore di tutto il resto.
Il Tifoso Ultrasessantenne vi si avvicinò.
«Non ti vergogni ad andare in giro con un catorcio del genere?»
Il Tifoso Ultraquarantenne s’irrigidì.
«No, per niente. Sono sicuro, anzi, che è più veloce e scattante della tua.»
«Ah, sì?» L’altro si lasciò andare a un sorriso malizioso. «Sarà come dici, ma sei sicuro di essere anche tu più veloce e scattante di me?»
Il Tifoso Ultraquarantenne lo fulminò con lo sguardo.
«Mi stai sfidando?»
Il Tifoso Ultrasessantenne obiettò: «Temo che sia tu, quello che sta sfidando qualcuno, ignorando il rischio di essere arrestato per guida in stato di ebbrezza.»
«In effetti sfidarti potrebbe essere una buona idea» ribatté il Tifoso Ultraquarantenne. «Sali in macchina. Vince il primo che fa tutta la via del mercato, passa per l’incrocio laggiù in fondo, davanti al negozio del tabaccaio all’angolo della strada e, dopo avere fatto una pernacchia alla gente che compra le sigarette al distributore automatico, torna qui per quell’altra strada non asfaltata, percorrendo in successione la curva più veloce e quella più lenta di tutto il paese.»
«Quindi» dedusse il Tifoso Ultrasessantenne, «Non solo stai decidendo tu il percorso, ma stai anche sfidando un uomo molto più anziano di te.»
Il Tifoso Ultraquarantenne puntualizzò: «Sono appena vent’anni, quelli che ci separano.»
L’altro scosse la testa.
«Di più.»
«Vent’anni e mezzo.»
L’altro puntualizzò: «Vent’anni e sette mesi tondi tondi, secondo me.»
«Magari, già che ci sei, vuoi contare anche le ore e i secondi?» ribatté il Tifoso Ultraquarantenne. «È per caso il tuo modo di dirmi che hai paura di confrontarti con me?»
Il Tifoso Ultrasessantenne negò con fermezza.
«Non ho mai avuto paura di confrontarmi con voi giovincelli. Sono sicuro che ti farò mangiare la polvere, come ho sempre fatto con tutti.»
«Io, invece» replicò il Tifoso Ultraquarantenne, «Sono convinto del contrario.» Prese fuori le chiavi della macchina, che teneva in tasca. «Adesso vediamo come andrà a finire.»

Sacha si guardò intorno.
Non c'erano telecamere a inquadrarlo, per fortuna, altrimenti avrebbe preferito mettersi in testa un sacchetto di carta per sfuggirvi.
Detestava essere ripreso, soprattutto dopo un ritiro.
A peggiorare le cose, vide comparire una sagoma che conosceva bene: capelli lunghi e neri, occhi luminosi, tuta della Lotus.
Era Victoria, colei che voleva distruggerlo e annientarlo.
Lo guardava.
Sorrideva.
«Sai cosa pensavo?» gli domandò.
Sacha la fissò con aria interrogativa.
«Cosa?»
«Adesso che il campionato è finito, stasera potremmo andare a bere qualcosa insieme.» Victoria Rise. «Non ti metterò il cianuro nel bicchiere, te lo prometto.»
Sacha si finse pensieroso.
«Cercherò di non metterlo io nel tuo, per quanto mi riguarda.»
Victoria annuì.
«Bene, lo prendo per un sì.»
«Però cerchiamo di non farci scoprire» la pregò Sacha. «Non vorrei che nascessero degli strani pettegolezzi su di noi.»
Victoria ridacchiò.
«Certo, se pensi che nessuno ci riconosca.»
Sacha aggrottò la fronte.
«Mhm... che cosa ne pensi... di metterci un sacchetto di carta in testa?»
«Penso che devi avere esalato i fumi del tuo motore troppo a lungo» ribatté Victoria, «E che tu stia delirando.» Si guardò intorno. «Ora scusami, ma devo andare a raggiungere mio padre, per controllare che non abbia ancora ucciso il suo amico Checo!»
Sacha la seguì.
Anche lui era abbastanza preoccupato: Pastor e Checo erano un duo esplosivo e non voleva che demolissero il box.
Per fortuna non stava accadendo nulla di allarmante: Sacha notò che i due, insieme a suo padre, si erano piazzati in un angolo e stavano parlando dei bei tempi andati, in cui avevano dominato le scene in Formula 1.
«Mi ritengo fortunato» concluse Checo, «Di essere ancora qui a di poter continuare a dimostrare quanto valgo.» Alzò gli occhi e vide Victoria. «...O meglio, a provarci, dato che c’è sempre qualche sfasciacarrozze che sconvolge i miei piani.»
Sacha sperò che Victoria gli rispondesse a tono, ma la giovane venezuelana non prese nemmeno in considerazione l’idea di accontentarlo.
Stava fissando Perez con occhi sognanti.
Sacha scosse la testa.
“Non sarà segretamente innamorata di lui?!”
«Scusami, Checo» mormorò Victoria, priva della determinazione che aveva in pista. «Non ti avevo visto e ti sono venuta addosso.»
Sacha sospirò.
“Sì, è innamorata di lui.”
Doveva essere quella la ragione per cui non si era mai accorta delle sue avance, ma un giorno le cose sarebbero cambiate, ne era sicuro.

Il tempo si fermò per un istante, per il Tifoso Ultrasessantenne.
Quanti anni erano trascorsi dall'ultima volta in cui, mettendosi al volante, aveva davvero potuto essere se stesso?
Quanti anni erano trascorsi prima che un qualsiasi tifoso da bar, come quello che aveva incontrato quel pomeriggio, gli desse la possibilità di rimettersi in discussione?
Lanciò un'occhiata all'avversario, già seduto al volante.
«Preparati a perdere» esclamò, facendogli l'occhiolino, «Come hanno sempre fatto tutti, dal primo all’ultimo... anzi, dal secondo all’ultimo.»
Il Tifoso Ultraquarantenne replicò: «Non sono io quello che deve prepararsi moralmente. Sei tu che, se non vinci, sei finito.»
Il Tifoso Ultrasessantenne scosse la testa.
«Ho aspettato sessantadue anni e trecentotrentuno giorni per disputare la gara più avvincente ed epica della mia vita e, qualunque sia il risultato finale, questo scontro su due Cinquecento malandate rimarrà sempre il mio ricordo migliore.»
«Aspetta di arrivare al traguardo» gli suggerì l’altro. «Tra poco sentirai il sapore della sconfitta e mi dirai l’effetto che ti fa.»
Il Tifoso Ultrasessantenne alzò gli occhi al cielo.
«Non eri tu che dicevi che la vittoria non è essenziale?»
Il Tifoso Ultraquarantenne si finse sorpreso.
«Chi, io? Neanche per idea! E adesso taci e pensa a guidare!»
Il Tifoso Ultrasessantenne guardò la strada davanti a sé.
Era proprio quello che avrebbe fatto.

Max entrò in bagno barcollando.
Aveva bevuto troppo, alla festa data in onore della sua vittoria.
Aveva bevuto troppo ed era stato costretto a nascondersi, per rimandare il più possibile il momento in cui Chloe se ne sarebbe accorta e gli avrebbe fatto una predica interminabile.
Si aggrappò al lavandino.
La sua immagine annebbiata si rifletteva nello specchio.
Fu questione di un attimo, gli parve solo di udire un sussurro.
«Bravo, campione.»
Max sussultò.
Si guardò intorno, prima da un lato, poi dall’altro.
«C’è qualcuno?» domandò.
Gli era sembrato di avere conservato almeno un minimo di lucidità, ma a quanto pareva si era sbagliato.
Tornò ad appoggiarsi al lavandino, fingendo che non fosse accaduto nulla. Dopotutto non era accaduto nulla.
La voce, però, tornò a manifestarsi.
«È stato fantastico. Meriteresti il bacio del vincitore.»
Era una voce femminile, dall’accento latino.
«Volentieri» disse Max. Fu in quel momento che vide la sagoma sfuocata di una donna che si rifletteva nello specchio. Spalancò gli occhi. «Chi sei? Sei venuta qui solo per baciarmi?»
Lei rise.
«No, per niente. Io sono venuta qui solo per farti i complimenti, perché grazie a te la Marussia ha ottenuto il suo primo titolo.»
«E a te» obiettò Max, «Cosa importa?» Si girò, ma non la vide. «Dove sei finita?»
«Sono qui, davanti ai tuoi occhi» rispose lei, «Ma non credo che tu possa vedermi.»
«Infatti non ti vedo» confermò Max. «A meno che tu non sia il mio angelo custode, temo che da adesso in poi dovrò bere solo acqua e aranciata.»
«Non essere troppo egocentrico» la ammonì lei. «Non posso vegliare solo su di te.»
Max spalancò gli occhi.
«Questo significa che tu sei davvero un angelo custode, ma che non riservi i tuoi servizi soltanto a me?»
«Più o meno. Veglio sulla Marussia da molti anni.»
Max tornò a voltarsi verso lo specchio.
Si rivolse a se stesso.
«Non devi bere mai più! E non devi assolutamente raccontare niente di tutto questo a Chloe, altrimenti ti farà internare!» Si sentì sollevato nel non vedere altro che la propria immagine, riflessa nello specchio. «Se non altro c’è un margine di recupero.»
«Non disperarti» replicò la voce. «L’alcool altera le percezioni, quindi...»
«Quindi» dedusse Max, «Kimi Raikkonen ha trascorso la maggior parte della propria vita a parlare con angeli custodi e fantasmi! Molto interessante!»
«Come sei polemico» ribatté lei. «Ho cambiato idea. Non meriti affatto il bacio del vincitore, anche se ti sarò per sempre grata per avere portato in alto il nome del nostro team. L’unica cosa che meriti è un ricordo del nostro incontro.»
Max strabuzzò gli occhi.
Un’altra sagoma confusa, quella della sua interlocutrice, stava ricomparendo, seppure offuscata ancora più di prima, nello specchio.
«Vuoi strapparti una piuma e lasciarmela come omaggio?»
Lei scoppiò in una risata fragorosa.
«Non ho ali e non ho piume. Non me ne farei niente, dato che posso spostarmi con la forza del pensiero. Comunque ho già sprecato anche troppo tempo con te. Ho un’altra gara importante da seguire, oggi. Adios, chico!»
Max non udì più nulla, se non un fruscio.
Qualcosa cadde nel lavandino.
Era una benda rossa, ed era la prova che non aveva sognato a occhi aperti.

Il Tifoso Ultraquarantenne lanciò un’ultima occhiata al suo avversario, che sembrava averlo preso sul serio: il suo invito a tacere e a guidare non era stato pronunciato invano.
Entrambi accesero il motore.
Poi, all’improvviso, la vide e non capì.
«Ehi, tu, cosa ci fai in mezzo alla strada?» sbottò, abbassando il finestrino, verso la sagoma femminile che, davanti alla sua macchina, gli voltava le spalle.
Il suo avversario, alla sua sinistra, anche lui col finestrino abbassato, gli domandò: «Con chi parli? Non vedi che non c’è nessuno?»
Il Tifoso Ultraquarantenne spalancò gli occhi.
«Niente, lascia stare» mormorò, senza riuscire a capacitarsi di quello che vedeva, dal momento che la nuova arrivata sembrava tutto tranne che una donna in carne e ossa. «Io, prima di gareggiare, passo sempre il mio tempo a parlare con creature celestiali immaginarie che danzano intorno alla mia macchina! È tutto regolare! L’unico dubbio che mi pongo è: quel succo di pompelmo al retrogusto di caipirinha era davvero un succo di pompelmo?»
«Mai fidarsi di un barista brasiliano!» lo ammonì l’uomo più vecchio. «Secondo me era un fan di Di Grassi, che sfoga sui clienti la propria frustrazione per i risultati del suo eroe decaduto!»
«Come sai che era brasiliano?»
«Lo si vedeva. Alla fine del gran premio si è asciugato le lacrime con una bandiera del Brasile, proprio come avrebbe fatto Rubens Barrichello al suo posto!»
«Era brasiliano» confermò anche la sagoma sfuocata, voltandosi verso di lui, «E tu non hai mai ordinato succo di pompelmo, stasera.»
«Oh, dannazione, è vero...» Il Tifoso Ultraquarantenne decise di non scoraggiarsi. «Riuscirò comunque a battere questo fossile!»
«Non ci contare» insisté il Tifoso Ultrasessantenne. «Io sono lucido abbastanza da non avere visioni mistiche prima del via.»
«Non ascoltarlo» ribatté l’eterea interlocutrice. «Se non riesce a vedermi, peggio per lui. Non tutti sono dei privilegiati.»
«Quello che non capisco» azzardò il Tifoso Ultraquarantenne, «È che cosa vuoi da noi. Io e lui avevamo una questione in sospeso.»
«Infatti non dovreste perdervi in chiacchiere» azzardò lei. «Se vuoi posso essere io a darvi il via.»
Il Tifoso Ultraquarantenne aggrottò le sopracciglia.
«Ma lui non ti vede...»
«E allora? Quando vedrà che sei partito, scatterà anche lui!»
«Okay, ci sto!»
L’altro continuava a guardarlo senza capire, ma il Tifoso Ultraquarantenne lo abbandonò al proprio destino.
Partì, pronto a mostrare all’avversario che non doveva mai sottovalutare nessuno.
Anche l’altro partì, sicuramente pronto a dimostrare di non avere sottovalutato nessuno.
Ciascuno dei due rincorreva la propria verità.
Due verità distinte, ma indissolubili l’una dall’altra li aspettavano sulla linea del traguardo.
Cosa importava se non c’erano monoposto dai colori scintillanti, ma soltanto due vecchi catorci stradali?
Cosa importava se non c’erano ragazze pronte a dare il bacio del vincitore a chi tagliava il traguardo in prima posizione?

C’era una strada, c’era l’asfalto e c’era la passione per cui entrambi avevano sempre vissuto. Tutto il resto non aveva importanza.

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Milly Sunshine