giovedì 1 gennaio 2015

L'Odissea del Cassonetto d'Oro

Note di apertura.

Questa fan fiction è ambientata in un immaginario gran premio dove i piloti si destreggiano al volante di graziosi tosaerba, per la conquista dell’ambito trofeo del Cassonetto d’Oro.
Mi sono ispirata ai piloti della stagione 2014, ma tutti i nomi sono stati italianizzati; in certi casi per assonanza, in altri casi basandomi su altri criteri. Due particolari piloti, attualmente compagni di squadra, sono trasformati, in questa fanfic, in due gemelli, per via di certe similitudini nel loro stile di guida (A.K.A. propensione all’incidente).
Di seguito ecco i nomi dei team e dei piloti, e a chi sono ispirati:

Portarifiuti d’Argento (Mercedes)
Luigi Prosciuttello (Lewis Hamilton), Nicola Balsamo (Nico Rosberg)

Bidone della Plastica (Williams)
Filippo Macumba (Felipe Massa), Walter Bottiglia (Valtteri Bottas)

Grande Portalattine (Redbull)
Sebastiano Vitello (Sebastian Vettel), Daniele Sorriso (Daniel Ricciardo)

Porta Medicinali Scaduti (Ferrari)
Fernando Divini (Fernando Alonso), Camillo Bevitore (Kimi Raikkonen)

Bidone d’Acciaio (McLaren)
Giananselmo Bottoni (Jenson Button), Calvino Magnifico (Kevin Magnussen)

Posacenere Dorato (Lotus)
Romano Temporale (Romain Grosjean), Pastore Temporale (Pastor Maldonado)

Rifiuti Organici (Force India)
Sergio Cecchetto (Sergio Perez), Niccolò Pelleverde (Nico Hulkenberg)

Piccolo Portalattine (Toro Rosso)
Gianenrico Verdi (Jean Eric Vergne), Danilo Chiavetta (Daniil Kvyat)

Raccolta Bottiglie (Sauber)
Adriano Pianisti (Adrian Sutil), Stefano Cappotti (Esteban Gutierrez)

Campana del Vetro (Caterham)
Kamut Colapiatti (Kamui Kobayashi), Guglielmo Stefani (Will Stevens)

Raccolta Carta (Marussia)
Massimo Brividi (Max Chilton), Alessandro Valentini (Alexander Rossi)

Altri personaggi: Susanna Lupetti (Susie Wolff), Guido Giardini (Giedo Van Der Garde)

Pubblicata a fine anno su Formula 1 Grand Chelem forum...




Opening.

Susanna entrò in bagno e, quando lo trovò deserto, si mise a imprecare. Quando mancava un’ora e mezza alla partenza, il pranzo che aveva accuratamente cucinato per tutti i suoi ventidue colleghi, che diversamente da lei avevano un volante, non aveva avuto alcun effetto.
«Accidenti a quel cuoco di Singapore che mi ha detto che avrebbero avuto tutti un attacco istantaneo di diarrea! Di questo passo, quando debutterò nel Gran Cassonetto dei Gufi, avrò già tutti i capelli bianchi!»
Si appoggiò, sconsolata, alla parete. Aveva tradito la fiducia del team del Bidone della Plastica e dei suoi due compagni di squadra, nel tentativo di intossicare chiunque, e non era servito a niente! Susanna era sul punto di scoppiare in un pianto disperato. Walter Bottiglia, quel biondino dalla testa grossa, con un collo che sembrava quello dell’Uomo di Neanderthal, non meritava un simile trattamento, e soprattutto non lo meritava l’altro loro compagno di squadra, Filippo Macumba, un caloroso ragazzo mediterraneo che soffriva di calvizie precoce e aveva una vistosa stempiatura.
“Eppure mi serve il volante di uno dei due.”
Susanna Lupetti non sopportava l’idea di essere, ancora una volta, fuori da una delle più prestigiose competizioni motoristiche al mondo, organizzata ogni anno da Guido Giardini, fondatore di una celebre multinazionale dei tosaerba.
Le sue riflessioni vennero interrotte da uno degli altri piloti che, senza accorgersi di lei, dopo essere entrato nel bagno si avvicinò allo specchio e, presa una spazzola, iniziò a pettinarsi accuratamente i capelli biondi.
Susanna conosceva perfettamente quell’individuo: si chiamava Nicola Balsamo e, con il suo tosaerba argentato, aveva conquistato la pole position davanti al compagno di squadra Luigi Prosciuttello.
Susanna gli si avvicinò e, quando lo urtò facendogli cadere la spazzola, Nicola gridò, carico di terrore.
«Nooooooo! Avevo quasi ultimato la mia acconciatura e tu hai rovinato tutto!»
Susanna guardò l’immagine del collega riflessa nello specchio.
«Ehm... scusa, cos’avrei rovinato? Sembra che tu sia appena uscito da un negozio di parrucchieri. Secondo me hai delle turbe psichiche!»
«Secondo me, invece» replicò Nicola, «Tu sei stata mandata qui dal mio compagno di squadra per sconvolgere la mia esistenza. Fa parte della sua strategia psicologica per battermi. Digli che con me non attacca e che, anche se dovesse battermi in pista, non riuscirà mai a infighettarsi tanto quanto me!»
«Riferirò il messaggio.»
Susanna gli voltò le spalle e si allontanò, ricordandosi soltanto in un secondo momento che Luigi Prosciuttello non l’aveva neanche presa in considerazione, tutto preso com’era a pavoneggiarsi con indosso la sua bandana, i suoi pantaloni extralarge ed enormi catene d’oro finto al collo, e che forse non si ricordava nemmeno della sua esistenza.

Accanto ai loro tosaerba neri e gialli, colori scelti in onore di un marchio di tabacco che si guardava bene dallo sborsare soldi per sponsorizzarli, i gemelli Temporale si stavano dando da fare per ordire uno dei loro complotti.
Già noti a tutti i partecipanti del prestigioso Gran Cassonetto dei Gufi come seminatori di panico, avevano intenzione di sfruttare le loro capacità per indurre il maggior numero possibile di avversari all’errore.
Pastore lanciò un’occhiata al fratello Romano, che rideva tra sé e sé con la sua solita aria da furbetto che non prometteva nulla di buono.
«Cos’hai in mente?» volle sapere.
Romano lo fissò con lo sguardo innocente con cui, quando erano bambini, gli si avvicinava con l’intenzione di picchiarlo selvaggiamente dopo che erano stati coinvolti nell’ennesimo incidente sui tricicli.
«Niente» rispose, con la sua aria da santerellino. «Mi stavo chiedendo, quando in pista saremo rimasti soltanto noi due, chi salirà sul gradino più alto del podio.»
Pastore replicò, con sicurezza: «Io, è ovvio.»
Lo sguardo innocente di Romano si fece minaccioso.
«Ne sei proprio sicuro?»
Pastore non fece in tempo a rispondere. Nel loro box entrò come una furia il loro collega del box accanto, Sergio Cecchetto. Portava come al solito il suo ridicolo sombrero ed era incavolato nero, notò Pastore, ma questa non era una novità dato che, nei momenti in cui non era in pista a bordo del suo tosaerba, Sergio era sempre impegnato a litigare con qualcuno.
Al suo seguito arrivò anche l’immancabile Stefano Cappotti, anche lui col sombrero in testa, ingaggiato come bodyguard da Sergio ma che, con la sua aria da scoiattolo impaurito e con gli occhiali da nerd, faceva scoppiare tutti a ridere.
Pastore li guardò, gelido.
Sergio ricambiò l’occhiata, mentre Stefano, senza sapere cosa fare, si rigirava i pollici in un angolo, probabilmente troppo terrorizzato per avvicinarsi a Pastore, che in passato l’aveva fatto cappottare col suo tosaerba.
«Il momento dello scontro è arrivato» declamò Sergio. «Tra poco dimostreremo chi di noi due vale qualcosa!»
«Mi dispiace per te che devi ancora dimostrarlo» ribatté Pastore. «Io ho già dimostrato quanto valgo molto tempo fa.»
«È tutto da vedere» replicò Sergio, secco. «Io e Stefano faremo il possibile per mettere fine a tutti i tuoi sogni di vittoria.»

Finita la visita al box del Posacenere Dorato, Sergio proseguì, con il fedele bodyguard dietro di lui, fino a quello del Portamedicinali Scaduti, tutto tinteggiato di rosso. Accanto all’ingresso c’era Niccolò Pelleverde che, per qualche strano motivo, stava sbirciando all’interno, fissando con occhi carichi di desiderio i due tosaerba scarlatti.
Sergio si guardò intorno, notando che ai colori fiammeggianti del team si mescolavano quelli bianco-blu del box attiguo. Sembrava che Filippo e Walter fossero ospiti d’onore, dal momento che si stavano intrattenendo rispettivamente con l’uno e con l’altro pilota.
«Questo significa» osservò Sergio, «Che abbiamo preso due piccioni con una sola fava.»
Era suo intento, infatti, fare visita anche a Filippo Macumba, suo feroce avversario con il quale aveva un conto in sospeso. Ignorò Walter Bottiglia, che insieme a Camillo Bevitore progettava un party a base di superalcolici dopo l’assegnazione del Cassonetto d’Oro, e si diresse a passo spedito verso Filippo, che in quel momento stava ascoltando le lamentele di Fernando Divini, che come al solito parlava di complotti immaginari che non gli avrebbero mai permesso di raggiungere le performance dell’ex collega Michele Calzolaio, che per lunghi anni aveva indossato i colori del Portamedicinali Scaduti, almeno prima di finire la propria carriera al Portarifiuti d’Argento.
Sergio fece un cenno a Stefano, che immediatamente afferrò Fernando per un braccio e lo spinse da parte.
A quel punto Sergio si piazzò di fronte a Filippo, che lo guardò con aria interrogativa.
«Si può sapere che cosa vuoi? Se ti stai chiedendo perché non sei stato invitato alla festa in stile carnevale brasiliano di stasera, è solo perché non ho ancora finito di consegnare gli inviti.» Prese fuori qualcosa che teneva in tasca e gli porse un foglio. «Ecco, questo è il tuo.»
Sergio non lo lesse nemmeno, ma lo appallottolò e lo lanciò addosso a Camillo, che rimase impassibile.
«Non ho intenzione di venire alla tua festa, anche perché sono qui per sfidarti a duello. Credo che, non appena la gara sarà finita, non avrai affatto voglia di festeggiare... anzi, molto prima!»
«Io credo che nessuno di voi avrà voglia di festeggiare» puntualizzò Fernando, riavvicinandosi. «È chiaro come la luce del sole che questo ambito trofeo sarà conquistato dal sottoscritto.»
«Ah sì?» ribatté Sergio. «Come fai a esserne certo?»
«Tu, intanto, dovresti essere certo di non potermi strappare la vittoria» precisò Fernando. «Se non vado errato, il Sigillo del Gufo Mutante ti impedisce di avvicinarti a me quando sono in testa a una gara e, se formuli l’ipotesi di insidiare la mia leadership, ti ritrovi a vagare per i prati a causa dell’effetto della maledizione.»
Sergio scosse la testa. Lui non credeva nelle maledizioni. Erano tutte fantasie che Filippo aveva sempre raccontato ai colleghi, forse su incarico proprio di Fernando, per spaventarli nei momenti in cui era necessario mantenere la concentrazione al massimo.
Ordinò a Stefano di seguirlo fuori dal box, proseguendo la sua passeggiata per il paddock alla ricerca di qualcun altro da intimidire, dal momento che fino ad allora nessuno l’aveva preso sul serio.

Salito su un palco improvvisato, costruito grazie a degli scatoloni dipinti di rosso e di nero rubati al team Raccolta Carta, Luigi Prosciuttello si stava preparando per cantare un pezzo rap che aveva appena composto, in cui elogiava il proprio talento e criticava il compagno di squadra. Il suo pubblico, costituito da Sebastiano Vitello e Giananselmo Bottoni, non sembrava particolarmente entusiasta. Era evidente che i due lo stavano contemplando con aria annoiata soltanto perché non sapevano come far passare il tempo in attesa del via.
In bilico su uno scatolone che rischiava di schiacciarsi, cercò di attirare la loro attenzione parlando di argomenti di interesse nazionalpopolare.
«Avete già deciso a che festa parteciperete? A quella in stile carnevale brasiliano o all’alcool-party?»
«Il mio compagno di squadra» lo informò Giananselmo, «Pensa di andare all’alcool party, al solo scopo di avere qualche incontro ravvicinato con Camillo.» Si riferiva a Calvino Magnifico, che più volte aveva cercato di rubare al pilota del Portamedicinali Scaduti parte della collezione di bottiglie di vodka che portava sempre con sé. «Per quanto riguarda me, non vedo il motivo di voler festeggiare. So già che il mio Bidone d’Acciaio è un vero bidone! Non posso fare altro che deprimermi.»
«E allora cosa dovrei fare io?» sbottò Sebastiano. «Anche il mio tosaerba è un bidone e, a peggiorare le cose, invece di avere un compagno di squadra che balla la conga con tutti, ce ne ho uno che va forte e che, ancora peggio, sta sempre lì a sorridere come un ebete! Non ne posso più! Sono pronto ad arruolarmi tra le schiere del Portamedicinali Scaduti, aspetto solo che qualcuno mi faccia posto!»
Luigi sospirò, rassegnato. Quei due non sapevano fare altro che lamentarsi; cosa che del resto avrebbe fatto anche lui, e molto volentieri, se Nicola Balsamo l’avesse sistematicamente battuto. Per fortuna non stava succedendo e, nonostante la pole position del compagno di squadra, Luigi era certo che in gara le cose sarebbero andate diversamente. Tutto andava alla grande e...
«What the fuck?!»
Luigi imprecò, nel momento in cui i cartoni su cui stava in bilico si schiacciarono definitivamente, facendolo cadere a terra.
Rialzandosi, notò dietro di lui l’artefice del disastro. Lui e Adriano Pianisti si scambiarono un’occhiata di fuoco.
«Fai attenzione, in gara» gli intimò il pilota del team Raccolta Bottiglie, «Perché ho intenzione di eliminarti.»
Senza aggiungere altro si allontanò, facendo un numero da giocoliere con due bottiglie di vetro che gli caddero sfracellandosi al suolo.

Invitati ad assistere a un epico torneo di briscola, Gianenrico Verdi e Danilo Chiavetta, piloti del Piccolo Portalattine, sembravano decisamente troppo poco interessati al loro scontro.
Kamut Colapiatti, chiamato Kamut dalla madre, che intossicata dalla farina di grano durante un viaggio a Singapore, aveva deciso di dedicarsi alle farine alternative tanto da chiamare così suo figlio, lanciò ai due un’occhiataccia, preparandosi a pescare una carta. Era il quattro di spade e la cosa non gli piaceva per niente, dato che la briscola era coppe.
«Allora?» lo esortò il compagno di squadra Guglielmo Stefani.
Uno dei loro avversari, Massimo Brividi, guardò prima uno e poi l’altro con l’aria di chi ha la vittoria in tasca.
L’altro loro avversario, invece, li fissò con una smorfia inequivocabile. Alessandro Valentini, debuttante che per la prima volta avrebbe preso parte alla sfida per il Cassonetto d’Oro, scattò in piedi e corse via. Kamut sapeva perfettamente quali fossero le sue intenzioni.

Susanna era ormai disperata. Era già sicura di non avere un volante a disposizione, visto che il suo sabotaggio del pranzo non aveva funzionato, ma non era disposta a perdere le speranze tanto facilmente. Si era appostata di nuovo in bagno, stavolta non per contemplare Nicola Balsamo che si pettinava, ma per ammirare Daniele Sorriso mentre si sciacquava la bocca con il collutorio e faceva le boccacce davanti allo specchio.
Infastidita dal modo in cui le cose si stavano evolvendo, Susanna prese in considerazione l’idea di importunarlo mentre svolgeva tale attività. Gli si avvicinò, quindi, e gli domandò: «Hai mai pensato che il tuo sorriso da ebete potrebbe non attirare quanto l’espressione perennemente imbronciata di quell’ubriacone di Camillo?»
Daniele si girò.
«Da quanto tempo sei qui?»
«Abbastanza per averti visto mentre ti ammiravi allo specchio» rispose Susanna, piccata, «Fingendo che il resto del mondo non esistesse.»
«Infatti è proprio così» confermò Daniele, «Il resto del mondo non esiste davvero. È solo una proiezione delle nostre menti.»
Susanna guardò la bottiglia del collutorio aggrottando le sopracciglia.
«Sei sicuro che non sia vodka?»
Daniele non ebbe il tempo di rispondere. In quel momento la porta si spalancò e Alessandro Valentini si fiondò dentro, diretto verso uno dei WC.
Susanna spalancò gli occhi.
“Il mio piano ha finalmente dato i suoi frutti!”
C’era un tosaerba libero e finalmente sarebbe riuscita a fare il proprio debutto in gara.

***

Scattano le vetture.

Alessandro Valentini si reggeva in piedi a fatica, quando uscì dal bagno, ma per lui non aveva importanza. Avrebbe pagato qualunque cifra per fare il proprio esordio come pilota del Gran Cassonetto e non intendeva certo gettare la spugna a causa di un’intossicazione alimentare. Il team Raccolta Carta, inoltre, aveva bisogno del suo contributo, e non avrebbe mai permesso a un disturbo fisico di mettere fine ai sogni di gloria suoi e del team.
“Io sono nato per guidare i tosaerba” si disse, “e guiderò a ogni costo.”
Si diresse fuori dal bagno, giusto in tempo per sentire il fracasso dei motori. Sulla griglia di partenza, tutti i tosaerba erano ormai pronti a scattare.
Alessandro non si lasciò scoraggiare dal fatto che i suoi colleghi fossero già sul punto di partire. Avrebbe preso il via dalla pit-lane e non sarebbe stato così devastante, specie considerando che era già ultimo.
Spalancò gli occhi, nel notare che due tosaerba rossi e neri erano presenti in pista.
“Chi ha rubato il mio volante?”
Si precipitò, incurante dei propri disturbi, nel proprio box, trovandolo vuoto.
«Cos’è successo?» domandò a gran voce, senza che nessuno lo stesse a sentire. «Dov’è andato a finire il mio tosaerba?»
Continuò a non ottenere risposta.
Ormai non c’erano speranze: non avrebbe potuto gareggiare per la conquista del Cassonetto d’Oro, abbandonando ogni sogno di vittoria. A peggiorare le cose, inoltre, non avrebbe avuto modo di usufruire dell’innovazione prevista per quell’edizione: al posto delle solite comunicazioni via radio con i box, i piloti avrebbero parlato tra loro in audioconferenza.

***

Inseguendo la gloria.

Luigi Prosciuttello era sicuro di avere la situazione sotto controllo. Alla partenza quel narcisista del suo compagno di squadra era solito contemplare la propria immagine che si rifletteva negli specchietti retrovisori, quindi perdeva sempre almeno un paio di secondi.
Quando le luci rosse si spensero, Luigi era già pronto ad asfaltarlo.
«Fatti da parte!» esclamò, in conferenza con tutti i suoi colleghi. «Vai a guardarti allo specchio e permetti a noi rapper di conquistare il mondo!»
«Ma quale conquista del mondo?!» replicò Nicola, senza cedergli la posizione. «Cosa pensi, che io passi tutto il tempo a contemplarmi senza fare nulla? Io mi guardo perché, vedendo quanto sono bello, acquisisco autostima e vado più veloce!»
Luigi stava ancora pensando a qualcosa di interessante da dire, per infangare il nome di Nicola, quando venne interrotto sul nascere dalla voce di Fernando che, qualche fila più indietro, protestava: «Come al solito qualcuno mi ha tagliato la strada!»
Non era niente di nuovo.
“Adesso” si disse Luigi, “Interverrà anche Sebastiano.”
E infatti Vitello fece immediatamente eco a Divini: «Sei tu che stai tagliando la strada a me, quindi fammi passare subito!»
«Non ci penso nemmeno» replicò Fernando. «Non ho intenzione di passare questa gara a bere vodka come fa il mio compagno di squadra e non ti permetterò di rubarmi quello che mi spetta! Fatti da parte!»
I due, dedusse Luigi, erano probabilmente impegnati in un duello ruota contro ruota, probabilmente non epico quanto quelli a cui i fan del Cassonetto d’Oro erano stati abituati all’epoca in cui Carlo Piccolo e Timo Speziali erano stati compagni di squadra al team Raccolta Carta, altrimenti era inspiegabile che entrambi reclamassero una posizione l’uno nei confronti dell’altro.

Romano era tutt’altro che soddisfatto. Il suo adorato - per modo di dire - fratello ne aveva combinata un’altra delle sue. Tecnicamente avrebbe dovuto partire dietro di lui e, con uno scatto felino, Romano non avrebbe dovuto avere alcuna difficoltà a tenerlo alle proprie spalle. In realtà era accaduto qualcosa di inconsueto e, nel momento in cui Romano aveva lasciato la griglia di partenza, se l’era visto passare di fianco.
«Ehi, dove vai?» sbraitò. «Come ti permetti di superare proprio me, che ti ho tenuto per mano quando non eri capace di camminare senza travolgere tutti quelli che avevi intorno, che ho gareggiato contro di te sui nostri tricicli, che ti ho picchiato fino a sfigurarti cancellando la tua bellezza esteriore, che...»
Pastore lo interruppe: «Se tu sei lento a partire, io non so cosa farci! I’M LIKE A BOSSSSSSSS! BANZAAAAAAAAAAIIIIIIIIIII!»
Romano guardò davanti a sé, vedendo il tosaerba uguale al suo mentre si insinuava tra gli avversari. Urtò quello di Sergio Cecchetto - manovra che Sergio non avrebbe sicuramente apprezzato - e proseguì ancora, pronto a sconvolgere anche le prime file grazie alla sua partenza senza ombra di dubbio anticipata.
Per Romano non ci fu altro da fare se non godersi la scena, mentre Sergio sbraitava via radio: «Dovrai passare sul mio cadavere, per poter vedere il traguardo! Ti scoverò ovunque tu vada e ti distruggerò! Altro che like a boss, tu sei like a cess!»
Pastor non replicò. Diversamente da altri piloti, non aveva l’abitudine di mettersi a imprecare, quando le cose non andavano come desiderava. In quei casi si limitava a rifilare sportellate al primo malcapitato che si trovasse sulla sua strada.
Quel giorno, però, stava facendo tutto in grande stile e, con una manovra da kamikaze, si fiondò tra i top-driver scattati dalle prime file.
«Oh my Michael» mormorò Romano, devastato dal mega-incidente che si stava sviluppando senza la sua presenza. «Era da tanto tempo che non subivo un affronto del genere.»

Fernando fece un salto sul sedile. Qualcuno l’aveva toccato e quel salto non era stato provocato dallo stupore, ma proprio dal fatto che anche il suo tosaerba, per un istante, si era staccato da terra. Pur non avendo visto chi fosse il colpevole, Fernando era sicuro che non si trattasse di Sebastiano, che era sempre pronto a dire peste e corna di tutti, in audioconferenza, ma che non avrebbe mai osato una manovra del genere.
«Chiunque tu sia, traditore dell’umanità» declamò Fernando, sforzandosi di assumere un tono teatrale, «Pagherai per quello che hai fatto.»
Non ottenne né risposte né ammissioni di colpevolezza, ma soltanto un ulteriore forte colpo sul lato sinistro del suo tosaerba, che lo fece finire fuori pista.
Alla radio sentì un urlo.
«Come osi, Fernando?! You have to leave the space!» Era Sebastiano. «Ehi, cos’è quella sagoma nero e oro? Tu non sei Fernando!»
«No» declamò Sergio, che proprio non poteva astenersi dal prendere parte a quella conversazione, «Ovviamente è... provate a indovinare!»
«Taci, tu» gli intimò Fernando, «Nessuno ti ha interpellato e, tra l’altro, non sei tu che sei finito in giro per i prati!»
Sergio puntualizzò: «Non permetto a nessuno ti darmi degli ordini e non sarai tu il primo a iniziare!»
«Ma io sono divino!»
«E io sono armato di bottiglia rotta che ho sottratto ad Adriano. Vediamo che effetto fa, contro la tua divinità.»
Fernando fu attraversato da un brivido.
«Aiutami tu, Filippo mio» mormorò, rivolgendosi non a Macumba, bensì allo zerbino di casa sua, che era sempre presente nei suoi pensieri.
Il suo collega travisò: «Che cosa c’entro io?»
Uno strano suono gli fece eco.
«Cra, cra, cra!»
Proprio mentre stava per chiedergli cosa stesse succedendo, Fernando riuscì a rientrare in pista, ritrovandosi davanti una sagoma verde.
«E questo chi è?» sbottò, infastidito da quel pilota che non gli stava spianando la strada. «Non l’ho mai visto da queste parti.»
«Infatti sono nuovo» disse una voce sconosciuta, segno che non si trattava di Kamut.
«Ora capisco» ribatté Fernando. «Hai ancora molte cose da imparare.»
«Non ti preoccupare, avrò tempo» gli assicurò l’altro, «E ho un buon maestro.»
Fernando sussultò, nel chiedere timidamente: «E, sentiamo, chi sarebbe il tuo maestro?»
Il nome pronunciato dall’altro lo fece raggelare.
«Pietro Vitali, epico alfiere del passato della Campana del Vetro, ti ricordi di lui?»
Passato il brivido, Fernando urlò a pieni polmoni: «OH, MIO GUARDIANO DELLA DISCARICA DEI SETTE CAVALLINI D’ARGENTO SETTE VOLTE CAMPIONE DEL MONDO DELLA RACCOLTA DIFFERENZIATA. LO SAPEVO, NON DOVEVO FARE IL PILOTA, MA IL CALZOLAIO!»

Pastore si sentiva profondamente appagato, molto di più di quanto sarebbe stato se si fosse dedicato alla professione che i suoi genitori avevano sempre sperato per lui, ovvero quella di allevatore di pecore, a causa della quale gli avevano appioppato quel nome augurale.
Era riuscito a creare un discreto scompiglio, andando a tamponare perfino entrambi i Portarifiuti d’Argento, dopo avere mandato in giro per i prati Fernando Divini e Sebastiano Vitello, senza disdegnare nemmeno una collisione con il suo caro “amico” Sergio. Se non fosse riuscito a conquistare il Cassonetto d’Oro, forse avrebbe potuto competere almeno per la carica onoraria di signore del caos, sempre ammesso che si decidessero di assegnarla, invece di limitarsi a premi di consolazione assurdi tipo il Cassonetto Verde-Oro che veniva ogni anno attribuito al pilota che si dimostrava più festaiolo e che, secondo Pastore, era truccato, dal momento che veniva sempre vinto da Filippo Macumba.
A proposito di Filippo, a Pastor parve di udire uno strano gracidio durante le sue comunicazioni.
«Cos’è quella roba?» domandò. «Per caso la leggenda metropolitana secondo cui corri tenendo in tasca una rana che ti fa da navigatore è vera? COMPLOTTOOOOO!» Non ottenne risposta, perciò insisté: «Ti deciderai a rispondermi, Filippo, o continuerai a vivere nel mistero?»
Con sua sorpresa non gli rispose Filippo, ma una ragazza.
«Smettila di importunare Filippo, altrimenti non farò mai un calendario!»
Pastore spalancò gli occhi e si distrasse al punto tale da andare a cozzare contro il tosaerba che lo stava superando in quel momento, che gli sembrava essere blu con sfumature violacee, quindi doveva essere un Grande Portalattine. Per fortuna Daniele Sorriso aveva l’abitudine di mostrare a tutti la propria dentatura perfetta, invece di sprecare il proprio tempo inseguendo armato di mazza da golf chi gli andava addosso in pista, quindi non ci sarebbero stati problemi nel dopo-gara, almeno con lui. Purtroppo non si poteva dire lo stesso di diversi altri suoi avversari, ma era un problema su cui Pastore si sarebbe concentrato in un secondo momento. In quegli istanti era più importante capire come mai ci fosse in pista una ragazza che parlava con la stessa voce di Susanna Lupetti.
“Senza ombra di dubbio” realizzò Pastore, “Non ha solo la sua voce, ma è proprio lei.”
Si decise a domandare, quindi: «Cosa ci fai tu qui? Dovresti stare ai box a cucinare per tutti noi, e non certo in gara!»
«Ho già cucinato per tutti voi» puntualizzò Susanna, «Cercando di intossicarvi per rubarvi il volante. Per fortuna almeno Alessandro Valentini non ha resistito alle pietanze che mi sono fatta spedire da Singapore e, mentre era chiuso in bagno, ho deciso di tenere alti i colori della Raccolta della Carta.»
Pastore, di fronte a quelle ammissioni, si lasciò andare a un grido disperato.
«OH MY DANY SMILE!»

Un boato esplose.
«BANZAAAAAAAAAAAAAAAAAIIIIIIIIIII!»
Dagli urli disperati di Pastore erano passati a quelli da folle di Kamut che, come al solito, si stava scatenando.
Filippo alzò gli occhi al cielo, sperando che tutto andasse nella maniera giusta. Il suo orologio a cucù da taschino a forma di rana, che gracidava a intervalli regolari di cinque minuti per tenerlo sveglio durante le gare, nel frattempo prese a protestare.
«Cra, cra, cra!»
Filippo fu tentato di buttarlo fuori dall’abitacolo del suo tosaerba, ma non lo fece. Quell’orologio era prezioso, essendo proprio un regalo da parte di Kamut che da anni era segretamente il suo migliore amico. I due, però, cercavano di non farsi vedere insieme sia per evitare che le autrici di fan fiction fanatiche dello slash si facessero fantasie erotiche su di loro, sia per tenere nascoste le circostanze della loro conoscenza, risalente a quando entrambi, per finanziare la loro carriera nel mondo delle competizioni su tosaerba, guadagnavano somme piuttosto elevate grazie alla loro professione alternativa, rigorosamente segreta, di pornoattori.
Gli accordi, tra loro, erano sempre stati chiari: niente conversazioni in pubblico. Filippo, però, spaventato da quel grido di battaglia, decise di interpellare l’amico.
«Si può sapere cosa stai facendo, Kamut?»
Non ci furono risposte, ma soltanto un violento tamponamento che lo mandò in mezzo all’erba e lo fece sentire dolorante quasi come al termine delle riprese de “La leggenda del sadomasochista kamikaze”, ultimo film in cui aveva recitato come attore coprotagonista.
«Maledetto Kamuuuuuuuuut!» sbraitò, in audioconferenza, ma la radio produsse uno strano suono che somigliava vagamente a una pernacchia.
Tutto era perduto. Quell’aggeggio non funzionava più e avrebbe dovuto trovare un metodo alternativo per mostrare all’amico e rivale il proprio disappunto.
Filippo rifletté, realizzando che un calcio nelle parti intime sarebbe stato l’ideale.

***

Continuando a inseguire la gloria.

Il caos ormai regnava sul Circuito dei Gufi, e regnava da un’ora abbondante. I tosaerba precipitati nelle retrovie non si contavano più, così come buona parte dei concorrenti sembravano essere ormai fuori dai giochi, la maggior parte a causa delle manovre assassine di Pastore Temporale. Non che il suo gemello Romano fosse da meno: si stava scatenando quasi allo stesso modo, seminando il panico tra i pochi piloti che ancora non avevano subito danni.
Stefano Cappotti iniziava a sentirsi sollevato. La sua gara non aveva nulla di diverso da tutte le altre: era nel bel mezzo di una prestazione anonima, ignorato da tutti, e avrebbe tanto desiderato che tutto continuasse sullo stesso stampo.
La voce di Sergio, il “boss”, alla radio, gli ricordò che non sempre i suoi sogni di gloria si traducevano in realtà... anzi, praticamente mai.
«È il momento.»
Qualunque cosa Sergio intendesse, Stefano ne era sicuro, riguardava solo ed esclusivamente lui stesso. Nonostante gli anni di onorato servizio, infatti, Stefano non veniva mai coinvolto quando c’era da guadagnarci qualcosa e quell’aspetto iniziava a infastidirlo. Soltanto a causa delle continue minacce di Sergio, che possedeva dei filmati compromettenti che lo riguardavano, nei quali felice di avere un’aria da nerd partecipava a mega-tornei notturni di videogiochi online mentre la sua fidanzata lo aspettava con ansia nella stanza attigua indossando biancheria intima sexy, che non provocava in lui la stessa eccitazione del suo videogame preferito, Stefano gli era sempre stato fedele. Ormai, però, si era stancato: stava seriamente prendendo in considerazione l’idea di voltargli le spalle e di smetterla di stargli dietro.
Comprese che non sarebbe stato semplice nel momento in cui Sergio riprese a sbraitare: «Allora, allevatore di scoiattoli, ti vuoi decidere? Quando io ti do un ordine, tu devi eseguirlo!»
Con sua grande sorpresa, Susanna Lupetti intervenne: «Finora non gli hai dato nessun ordine. Gli ha solo detto che è il momento. Non hai detto, però, il momento di che cosa.»
«Magari è il momento di un alcool-party» propose Camillo Bevitore e tutti se ne sorpresero. Di solito non parlava mai alla radio, al punto tale che tutti si dimenticavano della sua presenza. «In tal caso, perché non sono stato invitato?»
«Perché non ci saranno alcool-party» puntualizzò Sergio. «Al termine di questo Gran Cassonetto dei Gufi sarete tutti quanti stremati... quelli che non saranno direttamente ricoverati in ospedale, che saranno tanti se quei due fanatici continueranno a devastare tutto ciò che vedono intorno a loro! E tu, Scoiattolo, stammi a sentire!» Stefano avvampò. Non era abituato a sentirsi chiamare con nomignoli ridicoli, quelli erano riservati a Filippo Macumba quando dialogava con il suo amico Robertino. «Ti do dieci minuti per eliminare Pastore Tempesta.»
«WHAT?!» Stefano strabuzzò gli occhi e scosse la testa con tanta foga che gli occhiali iniziarono a saltellare sbattendo contro il casco. «E come faccio?!»
«Non lo so come fai» fu la laconica risposta di Sergio, «Ma lo devi fare e basta. Inventati quello che vuoi.»
Stefano si sentì più scoraggiato che mai.
Avrebbe dovuto rivolgersi a Filippo e chiedergli di lanciare una delle sue maledizioni, con l’aiuto del Sigillo del Gufo Mutante. Una volta aveva funzionato, nel Grand Tour dell’Angusto Giardino Senza Erba, e Pastore aveva subito un’avaria al proprio tosaerba prima ancora che la gara fosse sul punto di partire.
Quel giorno Stefano aveva incassato parecchi soldi: aveva infatti preventivamente scommesso che, dopo il ritiro di Pastore, sarebbe riuscito a posizionarsi sulla sua piazzola della griglia di partenza senza che né il direttore di gara né i piloti della Raccolta Carta se ne accorgessero. Era andata proprio così, anche se Stefano aveva sempre sospettato che il direttore di gara non avesse fatto ripetere la partenza per paura che nemmeno al secondo tentativo lui e i suoi onorati colleghi fossero capaci di azzeccare la piazzola giusta, considerazione che aveva abbassato di qualche punto il suo livello di autostima. A peggiorare le cose, la somma guadagnata se l’era presa Sergio, minacciandolo per l’ennesima volta di divulgare un filmato in cui, mentre lui giocava al computer, la sua ragazza sfogava i propri desideri erotici guardando un capolavoro del cinema, che doveva chiamarsi “La leggenda del sadomasochista kamikaze” o qualcosa del genere, i cui attori protagonisti avevano un’inquietante somiglianza con Filippo Macumba e Kamut Colapiatti.

Pastore non riusciva a credere ai propri occhi: quando mancava un giro alla conclusione era stabilmente in testa alla gara, grazie al fatto che i commissari - ma esistevano? - non si erano accorti dell’irregolarità del suo tosaerba, che era in realtà un carro armato con l’aspetto di un tosaerba.
Si domandò dove fosse il suo storico rivale, ma fu un dubbio che durò molto poco. Lo sentì di nuovo mentre sbraitava: «Pagherai per la tua indifferenza, piccolo scoiattolo nerd! Il mondo è nelle mie mani.»
La piccata replica di Stefano Cappotti fu: «Oh, che Juanpablinho vegli su tutti i tombini di questo circuito.»
Era la prima volta che Pastore udiva quel bodyguard tutt’altro che credibile mentre contraddiceva Sergio.
“Merita di più” decretò. “Merita di più che di spianargli la strada.”
In realtà era proprio quello che Stefano non stava facendo, come dimostrarono le successive battute che si scambiarono lui e Sergio.
«Fammi passare subito!»
«Sei dietro, e anche di un bel po’, come puoi pensare che io riesca a farti passare?»
«È molto semplice. Rallenta e, tra almeno una ventina di secondi, ti strapperò la seconda posizione.»
Pastore si trattenne per non scoppiare a piangere dalla commozione. Stefano Cappotti, il bodyguard traditore, era secondo. Un’idea iniziò a farsi viva nella sua mente...
“No, non posso farlo.”
Era combattuto.
“Sì, posso farlo, anzi, devo.”
Non sarebbe mai stato ricordato per la vittoria nel Gran Cassonetto dei Gufi, che peraltro era già a rischio, dato che avrebbe perso il proprio risultato se fossero stati aggiunti cinque secondi al suo tempo di gara per la partenza anticipata e altri cinque per ogni contatto che aveva avuto.
Non sarebbe stato ricordato per i risultati, ma la sua enorme bellezza interiore non sarebbe stata dimenticata.
“Gli cederò la vittoria. Se la merita.”

Stefano era ormai rassegnato: i suoi video imbarazzanti sarebbero stati pubblicati da Sergio su Youtube, tramite l’utilizzo di un profilo fake. Sarebbe stato davvero terribile per i suoi compagni di giochi online scoprire che, oltre ai videogiochi, aveva anche altri interessi e che aveva addirittura una fidanzata.
“Mi declasseranno dal ruolo di nerd for life a quello di pagliaccio.”
Quella prospettiva era terribile ma d’altronde non si era forse reso per anni un pagliaccio nelle mani di Sergio?
Stefano si concentrò sulla sua lista di obiettivi per il prossimo futuro.
La sua dignità e la sua reputazione sarebbero state insindacabilmente compromesse di lì a poche ore, ma almeno avrebbe puntato alla vittoria del Gran Cassonetto.
Pastore Temporale era davanti a lui, ce l’aveva già nel mirino. Anzi, era strano che stesse addirittura rallentando. Se non si fosse trattato di uno sfasciacarrozze di quel calibro, Stefano avrebbe perfino potuto sospettare che lo stesse facendo apposta per favorirlo.

Ecco la linea del traguardo.
Pastore si esaltò, nell’intravederla. Adesso non gli restava che da mettere in atto il più perfetto dei suoi piani.
Aveva innescato tanti incidenti, in carriera, ma nessuno era mai stato memorabile come quello che sarebbe andato in scena di lì a qualche secondo.
«Benvenuto, Stefano» borbottò via radio. «Sei arrivato qui a insidiare la mia leadership e pagherai per questo.»
L’altro non gli rispose.
Pastore temette in un’avaria del sistema di audioconferenza, ma poi udì Sergio che continuava a sbraitare.
“Stefano non può parlare, perché le parole gli si ritorcerebbero contro. Quel finto gangster a cui non crede più nessuno pensa di poterlo terrorizzare, ma si sbaglia di grosso.”
Stefano avrebbe visto la fine di tutte le proprie fobie, quel giorno, Pastore ne era sicuro. In compenso ne avrebbe scoperta una nuova e a partire da quel momento sarebbe stato ferocemente spaventato dai giocolieri del volante.
La sagoma grigia del tosaerba del team della Raccolta Bottiglie si fece vicino, tentò il sorpasso, e...
«Volare, oh oh» intonò Pastore, «Cappottare, oh oh oh oh, nel cielo blu, dipinto di blu, felice di passare lassù.»

Era finita.
Il triplo salto mortale era terminato.
«Stefano, pagherai per questo!» urlò Sergio, vistosamente infastidito da come si stavano svolgendo gli eventi. «Non erano questi i nostri accordi!»
Stefano lo ignorò. La legge del caso aveva voluto che la linea del traguardo si trovasse proprio al di sotto dell’atmosfera nella quale si era svolto il suo volo.
Gli arrivarono, in audioconferenza, i complimenti dell’artefice del disastro.
«Tu sì che sei un vincitore, scoiattolo nerd.»
Stefano avvampò dentro al casco.
Era terribile che perfino Pastore iniziasse a chiamarlo con un nomignolo così ridicolo. Prima di salire sul podio avrebbe messo in chiaro con lui che non poteva spingersi oltre a un certo punto... almeno non in pubblico: nell’intimo, ovvero quando giocava online, Stefano era abituato ad essere chiamato con i nomignoli più insensati.
«Ma quale vincitore!» sbottò Sergio. «Quello scoiattolo traditore doveva annientarti e consegnarmi la vittoria su un piatto d’argento... invece non l’ha fatto e pagherà per questo.»
Stefano non se ne curò.
«Annienterò Pastore» promise, in extremis.
C’era ancora tutto il giro d’onore, dopotutto, e il suo tosaerba era ancora in ottime condizioni, nonostante la giravolta in aria.
Aspettò che Pastore lo affiancasse alla sua destra e lo colpì più forte che poté, sperando di fargli spiccare il volo.
L’impresa fallì. Il Posacenere Dorato del suo rivale fece un piccolo saltello, ma ricadde subito al suolo senza roteare.

***

Il Cassonetto d’Oro.

Massaggiandosi le parti intime doloranti, Kamut contemplò, dal di sotto del podio, i primi tre classificati.
«Sarebbe stato bello» osservò, «Essere lassù al posto di Stefano.»
Filippo, accanto a lui alla sua sinistra, lo guardò malissimo.
«Sbaglio o ci siamo ritirati solo ed esclusivamente per colpa tua?»
«Non sbagli» ammise Kamut. «L’unico tuo errore è rimanere qui vicino a me. Potremmo dare nell’occhio.»
«Non scherzare» ribatté Filippo. «Ormai hanno tutti occhi solo per Stefano Cappotti, il nuovo eroe.»
Non erano esattamente le parole con cui Kamut l’avrebbe definito ma, in quel momento, non aveva molta importanza.
Sul podio giunse, infatti, il magnate dei tosaerba e ideatore del torneo Guido Giardini. Buona parte delle donne presenti, compresa Susanna Lupetti che aveva concluso la gara in quinta posizione alle spalle del “compagno di squadra” Massimo Brividi, si misero ad acclamarlo; Kamut non seppe dire se per riconoscimento dei suoi meriti imprenditoriali o per via della sua bellezza esteriore.
«Per cortesia» suggerì Guido, parlando al microfono con una voce sensuale che fece impazzire tutte le ragazze, decisamente poco interessate alla sua multinazionale dei tosaerba, «Non siate ingrati nei confronti di questi tre eroi, che hanno battagliato duramente per la conquista del più ambito riconoscimento motoristico internazionale.»
Partì un applauso e qualcuno si mise a fare la ola.
Guido mise il microfono davanti a Stefano che, tra le lacrime, mormorò: «Grazie a tutti. Grazie a tutti quelli che mi hanno permesso di essere qui in questo momento.» Si girò a guardare Pastore. «Grazie a te.»
Sul volto di Sergio, l’espressione si fece sempre più inferocita. Era chiaro che stava per fare o per dire qualcosa di inappropriato all’occasione, ma un’occhiataccia da parte di Pastore sembrò farlo desistere.
Si udì un coro di grida nel momento in cui Guido invitò numerose ragazze in bikini a raggiungerlo. Tutte quante reggevano un cassonetto in miniatura, di colore dorato.
«Oh, che emozione» esclamò Kamut. «Sto quasi iniziando a pentirmi di esserti venuto addosso e di avere messo fine alle mie chance di vittoria.»

Stefano aprì il cassonetto. Gli brillavano gli occhi, mentre esclamava: «Oh mia Sacra Cenerentola, tifosa del Milan!»
Pastore sbirciò all’interno e si sentì morire d’invidia. Quell’anno il Cassonetto conteneva cimeli di un certo livello. Il vincitore vi estrasse, nell’ordine, un mantello da Superman abbinato a un casco raffigurante sette stelle, oltre che una tuta verde-oro e una bandiera del Brasile in formato fazzoletto che, con riluttanza, utilizzò subito per asciugare gli occhiali bagnati di lacrime.
«Oh, miei mascelloni» mormorò, tra i singhiozzi, «Che il carnevale brasiliano abbia inizio!»
Chissà che, almeno per quell’anno, non riuscisse a strappare a Filippo il titolo di Cassonetto Verde-Oro...

Fine.

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