Note di apertura.
Questa
fan fiction è ambientata in un immaginario gran premio dove i piloti si
destreggiano al volante di graziosi tosaerba, per la conquista dell’ambito trofeo
del Cassonetto d’Oro.
Mi
sono ispirata ai piloti della stagione 2014, ma tutti i nomi sono stati
italianizzati; in certi casi per assonanza, in altri casi basandomi su altri
criteri. Due particolari piloti, attualmente compagni di squadra, sono
trasformati, in questa fanfic, in due gemelli, per via di certe similitudini
nel loro stile di guida (A.K.A. propensione all’incidente).
Di
seguito ecco i nomi dei team e dei piloti, e a chi sono ispirati:
Portarifiuti d’Argento
(Mercedes)
Luigi
Prosciuttello (Lewis Hamilton), Nicola Balsamo (Nico Rosberg)
Bidone della Plastica
(Williams)
Filippo
Macumba (Felipe Massa), Walter Bottiglia (Valtteri Bottas)
Grande Portalattine
(Redbull)
Sebastiano
Vitello (Sebastian Vettel), Daniele Sorriso (Daniel Ricciardo)
Porta Medicinali Scaduti
(Ferrari)
Fernando
Divini (Fernando Alonso), Camillo Bevitore (Kimi Raikkonen)
Bidone d’Acciaio (McLaren)
Giananselmo
Bottoni (Jenson Button), Calvino Magnifico (Kevin Magnussen)
Posacenere Dorato (Lotus)
Romano
Temporale (Romain Grosjean), Pastore Temporale (Pastor Maldonado)
Rifiuti Organici (Force
India)
Sergio
Cecchetto (Sergio Perez), Niccolò Pelleverde (Nico Hulkenberg)
Piccolo Portalattine (Toro
Rosso)
Gianenrico
Verdi (Jean Eric Vergne), Danilo Chiavetta (Daniil Kvyat)
Raccolta Bottiglie (Sauber)
Adriano
Pianisti (Adrian Sutil), Stefano Cappotti (Esteban Gutierrez)
Campana del Vetro (Caterham)
Kamut
Colapiatti (Kamui Kobayashi), Guglielmo Stefani (Will Stevens)
Raccolta Carta (Marussia)
Massimo
Brividi (Max Chilton), Alessandro Valentini (Alexander Rossi)
Altri personaggi: Susanna Lupetti (Susie
Wolff), Guido Giardini (Giedo Van Der Garde)
Pubblicata a fine anno su
Formula 1 Grand Chelem forum...
Opening.
Susanna
entrò in bagno e, quando lo trovò deserto, si mise a imprecare. Quando mancava un’ora
e mezza alla partenza, il pranzo che aveva accuratamente cucinato per tutti i
suoi ventidue colleghi, che diversamente da lei avevano un volante, non aveva
avuto alcun effetto.
«Accidenti
a quel cuoco di Singapore che mi ha detto che avrebbero avuto tutti un attacco
istantaneo di diarrea! Di questo passo, quando debutterò nel Gran Cassonetto
dei Gufi, avrò già tutti i capelli bianchi!»
Si
appoggiò, sconsolata, alla parete. Aveva tradito la fiducia del team del Bidone
della Plastica e dei suoi due compagni di squadra, nel tentativo di intossicare
chiunque, e non era servito a niente! Susanna era sul punto di scoppiare in un
pianto disperato. Walter Bottiglia, quel biondino dalla testa grossa, con un
collo che sembrava quello dell’Uomo di Neanderthal, non meritava un simile
trattamento, e soprattutto non lo meritava l’altro loro compagno di squadra,
Filippo Macumba, un caloroso ragazzo mediterraneo che soffriva di calvizie
precoce e aveva una vistosa stempiatura.
“Eppure
mi serve il volante di uno dei due.”
Susanna
Lupetti non sopportava l’idea di essere, ancora una volta, fuori da una delle
più prestigiose competizioni motoristiche al mondo, organizzata ogni anno da
Guido Giardini, fondatore di una celebre multinazionale dei tosaerba.
Le
sue riflessioni vennero interrotte da uno degli altri piloti che, senza
accorgersi di lei, dopo essere entrato nel bagno si avvicinò allo specchio e,
presa una spazzola, iniziò a pettinarsi accuratamente i capelli biondi.
Susanna
conosceva perfettamente quell’individuo: si chiamava Nicola Balsamo e, con il
suo tosaerba argentato, aveva conquistato la pole position davanti al compagno
di squadra Luigi Prosciuttello.
Susanna
gli si avvicinò e, quando lo urtò facendogli cadere la spazzola, Nicola gridò,
carico di terrore.
«Nooooooo!
Avevo quasi ultimato la mia acconciatura e tu hai rovinato tutto!»
Susanna
guardò l’immagine del collega riflessa nello specchio.
«Ehm...
scusa, cos’avrei rovinato? Sembra che tu sia appena uscito da un negozio di
parrucchieri. Secondo me hai delle turbe psichiche!»
«Secondo
me, invece» replicò Nicola, «Tu sei stata mandata qui dal mio compagno di
squadra per sconvolgere la mia esistenza. Fa parte della sua strategia
psicologica per battermi. Digli che con me non attacca e che, anche se dovesse
battermi in pista, non riuscirà mai a infighettarsi tanto quanto me!»
«Riferirò
il messaggio.»
Susanna
gli voltò le spalle e si allontanò, ricordandosi soltanto in un secondo momento
che Luigi Prosciuttello non l’aveva neanche presa in considerazione, tutto
preso com’era a pavoneggiarsi con indosso la sua bandana, i suoi pantaloni
extralarge ed enormi catene d’oro finto al collo, e che forse non si ricordava
nemmeno della sua esistenza.
Accanto
ai loro tosaerba neri e gialli, colori scelti in onore di un marchio di tabacco
che si guardava bene dallo sborsare soldi per sponsorizzarli, i gemelli Temporale
si stavano dando da fare per ordire uno dei loro complotti.
Già
noti a tutti i partecipanti del prestigioso Gran Cassonetto dei Gufi come
seminatori di panico, avevano intenzione di sfruttare le loro capacità per
indurre il maggior numero possibile di avversari all’errore.
Pastore
lanciò un’occhiata al fratello Romano, che rideva tra sé e sé con la sua solita
aria da furbetto che non prometteva nulla di buono.
«Cos’hai
in mente?» volle sapere.
Romano
lo fissò con lo sguardo innocente con cui, quando erano bambini, gli si
avvicinava con l’intenzione di picchiarlo selvaggiamente dopo che erano stati
coinvolti nell’ennesimo incidente sui tricicli.
«Niente»
rispose, con la sua aria da santerellino. «Mi stavo chiedendo, quando in pista
saremo rimasti soltanto noi due, chi salirà sul gradino più alto del podio.»
Pastore
replicò, con sicurezza: «Io, è ovvio.»
Lo
sguardo innocente di Romano si fece minaccioso.
«Ne
sei proprio sicuro?»
Pastore
non fece in tempo a rispondere. Nel loro box entrò come una furia il loro
collega del box accanto, Sergio Cecchetto. Portava come al solito il suo
ridicolo sombrero ed era incavolato nero, notò Pastore, ma questa non era una
novità dato che, nei momenti in cui non era in pista a bordo del suo tosaerba,
Sergio era sempre impegnato a litigare con qualcuno.
Al
suo seguito arrivò anche l’immancabile Stefano Cappotti, anche lui col sombrero
in testa, ingaggiato come bodyguard da Sergio ma che, con la sua aria da
scoiattolo impaurito e con gli occhiali da nerd, faceva scoppiare tutti a
ridere.
Pastore
li guardò, gelido.
Sergio
ricambiò l’occhiata, mentre Stefano, senza sapere cosa fare, si rigirava i
pollici in un angolo, probabilmente troppo terrorizzato per avvicinarsi a
Pastore, che in passato l’aveva fatto cappottare col suo tosaerba.
«Il
momento dello scontro è arrivato» declamò Sergio. «Tra poco dimostreremo chi di
noi due vale qualcosa!»
«Mi
dispiace per te che devi ancora dimostrarlo» ribatté Pastore. «Io ho già
dimostrato quanto valgo molto tempo fa.»
«È
tutto da vedere» replicò Sergio, secco. «Io e Stefano faremo il possibile per
mettere fine a tutti i tuoi sogni di vittoria.»
Finita
la visita al box del Posacenere Dorato, Sergio proseguì, con il fedele
bodyguard dietro di lui, fino a quello del Portamedicinali Scaduti, tutto
tinteggiato di rosso. Accanto all’ingresso c’era Niccolò Pelleverde che, per
qualche strano motivo, stava sbirciando all’interno, fissando con occhi carichi
di desiderio i due tosaerba scarlatti.
Sergio
si guardò intorno, notando che ai colori fiammeggianti del team si mescolavano
quelli bianco-blu del box attiguo. Sembrava che Filippo e Walter fossero ospiti
d’onore, dal momento che si stavano intrattenendo rispettivamente con l’uno e
con l’altro pilota.
«Questo
significa» osservò Sergio, «Che abbiamo preso due piccioni con una sola fava.»
Era
suo intento, infatti, fare visita anche a Filippo Macumba, suo feroce
avversario con il quale aveva un conto in sospeso. Ignorò Walter Bottiglia, che
insieme a Camillo Bevitore progettava un party a base di superalcolici dopo
l’assegnazione del Cassonetto d’Oro, e si diresse a passo spedito verso
Filippo, che in quel momento stava ascoltando le lamentele di Fernando Divini,
che come al solito parlava di complotti immaginari che non gli avrebbero mai
permesso di raggiungere le performance dell’ex collega Michele Calzolaio, che
per lunghi anni aveva indossato i colori del Portamedicinali Scaduti, almeno
prima di finire la propria carriera al Portarifiuti d’Argento.
Sergio
fece un cenno a Stefano, che immediatamente afferrò Fernando per un braccio e
lo spinse da parte.
A
quel punto Sergio si piazzò di fronte a Filippo, che lo guardò con aria
interrogativa.
«Si
può sapere che cosa vuoi? Se ti stai chiedendo perché non sei stato invitato
alla festa in stile carnevale brasiliano di stasera, è solo perché non ho
ancora finito di consegnare gli inviti.» Prese fuori qualcosa che teneva in
tasca e gli porse un foglio. «Ecco, questo è il tuo.»
Sergio
non lo lesse nemmeno, ma lo appallottolò e lo lanciò addosso a Camillo, che
rimase impassibile.
«Non
ho intenzione di venire alla tua festa, anche perché sono qui per sfidarti a
duello. Credo che, non appena la gara sarà finita, non avrai affatto voglia di
festeggiare... anzi, molto prima!»
«Io
credo che nessuno di voi avrà voglia di festeggiare» puntualizzò Fernando,
riavvicinandosi. «È chiaro come la luce del sole che questo ambito trofeo sarà
conquistato dal sottoscritto.»
«Ah
sì?» ribatté Sergio. «Come fai a esserne certo?»
«Tu,
intanto, dovresti essere certo di non potermi strappare la vittoria» precisò
Fernando. «Se non vado errato, il Sigillo del Gufo Mutante ti impedisce di
avvicinarti a me quando sono in testa a una gara e, se formuli l’ipotesi di
insidiare la mia leadership, ti ritrovi a vagare per i prati a causa
dell’effetto della maledizione.»
Sergio
scosse la testa. Lui non credeva nelle maledizioni. Erano tutte fantasie che Filippo
aveva sempre raccontato ai colleghi, forse su incarico proprio di Fernando, per
spaventarli nei momenti in cui era necessario mantenere la concentrazione al
massimo.
Ordinò
a Stefano di seguirlo fuori dal box, proseguendo la sua passeggiata per il paddock
alla ricerca di qualcun altro da intimidire, dal momento che fino ad allora
nessuno l’aveva preso sul serio.
Salito
su un palco improvvisato, costruito grazie a degli scatoloni dipinti di rosso e
di nero rubati al team Raccolta Carta, Luigi Prosciuttello si stava preparando
per cantare un pezzo rap che aveva appena composto, in cui elogiava il proprio
talento e criticava il compagno di squadra. Il suo pubblico, costituito da
Sebastiano Vitello e Giananselmo Bottoni, non sembrava particolarmente entusiasta.
Era evidente che i due lo stavano contemplando con aria annoiata soltanto
perché non sapevano come far passare il tempo in attesa del via.
In
bilico su uno scatolone che rischiava di schiacciarsi, cercò di attirare la
loro attenzione parlando di argomenti di interesse nazionalpopolare.
«Avete
già deciso a che festa parteciperete? A quella in stile carnevale brasiliano o
all’alcool-party?»
«Il
mio compagno di squadra» lo informò Giananselmo, «Pensa di andare all’alcool
party, al solo scopo di avere qualche incontro ravvicinato con Camillo.» Si
riferiva a Calvino Magnifico, che più volte aveva cercato di rubare al pilota
del Portamedicinali Scaduti parte della collezione di bottiglie di vodka che
portava sempre con sé. «Per quanto riguarda me, non vedo il motivo di voler
festeggiare. So già che il mio Bidone d’Acciaio è un vero bidone! Non posso
fare altro che deprimermi.»
«E
allora cosa dovrei fare io?» sbottò Sebastiano. «Anche il mio tosaerba è un
bidone e, a peggiorare le cose, invece di avere un compagno di squadra che
balla la conga con tutti, ce ne ho uno che va forte e che, ancora peggio, sta
sempre lì a sorridere come un ebete! Non ne posso più! Sono pronto ad
arruolarmi tra le schiere del Portamedicinali Scaduti, aspetto solo che
qualcuno mi faccia posto!»
Luigi
sospirò, rassegnato. Quei due non sapevano fare altro che lamentarsi; cosa che
del resto avrebbe fatto anche lui, e molto volentieri, se Nicola Balsamo
l’avesse sistematicamente battuto. Per fortuna non stava succedendo e,
nonostante la pole position del compagno di squadra, Luigi era certo che in
gara le cose sarebbero andate diversamente. Tutto andava alla grande e...
«What
the fuck?!»
Luigi
imprecò, nel momento in cui i cartoni su cui stava in bilico si schiacciarono
definitivamente, facendolo cadere a terra.
Rialzandosi,
notò dietro di lui l’artefice del disastro. Lui e Adriano Pianisti si
scambiarono un’occhiata di fuoco.
«Fai
attenzione, in gara» gli intimò il pilota del team Raccolta Bottiglie, «Perché
ho intenzione di eliminarti.»
Senza
aggiungere altro si allontanò, facendo un numero da giocoliere con due
bottiglie di vetro che gli caddero sfracellandosi al suolo.
Invitati
ad assistere a un epico torneo di briscola, Gianenrico Verdi e Danilo Chiavetta,
piloti del Piccolo Portalattine, sembravano decisamente troppo poco interessati
al loro scontro.
Kamut
Colapiatti, chiamato Kamut dalla madre, che intossicata dalla farina di grano
durante un viaggio a Singapore, aveva deciso di dedicarsi alle farine
alternative tanto da chiamare così suo figlio, lanciò ai due un’occhiataccia,
preparandosi a pescare una carta. Era il quattro di spade e la cosa non gli
piaceva per niente, dato che la briscola era coppe.
«Allora?»
lo esortò il compagno di squadra Guglielmo Stefani.
Uno
dei loro avversari, Massimo Brividi, guardò prima uno e poi l’altro con l’aria
di chi ha la vittoria in tasca.
L’altro
loro avversario, invece, li fissò con una smorfia inequivocabile. Alessandro
Valentini, debuttante che per la prima volta avrebbe preso parte alla sfida per
il Cassonetto d’Oro, scattò in piedi e corse via. Kamut sapeva perfettamente
quali fossero le sue intenzioni.
Susanna
era ormai disperata. Era già sicura di non avere un volante a disposizione, visto
che il suo sabotaggio del pranzo non aveva funzionato, ma non era disposta a
perdere le speranze tanto facilmente. Si era appostata di nuovo in bagno,
stavolta non per contemplare Nicola Balsamo che si pettinava, ma per ammirare
Daniele Sorriso mentre si sciacquava la bocca con il collutorio e faceva le
boccacce davanti allo specchio.
Infastidita
dal modo in cui le cose si stavano evolvendo, Susanna prese in considerazione
l’idea di importunarlo mentre svolgeva tale attività. Gli si avvicinò, quindi,
e gli domandò: «Hai mai pensato che il tuo sorriso da ebete potrebbe non
attirare quanto l’espressione perennemente imbronciata di quell’ubriacone di
Camillo?»
Daniele
si girò.
«Da
quanto tempo sei qui?»
«Abbastanza
per averti visto mentre ti ammiravi allo specchio» rispose Susanna, piccata,
«Fingendo che il resto del mondo non esistesse.»
«Infatti
è proprio così» confermò Daniele, «Il resto del mondo non esiste davvero. È
solo una proiezione delle nostre menti.»
Susanna
guardò la bottiglia del collutorio aggrottando le sopracciglia.
«Sei
sicuro che non sia vodka?»
Daniele
non ebbe il tempo di rispondere. In quel momento la porta si spalancò e
Alessandro Valentini si fiondò dentro, diretto verso uno dei WC.
Susanna
spalancò gli occhi.
“Il
mio piano ha finalmente dato i suoi frutti!”
C’era
un tosaerba libero e finalmente sarebbe riuscita a fare il proprio debutto in
gara.
***
Scattano le vetture.
Alessandro
Valentini si reggeva in piedi a fatica, quando uscì dal bagno, ma per lui non
aveva importanza. Avrebbe pagato qualunque cifra per fare il proprio esordio
come pilota del Gran Cassonetto e non intendeva certo gettare la spugna a causa
di un’intossicazione alimentare. Il team Raccolta Carta, inoltre, aveva bisogno
del suo contributo, e non avrebbe mai permesso a un disturbo fisico di mettere
fine ai sogni di gloria suoi e del team.
“Io
sono nato per guidare i tosaerba” si disse, “e guiderò a ogni costo.”
Si
diresse fuori dal bagno, giusto in tempo per sentire il fracasso dei motori.
Sulla griglia di partenza, tutti i tosaerba erano ormai pronti a scattare.
Alessandro
non si lasciò scoraggiare dal fatto che i suoi colleghi fossero già sul punto
di partire. Avrebbe preso il via dalla pit-lane e non sarebbe stato così
devastante, specie considerando che era già ultimo.
Spalancò
gli occhi, nel notare che due tosaerba rossi e neri erano presenti in pista.
“Chi
ha rubato il mio volante?”
Si
precipitò, incurante dei propri disturbi, nel proprio box, trovandolo vuoto.
«Cos’è
successo?» domandò a gran voce, senza che nessuno lo stesse a sentire. «Dov’è
andato a finire il mio tosaerba?»
Continuò
a non ottenere risposta.
Ormai
non c’erano speranze: non avrebbe potuto gareggiare per la conquista del
Cassonetto d’Oro, abbandonando ogni sogno di vittoria. A peggiorare le cose,
inoltre, non avrebbe avuto modo di usufruire dell’innovazione prevista per
quell’edizione: al posto delle solite comunicazioni via radio con i box, i
piloti avrebbero parlato tra loro in audioconferenza.
***
Inseguendo la gloria.
Luigi
Prosciuttello era sicuro di avere la situazione sotto controllo. Alla partenza
quel narcisista del suo compagno di squadra era solito contemplare la propria
immagine che si rifletteva negli specchietti retrovisori, quindi perdeva sempre
almeno un paio di secondi.
Quando
le luci rosse si spensero, Luigi era già pronto ad asfaltarlo.
«Fatti
da parte!» esclamò, in conferenza con tutti i suoi colleghi. «Vai a guardarti
allo specchio e permetti a noi rapper di conquistare il mondo!»
«Ma
quale conquista del mondo?!» replicò Nicola, senza cedergli la posizione. «Cosa
pensi, che io passi tutto il tempo a contemplarmi senza fare nulla? Io mi
guardo perché, vedendo quanto sono bello, acquisisco autostima e vado più
veloce!»
Luigi
stava ancora pensando a qualcosa di interessante da dire, per infangare il nome
di Nicola, quando venne interrotto sul nascere dalla voce di Fernando che,
qualche fila più indietro, protestava: «Come al solito qualcuno mi ha tagliato
la strada!»
Non
era niente di nuovo.
“Adesso”
si disse Luigi, “Interverrà anche Sebastiano.”
E
infatti Vitello fece immediatamente eco a Divini: «Sei tu che stai tagliando la
strada a me, quindi fammi passare subito!»
«Non
ci penso nemmeno» replicò Fernando. «Non ho intenzione di passare questa gara a
bere vodka come fa il mio compagno di squadra e non ti permetterò di rubarmi
quello che mi spetta! Fatti da parte!»
I
due, dedusse Luigi, erano probabilmente impegnati in un duello ruota contro
ruota, probabilmente non epico quanto quelli a cui i fan del Cassonetto d’Oro
erano stati abituati all’epoca in cui Carlo Piccolo e Timo Speziali erano stati
compagni di squadra al team Raccolta Carta, altrimenti era inspiegabile che
entrambi reclamassero una posizione l’uno nei confronti dell’altro.
Romano
era tutt’altro che soddisfatto. Il suo adorato - per modo di dire - fratello ne
aveva combinata un’altra delle sue. Tecnicamente avrebbe dovuto partire dietro
di lui e, con uno scatto felino, Romano non avrebbe dovuto avere alcuna
difficoltà a tenerlo alle proprie spalle. In realtà era accaduto qualcosa di
inconsueto e, nel momento in cui Romano aveva lasciato la griglia di partenza,
se l’era visto passare di fianco.
«Ehi,
dove vai?» sbraitò. «Come ti permetti di superare proprio me, che ti ho tenuto
per mano quando non eri capace di camminare senza travolgere tutti quelli che
avevi intorno, che ho gareggiato contro di te sui nostri tricicli, che ti ho
picchiato fino a sfigurarti cancellando la tua bellezza esteriore, che...»
Pastore
lo interruppe: «Se tu sei lento a partire, io non so cosa farci! I’M LIKE A
BOSSSSSSSS! BANZAAAAAAAAAAIIIIIIIIIII!»
Romano
guardò davanti a sé, vedendo il tosaerba uguale al suo mentre si insinuava tra
gli avversari. Urtò quello di Sergio Cecchetto - manovra che Sergio non avrebbe
sicuramente apprezzato - e proseguì ancora, pronto a sconvolgere anche le prime
file grazie alla sua partenza senza ombra di dubbio anticipata.
Per
Romano non ci fu altro da fare se non godersi la scena, mentre Sergio sbraitava
via radio: «Dovrai passare sul mio cadavere, per poter vedere il traguardo! Ti
scoverò ovunque tu vada e ti distruggerò! Altro che like a boss, tu sei like a
cess!»
Pastor
non replicò. Diversamente da altri piloti, non aveva l’abitudine di mettersi a
imprecare, quando le cose non andavano come desiderava. In quei casi si
limitava a rifilare sportellate al primo malcapitato che si trovasse sulla sua
strada.
Quel
giorno, però, stava facendo tutto in grande stile e, con una manovra da
kamikaze, si fiondò tra i top-driver scattati dalle prime file.
«Oh
my Michael» mormorò Romano, devastato dal mega-incidente che si stava
sviluppando senza la sua presenza. «Era da tanto tempo che non subivo un
affronto del genere.»
Fernando
fece un salto sul sedile. Qualcuno l’aveva toccato e quel salto non era stato
provocato dallo stupore, ma proprio dal fatto che anche il suo tosaerba, per un
istante, si era staccato da terra. Pur non avendo visto chi fosse il colpevole,
Fernando era sicuro che non si trattasse di Sebastiano, che era sempre pronto a
dire peste e corna di tutti, in audioconferenza, ma che non avrebbe mai osato
una manovra del genere.
«Chiunque
tu sia, traditore dell’umanità» declamò Fernando, sforzandosi di assumere un
tono teatrale, «Pagherai per quello che hai fatto.»
Non
ottenne né risposte né ammissioni di colpevolezza, ma soltanto un ulteriore forte
colpo sul lato sinistro del suo tosaerba, che lo fece finire fuori pista.
Alla
radio sentì un urlo.
«Come
osi, Fernando?! You have to leave the space!» Era Sebastiano. «Ehi, cos’è
quella sagoma nero e oro? Tu non sei Fernando!»
«No»
declamò Sergio, che proprio non poteva astenersi dal prendere parte a quella
conversazione, «Ovviamente è... provate a indovinare!»
«Taci,
tu» gli intimò Fernando, «Nessuno ti ha interpellato e, tra l’altro, non sei tu
che sei finito in giro per i prati!»
Sergio
puntualizzò: «Non permetto a nessuno ti darmi degli ordini e non sarai tu il
primo a iniziare!»
«Ma
io sono divino!»
«E
io sono armato di bottiglia rotta che ho sottratto ad Adriano. Vediamo che
effetto fa, contro la tua divinità.»
Fernando
fu attraversato da un brivido.
«Aiutami
tu, Filippo mio» mormorò, rivolgendosi non a Macumba, bensì allo zerbino di
casa sua, che era sempre presente nei suoi pensieri.
Il
suo collega travisò: «Che cosa c’entro io?»
Uno
strano suono gli fece eco.
«Cra,
cra, cra!»
Proprio
mentre stava per chiedergli cosa stesse succedendo, Fernando riuscì a rientrare
in pista, ritrovandosi davanti una sagoma verde.
«E
questo chi è?» sbottò, infastidito da quel pilota che non gli stava spianando
la strada. «Non l’ho mai visto da queste parti.»
«Infatti
sono nuovo» disse una voce sconosciuta, segno che non si trattava di Kamut.
«Ora
capisco» ribatté Fernando. «Hai ancora molte cose da imparare.»
«Non
ti preoccupare, avrò tempo» gli assicurò l’altro, «E ho un buon maestro.»
Fernando
sussultò, nel chiedere timidamente: «E, sentiamo, chi sarebbe il tuo maestro?»
Il
nome pronunciato dall’altro lo fece raggelare.
«Pietro
Vitali, epico alfiere del passato della Campana del Vetro, ti ricordi di lui?»
Passato
il brivido, Fernando urlò a pieni polmoni: «OH, MIO GUARDIANO DELLA DISCARICA DEI
SETTE CAVALLINI D’ARGENTO SETTE VOLTE CAMPIONE DEL MONDO DELLA RACCOLTA
DIFFERENZIATA. LO SAPEVO, NON DOVEVO FARE IL PILOTA, MA IL CALZOLAIO!»
Pastore
si sentiva profondamente appagato, molto di più di quanto sarebbe stato se si
fosse dedicato alla professione che i suoi genitori avevano sempre sperato per
lui, ovvero quella di allevatore di pecore, a causa della quale gli avevano
appioppato quel nome augurale.
Era
riuscito a creare un discreto scompiglio, andando a tamponare perfino entrambi
i Portarifiuti d’Argento, dopo avere mandato in giro per i prati Fernando
Divini e Sebastiano Vitello, senza disdegnare nemmeno una collisione con il suo
caro “amico” Sergio. Se non fosse riuscito a conquistare il Cassonetto d’Oro,
forse avrebbe potuto competere almeno per la carica onoraria di signore del
caos, sempre ammesso che si decidessero di assegnarla, invece di limitarsi a
premi di consolazione assurdi tipo il Cassonetto Verde-Oro che veniva ogni anno
attribuito al pilota che si dimostrava più festaiolo e che, secondo Pastore,
era truccato, dal momento che veniva sempre vinto da Filippo Macumba.
A
proposito di Filippo, a Pastor parve di udire uno strano gracidio durante le
sue comunicazioni.
«Cos’è
quella roba?» domandò. «Per caso la leggenda metropolitana secondo cui corri
tenendo in tasca una rana che ti fa da navigatore è vera? COMPLOTTOOOOO!» Non
ottenne risposta, perciò insisté: «Ti deciderai a rispondermi, Filippo, o
continuerai a vivere nel mistero?»
Con
sua sorpresa non gli rispose Filippo, ma una ragazza.
«Smettila
di importunare Filippo, altrimenti non farò mai un calendario!»
Pastore
spalancò gli occhi e si distrasse al punto tale da andare a cozzare contro il
tosaerba che lo stava superando in quel momento, che gli sembrava essere blu
con sfumature violacee, quindi doveva essere un Grande Portalattine. Per
fortuna Daniele Sorriso aveva l’abitudine di mostrare a tutti la propria
dentatura perfetta, invece di sprecare il proprio tempo inseguendo armato di
mazza da golf chi gli andava addosso in pista, quindi non ci sarebbero stati
problemi nel dopo-gara, almeno con lui. Purtroppo non si poteva dire lo stesso
di diversi altri suoi avversari, ma era un problema su cui Pastore si sarebbe
concentrato in un secondo momento. In quegli istanti era più importante capire
come mai ci fosse in pista una ragazza che parlava con la stessa voce di
Susanna Lupetti.
“Senza
ombra di dubbio” realizzò Pastore, “Non ha solo la sua voce, ma è proprio lei.”
Si
decise a domandare, quindi: «Cosa ci fai tu qui? Dovresti stare ai box a
cucinare per tutti noi, e non certo in gara!»
«Ho
già cucinato per tutti voi» puntualizzò Susanna, «Cercando di intossicarvi per
rubarvi il volante. Per fortuna almeno Alessandro Valentini non ha resistito
alle pietanze che mi sono fatta spedire da Singapore e, mentre era chiuso in
bagno, ho deciso di tenere alti i colori della Raccolta della Carta.»
Pastore,
di fronte a quelle ammissioni, si lasciò andare a un grido disperato.
«OH
MY DANY SMILE!»
Un
boato esplose.
«BANZAAAAAAAAAAAAAAAAAIIIIIIIIIII!»
Dagli
urli disperati di Pastore erano passati a quelli da folle di Kamut che, come al
solito, si stava scatenando.
Filippo
alzò gli occhi al cielo, sperando che tutto andasse nella maniera giusta. Il
suo orologio a cucù da taschino a forma di rana, che gracidava a intervalli
regolari di cinque minuti per tenerlo sveglio durante le gare, nel frattempo
prese a protestare.
«Cra,
cra, cra!»
Filippo
fu tentato di buttarlo fuori dall’abitacolo del suo tosaerba, ma non lo fece.
Quell’orologio era prezioso, essendo proprio un regalo da parte di Kamut che da
anni era segretamente il suo migliore amico. I due, però, cercavano di non
farsi vedere insieme sia per evitare che le autrici di fan fiction fanatiche
dello slash si facessero fantasie erotiche su di loro, sia per tenere nascoste
le circostanze della loro conoscenza, risalente a quando entrambi, per
finanziare la loro carriera nel mondo delle competizioni su tosaerba,
guadagnavano somme piuttosto elevate grazie alla loro professione alternativa,
rigorosamente segreta, di pornoattori.
Gli
accordi, tra loro, erano sempre stati chiari: niente conversazioni in pubblico.
Filippo, però, spaventato da quel grido di battaglia, decise di interpellare l’amico.
«Si
può sapere cosa stai facendo, Kamut?»
Non
ci furono risposte, ma soltanto un violento tamponamento che lo mandò in mezzo
all’erba e lo fece sentire dolorante quasi come al termine delle riprese de “La
leggenda del sadomasochista kamikaze”, ultimo film in cui aveva recitato come
attore coprotagonista.
«Maledetto
Kamuuuuuuuuut!» sbraitò, in audioconferenza, ma la radio produsse uno strano
suono che somigliava vagamente a una pernacchia.
Tutto
era perduto. Quell’aggeggio non funzionava più e avrebbe dovuto trovare un
metodo alternativo per mostrare all’amico e rivale il proprio disappunto.
Filippo
rifletté, realizzando che un calcio nelle parti intime sarebbe stato l’ideale.
***
Continuando a inseguire la
gloria.
Il
caos ormai regnava sul Circuito dei Gufi, e regnava da un’ora abbondante. I
tosaerba precipitati nelle retrovie non si contavano più, così come buona parte
dei concorrenti sembravano essere ormai fuori dai giochi, la maggior parte a
causa delle manovre assassine di Pastore Temporale. Non che il suo gemello
Romano fosse da meno: si stava scatenando quasi allo stesso modo, seminando il
panico tra i pochi piloti che ancora non avevano subito danni.
Stefano
Cappotti iniziava a sentirsi sollevato. La sua gara non aveva nulla di diverso
da tutte le altre: era nel bel mezzo di una prestazione anonima, ignorato da
tutti, e avrebbe tanto desiderato che tutto continuasse sullo stesso stampo.
La
voce di Sergio, il “boss”, alla radio, gli ricordò che non sempre i suoi sogni
di gloria si traducevano in realtà... anzi, praticamente mai.
«È
il momento.»
Qualunque
cosa Sergio intendesse, Stefano ne era sicuro, riguardava solo ed esclusivamente
lui stesso. Nonostante gli anni di onorato servizio, infatti, Stefano non
veniva mai coinvolto quando c’era da guadagnarci qualcosa e quell’aspetto
iniziava a infastidirlo. Soltanto a causa delle continue minacce di Sergio, che
possedeva dei filmati compromettenti che lo riguardavano, nei quali felice di
avere un’aria da nerd partecipava a mega-tornei notturni di videogiochi online
mentre la sua fidanzata lo aspettava con ansia nella stanza attigua indossando
biancheria intima sexy, che non provocava in lui la stessa eccitazione del suo
videogame preferito, Stefano gli era sempre stato fedele. Ormai, però, si era
stancato: stava seriamente prendendo in considerazione l’idea di voltargli le
spalle e di smetterla di stargli dietro.
Comprese
che non sarebbe stato semplice nel momento in cui Sergio riprese a sbraitare:
«Allora, allevatore di scoiattoli, ti vuoi decidere? Quando io ti do un ordine,
tu devi eseguirlo!»
Con
sua grande sorpresa, Susanna Lupetti intervenne: «Finora non gli hai dato
nessun ordine. Gli ha solo detto che è il momento. Non hai detto, però, il
momento di che cosa.»
«Magari
è il momento di un alcool-party» propose Camillo Bevitore e tutti se ne
sorpresero. Di solito non parlava mai alla radio, al punto tale che tutti si
dimenticavano della sua presenza. «In tal caso, perché non sono stato
invitato?»
«Perché
non ci saranno alcool-party» puntualizzò Sergio. «Al termine di questo Gran
Cassonetto dei Gufi sarete tutti quanti stremati... quelli che non saranno
direttamente ricoverati in ospedale, che saranno tanti se quei due fanatici
continueranno a devastare tutto ciò che vedono intorno a loro! E tu,
Scoiattolo, stammi a sentire!» Stefano avvampò. Non era abituato a sentirsi
chiamare con nomignoli ridicoli, quelli erano riservati a Filippo Macumba
quando dialogava con il suo amico Robertino. «Ti do dieci minuti per eliminare
Pastore Tempesta.»
«WHAT?!»
Stefano strabuzzò gli occhi e scosse la testa con tanta foga che gli occhiali
iniziarono a saltellare sbattendo contro il casco. «E come faccio?!»
«Non
lo so come fai» fu la laconica risposta di Sergio, «Ma lo devi fare e basta.
Inventati quello che vuoi.»
Stefano
si sentì più scoraggiato che mai.
Avrebbe
dovuto rivolgersi a Filippo e chiedergli di lanciare una delle sue maledizioni,
con l’aiuto del Sigillo del Gufo Mutante. Una volta aveva funzionato, nel Grand
Tour dell’Angusto Giardino Senza Erba, e Pastore aveva subito un’avaria al
proprio tosaerba prima ancora che la gara fosse sul punto di partire.
Quel
giorno Stefano aveva incassato parecchi soldi: aveva infatti preventivamente
scommesso che, dopo il ritiro di Pastore, sarebbe riuscito a posizionarsi sulla
sua piazzola della griglia di partenza senza che né il direttore di gara né i
piloti della Raccolta Carta se ne accorgessero. Era andata proprio così, anche
se Stefano aveva sempre sospettato che il direttore di gara non avesse fatto
ripetere la partenza per paura che nemmeno al secondo tentativo lui e i suoi
onorati colleghi fossero capaci di azzeccare la piazzola giusta, considerazione
che aveva abbassato di qualche punto il suo livello di autostima. A peggiorare
le cose, la somma guadagnata se l’era presa Sergio, minacciandolo per
l’ennesima volta di divulgare un filmato in cui, mentre lui giocava al
computer, la sua ragazza sfogava i propri desideri erotici guardando un
capolavoro del cinema, che doveva chiamarsi “La leggenda del sadomasochista
kamikaze” o qualcosa del genere, i cui attori protagonisti avevano
un’inquietante somiglianza con Filippo Macumba e Kamut Colapiatti.
Pastore
non riusciva a credere ai propri occhi: quando mancava un giro alla conclusione
era stabilmente in testa alla gara, grazie al fatto che i commissari - ma
esistevano? - non si erano accorti dell’irregolarità del suo tosaerba, che era
in realtà un carro armato con l’aspetto di un tosaerba.
Si
domandò dove fosse il suo storico rivale, ma fu un dubbio che durò molto poco.
Lo sentì di nuovo mentre sbraitava: «Pagherai per la tua indifferenza, piccolo
scoiattolo nerd! Il mondo è nelle mie mani.»
La
piccata replica di Stefano Cappotti fu: «Oh, che Juanpablinho vegli su tutti i
tombini di questo circuito.»
Era
la prima volta che Pastore udiva quel bodyguard tutt’altro che credibile mentre
contraddiceva Sergio.
“Merita
di più” decretò. “Merita di più che di spianargli la strada.”
In
realtà era proprio quello che Stefano non stava facendo, come dimostrarono le
successive battute che si scambiarono lui e Sergio.
«Fammi
passare subito!»
«Sei
dietro, e anche di un bel po’, come puoi pensare che io riesca a farti
passare?»
«È
molto semplice. Rallenta e, tra almeno una ventina di secondi, ti strapperò la
seconda posizione.»
Pastore
si trattenne per non scoppiare a piangere dalla commozione. Stefano Cappotti,
il bodyguard traditore, era secondo. Un’idea iniziò a farsi viva nella sua
mente...
“No,
non posso farlo.”
Era
combattuto.
“Sì,
posso farlo, anzi, devo.”
Non
sarebbe mai stato ricordato per la vittoria nel Gran Cassonetto dei Gufi, che
peraltro era già a rischio, dato che avrebbe perso il proprio risultato se
fossero stati aggiunti cinque secondi al suo tempo di gara per la partenza
anticipata e altri cinque per ogni contatto che aveva avuto.
Non
sarebbe stato ricordato per i risultati, ma la sua enorme bellezza interiore
non sarebbe stata dimenticata.
“Gli
cederò la vittoria. Se la merita.”
Stefano
era ormai rassegnato: i suoi video imbarazzanti sarebbero stati pubblicati da
Sergio su Youtube, tramite l’utilizzo di un profilo fake. Sarebbe stato davvero
terribile per i suoi compagni di giochi online scoprire che, oltre ai videogiochi,
aveva anche altri interessi e che aveva addirittura una fidanzata.
“Mi
declasseranno dal ruolo di nerd for life a quello di pagliaccio.”
Quella
prospettiva era terribile ma d’altronde non si era forse reso per anni un
pagliaccio nelle mani di Sergio?
Stefano
si concentrò sulla sua lista di obiettivi per il prossimo futuro.
La
sua dignità e la sua reputazione sarebbero state insindacabilmente compromesse
di lì a poche ore, ma almeno avrebbe puntato alla vittoria del Gran Cassonetto.
Pastore
Temporale era davanti a lui, ce l’aveva già nel mirino. Anzi, era strano che
stesse addirittura rallentando. Se non si fosse trattato di uno sfasciacarrozze
di quel calibro, Stefano avrebbe perfino potuto sospettare che lo stesse
facendo apposta per favorirlo.
Ecco
la linea del traguardo.
Pastore
si esaltò, nell’intravederla. Adesso non gli restava che da mettere in atto il
più perfetto dei suoi piani.
Aveva
innescato tanti incidenti, in carriera, ma nessuno era mai stato memorabile
come quello che sarebbe andato in scena di lì a qualche secondo.
«Benvenuto,
Stefano» borbottò via radio. «Sei arrivato qui a insidiare la mia leadership e
pagherai per questo.»
L’altro
non gli rispose.
Pastore
temette in un’avaria del sistema di audioconferenza, ma poi udì Sergio che
continuava a sbraitare.
“Stefano
non può parlare, perché le parole gli si ritorcerebbero contro. Quel finto
gangster a cui non crede più nessuno pensa di poterlo terrorizzare, ma si
sbaglia di grosso.”
Stefano
avrebbe visto la fine di tutte le proprie fobie, quel giorno, Pastore ne era
sicuro. In compenso ne avrebbe scoperta una nuova e a partire da quel momento
sarebbe stato ferocemente spaventato dai giocolieri del volante.
La
sagoma grigia del tosaerba del team della Raccolta Bottiglie si fece vicino,
tentò il sorpasso, e...
«Volare,
oh oh» intonò Pastore, «Cappottare, oh oh oh oh, nel cielo blu, dipinto di blu,
felice di passare lassù.»
Era
finita.
Il
triplo salto mortale era terminato.
«Stefano,
pagherai per questo!» urlò Sergio, vistosamente infastidito da come si stavano
svolgendo gli eventi. «Non erano questi i nostri accordi!»
Stefano
lo ignorò. La legge del caso aveva voluto che la linea del traguardo si
trovasse proprio al di sotto dell’atmosfera nella quale si era svolto il suo
volo.
Gli
arrivarono, in audioconferenza, i complimenti dell’artefice del disastro.
«Tu
sì che sei un vincitore, scoiattolo nerd.»
Stefano
avvampò dentro al casco.
Era
terribile che perfino Pastore iniziasse a chiamarlo con un nomignolo così
ridicolo. Prima di salire sul podio avrebbe messo in chiaro con lui che non
poteva spingersi oltre a un certo punto... almeno non in pubblico: nell’intimo,
ovvero quando giocava online, Stefano era abituato ad essere chiamato con i nomignoli
più insensati.
«Ma
quale vincitore!» sbottò Sergio. «Quello scoiattolo traditore doveva
annientarti e consegnarmi la vittoria su un piatto d’argento... invece non l’ha
fatto e pagherà per questo.»
Stefano
non se ne curò.
«Annienterò
Pastore» promise, in extremis.
C’era
ancora tutto il giro d’onore, dopotutto, e il suo tosaerba era ancora in ottime
condizioni, nonostante la giravolta in aria.
Aspettò
che Pastore lo affiancasse alla sua destra e lo colpì più forte che poté,
sperando di fargli spiccare il volo.
L’impresa
fallì. Il Posacenere Dorato del suo rivale fece un piccolo saltello, ma ricadde
subito al suolo senza roteare.
***
Il Cassonetto d’Oro.
Massaggiandosi
le parti intime doloranti, Kamut contemplò, dal di sotto del podio, i primi tre
classificati.
«Sarebbe
stato bello» osservò, «Essere lassù al posto di Stefano.»
Filippo,
accanto a lui alla sua sinistra, lo guardò malissimo.
«Sbaglio
o ci siamo ritirati solo ed esclusivamente per colpa tua?»
«Non
sbagli» ammise Kamut. «L’unico tuo errore è rimanere qui vicino a me. Potremmo
dare nell’occhio.»
«Non
scherzare» ribatté Filippo. «Ormai hanno tutti occhi solo per Stefano Cappotti,
il nuovo eroe.»
Non
erano esattamente le parole con cui Kamut l’avrebbe definito ma, in quel
momento, non aveva molta importanza.
Sul
podio giunse, infatti, il magnate dei tosaerba e ideatore del torneo Guido
Giardini. Buona parte delle donne presenti, compresa Susanna Lupetti che aveva
concluso la gara in quinta posizione alle spalle del “compagno di squadra”
Massimo Brividi, si misero ad acclamarlo; Kamut non seppe dire se per
riconoscimento dei suoi meriti imprenditoriali o per via della sua bellezza
esteriore.
«Per
cortesia» suggerì Guido, parlando al microfono con una voce sensuale che fece
impazzire tutte le ragazze, decisamente poco interessate alla sua
multinazionale dei tosaerba, «Non siate ingrati nei confronti di questi tre
eroi, che hanno battagliato duramente per la conquista del più ambito
riconoscimento motoristico internazionale.»
Partì
un applauso e qualcuno si mise a fare la ola.
Guido
mise il microfono davanti a Stefano che, tra le lacrime, mormorò: «Grazie a
tutti. Grazie a tutti quelli che mi hanno permesso di essere qui in questo
momento.» Si girò a guardare Pastore. «Grazie a te.»
Sul
volto di Sergio, l’espressione si fece sempre più inferocita. Era chiaro che
stava per fare o per dire qualcosa di inappropriato all’occasione, ma
un’occhiataccia da parte di Pastore sembrò farlo desistere.
Si
udì un coro di grida nel momento in cui Guido invitò numerose ragazze in bikini
a raggiungerlo. Tutte quante reggevano un cassonetto in miniatura, di colore
dorato.
«Oh,
che emozione» esclamò Kamut. «Sto quasi iniziando a pentirmi di esserti venuto
addosso e di avere messo fine alle mie chance di vittoria.»
Stefano
aprì il cassonetto. Gli brillavano gli occhi, mentre esclamava: «Oh mia Sacra
Cenerentola, tifosa del Milan!»
Pastore
sbirciò all’interno e si sentì morire d’invidia. Quell’anno il Cassonetto
conteneva cimeli di un certo livello. Il vincitore vi estrasse, nell’ordine, un
mantello da Superman abbinato a un casco raffigurante sette stelle, oltre che
una tuta verde-oro e una bandiera del Brasile in formato fazzoletto che, con
riluttanza, utilizzò subito per asciugare gli occhiali bagnati di lacrime.
«Oh,
miei mascelloni» mormorò, tra i singhiozzi, «Che il carnevale brasiliano abbia
inizio!»
Chissà
che, almeno per quell’anno, non riuscisse a strappare a Filippo il titolo di
Cassonetto Verde-Oro...
Fine.
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