Buona lettura. <3
** [...] Ci eravamo lasciati a Montecarlo con un weekend piuttosto sorprendente: tutto era iniziato durante le prequalifiche del giovedì pomeriggio, con un incidente che metteva fuori gioco Herrera (Corujas Blancas) e Aruya (Rayo Fatal), impedendo a entrambi di passare al turno successivo, le qualifiche del venerdì sera.
Due delle Athena a quel punto, non si sono qualificate, e ciò ha permesso, per la prima volta in questa stagione, di vedere tutte e tre le Moretti sulla griglia di partenza.
Davanti, nel frattempo, era il Team Vega a imporsi, con Karl Dobson in pole position davanti a Novak (Phoenix) e alle due Corujas Blancas ancora in pista, quelle di Yoshimoto e Harris.
Ricapitolandola in breve, la gara ha riservato sorprese fin dalla partenza: Yoshimoto è riuscito a infilarsi tra Dobson e Novak, portandosi in prima posizione, mentre il pilota della Phoenix, dopo un lieve contatto con Dobson, ha perso ulteriori posizioni, precipitando a centro gruppo.
Dobson ha resistito in prima posizione fino al primo pitstop: è uscito di nuovo davanti a Harris, ma da quest’ultimo è stato superato soltanto un giro più tardi. A quel punto le Corujas Blancas erano prima e seconda.
Al vertice non ci sono stati ulteriori stravolgimenti e ciò ha permesso a Dobson di conservare agevolmente la terza posizione.
Più indietro, invece, Novak stava continuando la propria lenta ma costante rimonta. È giunto infine al traguardo in quarta posizione, dopo essersi messo dietro le due Vega di Nyman e Gomez (Nyman ha conservato la quinta posizione fino al termine, mentre Gomez è stato condizionato da un’uscita di pista alla Sainte Dévote, a seguito della quale è sprofondato nelle retrovie). Hanno ottenuto punti anche Willis (Phoenix) e Villa (Rayo Fatal).
Gara da dimenticare per il team Sparks: tutti e tre i piloti sono stati protagonisti di incidenti, così come Lopez-Ferreira del team Pink Venus.
Alla luce della doppietta ottenuta dai compagni di squadra, comunque, è stata senz’altro Dalia Herrera la più insoddisfatta al termine del weekend. [...]**
«Ehi, Dalia!»
Non era la prima volta che Koji cercava di smuoverla, e in realtà comprendeva perfettamente il suo stato d’animo. A causa della propria guida talvolta erratica, lui stesso si era ritrovato più di una volta a cercare di compiacersi dei risultati ottenuti dalla squadra. Nel caso di Dalia, che l’incidente che aveva messo fine al weekend l’aveva avuto addirittura nelle prequalifiche, la sensazione doveva essere la stessa, ma elevata alla massima potenza.
La Herrera alzò lo sguardo.
«Cosa c’è?»
«Ti vedo un po’ pensierosa.»
Dalia annuì.
«Lo sono.»
«Spero che tu non ti stia interrogando sul senso della vita o quelle cose lì» ribatté Koji. «Non è il momento.»
«Per me potrebbe esserlo» replicò Dalia, secca. «Comunque no, non mi sto interrogando sul senso della vita, ma sul senso che ha la mia presenza qui.»
Koji si sedette accanto a lei.
«In effetti hai le occhiaie abbastanza profonde. Magari è il caso che tu vada a dormire.»
Dalia scosse la testa.
«Non parlavo del mio senso *qui*, in questo luogo, in questo momento. Parlavo, in generale, del senso della mia presenza nella Golden League.»
Era raro che Dalia si lasciasse andare a quel genere di confidenze.
Koji si sentì spiazzato.
Non c’era nulla che potesse dire, se non farle una proposta che nulla aveva a che vedere con quell’inaspettato argomento di conversazione.
«Bevi qualcosa?»
Dalia accennò un sorriso.
«Va bene, purché sia qualcosa di forte.»
«Qualcosa di forte?» ribatté Koji. «Tu, che tu ubriachi anche con la Sparks?»
«Non mi ubriaco con la Sparks» gli assicurò Dalia, «Quindi ti assicuro che non sarai ritenuto colpevole di qualunque cosa accada.»
«Ciò mi rende sollevato.»
«Però» obiettò Dalia, «Forse faresti meglio a invitare Grace a bere, piuttosto che me. potrebbe essere l’occasione buona.»
«Non credo proprio» fu costretto ad ammettere Koji. «Il giorno in cui rinascerò nel corpo di Ethan Harris potrei avere qualche chance, ma purtroppo quel giorno non è ancora arrivato.»
Dalia si girò a guardarlo negli occhi.
«Per fortuna, vorrai dire.»
«Essere ignorato da Grace non è esattamente una fortuna.»
«Non somigliare a Harris, però, lo è.»
Koji aggrottò le sopracciglia.
«Credevo che ti stesse simpatico.»
«Sì, in un certo senso» confermò Dalia. «Però non posso negare che averne uno basta e avanza e che il fatto che tu non gli somigli sia abbastanza soddisfacente, per me.»
Koji rise.
«Lo prendo per un complimento.»
«Fai bene, dato che per me era proprio un complimento.»
«Se solo anche Grace Kissinger la pensasse così» ribatté Koji, «Sarei già un passo più avanti... però allo stesso tempo sarei anche un passo più indietro, dato che avrei una brutta occidentale attaccata al culo.»
«Grace non mi pare brutta.»
«Grace è occidentale» puntualizzò Koji.
Per quanto il discorso stesse scendendo nel nonsense, non se ne pentiva affatto. Erano in molti a considerarlo una sorta di buffone; tanto valeva utilizzare il proprio “talento” per allontanare Dalia dalle proprie turbe interiori.
Se la Herrera aveva un problema, era quello di non riuscire a mostrarsi al cento per cento per quella che era.
“Dalia non è solo la ragazza delle pubblicità, la ragazza che ha fatto un calendario, la ragazza che avrebbe potuto vincere la Cinquecento Miglia di Indianapolis ma che ha avuto un incidente all’ultima curva, la ragazza che è stata ingaggiata perché la sua immagine piace a Mister Delirium. Non è destinata a vincere titoli, ma vale molto di più di quanto possa sembrare a quei caproni ignoranti che la valutano senza nemmeno avere le idee chiare a proposito di quello che ha concluso in tutta la sua carriera.”
Purtroppo tra i caproni ignoranti Koji avrebbe piazzato anche molti giornalisti sportivi e addirittura qualche addetto ai lavori, ma quello era un dettaglio secondario, sul quale era disposto a chiudere un occhio mentre con l’altro guardava dall’altra parte.
«Allora, se Grace è un’occidentale e, in quanto tale, non ti piace abbastanza» riprese Dalia, facendolo tornare alla realtà, «Tanto vale che tu ci metta una pietra sopra. Tanto che cosa c’è stato tra te e lei? Solo degli inviti che lei non ha mai accettato.»
** [...] Dalia Herrera ha comunque avuto modo di rifarsi due settimane più tardi, quando la Golden League si è spostata a Silverstone, dove era in programma un’intensa sessione di test in vista del doppio Gran Premio di Gran Bretagna.
Tra i tre piloti del team Corujas Blancas, la Herrera è quella che ha trascorso più tempo al volante e, al termine delle quattro giornate, si è dichiarata molto soddisfatta dai progressi fatti rispetto all’inizio della stagione. [...]**
Dalia fu l’ultima a sedersi.
Mitchell, Ethan e Koji si erano già accomodati e avevano già i bicchieri appoggiati sul tavolo.
«Finalmente!» esclamò Mitchell. «Credevamo che ci avessi dato buca.»
Dalia scosse la testa.
«Questa è l’unica serata di festeggiamenti che abbiamo deciso di concederci. Potevo mai perdermela?»
«Hai fatto bene a venire» osservò Koji. «Temevamo di dovere invitare Mister Delirium al posto tuo.»
Dalia spalancò gli occhi.
«Perché, Mister Delirium è da queste parti?»
«È in Europa, per qualche ragione.»
«L’Europa è grande.»
«L’Europa è grande» ribatté Koji, «Ma sono sicuro che, usando tutto il mio talento, sarei riuscito a convincerlo a salire su un aereo e a venire a Silverstone per prendere parte alla nostra serata folle.»
Dalia aggrottò le sopracciglia.
«Siamo in un bar alle nove e mezza di sera e sul tavolo abbiamo in prevalenza bevande analcoliche. La chiami serata folle?»
Mitchell intervenne: «Io metterei in dubbio qualcos’altro, piuttosto. Ti pare, Koji, che Johnstone non abbia niente da fare, da venire fino a qui per nulla?»
Koji ridacchiò.
«Johnstone - anzi, Mister Delirium, chiamiamolo con il suo nome - è un tipo strano. Non possiamo mai prevedere quello che farà o non farà.»
«Va bene, questa è la prova definitiva» si intromise Ethan. «Sei già ubriaco. Forse sì, hai ragione, questa dopotutto è una serata folle.»
«Già. Avresti potuto invitare Grace, però.»
«Grace? Perché mai Grace avrebbe dovuto venire? Lo sai, lei alla sera scrive papiri interminabili per quel dannato sito web.»
«Sono certo che le avrebbe fatto piacere venire con noi» insisté Koji. «Le donne occidentali sono facilmente prevedibili.»
«A proposito di donne occidentali» replicò Ethan, «Perché non ti accontenti di quella che abbiamo? C’è già Dalia, a che cosa serve Grace? Fino a prova contraria Grace non fa nulla di eccezionale: parla con la stampa, scrive articoli... insomma, cose che chiunque, con un po’ di impegno, potrebbe fare. Non puoi certo dire la stessa cosa di Dalia. Se non ci fosse stata lei, in questi giorni, ce la saremmo vista brutta.»
Koji annuì.
«Hai ragione, tutto sommato. Io, se fossi stato in pista così a lungo, invece che dare alla squadra dei dati su cui lavorare, avrei dato piuttosto dei rottami.»
Risero tutti, a parte Dalia.
Nonostante i quattro giorni appena trascorsi fossero stati molto positivi, non era ancora riuscita a mettere da parte la tensione.
Anche a Montecarlo era stata convinta di essere vicina a un punto di svolta, invece si era ritrovata con niente tra le mani.
Non voleva commettere lo stesso errore anche a Silverstone.
Non avrebbe sopportato un’altra mancata prequalificazione e, in realtà, nemmeno una mancata qualificazione.
Per fortuna Silverstone non era Montecarlo. Gli unici ricordi negativi che quella pista le suscitava erano un paio di uscite di pista risalenti a molti anni prima e un motore rotto nelle fasi finali di una gara che fino all’ultimo si era rivelata molto positiva.
Era molto preoccupata dal non essere stata del tutto fredda di fronte ai ricordi negativi di Monaco e di non essersi comportata da robot come accadeva nella maggior parte dei casi, ma quella sera avrebbe cercato di non pensarci.
**[...] Il weekend di Silverstone è iniziato con una sessione di prequalifiche priva di colpi di scena, al termine della quale sono stati eliminate la Moretti di Giuseppe Ruggeri e l’Athena di Leandro Reyes. Il miglior tempo è stato fatto registrare da Karl Dobson, seguito da Dalia Herrera.
Nelle successive sessioni di prove libere, avvenute tra giovedì e venerdì, il Team Corujas Blancas ha continuato a sorprendere, con i piloti che hanno girato spesso più veloci rispetto a quelli di Phoenix e Vega, che come sempre erano dati come favoriti. Non restava altro che da verificare se le qualifiche del sabato mattina potessero confermare i dati del giovedì e del venerdì.
Alla fine sono stati i colori del team Phoenix a svettare, con Novak e Willis appaiati in prima fila, segno evidente di quale sia tuttora il team da battere.
Seguivano due file con Vega e Corujas Blancas alternate: Nyman, Harris, Yoshimoto, Dobson; sorprendente settima posizione per Caroline Parker, ottimo risultato per il Team Pink Venus, avvenuto in concomitanza, però, della mancata qualificazione di Irina Volkova che, insieme a Flavio Santos del Team Athena non ha preso parte alla gara del sabato. I due, però, con le nuove regole, hanno potuto qualificarsi per la gara di domenica. [...]**
Marcela Lopez Ferreira era una ragazza adorabile, nel novanta per cento delle occasioni. Il restante dieci per cento, invece, era perfettamente capace di farsi detestare.
Le sue lamentele avrebbero potuto essere giustificabili - vetture più lente che ostacolavano nei giri lanciati ce n’erano, dopotutto - ma a Irina davano il voltastomaco.
Cos’aveva da lamentarsi proprio lei, che non aveva il sedile che le scottava sotto al culo?
Cos’aveva da lamentarsi lei, che non era un’osservata speciale, pronta da mettere da parte non appena fosse capitata l’occasione?
Irina sapeva perfettamente che aria tirasse.
Sapeva che, se fosse stato per Kathy Shelley, avrebbe almeno terminato la stagione al proprio posto. Le prestazioni erano state deludenti, ma i fondi scarseggiavano e i pezzi migliori non venivano certo montati sulla vettura guidata dall’ultima ruota del carro. Kathy lo sapeva. Anche gli sponsor lo sapevano, ma c’erano dettagli che preferivano ignorare.
I rumour si intensificavano giorno dopo giorno.
Daphne Harris stava disputando un’ottima stagione nella Silver League e non era da escludere che fosse ormai vicina al passaggio nella massima serie.
“Sono io che dovrei lamentarmi” rifletté Irina, “E non certo per le vetture lente che intralciano e che non lasciano strada.”
Irina era certa di avere fatto il massimo.
Probabilmente Caroline Parker sarebbe riuscita a spremere la macchina più di lei e a superare almeno la qualificazione, ma di certo non avrebbe raggiunto la quarta fila.
Le vetture non erano uguali, nonostante fosse ciò che veniva raccontato al resto del mondo.
D’altronde Kathy Shelley e il resto del team se la cavavano abbastanza bene con la recitazione, se davanti all’opinione pubblica fingevano di credere davvero in tutti i proclami che facevano.
Irina non criticava la Shelley per le proprie decisioni: nella Golden League bisognava sopravvivere e Kathy aveva capito che fingersi un’estremista del femminismo - causa che aveva sempre sottoscritto in pieno, ma non certo nel modo che mostrava - era la carta vincente se voleva tenere in piedi la propria squadra.
Era certa anche che, il giorno in cui il main sponsor fosse riuscito a piazzare la Harris al volante della terza vettura, Kathy non avrebbe dichiarato che era stato un uomo a prendere quell’importante decisione.
A comandare era sempre la dura legge dei milioni di euro, dei milioni di dollari, dei milioni di sterline e dei milioni di yen.
Era sempre stato così.
Le cose non sarebbero mai cambiate.
In fin dei conti era un bene che non cambiassero: in un mondo in cui tutto poteva mutare fin troppo in fretta, era positivo avere almeno una certezza.
**[...] La gara non è stata molto movimentata, ma ci sono stati episodi piuttosto significativi, in primis la pessima partenza di Novak.
Il campione del mondo in carica si è visto sfilare allo start dal compagno di squadra Willis oltre che da Harris.
Si è ritrovato terzo, tallonato da Nyman, con il quale ha avuto una collisione al 17° giro. Entrambi sono stati costretti a un pit-stop non previsto, con Novak che è tornato in pista ai margini della zona punti, mentre Nyman, tornato in pista nelle retrovie, è stato in seguito costretto al ritiro.
In quel momento era terzo Yoshimoto, con Dobson, Suarez, Herrera, Gomez e Parker a seguire.
La leadership della gara è rimasta invariata fino al 43° giro, quando dopo il secondo cambio gomme Harris, che nel frattempo si era avvicinato a Willis, ha superato il pilota del Team Phoenix portandosi in testa alla gara.
Un giro più tardi un contatto tra Yoshimoto e Dobson ha causato il ritiro del giapponese e l’ingresso della safety car, per via della vettura rimasta ferma sul rettilineo principale. Suarez, nel frattempo, si è fermato per un problema al cambio.
In terza posizione risaliva così la Herrera, che al restart si è difesa dagli attacchi di Gomez e Parker, mantenendo la posizione fino al traguardo. Questi ultimi, invece, hanno perso posizioni a vantaggio di Novak, piuttosto scatenato nelle fasi conclusive della gara e, nel caso della Parker, anche a favore di Dobson.
Hanno chiuso a punti:
1. Harris - Corujas Blancas
2. Willis - Phoenix
3. Herrera - Corujas Blancas
4. Novak - Phoenix
5. Gomez - Vega
6. Dobson - Vega
7. Parker - Pink Venus
Quella di Harris è stata la seconda vittoria consecutiva per il Team Corujas Blancas, dopo quella di Yoshimoto al Gran Premio di Montecarlo.
Il terzo posto di Dalia Herrera, inoltre, costituisce il miglior risultato dal suo ritorno nella Golden League ed è il primo podio (e finora unico) ottenuto dalla messicana al volante di una monoposto della squadra di famiglia. [...]**
Era uno di quei giorni in cui tutti avevano voglia di ridere e di scherzare; perfino Willis, nonostante si fosse fatto fregare come un pollo.
Dalia era certa che, di lì a qualche anno, episodi analoghi gli sarebbero bruciati molto di più. Al momento era ancora molto giovane e animato da tante buone intenzioni, come ad esempio quella di puntare concretamente alla vittoria del titolo.
Era in testa alla classifica con trentotto punti, cinque di vantaggio su Ethan, che era il suo diretto inseguitore, ed era ancora convinto che i campionati si vincessero con un mix di talento, impegno, determinazione e fortuna. Prima o poi sarebbe arrivato il momento in cui, oltre a quel mix, avrebbe sentito anche il bisogno di polemizzare, vaneggiando a proposito di manovre troppo pericolose messe in pratica da altri.
Quello che contava, comunque, non era solo la vittoria di Harris, ma anche i sei punti che Dalia aveva finalmente conquistato.
A ripensarci le sembrava quasi impossibile. Poche settimane prima, a Montecarlo, si era sentita totalmente distante dal mondo di cui faceva parte, e poi era arrivato quel risultato...
Non era un sogno a occhi aperti, perché i sogni a occhi aperti non erano mai così vividi, e soprattutto finivano molto in fretta.
I punti, inoltre, non erano importanti solo per lei, ma anche e soprattutto per la squadra: erano saliti a sessantaquattro, nella classifica dei team, due sole lunghezze di distacco dal team Phoenix. Se si fossero ripetuti il giorno dopo, avrebbero potuto tranquillamente dimostrare che facevano sul serio.
Ecco, quello era un sogno a occhi aperti.
Dalia cercò di farlo svanire.
Doveva godersi il momento: c’era tanto tempo a disposizione per sperare per il futuro, non doveva rovinarsi quegli istanti meravigliosi.
**[...] Il Team Corujas Blancas, apparso molto in forma nella gara del sabato, è stato poco performante nelle qualifiche della domenica.
La Herrera, qualificata in ottava posizione, è stata la meglio qualificata di tutta la squadra: seguiva Willis, Novak, Nyman, Gomez, Suarez, Aruya e Dobson. Sia Harris sia Yoshimoto, alle prese con problemi di affidabilità, sono partiti dalle retrovie, con Yoshimoto addirittura ultimo dei qualificati, essendo stato più veloce soltanto di Anders Ramirez (Scuderia Moretti) e Flavio Santos (Team Athena).
Willis sembrava destinato a ripetersi e aveva accumulato un gap di circa quindici secondi sul compagno di squadra quando, a causa di una foratura in cui è incappato al 32° giro, è stato costretto a un pit-stop non programmato.
Novak, a quel punto, si è appropriato della testa della gara con un notevole vantaggio nei confronti di Nyman, Gomez, Suarez, Aruya, Dobson e Herrera.
Per la seconda volta in due giorni Dobson è rimasto coinvolto, del tutto incolpevole, in un incidente: stavolta il terzo pilota del team Vega è stato messo definitivamente fuori gioco da una manovra azzardata di Gabriel Aruya, che tentava di difendersi da un tentativo di sorpasso.
Ha recuperato quindi una posizione la Herrera, che ha però ceduto la strada al compagno di squadra Harris, che girava su tempi migliori.
A nove giri dalla fine la Herrera ha subito un sorpasso da parte di Willis, risalito in quinta posizione. Il pilota del Team Phoenix si è lanciato all’inseguimento di Harris, raggiungendolo però quando era troppo tardi. La bandiera a scacchi ha infatti confermato il quarto posto del vincitore della gara del sabato.
Hanno chiuso a punti:
1. Novak - Phoenix
2. Nyman - Vega
3. Gomez - Vega
4. Harris - Corujas Blancas
5. Willis - Phoenix
6. Herrera - Corujas Blancas
7. Leroy - Rayo Fatal [...]**
Non si erano ripetuti.
Non importava.
Il campionato era ancora lungo e ci sarebbero state altre occasioni per contrastare il Team Phoenix, al quale erano ancora molto vicini.
Dopo Silverstone, Hockenheim li attendeva.
Sarebbe stato un appuntamento unico, con una sola qualifica e una sola gara su cui concentrarsi.
Dalia voleva essere ottimista.
In certi momenti era una necessità.
Una delle sue maggiori speranze, inoltre, riguardava Koji: in Gran Bretagna aveva tirato fuori il peggio di sé, entrando in collisione con Dobson in Gara 1 e ritirandosi anche il giorno seguente in Gara 2, a causa di un’uscita di pista nelle fasi iniziali della gara.
Non era il Koji che Dalia conosceva e sperava che si riprendesse in vista del Gran Premio di Germania.
***
Tutto era iniziato con una telefonata che, a distanza di pochi giorni a Dalia iniziava ad apparire più inquietante.
Era a Sao Paulo insieme a Mitchell, quando quest’ultimo era stato contattato da Brett Johnstone, che rientrato negli Stati Uniti da poco più di una settimana aveva preteso di incontrarla. Mitchell, ovviamente, aveva accettato.
Dalia non ne era stata molto soddisfatta.
Era chiaro: se Johnstone voleva vederla, avrebbe dovuto acconsentire, quella era la legge non scritta a cui dovevano sottoporsi se volevano tenersi buono colui che aveva salvato la squadra da un destino piuttosto cupo.
Ciò che a Dalma non era chiaro era perché Johnstone volesse vedere proprio lei, invece che lo stesso Mitchell, e soprattutto perché quest’ultimo non gli avesse posto domande per cercare di scoprirlo.
Ad ogni modo erano a Baltimora.
Non solo, erano già giunti alla sede centrale della Delirium Company.
A peggiorare la situazione, Mitchell iniziò con quelle assurde raccomandazioni che, sulla sua bocca, sembravano ancora più assurde.
«Cerca di non essere tesa e sorridi.»
Dalia alzò gli occhi al cielo.
«Proprio tu vieni a dirmelo?»
«Io non sono teso» puntualizzò Mitchell, «E soprattutto, al momento giusto, so sorridere, anche se in pochi apprezzano il mio sorriso. Mister Delirium, per esempio, ne è abbastanza indifferente.»
Mister Delirium.
“Perfetto... Adesso si esprime come Koji.”
Dalia si girò e lo fulminò con lo sguardo.
«Non sei tesi, sai sorridere al momento giusto, ma ti sei vestito come un tossicodipendente che chiede l’elemosina per strada.»
«Abbiamo gusti diversi in fatto di vestiario, a quanto pare» ribatté Mitchell, «Ma non credo che a Mister Delirium interessi più di tanto il modo in cui mi vesto. In realtà penso che non gli interessi nemmeno come ti vesti tu. Il fatto che sia così convinto che staresti bene in un calendario mi pare un indizio molto chiaro: ti preferirebbe se non ti vestissi affatto.»
Dalia replicò, gelida: «Immagino che non ci abbia convocati qui per parlare di questo. Quella del calendario potrebbe essere un’idea di cui non si è ancora dimenticato, ma non mi sembra una questione così rilevante.»
«Effettivamente no.»
Dalia tirò un sospiro di sollievo.
«Almeno su una cosa siamo d’accordo.»
«Io, al posto tuo, non ne sarei così soddisfatta» scherzò Mitchell. «Inoltre, cerca di non dimenticartelo, sei *tu* quella che Mister Delirium vuole incontrare. Io sono con te solo in qualità di tuo manager, guru e ispiratore.»
«Non metto in dubbio le tue doti come manager...»
«Era un modo per dire che metti in dubbio quelle di guru e ispiratore?»
Dalia scosse la testa.
«Non le metto in dubbio. Sono più che certa che tu non possieda quelle doti.»
«Donna di poca fede!»
«È meglio non averne affatto, di fede, in certe circostanze.»
Mitchell, che avrebbe potuto replicare, non lo fece.
Non era un buon segno.
Dalia azzardò: «Secondo te abbiamo qualcosa di cui preoccuparci?»
«Secondo me no» rispose Mitchell. «Se Johnstone volesse comunicarci qualcosa di veramente preoccupante, non avrebbe cercato te. Inoltre non sarebbe stato così sfuggente a proposito delle vere ragioni per cui vuole vederti.»
«Vere ragioni?» obiettò Dalia. «Perché, te ne ha comunicate delle false, per caso?»
«Veramente no. Non capisco che importanza abbia, però.»
Dalia alzò le spalle.
«Niente, era così, tanto per accertarmi che non mi avessi tenuto nascosto qualcosa. A volte non sei tanto limpido, quando riferisci notizie.»
Mitchell rise.
«Avrò preso da Grace. Anche lei cerca di porre tutto dalla prospettiva migliore.»
«A proposito di Grace, so che aveva in programma un’intervista a Koji a proposito dei test imminenti e del prossimo gran premio» ricordò Dalia. «Sai cosa ti dico? Tutto sommato preferirei essere al posto di Koji, in questo momento.»
Per Koji Yoshimoto era molto importante avere certezze. La più fondamentale, che non avrebbe mai potuto negare, era la sua totale incapacità di parlare a lungo con serietà: parlare della sua personale esperienza passata al Gran Premio di Germania era impossibile, senza scendere in ciò che molti lettori avrebbero descritto come ridicolo.
Grace lo sapeva meglio di lui, infatti lo stava ammonendo, per l’ennesima volta: «Non posso scrivere quello che hai appena detto.»
«Perché?» ribatté Koji. «Ho davvero detto qualcosa di sconveniente?»
La frase incriminata era, testualmente: “due anni fa, mentre ero in terza posizione, mi sono distratto per un attimo a cinque giri dal termine, travolgendo il doppiato che mi stava davanti e rischiando di essere squalificato per il successivo gran premio, dato che non era il primo incidente che causavo nelle ultime settimane; ne sono soddisfatto, perché se avessi concluso terzo nessuno si sarebbe ricordato di me, mentre così la mia gloriosa prestazione entrerà negli annali della storia della Golden League”.
Grace non gli rispose nemmeno.
Era l’ennesima prova che, se oltre a guardare Ethan Harris con la bava alla bocca, avesse invitato lui a sottoporsi a una lunga intervista via videochiamata, avrebbe probabilmente ottenuto risultati migliori.
“Oppure avrebbe potuto chiedere la stessa cortesia a Dalia.”
Anche la Herrera avrebbe accettato volentieri, nonostante non avesse avuto molte occasioni, in anni recenti, di gareggiare sul circuito di Hockenheim.
Come prevedibile, Dalia Herrera non si era presentata da sola. C’era Mitchell al suo seguito e, secondo Johnstone, era un segnale positivo.
Con la Herrera c’era un solo problema - a parte uno molto del tutto irrilevante, ovvero che avrebbe preferito di gran lunga dedicarsi ad altre attività, come ad esempio rispondere a domande assurde a proposito del Gran Premio di Germania ai microfoni di qualche giornalista poco competente, piuttosto che trovarsi lì dov’era - ed era che non si lasciava convincere facilmente da lui.
Johnstone ricordava ancora che, se Gabriel Aruya aveva avuto una chance, era soltanto perché Dalia era riuscito a imporglielo.
“La presenza di Mitchell farà al caso mio.”
Ramirez aveva una certa influenza sulla sorella, che si sarebbe senz’altro piegata ai suoi preziosi consigli.
Per fortuna non c’era ombra di dubbio sul fatto che Mitchell supportasse a pieno la carriera di Dalia. L’avrebbe convinta che accettare la proposta che avrebbe udito di lì a poco fosse la soluzione migliore per lei.
Johnstone invitò i due a sedersi.
I due si posizionarono di fronte a lui, sulle sedie messe a disposizione di fronte alla sua scrivania.
Dalia gli apparve piuttosto sicura di sé, seppure sul suo volto si intravedesse un filo di tensione, quando gli domandò: «Perché siamo qui?»
In pochi, in quelle circostanze, avrebbero avuto il coraggio di essere così diretti con il loro finanziatore.
Quella situazione, più che infastidire Johnstone, lo fece sorridere.
«Lei che cosa ne pensa, Dalia?»
La Herrera continuò a guardarlo negli occhi.
«In tutta sincerità, non ho avuto molto tempo per riflettere.»
«Lo sospettavo.»
«Lei, inoltre, non mi ha dato indizi.»
Johnstone rimase in silenzio per qualche istante, prima di replicare: «E se l’avessi fatto proprio per essere sicuro di questo colloquio? Ho avuto l’impressione che, se avesse saputo, mi avrebbe sbattuto la porta in faccia.»
«Potrei sempre farlo ora» ribatté Dalia. «Per caso è di nuovo per quella faccenda del calendario o del servizio in costume da bagno?»
Quella era l’ennesima prova che, proprio come Brett Johnstone aveva accuratamente pianificato, Dalia Herrera non avesse capito niente di lui.
Le fotografie non gli interessavano. Certo, avrebbero contribuito ad attirare l’attenzione sulla Herrera, ma non avevano nulla di eccezionale. Qualunque donna dall’aspetto almeno presentabile sarebbe stata perfetta per un servizio fotografico, era qualcosa di ormai sorpassato.
C’era soltanto un modo per attirare ancora di più l’attenzione su Dalia e, di conseguenza, sulla Delirium Company.
«No. Non le avrei mai chiesto di venire qui a Baltimora per un calendario, non le pare?»
Dalia annuì.
«Anche a me, in effetti, era parso strano.»
Mitchell, seduto al suo fianco, intervenne: «Potremmo venire al dunque, per favore?»
«Ha ragione» ammise Johnstone, «Sto facendo perdere tempo a entrambi... In realtà volevo solo lasciarvi un po’ di tempo. Non è carino fare certe domande a bruciapelo. Potrebbero essere interpretate nella maniera sbagliata.» Si rivolse quindi a Dalia. «Che cosa ne pensa della Indy Challenge? Intendo dire, sta seguendo il campionato di quest’anno?»
Dalia abbassò lo sguardo.
Evidentemente la dicitura “Indy Challenge” le faceva quell’effetto.
Chiunque si sarebbe dato per vinto, a quel punto, ma Brett Johnstone non intendeva certo arrendersi alle prime difficoltà.
«In realtà» rispose Dalia, fissando la scrivania che aveva davanti, «Mi sto concentrando di più sui miei campionati, piuttosto che su quelli degli altri. Poco dopo avere lasciato la Indy Challenge ho ripreso a gareggiare nella Emirates Series e poi è arrivata la Golden League. Ho visto qualche gara, ogni tanto, un’idea di come vadano le cose me la sono fatta, ma non saprei farle un resoconto al cento per cento accurato di quello che sta succedendo.»
«Chiaramente no» convenne Johnstone. «Mi aspettavo qualcosa del genere.»
«Quello che non capisco» replicò Dalia, senza alzare gli occhi, «È come mai lo voglia sapere da me.»
«In realtà non ho bisogno di saperlo da lei» puntualizzò Johnstone. «Per quanto le possa sembrare strano, mi tengo informato.»
«Non mi sembra strano.»
Johnstone ignorò quelle parole.
«Sono ancora del mio parere: la Indy Challenge non è al livello della Golden League e non apprezzo particolarmente le cose su ovale...»
«La Indy Challenge» gli ricordò Dalia, «Non corre soltanto su ovali.»
Era una delle ovvietà che Johnstone sapeva perfettamente, ma che raramente lasciava intendere di conoscere.
Era una di quelle ovvietà come la reputazione che i piloti asiatici avevano nel mondo, anche se molto tempo prima si era divertito a lasciar credere a Koji Yoshimoto - quel pazzo che, alla fine di maggio, a un evento legato al Gran Premio di Montecarlo, si era messo a parlare con lui di finanza - di essere convinto dell’esatto contrario.
«Che cosa ne dici?» domandò Koji. «Lasciamo perdere?»
Sullo schermo, vide Grace spalancare gli occhi.
«Non vorrai mandare a monte tutto il lavoro che abbiamo fatto finora.»
«Che lavoro avremmo fatto?» obiettò Koji. «Abbiamo solo sprecato un po’ di tempo. Non ti ho detto nulla che tu possa scrivere.»
Grace sospirò.
«E va bene, non hai detto niente che io possa scrivere, ma con un po’ di editing...»
Koji scosse la testa.
«No, Grace, lo sai che non mi piace l’editing. O pubblichi quello che ti ho detto oppure non lo fai. Non voglio che mi metti in bocca parole che non ho mai pronunciato.»
«Capisco il tuo punto di vista» replicò Grace, «Ma abbiamo degli standard a cui dobbiamo adeguarci.»
Koji insisté: «Non c’è nessuno standard, se non quelli che noi stessi ci imponiamo. Lo ammetto, non sono capace di rilasciare un’intervista completamente seria, soprattutto se a intervistarmi sei tu...»
Grace lo interruppe: «Questo mi lascia capire che farei meglio a concentrarmi sul mio vero lavoro, invece di perdere tempo con Golden League Racing.»
Koji ridacchiò.
«Faresti meglio a non perdere tempo perché è e resterà sempre un sito studiato appositamente per essere letto dai fanboy del Team Vega.»
«Questo lo dici tu!»
«Ci vuole poco a capirlo. Non mi riferisco a quello che scrivi tu, ma a tutto il resto, in generale. Non è mai molto critico nei confronti del Team Vega, nemmeno quest’anno che sono un po’ in difficoltà.»
Grace obiettò: «Non mi sembrerebbe comunque molto professionale attaccare una squadra solo perché i risultati non sono allo stesso livello che nella stagione precedente. Tra l’altro, se fossi al posto tuo, non andrei in giro a sbandierare ai quattro venti che il Team Vega è in difficoltà. Magari potrebbero vincere il prossimo gran premio...»
Koji le strizzò un occhio.
«E magari lo vincerà Karl Dobson, con grande contentezza da parte di Dalia?»
Grace rise.
«Perché no?»
«Allora, in tal caso» ribatté Koji, «Prepariamoci a festeggiare. Sono certo che Dalia sarà felice di essere la madrina dell’evento.»
Quando il cellulare di Mitchell si mise a squillare, Dalia non poté fare a meno di girarsi e di lanciargli un’occhiata di fuoco.
«Perché non hai spento quel dannato telefono?» sbottò, tra i denti.
Johnstone sorrise.
«Non sia così critica, Dalia. Suo fratello, in fondo, è un uomo impegnato.»
«È un uomo impegnato» puntualizzò la Herrera, con la solita determinazione, che sembrava avere ritrovato dopo la piccola parentesi “Indy Challenge”, «Ma non mi sembra il caso di tenere il cellulare acceso in questo momento.» Si rivolse a Mitchell: «Spegni quell’aggeggio almeno adesso, o almeno fai in modo che smetta di squillare!»
Johnstone, invece, suggerì a Ramirez: «Esca a rispondere, se è qualcosa di importante.»
Mitchell non esitò a cogliere l’invito.
Si alzò in piedi e fece per uscire dall’ufficio.
«Cerco di fare presto.»
Johnstone lo guardò, accomodante.
«Prenda pure tutto il tempo che le serve.»
Ormai rassegnato, convinto che il cellulare di Mitchell continuasse a squillare a vuoto, Anders era sul punto di riattaccare.
Si trattenne soltanto all’ultimo, quando finalmente suo fratello rispose.
«Ehi, cosa vuoi?»
Anders sbuffò.
«Sei sempre il solito, a quanto vedo. Non hai perso la tua storica finezza, a quanto pare.»
«Nel caso ti sia sfuggito, ho altre cose a cui pensare» replicò Mitchell. «Si può sapere perché mi hai chiamato?»
Anders gli ricordò: «Sei stato tu che mi hai detto di farti sapere non appena ci fosse stata qualche certezza. È solo questione di ore. L’accordo sarà ufficializzato.»
«Oh, bene!» commentò Mitchell. «Quindi, almeno fino alla fine dell’anno, esiste la possibilità che non siate costretti a tornarvene a casa.»
Non sembrava molto entusiasta, nonostante tutte le raccomandazioni di informarlo il prima possibile.
«Va tutto bene, Mitch?» gli domandò quindi Anders.
«Sì, va tutto bene» rispose suo fratello. «Sono insieme a Dalia nell’ufficio di Brett Johnstone... fuori dall’ufficio, in realtà. Dalia è dentro con lui.»
Anders spalancò gli occhi.
«Non avevo capito che doveste incontrarlo oggi. Cosa vuole?»
«Non ne ho idea, per il momento» ammise Mitchell. «Niente di cui preoccuparsi, comunque. Non ha fatto altro che chiacchierare con Dalia, per il momento.»
«E lei come l’ha presa?»
«Bene, finché non ha tirato fuori argomenti un po’ troppo scottanti per i suoi gusti.»
«Del tipo?»
«Una certa serie americana che ha lasciato a Dalia un po’ di ricordi negativi.»
«Oh... Brett Johnstone che parla con Dalia della Indy Challenge?» si stupì Mitchell. «È un passo avanti: almeno non ignora completamente l’esistenza di quel campionato. Visto il soggetto, non ero molto fiducioso in proposito.»
«Fai bene.»
«È un modo come un altro per confermare che non ha fatto altro che dire stronzate?»
«No, in realtà» lo smentì Mitchell, «Ma continuo a non capire perché abbia tirato fuori proprio questo argomento con Dalia.»
Dalia non si sentiva imbarazzata a causa del piccolo incidente di percorso che avevano dovuto affrontare, ma non era affatto soddisfatta di come si fossero messe le cose.
«Mi scusi, signor Johnstone. Non ha idea di quante volte abbia cercato di spiegare a mio fratello che non deve comportarsi in modo così incivile.»
«Si figuri.» Mentre pronunciava quelle parole, “Mister Delirium” assunse un’aria da furbetto che a Dalia non piacque particolarmente. «Anzi, finalmente siamo rimasti soli.»
«Quindi» lo esortò Dalia, «Parlerà più chiaramente.»
«Non saprei se ne valga la pena. Magari, in presenza di suo fratello, ci penserebbe due volte prima di rifiutare a bruciapelo.»
«No, non c’è da preoccuparsi per questo» gli assicurò Dalia. «Se c’è bisogno di rifiutare qualcosa senza possibilità di replica lo faccio indipendentemente dalla presenza o dall’assenza di Mitchell. Quindi, dato che abbiamo girato intorno alla questione senza mai arrivarci, mi dica quello che deve dirmi.»
Johnstone fece un sospiro.
«Si tratta della Indy Challenge.»
Sentire pronunciare il nome di quel campionato le faceva ogni volta lo stesso effetto di una pugnalata alla schiena, ma Dalia cercò di non tradire emozioni.
«Lo sospettavo.»
«Si tratta della sua vecchia squadra.»
Era una buona definizione, dato che si trattava di un passato che non sarebbe più tornato, ma il fatto che Johnstone stesse parlando di quel team era una novità.
«Questo, invece, non lo sospettavo affatto.»
«Immagino, allora» ribatté Johnstone, «Che non sappia nemmeno che, di recente, ho fatto una lunga chiacchierata con il team principal.»
«Se non sono indiscreta» ci tenne a informarsi Dalia, «Di che cosa avete discusso?»
Johnstone la guardò negli occhi.
«Di lei.»
«Wow. Non sapevo di essere così importante.»
«Di lei e del Brazilian Indy Grand Prix, per l’esattezza.»
Dalia spalancò gli occhi.
«Come sarebbe a dire che avete parlato di quella porcheria?!»
«Se fossi in lei, non la chiamerei porcheria solo perché si tratta di una squadra con cui i rapporti si erano logorati, di un campionato che le ha riservato grosse delusioni in tempi recenti e di un circuito che le suscita ricordi negativi.»
«Non è questa la ragione» ci tenne a puntualizzare Dalia. «Semplicemente ritengo del tutto insensato che la Indy Challenge abbia deciso di inserire Interlagos nel campionato di quest’anno. Se non sbaglio, la cosa ha rischiato di saltare e ci sono state parecchie polemiche in proposito.»
«Non sbaglia. Ora, però, l’appuntamento brasiliano è stato ufficialmente confermato. Si svolgerà ai primi di settembre.»
«Lo so.»
«Immagino anche che abbia capito perché io e il suo ex team principal abbiamo parlato di lei.»
«Qualche idea me la sono fatta» ammise Dalia, «Ma non sono sicura di volerlo davvero sapere. Non è una cosa che mi interessa.»
«Io, invece, credo che le interessi più del dovuto sapere che la sua vecchia squadra sarebbe ben lieta di schierare una terza vettura per lei. Tra l’altro, i colori della Delirium Company ci starebbero benissimo, non crede? Se fossi in lei...»
Il presidente della Delirium Company si interruppe, alzando lo sguardo verso la porta.
Dalia si girò.
Mitchell era rientrato.
«Tutto bene?» gli chiese Johnstone.
Mitchell annuì.
«Sì, tutto bene.»
«Qualche scocciatura?»
«No, era Anders.»
«Anders?!» esclamò Dalia. «Cosa voleva?»
«La Scuderia Moretti ha raggiunto un accordo con il nuovo sponsor di cui ci aveva parlato qualche giorno fa. Avranno i fondi per terminare la stagione.»
«Bene» tornò a intromettersi Johnstone. «Sono felice per Moretti, per suo fratello e per tutto il resto del team. Ora, però, se non le dispiace, potremmo tornare a occuparci delle questioni che ci riguardano? Ho già spiegato a sua sorella che cosa bolle in pentola.»
«E io» replicò Dalia, mentre Mitchell si sedeva, «Le ho già detto di non essere nemmeno interessata a prendere in considerazione la sua ipotesi. Però, se vuole, posso davvero fare un photoshot in costume da bagno... o addirittura in topless, se preferisce.»
Johnstone rise.
«La prego, Ramirez, faccia ragionare sua sorella.»
Dalia alzò gli occhi al soffitto.
«E va bene, ragiono da sola, perché non mi fido di Mitch. Le prometto che ci penserò, prima di rifiutare.»
Johnstone la guardò con aria soddisfatta.
«Era proprio quello che speravo.»
«Sappia, però, che la Golden League rimarrebbe la mia priorità.»
«Non ho mai osato sostenere il contrario» chiarì Johnstone. «La Golden League è e deve rimanere la sua priorità. Mi auguro che tutto possa andare per il verso giusto, al prossimo gran premio, in Germania.»
Il Gran Premio di Germania che si svolse due settimane più tardi, a seguito di alcuni giorni di test, non fu brillante tanto quanto il presidente della Delirium Company si era auspicato, ma riservò comunque sorprese piuttosto piacevoli, come il secondo posto di Koji Yoshimoto.
Per qualche strana ragione, Mitchell lo sentì parlare per tutta la domenica pomeriggio del fatto che la colpa della vittoria di Karl Dobson fosse di Grace, che a suo dire l’aveva pronosticata un paio di settimane prima.
Terzo e quarto arrivarono Novak e Suarez, mentre l’altra Phoenix, quella del leader del campionato Shane Willis, non arrivò a vedere la bandiera a scacchi.
Purtroppo le due Phoenix giunsero al traguardo seguite da Aruya e Leroy del team Rayo Fatal, così Ethan e Dalia furono costretti ad accontentarsi soltanto della settima e dell’ottava posizione. Quella fu, essenzialmente, la ragione per cui Mitchell maledisse le parole pronunciate da Mister Delirium il giorno in cui aveva fatto a Dalia quella strana proposta che lei si era promessa e ripromessa di non accettare, qualunque cosa accadesse.
Era stato Mitchell, alla fine, a farle cambiare idea.
Aveva un certo ascendente su di lei, mentre purtroppo non ce l’aveva su Grace Kissinger, che continuava a scrivere articoli e a ritenersi insoddisfatta di ciò che realizzava. Se fosse stato per lui, le avrebbe suggerito di abbandonare la propria carriera alternativa di giornalista amatoriale.
L’addetta stampa, però, anche quel giorno, trovò tempo per mettersi a trafficare con il suo tablet, senza nemmeno che Koji si degnasse di avvicinarsi per chiederle quale fosse l’argomento del giorno.
In fondo al cuore, quella ragazza gli faceva pena.
Si avvicinò a lei, quindi, e le domandò: «Riepilogo della gara?»
«Già.» Grace alzò gli occhi dal tablet. «Vuoi leggerlo?»
Se proprio era necessario...
Mitchell le dedicò cinque minuti della propria attenzione, minuti che Grace trascorse a chiedergli continuamente se ci fosse qualcosa di errato.
«Non vorrei avere scritto qualche cazzata...»
Mitchell si concentrò in particolare sulle classifiche.
[...] Classifica piloti:
1. Shane Willis - Phoenix 41
2. Erik Novak - Phoenix 40
3. Ethan Harris - Corujas Blancas 38
4. Koji Yoshimoto - Corujas Blancas 32
5. Hugo Nyman - Vega 30
6. Karl Dobson - Vega 24
7. Manuel Gomez - Vega 15
8. Gabriel Aruya - Rayo Fatal 11
9. Dalia Herrera - Corujas Blancas 9
10. Salvador Cruz - Sparks 8
11. Juan Suarez - Phoenix 8
12. George Arden - Sparks 8
13. Michel Leroy - Rayo Fatal 3
14. Kristian Schmidt - Sparks 2
16. Caroline Parker - Pink Venus 2
17. Ramon Villa - Rayo Fatal 1
Classifica team:
1. Phoenix Motorsport 89
2. Corujas Blancas 79
3. Vega Racing Team 69
4. Sparks Racing 18
5. Rayo Fatal 15
6. Pink Venus Racing Team 2 [...]
«Dovrebbe essere tutto corretto» confermò Mitchell. «O almeno, non mi sembra che tu abbia scritto delle assurdità clamorose.»
Grace riprese il tablet.
«Dovrei prenderlo come un incoraggiamento?»
«Certo che sì!»
«Mi fa piacere.»
Non sembrava molto convinta, ma Mitchell era abituato ad avere a che fare con Grace Kissinger. Era sicura di sé solo quando si calava nei consueti panni di addetta stampa, mentre lasciava desiderare in tutte le altre situazioni.
Anche Mitchell, da parte sua, non doveva esserle stato molto d’aiuto. Quando se ne rese conto, cercò di rimediare.
«Sono certa che i tuoi lettori saranno molto soddisfatti. La cronaca della gara è stata molto accurata e la classifica, alla fine, aiuta a schiarirsi le idee.»
Inoltre era proprio una bella classifica, se confrontata con le aspettative non troppo brillanti che avevano preceduto la stagione.
Prima della lunga pausa estiva e con cinque gran premi, di cui due doppi, ancora da disputare ci sarebbe stata presunzione nell’affermare a chiare lettere e pubblicamente che quell’anno potevano finalmente puntare di nuovo al titolo, ma nell’intimità dei propri pensieri Mitchell non poteva fare a meno di immaginare quello scenario.
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per essere arrivato/a fino in fondo. Se vuoi, fammi cosa ne pensi con un commento. :-) Puoi farlo anche in maniera anonima.
Se sei capitato/a qui per caso ti invito a visitare il mio blog, in particolare le etichette "Commenti ai GP" e "F1 vintage".
Se invece mi leggi abitualmente e sei arrivato/a qui di proposito, ti ringrazio per l'apprezzamento e spero continuerai a leggermi.
Buon proseguimento di giornata (o a seconda dell'orario, di serata, o buona notte). <3
Milly Sunshine