mercoledì 17 maggio 2023

Il Paradosso del 27 - puntata 5/9

Buonanotte a tutti e buongiorno a chi leggerà domani, è giunto il momento di andare avanti con il racconto.


[ARGENTO TRE]
Undici anni prima // Come tutti i piloti che accedevano alle serie minori sotto il controllo della A+ Series, Alysse aveva ricevuto una sigla identificativa. Non riusciva ancora, tuttavia, a pensare a se stessa se non con il proprio nome, seppure consapevole di non poterlo più pronunciare, almeno finché era nei pressi di una monoposto. Era una novità alla quale non era abituata, così come non era abituata a indossare una tuta con imbottiture fabbricate allo scopo di nascondere le sue forme femminili. I piloti erano tutti uguali, differenziati soltanto dalla statura e dagli occhi che talora venivano inquadrati. Portavano tute nere e caschi in tinta, sognando il giorno in cui avrebbero potuto sfoggiare un colore, a meno di non finire a guidare la monoposto nera della A+ Series, che comunque era lucida di vernice invece che opaca come il carbonio. Molti di loro non ci riuscivano. I meno veloci venivano scaricati senza troppi complimenti, gli altri proseguivano. Non vi era garanzia di passare alla terza alla seconda divisione, né soprattutto vi era la certezza di potere arrivare alla A+ Series. La massima categoria, comunque, aveva bisogno di collaudatori che lavorassero dietro le quinte e, per chi non vi aveva accesso diretto come pilota, vi era comunque una seconda possibilità, che poteva occasionalmente trasformarsi nella possibilità di un sedile come titolare.
Alysse era consapevole di essersi gettata in una situazione senza via d’uscita, ma non aveva alternative. Il suo sogno di passare ai kart alle monoposto era inequivocabilmente sfumato a causa dell’assenza di sponsor e la A+ Series le stava dando una possibilità. In cuore suo, sapeva sia di avere le doti sufficienti per cavarsela a bordo di una vettura ai livelli della Formula 3, sia di essere disposta allo stile di vita che la professione di pilota le avrebbe imposto. Non la spaventavano le rinunce, non la spaventava l’idea di doversi sottoporre a stressanti allenamenti fisici che le consentissero di avere un corpo in grado di reggere la forza G. Non la spaventava nulla che potesse condurla verso il successo, o quantomeno il più in alto possibile.
Era stata selezionata come tanti altri piloti nella sua stessa posizione, con la prospettiva di guadagnarsi l’accesso alla terza divisione. Non solo, insieme ai suoi nuovi colleghi le era stato addirittura assegnato un pilota della A+ Series come coach.
Non era inusuale, era soltanto una sfumatura della A+ Series che rimaneva nascosta al grande pubblico. Inoltre non tutti i piloti di prima categoria accettavano di buon grado la prospettiva di avere come allievi un gruppo di giovani piloti convinti di essere futuri campioni del mondo. Di solito ad accettare quel ruolo erano quelli meno in vista, che speravano di ingraziarsi la dirigenza al punto tale da guadagnarsi un volante migliore. Argento Tre non era come loro, o quantomeno non aveva bisogno dei favori del CEO e dei suoi sottoposti. L’accenno di rughe intorno ai suoi occhi suggeriva che non fosse più giovanissimo e che gran parte della sua carriera fosse già stata spesa. Le performance in pista, occasionalmente di spessore, erano piuttosto altalenanti e spesso e volentieri si qualificava alle spalle del compagno di squadra Argento Quattro, oppure veniva battuto da lui in gara. Eppure, c’era qualcosa in lui che lo metteva come al di sopra dei risultati, non perché non gli importassero i successi, quanto perché sembrava già focalizzato su ciò che veniva dopo: Argento Tre era una vera gloria che, più che non rassegnarsi ai segni dell’età, sembrava avere scelto di dedicare alle competizioni tutto il tempo in cui avrebbe potuto ancora mostrare sprazzi di competitività. Era stata la passione a condurlo a diventare coach dei ragazzi che sognavano l’accesso alla terza divisione, la volontà di trasmettere a qualcuno ciò a cui prima o poi avrebbe dovuto rinunciare.
Alysse non seppe mai se Argento Tre fosse in grado di leggerle nella mente, oppure di intuire i suoi pensieri. Rimase spiazzata, il giorno in cui il veterano la avvicinò, mentre stava per andare a cambiarsi. Fece appena in tempo: Tre non sarebbe stato in grado di riconoscerla, nei suoi abiti civili, né doveva avere idea del fatto che fosse una ragazza. Non solo, anche Alysse non avrebbe potuto riconoscere Argento Tre, senza la sua tuta argentata e il casco dello stesso colore.
«Posso parlarti un momento?» Argento Tre cercava la sua sigla, scritta sulla tuta, un po’ come se volesse rivolgersi a lei chiamandola con una sorta di nome. «Scusa, non ricordo come ti chiami.»
«Non mi chiamo in quel modo» replicò Alysse. «Non mi piace essere identificata con numeri e lettere.»
«È quello che tocca a tutti i piloti. Nemmeno io impazzisco nel sentirmi chiamare Argento Tre.»
Alysse avrebbe voluto sorridergli, ma dubitava che Argento Tre se ne sarebbe accorto. Forse avrebbe notato qualcosa nel suo sguardo, ma non era certa di poterglielo trasmettere.
«Chiamarsi Argento Tre ha comunque il suo fascino. Sei un pilota della prima categoria.»
«Già, sono un pilota della prima categoria, ma forse anche tu lo diventerai.»
«Quando lo diventerò, non avrò problemi a farmi chiamare con un nome e con un numero.»
«Ti vedo molto determinato.»
«Se non lo fossi, me ne sarei già tornato a casa smettendo di inseguire i miei sogni.»
Argento Tre rise.
«Sogni. È davvero incredibile che ci sia ancora qualcuno che ha dei sogni.»
«Perché, tu no?» obiettò Alysse. «Chi te lo fa fare di gareggiare nella A+ Series? Chi te lo fa fare di farci da trainer?»
«Io ho già ottenuto i miei successi» replicò Argento Tre. «Non c’è più nulla che io possa ottenere. Credo nel motorsport. Questo non significa necessariamente che io creda nella A+ Series, ma non c’è altro che io sappia fare. Sono un pilota e lo sarò finché avrò gli stimoli per esserlo.»
«Hai mai preso in considerazione l’idea di cambiare categoria?» gli chiese Alysse, con sincera curiosità. «Hai mai pensato di passare in endurance, o nel DTM?»
«No.»
«Posso chiederti come mai?»
«Certo che puoi chiedermelo, ma non sono sicuro che capirai la mia risposta. Dopo tanti anni trascorsi in una categoria, ormai sento di farne parte, anche se non è più la stessa categoria. Sono disposto ad accettarlo, ad accettare di non potere essere quello di un tempo, a non potere mostrare il mio volto e il mio nome. Anzi, l’idea che non possano riconoscermi è quasi allettante. Ho passato tutta la mia carriera a trasformare in realtà le aspettative di squadre, addetti ai lavori e semplici appassionati, oltre che le mie. Adesso posso divertirmi, fare quello che amo.»
«Intendi dire che, siccome nessuno sa chi sei, puoi essere davvero te stesso?»
«Una specie.»
Quelle parole erano affascinanti. Alysse andò a cercare lo sguardo di Argento Tre. I suoi occhi verdi non lasciavano trapelare nulla di più di quanto le avesse detto.
«Mi piace il tuo modo di pensare» gli confidò. «Alla fine, tutto sommato, allora la A+ Series non è poi così male.»
«Non ho detto questo» la ammonì Argento Tre. «La A+ Series ha molte più ombre di quanto tu possa immaginare.»
«Ombre?»
«Ombre. Tantissime ombre.»
«Di cosa parli?»
«Niente, lascia stare. Cerca solo di fare attenzione, se mai dovessi arrivarci. Non è tutto come sembra e chi vi sta dentro ha avuto modo di rendersene conto.»
«Però è nata per migliorare il campionato che c’era prima» osservò Alysse. «La Formula 1 era ormai finita e la A+ Series è riuscita a salvare quel poco che ancora c’era.»
«Questa è la versione dei fatti che raccontano» replicò Argento Tre. «Non significa necessariamente che sia quella reale. Io stesso non dovrei parlartene, non dovrei farti questo discorso. Eppure, sento di doverti mettere in guardia, almeno tu.»
«Perché proprio io? Perché non uno degli altri ragazzi?»
«Mi sembri uno di quelli che faranno strada.»
«Dici sul serio?»
«Puoi fidarti di me, me ne intendo di piloti» ribatté Argento Tre. «Ne ho visti tanti, in pista, e so riconoscere il talento, quando c’è. Non so chi sei, molto probabilmente non scoprirò mai il tuo nome, ma sono sicuro che, prima o poi, arriverai nella A+ Series. Sarebbe inutile rischiare per avvertire gli altri, che usciranno di scena prima che sia troppo tardi. Ricordatelo, quando sarai in alto.»
Alysse cercò di mordersi la lingua per non parlare, ma le venne spontaneo porre ad Argento Tre una domanda potenzialmente compromettente.
«Cos’è successo a Monza nel 2009?»
«C’è stato un gravissimo incidente» rispose Argento Tre, in tono piatto. «Lo sai anche tu, com’è andata.»
«Ho sentito gente che mormora» replicò Alysse. «C’è chi sostiene che quell’incidente non sia mai avvenuto, che i video che girano siano dei falsi.»
«Ciascuno vede solo ciò che vuole vedere» sentenziò Argento Tre, in tono emblematico. «Non preoccuparti del 2009 a Monza, cerca di preoccuparti del futuro. Ormai la Formula 1 non esiste più, quello che è capitato non importa davvero.»
«Era meno di due anni fa» insisté Alysse. «È per questo che la A+ Series è pericolosa, vero? Perché una volta che ci sei dentro sei costretto ad adeguarti a storie false, inventate per giustificare le chiacchiere che mettono in giro? Alla fine era solo una questione di soldi, vero? Sono salite al potere persone nuove, si sono inventate un incidente mai avvenuto e hanno deciso di usarlo come spiegazione per la trasformazione della serie.»
Argento Tre sospirò.
«Non dovresti pensare a queste cose.»
«Perché no? La verità è importante.»
«Non so chi tu sia, ma se vuoi fare questi discorsi in pubblico, devi sperare che non lo scoprano mai neanche i pezzi grossi del campionato. Hai ragione, noi piloti siamo costretti ad adeguarci a imposizioni quantomeno strane, ma rimane una nostra scelta. O cerchi la verità, o fai il pilota. Non puoi fare entrambe le cose nello stesso momento. Rischieresti troppo. Lo sai, immagino, che possono condizionare i risultati dall’alto, qualora lo ritengano necessario.»
«Sì, ne ho sentito parlare, ma credevo fosse una leggenda metropolitana.»
«Beh, non lo è. L’unica ragione per cui questa informazione non viene divulgata è che il pubblico non sembra pronto ad accettare questa possibilità. Un giorno, quando una simile idea non farà più indignare la gente, potrebbero arrivare a parlarne pubblicamente.»
«Perché lo accettate?»
«Perché è una regola della categoria.»
«Non vorrei sembrarti scortese, ma il fatto che ci sia una regola in proposito è sufficiente per spingervi ad accettarlo?»
«Questa è una bella domanda. Farai strada, se terrai la bocca chiusa. Se invece parlerai, rischierai di scoprire di cosa sono davvero capaci. Possono condizionare le nostre gare, generare guasti di fatto telecomandati sulle nostre monoposto. Quando sei al volante, la cosa più importante è mantenere il controllo. Dall’alto, te lo possono fare perdere da un momento all’altro, anche senza che tu capisca cosa stia accadendo. Non si tratta solo dei risultati, ma anche della tua stessa incolumità. Se parli contro di loro, la tua vita potrebbe essere messa in pericolo.»
Alysse scosse la testa.
«Oh, no, non è possibile.»
«Ti assicuro che lo è» insisté Argento Tre. «Per questo ti sto dicendo che devi stare attento e misurare bene le parole. Lo so anch’io, l’ipotesi più saggia sarebbe scappare via da questo incubo. Forse dovrei trovarmi un volante nell’endurance o nel DTM. Se volessi intraprendere quella strada, non puoi immaginare quante squadre sarebbero disposte a darmi un volante. Se potessi usare il mio nome, non sarei considerato un tipo qualsiasi. Però la mia vita è questa, era la Formula 1 e adesso è la A+ Series. È così per me e anche per molti altri piloti. In più, abbiamo una responsabilità più grande. Ci siete voi, che siete il futuro. Siete dei sognatori, degli idealisti convinti che l’essenza del motorsport sia ancora la stessa di un tempo. Se ce ne andassimo e vi lasciassimo soli, potrebbero manovrarvi molto di più di quanto non facciano con noi. Cercheranno di tagliarci fuori, ma finché resterà qualcuno di noi, non avranno sui piloti il potere assoluto a cui mirano. Hai parlato di Monza e di quell’incidente. Io non c’ero, nel 2009, al Gran Premio d’Italia, ma altri piloti della A+ Series sì. Molti altri, aggiungerei. Sanno cosa sia successo davvero, sempre ammesso che sia successo qualcosa. Non parleranno, ovviamente, ma cosa potrebbe accadere se qualcuno decidesse di farlo, a proprio rischio e pericolo? Il CEO e i suoi collaboratori non vogliono correre questo rischio, quindi cercano di essere un po’ più elastici.»
«E quando non ci sarà più nessun pilota di un tempo?»
«Quando nessuno delle nostre generazioni ci sarà più, spetterà a voi decidere fino a che punto vorrete diventare pedine nelle loro mani. Noi possiamo cercare di fare del nostro meglio per aiutarvi a diventare determinati abbastanza da non lasciarvi schiacciare, ma il resto dovrete farlo voi.»
Alysse obiettò: «Tutto ciò di cui parli è sopravvivere nella A+ Series, ma rimanendo in silenzio. Nessuno di voi può esporsi, perché correrebbe troppo rischi. Ma se vi esponeste tutti insieme? Se vi metteste d’accordo per contrastare il potere del CEO?»
«Hai ragione, sarebbe la soluzione più semplice» convenne Argento Tre. «Potremmo metterci d’accordo e rivelarci tutti nello stesso momento, compresi i piloti che c’erano a Monza. Sarebbe la maniera più semplice per mettere fine a questo scempio.»
«Perché non lo fate?»
«Perché venti piloti non riusciranno mai a mettersi d’accordo per farlo. Io stesso, se avessi dieci o quindici anni di meno, non metterei in pericolo la mia carriera per senso di giustizia. Non sarebbe corretto chiedere ai miei colleghi di fare qualcosa che io stesso, al posto loro, non avrei mai fatto. È anche per questo che i piloti della tua generazione potrebbero essere importanti. L’hai detto tu stesso, dovremmo esporci tutti insieme e rivelare le nostre identità. A noi non accadrà, ma magari a voi sì. Forse sarete forti abbastanza da contrastare questa follia. Conto su di te.» Gli occhi verdi di Argento Tre fissarono Alysse con sguardo penetrante. «Spero che i miei figli non diventino piloti, ma qualora uno di loro dovesse diventarlo, mi auguro possa trovarsi davanti un mondo dell’automobilismo migliore di quello attuale. Magari tu stesso potresti fare qualcosa per cui, un giorno, mio figlio potrebbe ringraziarti.»

[ALBERT PARK]
Tornare a essere Rosso Ventisette fu un flop. In qualifica rimediò soltanto una decima posizione, a causa della quale partì al centro del gruppo in ogni gara, anche quella che prevedeva la reverse grid. A peggiorare la situazione, si ritrovò più volte a battagliare con Blu Ventuno e il miglior risultato del fine settimana fu una misera settima piazza in concomitanza con la gara a griglia invertita. Sulla scia del successo di Sepang - ottenuto da un altro pilota, che secondo le conoscenze del grande pubblico poteva essere sempre lo stesso - non si prese troppi insulti, ma non sarebbe passato molto tempo prima che in tanti iniziassero con le loro accuse.
Nel frattempo i suoi avversari lottavano per quel titolo che ormai sembrava solo un sogno lontano. Peraltro non sarebbe nemmeno stato un vero titolo, ai suoi occhi, qualora l’avesse conquistato, considerati i punti conquistati dal suo sostituto durante l’infortunio, sempre ammesso che si potesse definirlo tale. In più quella parte infinitesimale di fiducia che ancora riponeva nella dirigenza era ufficialmente venuta meno, visto lo stop forzato.
Erano passati molti anni, ormai, ma il monito del primo Argento Tre tornava a riecheggiare nella mente di Rosso Ventisette. Non aveva idea di che fine avesse fatto quel pilota, da un giorno all’altro era stato sostituito da colui che poi era diventato Arancione Otto, proprio poco prima che i rapporti di forza tra scuderie vedessero quella dalle vetture grigio argento risalire tra quelle dominanti. Doveva avere ben oltre i quarant’anni, quando aveva lasciato, specie alla luce del fatto che Ventisette era convinto di sapere quale fosse la sua vera identità.
Era stato un grande visionario, aveva compreso che perfino il pubblico era marcio dentro e stava solo aspettando di potere sfogare il proprio marciume. I vecchi commenti da bar, che in passato duravano per pochi secondi, erano ormai onnipresenti e ridondanti sui social media, in più qualsiasi pilota vi era esposto, mentre in passato quelli di secondo piano si salvavano dall’essere sempre al centro dell’attenzione. Che chiunque rischiasse di essere travolto, lo sapeva bene anche Nero Trentacinque, che nella sprint race con reverse grid, dopo una foratura, si era ritrovato a subire dei doppiaggi e aveva commesso l’errore di non guardare negli specchietti proprio mentre sopraggiungeva Rosso Ventisette. La settima piazza era stata considerata, dal grande pubblico, non il migliore risultato ottenuto sul suolo australiano, quanto piuttosto il segno che, senza Trentacinque, Ventisette avrebbe potuto fare molto di più. Gli erano piovuti addosso insulti a non finire, qualcuno gli aveva addirittura augurato un incidente mortale.
Terminate le competizioni del weekend, Rosso Ventisette sentiva il bisogno di spiegargli che stava dalla sua parte, non certo da quella degli utenti social che l’avevano insultato in tutti i modi. Si mise a cercarlo, mentre i primi tre classificati salivano sul podio. Doveva dirgli che considerava i fanboy che l’avevano pesantemente denigrato solo una massa di cretini.
Lo trovò, poco lontano da Nero Trentasei. Quest’ultimo rivolse a Rosso Ventisette un cenno di saluto, nonostante non avessero molto a che fare l’uno con l’altro. Rosso Ventisette ricambiò con un gesto della mano. Anche se non poteva vedere il suo volto, Nero Trentasei gli parve un po’ deluso, un po’ come se avesse sperato di essere lui il pilota che cercava. Gli dispiacque deluderlo, ma non aveva niente da dirgli. Lo vide comunque consolarsi molto presto, andando a raggiungere Verde Quindici e iniziando con lui una lunga conversazione.
Ventisette, nel frattempo, attirò l’attenzione di Trentasei, che non l’aveva ancora notato e parve stupirsi della sua presenza.
«Cerchi me?»
«Sì, ti disturbo?»
«No, figurati.»
Rosso Ventisette si chiese per un attimo se Nero Trentacinque sapesse che fino alla stagione precedente aveva vestito i suoi colori. Non aveva importanza, quindi si tolse subito dalla mente quei dubbi.
«Hai letto quello che hanno scritto su di te sui social?» volle sapere.
Nero Trentacinque alzò le spalle, con indifferenza.
«Ormai ci ho fatto l’abitudine.»
«Hanno scritto cose orribili» insisté Rosso Ventisette, «E solo perché ti sei ritrovato per caso sulla mia strada. Non lo trovo giusto nei tuoi confronti, volevo che lo sapessi.»
Nero Trentacinque annuì.
«Lo so, ma mi dispiace davvero se ti ho ostacolato. Non ti avevo visto, non stavo proprio guardando negli specchietti... anche se, lo ammetto, non è una cosa che parla proprio a mio favore.»
«Avrai anche sbagliato a non guardare negli specchietti» ribatté Rosso Ventisette, «Ma non è comunque giusto quello che scrivono di te. C’è chi va a sbandierare ai quattro venti il fatto di volerti vedere morto. È assurdo. Uno ha addirittura scritto che si augura che tu possa morire anche per effetto del nuovo regolamento, che così avrebbe finalmente un senso, e...»
«Non lo voglio sapere» replicò Nero Trentacinque. «Ormai non leggo più i commenti degli hater. Dicono che ho trovato un volante come titolare solo perché ho conoscenze importanti, rubando il volante a piloti che se lo meritavano molto più di me. Se la prendono così tanto perché non sanno chi sono, mentre di fatto ho testato vetture della A+ Series per quasi dieci anni, prima di essere promosso a titolare. Ne dicono di tutti i colori su di me... e sai cosa ti dico? Che se davvero dovessi morire come vogliono loro, il lato migliore della morte sarebbe non potere più leggere quello che scriveranno. Perché non ho dubbi: se mai dovessi avere un incidente mortale, diventerei seduta stante il loro idolo e sui loro profili social finirebbero per moltiplicarsi le mie foto come avatar. Mi aggiungerebbero come hashtag nelle descrizioni dei loro profili, #Nero35Forever, sempre nei nostri pensieri.»
Le considerazioni di Nero Trentacinque erano crude, ma maledettamente reali. Non ci sarebbe stato da stupirsi se chi tanto lo denigrava avesse finito per intraprendere proprio quel tipo di strada, in caso di disgrazia.
Rosso Ventisette cercò di rassicurarlo: «Non ci pensare, tanto non morirai.»
Nero Trentacinque rise.
«Lo vorrei sperare, ma non possiamo essere sicuri di nulla.»
«Già, tutto può succedere» convenne Rosso Ventisette, «Ma quello che conta è non essere troppo negativi e disfattisti. È meglio non pensare sempre male. Dobbiamo crederci, sperare di potere avere un buon futuro e ottenere risultati di spessore.»
«Tu, almeno» rispose Nero Trentacinque, con una punta di amarezza. «Dopo nove stagioni come tester mi ritrovo qui, a guidare una carriola con la speranza di raccogliere qualche punto, venendo spesso risucchiato dal gruppo durante le gare con griglia di partenza invertita. Non so quale possa essere il mio futuro, se avrò mai la possibilità di schiodarmi da questo lato della griglia. Eppure per loro sono il raccomandato che ha avuto più di quanto merita. Non hanno nemmeno la più pallida idea di chi io sia, ma si sono fatti le loro fantasie e devono assolutamente continuare a farsele.»
Rosso Ventisette osservò: «Lo vedi, allora? Il problema degli hater ti tocca molto più di quanto tu creda. Dici che non ti interessa che vadano a scrivere che si augurano di vederti morire...»
Nero Trentacinque lo interruppe: «No, davvero, non mi tocca personalmente. Si augurano di vedermi morire in diretta televisiva? Che le immagini vengano proposte e riproposte invece di essere censurate? Questo non mi dà fastidio. Non so perché vogliano vedere morire proprio me, ma è solo una parte del tutto. Il problema è che, se non riversassero il loro odio su di me, sentirebbero comunque la necessità di odiare qualcun altro. Non trovo una spiegazione ragionevole a tutto questo. Va bene, lo accetto, il nostro pubblico non è composto da delle gran cime, ma perché augurarsi di vedere qualcuno morire, per poi trasformarlo nel proprio idolo? Perché è questa la realtà: se qualcuno muore, diventa un eroe. Se lo era già prima, viene bollato come il migliore di sempre. Se era uno qualsiasi, diviene una promessa.»
«Non pensarci» replicò Rosso Ventisette. «Fa schifo tutto, ormai, quindi è normale che faccia schifo anche il pubblico. In ogni caso, se l’idea ti può consolare, anch’io sono stato un tester, in passato. Lo sono stato per qualche anno, prima di essere promosso sulla griglia.»
«Ed eri qui, dove sono io adesso.»
«Mi stavo giusto chiedendo se lo sapessi.»
«Le voci girano più in fretta di quanto tu creda.»
«Quindi sai anche che...» Rosso Ventisette si interruppe. «Niente, lascia stare.»
Nero Trentacinque parve avergli letto nella mente.
«So che non sei stato tu a vincere in Malesia? È questo che volevi chiedermi?»
«Si notava così tanto?»
«Non hai gli occhi così tanto azzurri. E poi, mi sembri un po’ più basso.»
«Il pubblico non se n’è accorto, o almeno non tutti l’hanno fatto» osservò Rosso Ventisette. «Dovrebbe farmi piacere, invece lo trovo agghiacciante. Mi sono preso i meriti di una vittoria non mia, mentre il pilota che mi sostituiva adesso è tornato nell’anonimato.»
«Verde Quindici» borbottò Nero Trentacinque. «Un grande pilota, non lo nego, ma non capisco perché l’abbiano messo al posto tuo.»
«Invece di metterci te?»
«Ma no, cosa dici?»
«Tutti vorrebbero guidare la vettura rossa, è normale che anche tu abbia una simile ambizione. Però, io che ci sono, posso assicurarti che non è così speciale come sembra. Fa pensare alla Ferrari, ma la verità è che la Ferrari, insieme a tutti i marchi storici e non, adesso corre in altre categorie e qui ci siamo noi, numeri e colori senza identità.»
«Comprendo il tuo punto di vista.»
«E io comprendo il tuo.»
«Non ti ho detto il mio punto di vista.»
Rosso Ventisette ridacchiò.
«Sei bravo a cambiare le carte in tavola.»
«Sarà, ma non vedo carte. Vedo solo un Verde Quindici divenuto Rosso Ventisette giusto in tempo per conquistarsi una vittoria storica, facendo infiammare il pubblico, e un povero tester senza nome e senza colore divenuto al contempo Verde Quindici per andare a prendersi, in Sudafrica, un podio che nessuno gli attribuirà mai. Nessuno di noi vedrà mai riconosciuti davvero i propri meriti, qualunque cosa ne pensino i fanboy che adesso mi odiano perché pensano ci siano favoritismi nei miei confronti. Se venissi rimpiazzato da un altro, nemmeno se ne accorgerebbero. Eppure, sono convinti che ci sia stato qualche genere di complotto a mio favore, per farmi avere un volante.» La loro conversazione fu interrotta dall’attivo di Nero Trentasei, di ritorno dopo lo suo scambio di vedute con Quindici. Alla vista del compagno di squadra, Trentacinque si affrettò a concludere: «È stato un piacere parlare con te.»
Nero Trentasei spostò lo sguardo dall’uno all’altro. Doveva essersi reso conto che il loro argomento di conversazione non era stato leggero.
«Di cosa parlavate?» domandò.
«Bada ai fatti tuoi, ragazzino» gli intimò Nero Trentacinque, in tono scherzoso. «Quando sarai adulto, allora ti prenderemo in considerazione!»
Nero Trentasei accennò una risata, poi prese a fissare Rosso Ventisette. Sembrava volesse dirgli qualcosa, ma rinunciò, lasciandolo andare via.
Pochi istanti più tardi, Ventisette si ritrovò a tu per tu con Ventotto, di ritorno dal podio: aveva concluso il Gran Premio d’Australia in terza posizione.
«È già finita la conferenza stampa?» gli chiese.
«No, in realtà deve ancora iniziare» gli spiegò Rosso Ventotto. «Sono venuto via un attimo per andare in bagno, ma devo scappare. Ci vediamo dopo, così mi racconti la tua gara.»
Rosso Ventisette obiettò: «Non c’è molto da raccontare.»
L’altro replicò: «Sei appena tornato da un infortunio, le cose non potranno fare altro che migliorare, in futuro. Il mese prossimo torneremo in Europa. Sono sicuro che là inizierà la tua vera stagione.»
«La stagione è iniziata molto tempo fa.»
«Lo so, ma non potrà sempre andare male. Ora vado, ma dopo ne riparliamo.»
«Sarebbe meglio non riparlarne affatto, ma...»
Ventisette si interruppe. Ormai Ventotto stava già scappando a gambe levate. Non gli restava altro da fare che decidere se voleva rivederlo dopo la conferenza stampa oppure risparmiarsi il supplizio di dovere discutere delle sue peripezie avvenute in quei giorni all’Albert Park.
La seconda opzione lo allettava di più, ma Ventotto era l’unico con cui poteva confidarsi. Rimase quindi ad aspettarlo pazientemente, fintanto che l’altro non tornò. Erano soli, completamente soli, e avrebbe potuto lasciarsi andare e rivelargli quello che era successo davvero. Non si chiese se fosse un rischio da non correre. Non aveva più voglia di fare domande, aveva solo il desiderio di fidarsi di qualcuno, un po’ come molti anni prima Argento Tre aveva fatto con quel “ragazzino” senza nome che sarebbe un giorno diventato Nero Trentacinque e poi Rosso Ventisette.
Spiegò al compagno di squadra che l’infortunio rimediato in Bahrein non era così grave, ma che la dirigenza aveva deciso di non farlo tornare in pista in Sudafrica, adducendo a un referto medico fasullo che attestava la sua non idoneità al rimettersi al volante. Infine aveva ricevuto comunicazione di essere out, per esplicita imposizione, anche per il Gran Premio della Malesia, nel quale il suo sostituto aveva trionfato davanti alle monoposto del colore dell’argento.
Rosso Ventotto ascoltò le sue parole spalancando gli occhi in diverse occasioni. Non parlò finché Ventisette non ebbe finito di raccontare, ma quello che disse fu piuttosto condivisibile.
«Sono delle merde e il CEO è una merda più di tutti gli altri messi insieme!»
«Ti suggerisco di non ripeterlo pubblicamente.»
«Sarebbe da fare.»
«Rischieresti di essere radiato.»
«Non credo. Mi terrebbe al mio posto, per dimostrarsi democratico.»
Rosso Ventisette rifletté.
«Forse sì, magari hai ragione tu. È più probabile essere radiati per avere violato qualcuna delle assurde regole a cui dobbiamo sottostare, piuttosto che per averlo insultato. In ogni caso non ti consiglio di farlo. Mettersi contro di lui spontaneamente non è mai una buona cosa. È meglio concentrarsi e fare attenzione su quello che conta davvero: non andare contro la sua volontà per errore.» Era più di quanto avrebbe dovuto dire a Ventotto, ma ormai sentiva di non potersi fermare. «Una persona a cui tenevo molto ha fatto una brutta fine per una piccola leggerezza. Non voleva andare contro al CEO, non ci pensava neanche lontanamente. L’ha fatto per sbaglio, senza riflettere... e l’ha pagata a caro prezzo.»
Rosso Ventotto parve incuriosito da quella rivelazione.
«Era un pilota?»
«No, era un suo assistente, lavorava per lui alcuni anni fa.»
«Quando dici che l’ha pagata a caro prezzo non intendi dire che sia stato semplicemente licenziato, vero?»
«No.»
«È per quella persona che resti qui?»
La domanda di Ventotto era spiazzante.
«Cosa intendi dire?»
«Conosci lo schifo che c’è in alto e adesso l’hai provato anche sulla tua stessa pelle. Esistono altri campionati. Ti basterebbe rivelare la tua identità per suscitare interesse di categorie di alto livello. I piloti della A+ Series, una volta che se ne staccano, hanno sempre un futuro molto promettente. Però resti qui, non pensi al passaggio in endurance, come fanno i piloti di una certa età, o in Indycar, come ha fatto Santiago Fernandez. Non che Fernandez sia più giovanissimo, ma questo è un altro discorso. Se avesse voluto restare, sarebbe rimasto ancora a lungo. Tornando a te, resti qui perché in qualche modo senti di doverlo a quella persona, vero? Oppure perché cerchi la verità su quello che è accaduto?»
Rosso Ventisette sospirò.
«Penso sia meglio se badi ai fatti tuoi. È una vicenda pericolosa.»
«Lo immaginavo» ammise Rosso Ventotto. «Quella persona è morta?»
«C-cosa...» Ventisette era spiazzato. «Che cazzo stai dicendo?»
«Quella persona è morta» dedusse Ventotto. «Mi dispiace per quello che è successo. Spero che tu possa ottenere quello che speri e senza metterti nei guai. Ci tengo a te.»
«Non sai nemmeno chi sono.»
«Non mi serve sapere che faccia hai per volerti bene. Stanno cercando di renderci sempre meno umani, ma tutto ciò che riescono a fare con me è risvegliare sempre di più i miei sentimenti.»
Ventisette gli strizzò un occhio, cercando di allentare la tensione.
«Non innamorarti di me, però.»
«Non preoccuparti, ti vedo solo come un amico» ribatté Ventotto. «Sei un po’ come il fratello che non ho mai avuto. O la sorella, dato che non posso essere sicuro che tu sia un uomo.»
Rosso Ventisette avrebbe tanto desiderato raccontargli la sua storia, parlargli di Alysse, la sua identità quando si toglieva tuta e casco. Non poteva, non sarebbe stato saggio spingersi così tanto in là. Aveva già parlato abbastanza ed era meglio fermarsi, prima che fosse troppo tardi. Doveva scoprire la verità su Alex, anche se non aveva idea di come fare.

[IMOLA]
Il ritorno in Europa non riservò ad Argento Quattro grosse soddisfazioni. Il format prevedeva due sprint race la cui griglia di partenza era stilata dal risultato della sessione di qualifiche, una gara con reverse grid e infine il vero e proprio gran premio. Nelle prime due gare fu costretto ad accontentarsi del terzo posto, mentre fu il suo compagno di squadra a imporsi due volte. Nella prima fu Viola Cinque a separarlo dalla possibilità di andare a prendersi la vittoria mettendosi secondo tra lui e Tre, nella seconda quell’onore spettò a Viola Sei. La gara da reverse grid, invece, vide Rosso Ventisette scattare davanti a tutti, complice una rottura del motore in qualifica, a causa della quale sarebbe invece partito ventesimo in ogni altra gara dell’evento.
Rimasto in testa per oltre due terzi di gara, Ventisette iniziò a rallentare il ritmo negli ultimi giri, a causa del degrado delle gomme. Venne superato da Blu Ventuno, che lo staccò di parecchi secondi nei giri che li separavano dalla conclusione. Argento Quattro, partito dalle retrovie, non riuscì a risalire nella top-ten, ma era in buona compagnia: Viola Cinque arrivò alle sue spalle, mentre Rosso Ventotto rimediò un misero nono posto.
Il Gran Premio, la domenica, avrebbe potuto essere la gara della vita, per Argento Quattro. Bruciò i suoi diretti avversari alla partenza e iniziò a viaggiare in testa seminando il vuoto. Era imprendibile e tutto sembrava girare dalla sua parte, ma la peggiore delle delusioni lo attendeva dietro l’angolo. Mancavano appena tre giri quando il motore della sua monoposto esplose in una nuvola di fumo e i pensieri di molti appassionati - avrebbe scoperto più tardi - andarono a un episodio analogo, accaduto a Phil Corujas nel corso della stagione 2008. Fu uno shock e anche l’unica misera consolazione del fine settimana divenne del tutto ininfluente. Argento Quattro era stato molto felice di constatare che, dei suoi avversari più accaniti, soltanto Viola Cinque e Rosso Ventotto erano ancora due seri contendenti al titolo, ma di colpo le performance in netto calo di Rosso Ventisette iniziavano a non interessarlo più.
Nonostante tutto, non apprezzò di vederlo arrivare almeno decimo e artigliare l’ultimo punto disponibile. Si lasciò andare a un’assurda invettiva contro di lui, nelle interviste post-gara. Osservò che ormai chiunque doveva essersi accorto della sostituzione avvenuta in Sudafrica e Malesia, perfino chi era talmente idiota da non essersene accorto sul momento. Dipinse il pilota che aveva gareggiato a Kyalami e Sepang come un avversario degno di considerazione “a cui il vero Rosso Ventisette non è nemmeno degno di allacciare le scarpe”. Si lamentò del fatto che un pilota così scarso potesse occupare un posto di primo piano e arrivò a definirlo il peggiore che avesse mai gareggiato nella A+ Series. Soltanto quando era troppo tardi, si rese conto che le sue dichiarazioni non sarebbero state apprezzate. Anzi, si sarebbe probabilmente ritrovato addosso un cumulo di insulti, visto che buona parte delle sue affermazioni erano facili da smentire. Si immaginò che in molti rimarcassero che Ventisette era stato messo fuori gioco in qualifica da un guasto al motore e che, di conseguenza, fosse stato pesantemente condizionato da quel guasto. Qualcun altro, magari, avrebbe fatto notare che avrebbe potuto giocarsi la vittoria nella gara con reverse grid, sostenendo che, al massimo, si poteva tacciarlo di non essere un fenomeno nella gestione delle gomme. Avrebbe potuto avere dalla sua parte il pubblico più ignorante, incapace di fare simili ragionamenti, ma non era sicuro che fosse una consolazione.
Ben presto, tuttavia, scoprì di non avere tempo da dedicare a quei pensieri. Aveva appena smesso di essere Argento Quattro per tornare a essere Yannick Leroy quando fu raggiunto da Maelle Heidelberg in persona. Di solito non significava nulla di buono.
Cercò di non apparire turbato dalla sua presenza, nel domandarle, in tono cordiale: «Cosa posso fare per lei, signora Heidelberg?»
«Per me non può fare niente» gli rispose la donna, «Ma la invito a seguirmi, perché il CEO desidera parlarle di una faccenda seria.»
«Adesso?»
«Adesso.»
In tono della Heidelberg era irremovibile, quindi Yannick non aggiunse altro. Non voleva certo andare contro le volontà del CEO e della sua assistente, non quando poteva seriamente arrivare a giocarsi il tanto agognato titolo mondiale.
Mentre camminava alle spalle di Maelle, passò in rassegna tutto ciò che aveva detto o fatto nel corso dell’ultima settimana. Non gli sembrava di avere mai superato quel limite invalicabile che conduceva ad avere problemi seri con la dirigenza.
Fu condotto nell’ufficio del CEO, con il quale la Heidelberg lo lasciò solo. Yannick rimase in piedi, a fissare l’uomo che dettava legge sulla A+ Series, almeno finché questo non lo invitò ad accomodarsi.
«Prego, si sieda.»
Yannick fece ciò che gli era stato ordinato, azzardandosi a domandare: «Perché sono qui?»
Il CEO parve divertito da quelle parole.
«Davvero non ne ha la minima idea?»
«No.»
«Lo sospettavo.»
«Lo sospettava?» ripeté Yannick. «Mi devo preoccupare?»
«No, assolutamente» lo rassicurò il CEO. «Lei è uno dei piloti di punta del mondiale. Anzi, si potrebbe dire che sia l’unico pilota di punta del campionato.»
«Oh.» Yannick si guardò intorno, rendendosi subito conto di essere ridicolo. «Posso parlare liberamente?»
«Può identificarsi come Argento Quattro, intende?» Il CEO ridacchiò. «Certo che può, come ha avuto modo di vedere lei stesso, non c’è nessuno qui intorno, a meno che non esistano persone invisibili.»
«Sì, certo. Mi scusi se...»
«Se non sa come comportarsi? Non c’è problema. Molti non sanno come comportarsi, quando vengono nel mio ufficio. Lei, però, ha il coltello dalla parte del manico, o quantomeno non ce l’ha puntato alla gola. Se la sua preoccupazione è quella di avere potenzialmente violato le regole della categoria, le assicuro che non è accaduto. Nessuna regola le vieta di andare a letto insieme ad Alysse Mercier, oppure a fidanzarsi con lei.»
Yannick sussultò.
«A-Alysse?!»
«Non si inquieti, Yannick» continuò a rassicurarlo il CEO. «È tutto sotto controllo.»
«Cosa c’entra Alysse?» replicò Yannick, trovando un po’ di sicurezza. «Si tratta della mia vita privata, non ha niente a che vedere con il campionato. Non penso ci siano regole che ci impediscono di frequentare chi vogliamo.»
«No, affatto» mise in chiaro il CEO. «Però lei ha una relazione con Alysse Mercier e questo fa al caso mio. Ho bisogno, infatti, di qualcuno che la tenga d’occhio.»
«Cosa devo fare?»
Yannick stesso si stupì della facilità con cui gli uscirono di bocca quelle parole, ma non ebbe il tempo di rifletterci a lungo, dato che il CEO si affrettò a rispondergli: «Deve estorcerle delle informazioni. Ho bisogno di capire che cosa ne pensi la Mercier di me e dei miei collaboratori.»
«So che non dovrei chiederglielo, ma perché questo interesse per Alysse?»
«Non dovrebbe chiedermelo, ha detto bene.»
Yannick annuì.
«Lo so, ma ho l’abitudine di fare le cose per uno scopo. Non pretendo che mi spieghi per filo e per segno che cosa desidera da Alysse, ma almeno vorrei avere un minimo di comprensione. In più, mi piacerebbe sapere perché dovrei fare quello che mi chiede.»
Il CEO fece un sorriso subdolo.
«Avrebbe potuto dirmelo, che voleva sapere per prima cosa che cosa otterrebbe in cambio. In effetti mi rendo conto che pugnalare alle spalle la propria fidanzata - o amante, o qualsiasi cosa sia Alysse Mercier per lei - non è un’azione che si commette a cuore leggero. Però, se ho inteso bene le sue ambizioni, la mia impressione è che per lei il titolo mondiale venga prima di tutto.»
«Certo, gareggio nella A+ Series per il successo e questo, per me, conta più di ogni altra cosa» confermò Yannick. «Alysse è solo una donna che mi porto a letto. Ci tengo a lei, ma non tanto quanto alle vittorie. Non penso che potrei mettere una partner al di sopra del desiderio di diventare campione del mondo.»
Il CEO replicò: «Però è difficile diventare campione del mondo quando la meccanica si mette contro questa possibilità.»
«Cosa vuole dire?»
«Che oggi ha rotto il motore.»
«Sfortuna, ma mi rifarò.»
Il CEO scosse la testa.
«No, Yannick, non si è trattato di sfortuna. Dovevo dimostrarle chi comanda. Certo, è liberissimo di rimanere fedele alla sua Alysse Mercier, se lo desidera, ma in tal caso dovrò prendere le mie contromisure. Se, come ha detto, ci tiene così tanto al titolo mondiale, non sarà difficile per lei prendere una posizione definita. Vuole stare dalla mia parte oppure da quella di Alysse?»
Yannick aggrottò la fronte.
«Mi sta dicendo che il guasto al motore è stata una sua iniziativa? E che l’ha fatto per convincermi a collaborare con lei?»
«Vedo che capisce al volo.»
«Quindi, se io dovessi accettare, non accadrebbe più nulla di pilotato dall’alto e sarei libero di giocarmela? Mentre se rifiutassi, potrebbero succedere altri episodi come quello di oggi?»
«È molto perspicace, ma le offro di più.»
«Cos’altro potrebbe offrirmi?»
«Non metto in discussione né le sue capacità né le performance della monoposto che guida, ma potrebbe non essere sufficiente. Ha degli avversari pericolosi. Farò in modo che possa succedere a loro quello che oggi è successo a lei. Certo, dovrò lasciarli in lotta ancora per un po’, uno dei due magari fino alla fine della stagione, ma li fermerò quando sarà il momento opportuno.»
«Mi sta offrendo il sabotaggio dei miei nemici in cambio di collaborazione?»
«Mi piace il fatto che li definisca nemici, invece che avversari. Significa che posso contare su di lei?»
Yannick cercò di fermarsi un attimo a riflettere, ma si rese conto ben presto che non era possibile. Non sarebbe stato capace di tirarsi indietro, l’offerta del CEO era fin troppo allettante ed era disposto a piegarsi a tutto ciò che potesse ristabilire la giustizia.
«Come avrà capito, li detesto con tutte le mie forze. Credo che Viola Cinque sia un pilota finito che dovrebbe appendere il casco al chiodo. Tutto ciò che servirà a convincerlo che deve farsi da parte è ben accetto. Rosso Ventotto, invece, è un pilota eccessivamente caotico che si è messo in testa di essere un campione e di stare sulla strada di gente ben più quotata di lui. Infine, anche se non credo abbia molte possibilità di vincere il mondiale, Rosso Ventisette è un pilota di rara inutilità. Non so come sia capitato a gareggiare per un top-team, ma si stava molto meglio senza di lui.»
«Ha le idee chiare, Yannick.»
«Sì, so di meritarmi questo mondiale molto di più di chiunque di loro.»
«E lo avrà» gli assicurò il CEO. «Faccia quello che le chiedo e avrà ciò che merita.»
«Devo comunque chiederle perché» puntualizzò Yannick. «Non pretendo, ovviamente, che mi spieghi ogni singolo dettaglio, ma vorrei sapere che cos’ha fatto Alysse. Perché vuole tenerla sotto controllo?»
«Alysse, di per sé, non ha fatto niente» chiarì il CEO, «Ma si è convinta di molte idee sbagliate sulla morte di suo marito. Alexandre Mercier era un mio collaboratore. Purtroppo si è suicidato diversi anni fa, sul posto di lavoro. È stato un profondo dispiacere per me, perdere una persona che stimavo. La mia impressione è che Alysse abbia travisato. Vede qualcosa di poco chiaro nella morte di quel poveretto, ma solo perché non è in grado di accettare la verità.»
«Oh, non lo sapevo.»
«Alysse non le ha mai parlato di suo marito?»
«Mi ha accennato alla sua esistenza, ma credevo fosse divorziata, o quantomeno legalmente separata. Non ho mai sospettato che Alex fosse morto.»
«Come vede, Alysse le ha nascosto dei dettagli importanti.»
«In realtà non mi ha nascosto nulla. Non le ho mai chiesto di essere più chiara, in proposito. Mi bastava sapere che suo marito - che io consideravo il suo ex marito - non fosse presente nella sua vita e che non si mettesse tra di noi. Tutto ciò che mi interessava era di andare a letto con una donna che non fosse già impegnata con un altro e Alysse non lo era.»
«La capisco. Decisione saggia, perché complicarsi la vita per qualche scopata, dopotutto?»
Yannick decise di venire al sodo: «Cosa vuole che scopra su Alysse?»
«Voglio che si faccia raccontare per filo e per segno i suoi sospetti e me li riferisca. A quel punto agirò di conseguenza.»
«Perché non le parla?»
«Cosa intende?»
«Se Alysse sospetta che le stia nascondendo qualcosa a proposito del suicidio di Alex, potrebbe dare delle spiegazioni direttamente a lei.»
«Alysse Mercier non è il tipo di persona che si accontenta delle spiegazioni.»
Quello tracciato dal CEO era un ritratto che, secondo Yannick, si addiceva ben poco ad Alysse.
«Credo si sbagli.»
«Forse è lei che si sbaglia» replicò il CEO, con una strana luce negli occhi. «Mi dica, Yannick, è convinto di conoscerla bene?»
«Non benissimo, ma non penso sia in grado di nascondere nulla di serio.»
«Non come voi piloti, che siete costretti a nascondere la vostra identità e, di conseguenza, imparate facilmente a nascondere anche tutto il resto?»
«Una specie.»
«Mi dispiace deluderla, ma Alysse Mercier gareggia nella A+ Series. Questo, immagino, non fosse neanche lontanamente un suo sospetto.»
Yannick sussultò.
«Alysse... un pilota?!»
Il fisico ce l’aveva, in effetti, ma si era fidato di lei. Era riuscita a ingannarlo, mentre da parte sua si era sentito costretto a confidarle di gareggiare in quella categoria, seppure avesse mantenuta segreta la propria identità.
«Esattamente, Alysse Mercier è uno dei venti piloti titolari» ribadì il CEO. «Immagino che non sappia chi.»
«Immagina bene.» Yannick cercò di passare in rassegna gli occhi di tutti i suoi colleghi, per trovarne un paio che si adattasse alla sua partner. «Presumo sia un pilota delle retrovie.»
«Alysse Mercier è Rosso Ventisette, uno dei piloti che ha affermato di odiare» gli rivelò il CEO, a bruciapelo. «Questo cambia tutto, mi auguro.»
Quelle parole erano spiazzanti.
«R-Rosso Ventisette?»
«Rosso Ventisette» ripeté il CEO. «Non avrei voluto sconvolgerla, ma vedo quando questa notizia la turbi.»
Era più di quanto Yannick potesse sopportare.
«Maledetta stronza... e fuori dalla pista è sempre stata così dolce e carina!»
«Invece è una dei tanti che vorrebbero buttarla giù dal suo piedistallo» concluse il CEO. «Adesso che gliel’ho detto, so per certo da che parte starà. Non le sarà difficile estorcerle quello che vuole. “Alysse, raccontami tutto, oppure la tua carriera è finita, perché rivelerò al mondo che Rosso Ventisette sei tu”, come le pare?»
«Mi sta suggerendo di ricattarla?»
«Alysse Mercier fa parte di quella categoria che ha definito suoi nemici. Cerchi di non dimenticarselo.»
Yannick si arrese. Non l’avrebbe dimenticato. Si sarebbe vendicato di Alysse, avrebbe dato al CEO ciò che desiderava e sarebbe diventato campione del mondo. Tutto sarebbe filato liscio, con il trionfo del giusto vincitore.

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Milly Sunshine