sabato 27 maggio 2023

Il Paradosso del 27 - puntata 6/9

Buongiorno!
Condivido la puntata numero 6, perché no?


[VALENCIA]
Era la prima serata del sabato e, per giorni, era circolata insistente nel paddock la voce secondo cui Viola Cinque avesse organizzato una festa in occasione del suo presunto addio alle competizioni al termine della stagione. Sarebbe stato un evento a cui i piloti erano invitati a prendere parte in incognito, ovvero con la loro normale identità, invece che in tuta e casco. Nessuno avrebbe dovuto rivelare quale pilota fosse in realtà, né tantomeno l’accesso sarebbe stato consentito soltanto ai piloti. Argento Quattro non aveva ricevuto alcun invito, ma ne aveva sentito parlare al punto tale da spingersi a chiedere al suo vecchio amico Watanabe se ne sapesse qualcosa.
Quella conversazione era avvenuta soltanto il giorno prima, momento che gli sembrava ormai lontanissimo. La sprint race con griglia di partenza invertita, avvenuta quel pomeriggio, aveva stravolto totalmente le sue prospettive. Per la prima volta - la prima in cui non aveva ricevuto rivelazioni del CEO, quantomeno - aveva identificato con certezza uno dei propri colleghi, quello che l’aveva speronato, pareva accidentalmente, durante la gara. L’aveva seguito senza farsi vedere fino ai bagni e, da una finestra, aveva guardato all’interno, facendo una scoperta epocale.
Era combattuto tra il correre il rischio di farsi smascherare tentando di mandare a monte la carriera di Ryuji Watanabe, che non si era affatto ritirato dalle competizioni, ma si nascondeva sotto le mentite spoglie di Rosso Ventotto, o l’attendere pazientemente. Al party di Viola Cinque avrebbe potuto, con un po’ di fortuna, identificare qualche altro pilota, e al di là di una potenziale vendetta per l’incidente da lui innescato, Rosso Ventotto non era al momento il suo principale avversario. In ottica mondiale, era ancora Viola Cinque quello da distruggere. Certo, c’era l’assicurazione da parte del CEO che Cinque non avrebbe vinto il titolo, se Yannick avesse collaborato con lui, ma sapeva di non potere nutrire nei suoi confronti una fiducia totale. Era sicuro che, se si fosse tirato indietro, ne avrebbe pagato le conseguenze. Dall’altro lato, tuttavia, si era gettato in una situazione che non gli dava alcuna garanzia. Non gli era del tutto chiaro cosa fosse accaduto ad Alexandre Mercier, ma se il CEO l’aveva in qualche modo istigato al suicidio non si sarebbe certo tirato indietro di fronte alla prospettiva di non mantenere la parola data sull’aiuto ad Argento Quattro nella lotta per il campionato.
Decise di non fare nulla di avventato nei confronti di Ryuji. Con un po’ di fortuna l’avrebbe incontrato alla festa e gli avrebbe parlato di persona. Potevano ancora arrivare a un accordo. Watanabe non faceva altro che tacciare Argento Quattro di essere uno stronzo, era molto improbabile che non sapesse chi si nascondesse sotto quella tuta e quel casco. Rivelare pubblicamente chi fosse Rosso Ventotto avrebbe significato correre il rischio che l’ex pilota di Indycar ripagasse con la stessa moneta e Yannick voleva evitarlo. Non avrebbe accettato di gareggiare in un’altra categoria come Yannick Leroy, nonostante le offerte che sarebbero di sicuro fioccate una volta svelato il suo vero nome, quantomeno non prima di avere portato Argento Quattro sul tetto del mondo. Non poteva tollerare l’idea di una radiazione, non per causa di Ryuji.
Si diresse verso il locale nel quale si svolgeva la festa ed entrò. Venne accolto poco dopo da nientemeno che Tina Menezes. La trovò in compagnia di un terzetto di persone nel quale svettava un uomo dall’aria un po’ hippy, con capelli dorati dalla piega ondulata, tenuti indietro da una fascia che ne nascondeva la probabile stempiatura. Aveva un accenno di barba piuttosto curata e portava una camicia a quadri abbinata a un paio di jeans. Non era difficile riconoscerlo: si trattava di Axel Frosch, attivista ambientale che, evidentemente, nella vita non aveva null’altro da fare che starsene in giro al seguito della A+ Series. A quanto pareva gli attivisti ambientali che non facevano altro che parlare di biocarburanti dovevano guadagnare abbastanza da non dedicarsi ad alcuna altra attività professionale. Fu un po’ più difficile identificare il tale che stava accanto a Frosch in quel momento: era un uomo dalla pelle scura, con i capelli lunghi raccolti in una coda. Vestiva in maniera molto sobria e piuttosto elegante. Solo un tatuaggio che si intravedeva sul collo stonava un po’ con la sua mise tanto principesca, e proprio da quel lembo di pelle coperto di inchiostro Yannick lo riconobbe come Hamster Gangster. L’altro, infine, si chiamava Ricky Scarpelli, ultimamente aveva avuto occasione di scambiare qualche parola con lui, pur non avendo compreso di cosa si occupasse per mestiere. L’aveva già visto parecchie volte in compagnia di Tina Menezes e gli era rimasto impresso per il suo perenne sorriso a trentadue denti, che spesso aveva classificato come “sorriso da ebete”.
«Leroy?» gli chiese Tina, distogliendolo dalla sua fase di identificazione di quel gruppo.
«Yannick Leroy» confermò.
«È un piacere che tu sia qui» rispose Tina, in tono piuttosto cordiale, puntandogli addosso un paio di occhi scuri. «Non pensavo saresti venuto.»
«Perché no?» ribatté Yannick. «Non è una festa aperta ai soli piloti, mi pare di avere capito. Anche perché tu non saresti qua, in tal caso, né tantomeno i tuoi amici.» Quantomeno Axel Frosch e Hamster Gangster, si disse, dato che non aveva alcuna prova che Scarpelli non fosse un pilota. «Ti ha invitato Viola Cinque in persona?»
«Non importa chi mi abbia invitato» replicò Tina. «Tu, invece, come hai scoperto di questa festa?»
«Me ne ha parlato un mio amico che lavora per la stampa giapponese» disse Yannick. Non era del tutto falso, ne aveva effettivamente discusso con Watanabe. La parte meno veritiera era averlo definito un amico: alla luce di quanto aveva scoperto su di lui, non poteva più ritenerlo tale. «Ho pensato di venire. È sempre bello vedere dei potenziali piloti senza tuta e senza casco.»
«Potenziali piloti» ripeté Tina, lasciandosi andare a una mezza risata. «Effettivamente potremmo esserne circondati.» Posò una mano su una spalla a Frosch. «Hai sentito, Axel? Pure tu potresti essere un pilota, per quanto ne sappiamo!»
A Yannick non sfuggì lo sguardo desolato di Ricky, al contatto fisico seppure banale tra Tina e Axel. Gli venne spontaneo pensare che a Scarpelli piacesse la Menezes, ma che sapesse di non avere speranze con lei. Frosch, invece, doveva trovarsi in una situazione molto diversa.
«Se fossi un pilota» ribatté Frosch, «Temo che le mie performance ogni tanto sarebbero oscurate dalla volontà di salvaguardare la natura.»
Yannick azzardò: «Faticheresti a guidare vetture che non sono alimentate a biocarburante?»
«Secondo me non si fa abbastanza ricerca, a proposito dei biocarburanti» ammise Axel, «Ma non parlavo di questo. Mi riferivo piuttosto alle invasioni di animali che ogni tanto avvengono durante le gare. Abbiamo visto cani, lepri, marmotte, una volta addirittura un varano che ha tagliato la strada a Blu Ventuno durante una sessione di prove libere, per non parlare dei pennuti di varia natura in volo... e a volte anche non in volo. Se mi ritrovassi dei gabbiani giganti nel bel mezzo della pista, che non si schiodano di lì neanche a causa del frastuono delle monoposto, cosa potrei fare? Mi verrebbe spontaneo rallentare per evitarli, il tutto mentre chiunque altro se ne sbatte della loro presenza. Per esempio, tu, Hamster, ti rallenteresti per preservare l’integrità dei gabbiani?»
Udendo pronunciare il proprio “nome”, Hamster Gangster si girò all’improvviso.
«Di cosa parli, Axel?»
«Degli animali che attraversano la pista durante le gare. Se tu fossi un pilota, rallenteresti per schivarli o metteresti al primo posto la tua gara?»
«Non sono un pilota, sono un cantante.»
«Un cantante tamarro di musica orribile.»
«Tu non hai un minimo di buon gusto.»
«No, sei tu che non hai un minimo di buon gusto. Sul palco sei sempre vestito in modo insensato.»
Hamster Gangster gli strizzò un occhio.
«Non sono mica io che decido come vestirmi! Sono profumatamente pagato per trasmettere il messaggio che, se anche dovessimo andarcene in giro con un copripoltrona addosso, la gente deve essere obbligata a dirci che stiamo benissimo, altrimenti è body-shaming.»
«Il body-shaming è un’altra cosa» obiettò Axel Frosch.
«Sì, ma gli appassionati della A+ Series sono in gran parte individui mononeuronici, quindi non possono capire queste cose» puntualizzò Hamster Gangster. «Comunque anche tu sei pagato per parlare dei biocarburanti.»
«Io sono davvero interessato ai biocarburanti. Vorrei tanto un trattore a biocarburanti, per andarmene in giro per la mia fattoria.»
Quella conversazione stava diventando lunga e ripetitiva, quindi Yannick decise di defilarsi, non prima di avere notato Ricky che discuteva amabilmente con Tina. Doveva essere molto contento che Axel si fosse distratto a parlare con Hamster Gangster. Si allontanò, specie dopo avere intravisto una chioma familiare: capelli neri con punte colorate di blu, la stessa che aveva intravisto in bagno dopo l’incidente.
Aveva una questione in sospeso con Ryuji Watanabe, era giunto il momento di andare a raggiungerlo. Vide l’ex pilota di Indycar dirigersi verso la toilette, quindi si avviò in quella direzione. Prima di entrare, sbirciò all’interno. C’era un enorme antibagno con diversi lavandini, che si trovava davanti sia ai bagni maschili sia a quelli femminili, come un unico ingresso. Watanabe si stava lavando le mani a uno di essi e non doveva essersi accorto della sua presenza. Era probabilmente convinto di essere da solo, nel momento in cui se le asciugava con una salvietta di carta presa all’apposito distributore.
Yannick entrò, lo afferrò da dietro e lo spinse violentemente contro il lavandino, sibilando: «Ho scoperto chi sei, Rosso Ventotto di merda!»
L’altro, che aveva perso l’equilibrio, si rialzò a fatica, prima di girarsi verso di lui. Yannick notò con piacere che aveva un taglio sanguinante sul labbro inferiore.
«Y-Yannick?» esclamò Ryuji, tradendo una certa sorpresa.
«Devi stare attento a quello che fai» gli intimò Yannick. «Non puoi andartene in giro a provocare incidenti così come se niente fosse. Non ti interessa niente del titolo? Va bene, non è un problema mio, ma ci sono piloti che lottano seriamente per il campionato e non devi metterti sulla loro strada! Al prossimo casino che combini, tutti sapranno chi sei e sarai costretto ad andartene.»
Ryuji lo fissò con gli occhi strabuzzati.
«Argento Quattro?!»
Solo troppo tardi Yannick si rese conto che non era un’affermazione, ma una domanda. Ryuji non aveva capito che Argento Quattro fosse proprio lui, quantomeno fino ad allora. Si era tradito. Tutta l’attenzione che aveva messo per anni nel nascondere la propria identità era stata inutile.
Watanabe la prese come una conferma.
«Argento Quattro.»
«Cosa vuoi fare?» gli chiese Yannick, secco. «Non osare metterti contro di me.»
«Non mi metto contro nessuno, a meno che non siano gli altri a istigarmi» replicò Ryuji. «Fai finta di non sapere chi sono e sparisci, in tal caso fingerò di non sapere chi sei. Però tu dovrai fare lo stesso. È uno scambio equo, mi pare.»
«Tu non dirai a nessuno che sono Argento Quattro» ribadì Yannick, «Altrimenti farai una brutta fine. Sono stato chiaro?»
«Sei stato chiarissimo» rispose una voce.
Non era stato Ryuji a parlare, ma una donna alle spalle di Yannick, che subito si girò a guardarla.
«A-Alysse?»
«Sorpreso di vedermi?»
«Beh, sì» ammise Yannick. «Cosa ci fai qua?»
«Ero venuta a controllarmi il trucco, ma ci sono cose più interessanti nella vita, a quanto pare» rispose Alysse. «Forse dovrei chiederti cosa ci fate voi. Perché Ryuji è imbrattato di sangue? E perché tu hai appena detto di essere Argento Quattro?»
Yannick si rivolse ancora una volta a Ryuji: «Mi raccomando, non fare casini. Dimentica quello che ci siamo detti e anch’io dimenticherò.» Pronunciate quelle parole, prese Alysse per un braccio e la pregò: «Vieni con me, posso spiegarti tutto.»
Alysse parve divertita.
«Puoi spiegarmi? Che cosa? Vuoi dirmi che non sei davvero Argento Quattro? Oppure spiegarmi perché ti comporti sempre così da stronzo?»
«Dai, vieni con me, parliamone da soli, non davanti a questo cretino.» Si avviò verso la porta, lasciando il braccio di Alysse, che comunque lo seguì. «Va tutto bene, non preoccuparti.» Una volta fuori dall’antibagno, Yannick si guardò intorno. Vide una porta con la scritta “privato”. Provò ad abbassare la maniglia. Si aprì e comparve davanti ai suoi occhi uno sgabuzzino stipato di strumenti di pulizia. «Forza, vieni dentro.»
Alysse continuò a seguirlo.
Yannick richiuse la porta e vi spostò contro un carrello, come a bloccarla.
«Allora?» gli chiese Alysse. «Perché siamo qui?»
Yannick scattò verso di lei e la baciò. Alysse non si tirò indietro, ma non appena le loro labbra si separarono tornò alla carica.
«Sei davvero Argento Quattro?»
«Sì, sono Argento Quattro» ammise Yannick. Dopotutto il fatto che Alysse l’avesse scoperto non era così terribile. Aveva in mano elementi importanti contro di lei, non aveva molto di cui preoccuparsi. «Lo so, ti sembro uno stronzo, ma sono sempre io. Quando scopavamo, non ti sembravo stronzo, vero?»
Alysse fece una risatina.
«Beh, no.»
«Allora posso dimostrarti che non lo sono nemmeno adesso.» Yannick allungò una mano, ad abbassarle una delle spalline dell’abito da sera rosso che indossava. «Nessuno può vederci, adesso. Perché dobbiamo sprecare questo momento?»
Sarebbe stato un buon modo per prendere tempo. Inoltre sarebbe riuscito a coglierla davvero di sorpresa, alla fine, quando le avrebbe rivelato che sapeva che era Rosso Ventisette. Non avrebbe voluto arrivare a tanto, ma Alysse era una dei suoi avversari, non doveva dimenticarselo. In quel momento la Mercier non poteva sapere. Certo, disapprovava i suoi comportamenti in pista, così come molto probabilmente anche quello che era appena successo tra lui e Ryuji Watanabe, ma non abbastanza da volersi allontanare da lui. Per un attimo ancora, Yannick si chiese come avrebbe reagito, ma decise che non doveva importargli, almeno per un po’: quella sera il piacere - verosimilmente per l’ultima volta - sarebbe venuto prima del dovere.


[IL DOCUMENTARIO]
(Sei anni prima)
Alysse non avrebbe saputo spiegarsi perché avesse scelto di accompagnare Alex alla sede. Forse era stata la sua sicurezza nell’assicurarle che gli sarebbe servita solo una mezz’ora per definire alcuni punti insieme al CEO, forse la promessa che poi avrebbero trascorso il resto del pomeriggio insieme. Mentre suo marito non c’era, il disagio saliva, dentro di lei. Nonostante avesse sempre saputo di non potere fare niente per impedirglielo, non aveva mai approvato la sua scelta di prestare la propria immagine per un falso storico. Il finto disastro di Monza aveva avuto effetti devastanti non solo su un’intera categoria motoristica, ma anche sui piloti che avevano gareggiato in tale categoria. La versione ufficiale narrava che, dopo un devastante incidente che aveva sorprendentemente coinvolto tutte le monoposto, nessuna esclusa, subito dopo la partenza, con tanto di scontri multipli e vetture finite in fiamme, alcuni di loro avessero perso la vita. Il CEO in persona aveva dichiarato che la loro identità non sarebbe mai stata rivelata e, dopo l’immediata cancellazione della Formula 1 e la nascita della A+ Series, ai piloti “sopravvissuti” era stato chiesto di non rivelare mai di essere ancora in vita, pena la radiazione perenne dal nuovo campionato e la minaccia di escluderli da qualsiasi categoria motoristica e di trovare un modo per accusarli di essere responsabili dell’incidente avvenuto su suolo italiano.
Per quanto Alysse potesse comprendere le ragioni per cui la totalità dei piloti si era rassegnata a sottostare a quella regola, rendendosi complice della più grande menzogna della storia del motorsport, non le era altrettanto chiaro come mai persone esterne dovessero a loro volta partecipare alle falsità della A+ Series. Aveva fatto presente ad Alex che avrebbe potuto liberarsi da ogni impiccio abbandonando il proprio ruolo accanto al CEO e cercandosi un altro lavoro. Aveva tutti i requisiti necessari per trovare un nuovo impiego di primo piano, ma quando Alysse glielo aveva fatto presente aveva replicato che la A+ Series ormai faceva parte della sua esistenza.
Ovviamente Alysse non l’aveva costretto a tirarsi indietro. Nessuno dei due aveva l’abitudine di cercare di imporsi sull’altro, in più si rendeva conto di essere lei, tra i due, quella più esposta al pericolo. Se accettava senza mezzi termini di gareggiare in una categoria motoristica di quello stampo, allora non poteva certo pretendere che Alex non avesse a che fare con il CEO e con i suoi sporchi giochi. Doveva solo sperare che non si fosse lasciato trascinare così tanto da andare incontro a un punto di non ritorno.
Attese, sperando che la sua riunione con il CEO terminasse. Nel corridoio, appoggiata alla parete, ogni pochi istanti finiva per controllare l’ora sul quadrante del proprio orologio da polso. Stanca di aspettare senza fare nulla, si avviò verso l’ufficio nel quale si stava svolgendo l’incontro. Avrebbe aspettato là, decise, senza immaginare che quella decisione avrebbe contribuito a scoperchiare un enorme vaso di Pandora.
Il CEO aveva la porta aperta. Alysse poteva vedere Alex, che le voltava di spalle, seduto di fronte all’uomo che dirigeva la A+ Series. Quest’ultimo, all’improvviso, alzò gli occhi e la scorse. Alysse notò che diceva qualcosa ad Alex, che poi si girò fugacemente a guardarla. Non comprese le loro parole, ma si rese conto subito che il CEO non era indifferente alla sua presenza.
Si alzò in piedi e venne ad affacciarsi.
«Come mai è qui, Alysse?» le chiese.
«Ho...» Alysse cercò qualcosa di sensato da dire. «Stavo aspettando mio marito, quindi sono venuta a fare un giro lungo questo corridoio. Mi scusi se mi sono spinta troppo oltre. Non volevo disturbare in alcun modo.»
Il CEO parve piuttosto affabile.
«Non si preoccupi. Anzi, vuole entrare con noi?»
Alysse aggrottò le sopracciglia.
«Entrare? Oh, no, certo.»
Non le sarebbe dispiaciuto ascoltare quello che suo marito e il CEO avevano da dirsi, in realtà, ma lo riteneva altamente inopportuno. In linea teorica, Alex non avrebbe dovuto raccontare a nessuno della partecipazione al “documentario”. Il fatto che Alysse l’avesse accompagnato proprio in occasione di una riunione in proposito doveva apparire quantomeno sospetto.
Il CEO, ugualmente, le parve sospetto mentre la esortava: «Avanti, entri.»
«No, davvero» insisté Alysse. Cercò di salvare il salvabile, puntualizzando: «Mio marito non sa chi io sia davvero, mi sembra giusto non volermi intromettere nei suoi affari lavorativi.»
«Lei è una donna saggia, Alysse» osservò il CEO, con tono carico di approvazione. «Mi viene quasi difficile credere che sia la moglie di Alexandre Mercier.»
«Perché?»
«Non si offenda, ma il suo consorte non è sempre così affidabile.»
«Eppure è uno dei suoi più stretti collaboratori.»
«Devo ammettere che trovare collaboratori che siano sempre affidabili, dove per sempre intendo in ogni singolo momento, è più difficile di quanto possa sembrare.»
Quella conversazione stava durando ormai da troppo tempo. Era meglio cercare di congedarsi.
«È il caso che mi sposti in un luogo in cui non darò disturbo a nessuno. La lascio alla sua riunione... e mi scusi ancora se sono comparsa qui dal nulla. Non pensavo che avesse la porta aperta.»
«Chiudo la porta soltanto quando ho segreti, per esempio quando devo tutelare l’identità di qualche pilota. A proposito, immagino che suo marito non sappia con esattezza che lei è uno specifico pilota.»
«Naturalmente no.»
«Lei è una persona discreta, dopotutto.»
Alysse si sforzò di sorridere.
«Già. Diciamo che comprendo le esigenze di segretezza e faccio tutto ciò che è in mio potere per tutelare me stessa e la categoria.»
«Peccato sia un pilota. Sarebbe una collaboratrice affidabile, lei. Lo sarebbe molto più di suo marito.» Il CEO diede segno di essere sul punto di rientrare. «È stato un piacere vederla, Alysse.»
Stavolta si curò di chiudere la porta, lasciandola sola nel corridoio. Alysse tornò indietro, allontanandosi nella direzione dalla quale era venuta. Tornò ad appoggiarsi alla stessa parete, ma evitò di tenere sotto ossessivo controllo l’orario. Cercò di pensare ad altro e, quando si accorse di non riuscirvi, si limitò a non pensare.
Alex ricomparve circa un quarto d’ora più tardi. Sembrava entusiasta, quindi Alysse cercò di non dimostrarsi troppo delusa. Si ripeté che Alex aveva un lavoro e che, grazie a quel lavoro, cercava di guadagnare il più possibile. La partecipazione al falso storico, per lui, era dettata dalla cifra che gli era stata promessa e che in parte aveva già ricevuto. “Il resto” le aveva spiegato, “arriverà quando il documentario uscirà”.
«È andato tutto bene» le disse.
«Mi fa piacere» rispose Alysse, in tono piatto.
«Il CEO è stato molto soddisfatto del mio lavoro» le riferì Alex. «Non mi sono preso tutti i meriti, sia chiaro. Gli ho detto che sono fortunato ad avere una donna come te nella mia vita e che sei la mia musa ispiratrice.»
Alysse si irrigidì.
«Hai detto al CEO che, stando con me, sei riuscito a trovare la strada giusta per mentire a proposito della A+ Series?»
«Gli ho detto che, se non ci fossi tu nella mia vita, tutto sarebbe molto più complicato, per me» replicò Alex. «Comunque, quando mi ha chiesto se ti avessi informata di quello che ho fatto, gli ho detto che sai tutto e che sei orgogliosa di me. So che non è vero, che avresti preferito diversamente, ma visto che ti è imposto di non andare contro la narrativa ufficiale, gliel’ho lasciato credere.»
Alysse abbassò lo sguardo.
«Non avresti dovuto farlo.»
«Non avrei dovuto dirgli che, come pilota di questa categoria, segui le regole di questa categoria senza battere ciglio?»
«Non avresti dovuto dirgli che mi hai parlato della tua partecipazione al documentario. La segretezza è importante.»
Alex parve non preoccuparsi troppo.
«La segretezza è importante per voi piloti. Gli ho detto esplicitamente che non so chi sei, l’ho ribadito più di una volta. Io non devo nascondere la mia identità.»
«Spero che tu abbia ragione.» Alysse alzò gli occhi e lo fissò con fermezza. «Voglio augurarmi che non sia un problema, per il CEO, se mi hai messa a conoscenza del tuo nuovo ruolo. Potrebbe non esserne troppo entusiasta.»
Alex sembrò divertito.
«Cosa c’è, hai paura che mi licenzi, adesso?»
«Non lo so nemmeno io di cos’ho paura» ammise Alysse, «Ma inizio a pensare che tu ti sia gettato in una situazione sulla quale non hai alcun controllo.»
Alex le ricordò: «È da molto che lo pensi, non hai iniziato ora. Diciamo che, fin dal primo giorno in cui ti ho raccontato del mio nuovo incarico, hai sempre creduto che mi fossi cacciato in un guaio senza via d’uscita.» Sospirò. «In un certo senso è così. Il CEO mi ha chiesto di tornare domani pomeriggio... ma appunto, il problema è solo questo: ti avevo promesso che avremmo passato insieme tutta la giornata, invece non sarà possibile.»
«Oh, che peccato, mio marito va al lavoro invece di stare tutto il giorno attaccato alle scatole!» scherzò Alysse. «Non preoccuparti, con tutto il bene che posso volerti, ogni tanto è meglio se te ne vai.»
«Anche il giorno del nostro anniversario?»
«Soprattutto il giorno del nostro anniversario. Tre anni di matrimonio sono stati lunghi e intensi, riposarmi un po’ la mente mentre non ci sei sarà uno spasso.»
«Cercherò di tornare presto.»
«Se proprio devi!»
«Certo che devo. Va bene tutto, vanno bene i documentari, va bene lavorare a stretto contatto con il CEO, vanno bene i soldi che riceverò per quello che ho fatto... ma a tutto c’è un limite e quel limite finisce proprio dove inizi tu.»
Alysse sbuffò.
«Dai, non cercare di fare il poeta. Ti riesce malissimo. Suoni quasi ridicolo, quando hai queste uscite. Piuttosto, pensiamo ad andarcene da qua. O vuoi passare tutto il resto del pomeriggio qui in sede?»
«Per niente» ribatté Alex. «Se dovessi scegliere dove passare il resto del pomeriggio, sarebbe a letto con te.»
«Parla piano!» lo rimproverò Alysse. «Vuoi che qualcuno ti senta?»
«Sto pianificando di svolgere i miei doveri coniugali» puntualizzò Alex. «Non vedo perché dovrebbe essere un problema, se qualcuno mi sentisse.»
Alysse allungò una mano e fece il gesto di tappargli la bocca.
«Basta, andiamo, se non vuoi che ti chieda il divorzio prima ancora di arrivare a tre anni di matrimonio.»
«Come desideri, principessa.» Alex ridacchiò, spostando la sua mano. «Meglio andare, dato che, appunto, abbiamo programmi molto più interessanti.»
Il resto della giornata fu molto piacevole. Una volta uscita dalla sede, con il CEO e il suo “documentario” ormai alle spalle, non le venne più da pensare alle dinamiche vere e immaginarie del motorsport a ruote scoperte. Non rievocò minimamente gli avvertimenti del primo Argento Tre, né i suoi occhi verdi che somigliavano tanto a quelli dell’ex campione Mihail Silberblitz, né gli aventi antecedenti e successivi al presunto disastro di Monza. La sua mente non fu sfiorata dal ricordo di Santiago Fernandez che diventava campione del mondo per la terza volta consecutiva, né da quello di Kamil Jäätä che a sua volta, l’anno seguente, si imponeva in cima alla classifica piloti. Non rammentò gli albori del mondiale 2009, con un nuovo regolamento tecnico e un improvviso cambio di valori, né come quel campionato fosse stato drasticamente interrotto in corso d’opera senza mai arrivare alla sua naturale conclusione. Non si interrogò sugli albori della A+ Series, con il campionato 2010/11 come apertura, né su tutto ciò che aveva a che fare con auto e motori.
La vigilia del suo terzo anniversario di matrimonio con Alex non fu, per Alysse, nient’altro che un giorno positivo e pieno di spensieratezza, una volta superato l’ostacolo dell’incontro tra il marito e il CEO. Il fatto che Alex e quell’uomo dovessero rivedersi l’indomani pomeriggio non la turbava, sarebbe stato solo un appuntamento di lavoro come tanti, o almeno così credeva. Era ancora convinta che rivelargli di averla informata della partecipazione al “documentario” non fosse stata la migliore delle scelte, ma se cercava di essere realista si rendeva conto di come, qualunque fosse la conseguenza di quell’azione avventata, non sarebbe stata troppo drastica.
Il giorno dell’anniversario arrivò. Alysse dedicò la mattinata al training fisico, quindi ebbe poco tempo a disposizione da trascorrere insieme ad Alex. Pranzarono insieme, più tardi, e subito dopo suo marito si preparò per andare alla riunione con il CEO.
«Ci vediamo stasera» furono le ultime parole che le rivolse, prima di aprire la porta e andarsene.
Non sarebbe tornato mai più. Alysse l’avrebbe atteso invano, quella sera, poi sarebbe arrivata la telefonata che avrebbe cambiato il corso della sua vita. Suicidio, sarebbe stata la versione ufficiale dei fatti, avvenuto per avvelenamento da cianuro, ingerito con un bicchiere di tè dei distributori automatici. Qualcuno avrebbe osservato che era sorprendente che Alex Mercier si fosse all’improvviso tolto la vita, ma sarebbero rimaste soltanto parole al vento. In assenza di prove che giustificassero l’idea che fosse stato qualcun altro a mettergli il cianuro nel bicchiere, non vi sarebbe stata, per costoro, la possibilità di essere davvero presi sul serio.
Alysse avrebbe finito per rassegnarsi, quasi a credere all’ipotesi del suicidio. Non se ne sarebbe, però, mai convinta fino in fondo. Avrebbe cercato di non parlare mai di Alex, negli anni a venire, quando aveva intorno qualcuno che appartenesse al mondo della A+ Series. Anche a Yannick Leroy, l’uomo con cui avrebbe allacciato una relazione, non avrebbe raccontato per filo e per segno la sua vita coniugale passata, né gli avrebbe mai rivelato di essere la vedova di Alexandre Mercier.
Yannick, tuttavia, l’avrebbe scoperto da solo. Di punto in bianco, a una festa, alla quale Alysse avrebbe scoperto accidentalmente che Leroy era il famigerato Argento Quattro, l’avrebbe invitata a seguirlo in uno sgabuzzino. Avrebbero avuto un rapporto sessuale e poi, di colpo, l’avrebbe messa di fronte alla realtà.
«Eri sposata con Alex Mercier, vero?»
«S-sì.» Alysse avrebbe esitato, ma non avrebbe mai pensato che quella domanda potesse essere in qualche modo pericolosa. «Chi te l’ha detto?»
«Non ha importanza» avrebbe replicato Yannick. «Voglio sapere tutto di lui.»
Quelle parole avrebbero spiazzato Alysse, che avrebbe reagito d’istinto, obiettando: «Non ho niente da dirti, su di lui.»
«Invece credo che tu abbia molto da riferirmi» sarebbe stata la risposta di Yannick. «Credi che sia stato ammazzato, vero? Hai qualche prova? Oppure qualche sospetto serio? Dimmelo, Alysse, o tutti sapranno che sei Rosso Ventisette.»


[LA CHIAMATA DEL CEO]
«Dov’è Ricky?» chiese Hamster Gangster, quando furono usciti dal locale.
«Già, appunto, dov’è Ricky?» gli fece eco Axel.
Tina alzò gli occhi al cielo.
«Dai, non è necessario stargli addosso come se fosse un bambino, è capace di cavarsela da solo e di andarsene a dormire senza che glielo accompagniamo, quando ne avrà voglia.»
«Ci eravamo detti che alle dieci e mezza ce ne saremmo andati» osservò Axel. «Si è dimenticato che domani ci sarà la gara più importante del fine settimana?»
«Non credo che Ricky se ne sia dimenticato» replicò Tina, «Ma non vedo perché tu debba essere così spaventato. Non diventerà un pericolo pubblico in pista soltanto se si limita ad andare a letto tardi, non credi? Poi, meno preparato è per la gara e meglio è per tutti.»
Axel ridacchiò.
«Tanto lo sai che non abbiamo comunque molte speranze.»
«Non sono d’accordo con te» replicò Hamster Gangster, rivolgendosi ad Axel. «Per quanto il CEO e i suoi sottoposti abbiano deciso di metterci al volante di due monoposto di centro gruppo al massimo, in modo da evitare che potessimo dominare come le nostre performance suggerivano, non dobbiamo mai perdere le speranze. Va bene, Argento Quattro sembra destinato a vincere il titolo, mentre noi non abbiamo mai avuto questa possibilità, ma anche le singole gare sono importanti. La gente non si ricorda solo dei campioni del mondo, ma anche dei piloti che vincono gare epiche.»
«Proprio questa è la ragione per cui il mio sogno era sempre stato quello di potere vincere a Monza o con la Minardi o con la squadra che ne avesse preso il posto» puntualizzò Axel. «Purtroppo questa possibilità è stata preclusa sia a me, sia al mio potenziale successore.»
«Quale potenziale successore?»
«Ti do un indizio, è vestito di giallo.»
Tina alzò gli occhi al cielo.
«Ce ne vogliamo andare o volete stare lì davanti all’uscita continuando a parlare di niente?»
«Non sono certo che Karl Percival sarebbe felice se sapesse che parlare di lui equivale a parlare di niente» obiettò Hamster Gangster. «Capisco che, come la maggior parte dei ragazzi della sua età, non brilli molto per intelletto, ma crede molto nelle sue doti di pilota.»
«Farebbe meglio a tenere a freno la lingua» replicò Axel. «L’ho sentito dire più di una volta di sentirsi un predestinato, che il suo percorso verso la A+ Series era già scritto. Ci manca poco che si metta anche a sbandierare ai quattro venti di essere Giallo Sedici e poi è fatta. Non capisco perché si debba fare terra bruciata intorno da solo. Sembra non rendersi conto che anche eludere le regole solo per la foga di parlare dei propri presunti successi, senza cattive intenzioni, è ugualmente pericoloso. Comunque non parlavo di lui: è Quindici il mio “erede”.»
«Axel, tu non hai mai vinto a Monza né con una Minardi né con una Toro Rosso» gli ricordò Hamster Gangster, «Di conseguenza Quindici non è un tuo successore.»
«Nemmeno Quindici ha vinto a Monza con una Minardi o una Toro Rosso, nonostante secondo me ne avesse le capacità. Quindi sì, Quindici è un mio successore.»
«Pensi che Quindici sia capace di un simile risultato?»
«Non vedo perché non dovrebbe.»
«Sembra sia un grande amico di Sedici. Può essere che come intelletto non sia tanto superiore.»
Axel sbuffò.
«Dai, Sedici non è così male. Va bene, dice un sacco di sciocchezze e se fosse il mio fratello minore lo prenderei continuamente a sberle, però è un bravo ragazzo. Sono sicuro che, quando smetterà di vivere della sua aura di predestinato e capirà che siamo tutti nella stessa situazione, allora qualcosa migliorerà. In ogni caso non ho mai detto che Giallo Quindici sia un futuro campione, o qualcosa del genere. Ho detto solo che ce lo vedrei bene a vincere a Monza. Peccato che abbiano tolto quel circuito, era uno dei migliori... ma del resto la A+ Series sembra volere togliere tutto ciò che c’è di bello nel motorsport. Possiamo solo rassegnarci o andarcene.»
Andarcene. Quella parola riecheggiò nella mente di Tina. Aveva un significato importante, per lei, ma non aveva ancora parlato con nessuno di come intendesse andare via, nemmeno con Axel. Non disse nulla e, per un attimo, anche Axel e Hamster Gangster rimasero in silenzio. Fu allora che sentì un lieve rumore nell’oscurità.
«C’è qualcuno?» chiese.
Nessuno le rispose.
«No, non c’è nessuno» la rassicurò Hamster Gangster.
«Già, nessuno ci ha sentiti» confermò Axel.
«Vorrei ben sperarlo» ribatté Tina. «Non vorrei che, dopo avere criticato Karl Percival perché non è molto discreto sul fatto di essere un pilota, foste voi quelli che si fanno cogliere sul fatto.» Si diresse verso il buio, dove le era sembrato di udire qualcosa e ripeté: «C’è qualcuno?» Fu allora che vide, a pochi metri di distanza, lo schermo di uno smartphone che si illuminava, tra le mani di qualcuno. «So che sei lì, chi sei, ci stai spiando?»
La persona con il telefono in mano avanzò di qualche passo, venendo alla luce nella penombra.
«Ero qui già molto prima di voi» replicò Alysse Mercier, in tono secco. «Mi stavo facendo i cazzi miei, quando all’improvviso siete arrivati e vi siete messi a tenere un comizio parlando delle vostre cavolate.»
«Cavolate» borbottò Tina. «Ci hai sentiti?»
«Ho sentito che menzionavate un certo Karl Predestival o qualcosa del genere, ma non me ne frega niente né di lui né di voi.»
Il tono di Alysse era piuttosto indispettito, un po’ come se non fosse stata lei a cogliere dettagli di una conversazione segreta, ma l’esatto opposto.
«Va tutto bene?» le chiese Tina.
«Sì, grazie.»
Il tono di Alysse era tagliente. Tina decise che valeva la pena di insistere.
«È successo qualcosa, vero? Se vuoi puoi parlarmene, magari posso aiutarti. Non...»
Fu interrotta dalla voce di Hamster Gangster.
«Ehi, Tina, andiamo? Eri tu che avevi fretta.»
Tina lo ignorò. Alysse, frattanto, le rispose: «Sì, è successo qualcosa, ma non c’è nulla che tu possa fare. A meno che tu non abbia a disposizione un’auto con cui portarmi al circuito, facendomi fare un passaggio in hotel per cambiarmi, nel giro di venti minuti.»
«Nel giro di venti minuti posso riuscire a portarti al circuito» replicò Tina, «Ma dovrai accontentarti di andarci così. Cosa devi fare?»
Alysse parve riluttante.
«Non so se...»
Tina azzardò: «Sei stata convocata dal CEO?»
«Sì.»
«Eri sposata con il suo assistente, in passato, giusto?»
«È giusto anche quello.»
«E tuo marito è morto da diversi anni.»
Alysse parve diventare sospettosa.
«Come fai a saperlo?»
«Mi piace informarmi a proposito dei miei nemici» ribatté Tina. «È il primo passo per non farmi mai cogliere impreparata.»
«I tuoi nemici?» ripeté Alysse. «Consideri me e mio marito come tuoi nemici?»
A Tina sfuggì una risata.
«Certo che no, parlo del CEO!»
«Una semplice opinionista che teme il CEO» mormorò Alysse. «Mi sembra una faccenda piuttosto interessante.»
«A me sembra una faccenda di cui non dovresti occuparti» obiettò Tina, «Così come mi sembra che tu stia perdendo tempo. Dobbiamo andare al circuito, o sbaglio?»
«Non so, vuoi davvero accompagnarmi?»
«Non vedo perché non dovrei. Lasciami il tempo di spiegare ai miei cari accompagnatori che dovranno prendere un taxi, se vogliono andarsene a dormire, poi sarò da te.»
Alysse non si oppose e Tina tornò da lei dopo pochi istanti. La accompagnò verso l’automobile a noleggio che utilizzava in quei giorni per gli spostamenti. Salirono a bordo e si diressero in silenzio verso il circuito. Erano quasi arrivate, quando Tina si girò a dare un’occhiata all’abito che Alysse indossava. Era piuttosto elegante ed era rosso.
«Hai paura che il CEO capisca che sei stata alla festa?» le chiese. «Non preoccuparti, non è la prima volta che ci sono party come quello di stasera. Fintanto che non facciamo le ore piccole, devastandoci prima di una gara, non è un problema, ovviamente a condizione che non trapeli in alcun modo la nostra identità.»
«La “nostra identità”» osservò Alysse. «Mi stai rivelando di essere uno dei piloti della A+ Series?»
Tina ridacchiò.
«Anche tu hai appena fatto lo stesso.»
«Io non dico più niente e tu non dici più niente» le propose Alysse. «Ci stai?»
«Invece ho molto da dire» ribatté Tina. «Sbaglio o dobbiamo risolvere la questione del tuo abito?»
«Non c’è modo in cui si possa risolvere» replicò Alysse. «Devo andarci così, dal CEO.»
«Che non gradirà sapere che ti vesti di rosso, nella tua vita quotidiana.»
«Cosa vuoi dire?»
«Che di piloti in rosso ce ne sono due... e uno è asiatico, quindi non puoi essere tu.» Tina accostò, erano lungo una strada buia e poco trafficata. «Avanti, spogliati.»
Alysse parve stupita.
«Perché dovrei spogliarmi?»
«Non ti sto chiedendo di fare sesso con me in cambio del mio silenzio, se è questo che ti spaventa» precisò Tina. «Sai, non sei esattamente il mio tipo, preferisco quelli come Axel Frosch.»
«Stai insieme ad Axel?»
«Già.»
«Axel F., come la suoneria di “Crazy Frog”.»
«Ring a ding a dong» canticchiò Tina. «Tornando alle faccende serie, invece, così a occhio mi sembra che portiamo più o meno la stessa taglia. Togliti il vestito. Ti do la mia camicia e i miei pantaloni, così il CEO non scoprirà che ti vesti di rosso rischiando di far saltare la tua copertura.»
Non ci volle molto a convincere Alysse.
«Grazie, Tina.»
«Di nulla. Sono felice di poterti aiutare. Dopo, però, mi racconti per filo e per segno che cosa sta succedendo e parliamo delle nostre identità segrete.»
Alysse non accettò né rifiutò, si limitò a spogliarsi e a indossare gli indumenti di Tina, che invece infilò l’abito rosso. A quel punto riprese il proprio viaggio verso il circuito, dove lasciò la collega. L’incontro tra Alysse e il CEO durò all’incirca venticinque minuti e quando la Mercier tornò indietro si limitò a salire in macchina e a rimanere in silenzio.
Tina rimase ferma, con il motore spento.
«Allora?»
«Allora niente.»
«Cosa sta succedendo?»
«Non lo so cosa stia succedendo» ammise finalmente Alysse. «È tutto un casino, un enorme casino. Non so più di chi posso fidarmi... e non credo ci sia qualcuno di cui posso farlo.»
«Il tuo cavaliere che ruolo ha in tutto ciò?»
«Quale cavaliere?»
«Yannick Leroy.»
«Non sono sicura che “cavaliere” sia la definizione giusta per lui.»
«Ti ha lasciata?»
«Bada ai cavoli tuoi. Ti interessa il mio incontro con il CEO o la mia vita privata?»
«Mi interessa il tuo incontro con il CEO.»
«Mi ha parlato di mio marito. Mi ha detto che posso contare su di lui, se qualcuno mi importuna a causa del mio legame con Alex... e l’ha fatto proprio stasera. Mi è sembrato maledettamente falso, specie considerato che Alex è morto in circostanze non proprio chiare. Non so che cosa volesse davvero da me, ma non sono tranquilla.»
«L’ha fatto proprio stasera, hai detto» ripeté Tina. «In che modo questa sera è diversa dalle altre? Qualcuno ti ha effettivamente importunata solo perché eri la moglie di Alex Mercier? Se mi vuoi raccontare cos’è successo...»
Alysse la interruppe: «No, non sono stata importunata, in nessun modo. Solo, una persona a cui tenevo molto, mi ha fatto delle pressioni per sapere qualcosa su di lui, una persona che ha in mano degli elementi contro di me.»
«Il tuo presunto ragazzo ha scoperto che sei Rosso Ventisette e ti ha minacciata di diffondere la tua identità a meno che tu non gli parli di cose di cui non vorresti» azzardò Tina. «Stiamo parlando di Yannick Leroy, giusto?»
«Stiamo parlando di una persona che non può raccontare che sono Rosso Ventisette» chiarì Alysse, «Perché a sua volta ha un’identità da nascondere.»
«Quindi Yannick Leroy è un pilota.»
«Non ho mai detto questo.»
«A volte non è necessario dire qualcosa, affinché lo si venga a scoprire. È Argento Quattro, vero?»
«Non posso dirti niente.»
«È Argento Quattro.»
«Come vuoi utilizzare questa informazione?»
«Non voglio utilizzarla, anche se comunque è molto utile esserne a conoscenza. Da quanto tempo lo sai?»
«Da stasera.»
«Wow, si è fatto scoprire proprio quando intendeva ricattarti. Come ha scoperto, invece, che tu sei Ventisette?»
«Non ne ho idea. Comunque, se l’hai capito anche tu, non deve essere così difficile.»
Tina ridacchiò.
«Diciamo che sono molto perspicace, quando si tratta di assegnare l’identità ai piloti. Per esempio il tuo amico Watanabe è anche il tuo compagno di squadra, immagino.»
«Non mettere in mezzo Ryuji» la pregò Alysse. «Non ha niente a che vedere con questa storia. Non sa nulla di mio marito.»
«Non voglio mettere in mezzo nessuno» chiarì Tina. «Anzi, Ryuji mi è simpatico. Domani sera, quando il fine settimana sarà finito, dovremmo vederci tutti insieme. Io, tu, Ryuji, Axel, i miei amici Ricky e Hamster Gangster. Siamo tutti uniti, dalla stessa parte, in fondo: Argento Quattro detesta la maggior parte di noi e sarebbe disposto a tutto pur di distruggerci.»
«In che modo hai avuto a che fare con Argento Quattro?»
«Non mi dire che ancora non l’hai capito.»
«Sei uno dei piloti, questo mi è chiaro, ma chi? Viola Sei ha gli occhi scuri, ma non sono comunque i tuoi.»
Tina sospirò.
«A volte il colore degli occhi è solo un colore.» Accese la luce dell’auto, prese la propria borsa e iniziò a rovistarvi dentro. «Credo dovrò darti un piccolo aiuto.» Cercò la custodia delle lenti a contatto, le prese fuori e le indossò. A quel punto tornò a girarsi verso Alysse. «Adesso lo capisci?»
Si rese conto di averla spiazzata, quando l’altra esclamò: «Viola Cinque?!»
«In persona» ammise Tina. «Spero ti sia sufficiente a capire che non voglio fare niente di male né a te né a Watanabe. Lo ribadisco, siamo tutti dalla stessa parte.»

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