[BAHREIN]
Era primo pomeriggio di domenica e mancavano ancora parecchie ore al via del Gran Premio del Bahrein. Era una delle poche piste del mondiale di A+ Series sulla quale si gareggiava di notte, lasciando le ore precedenti per le categorie di contorno. Una certa fetta di pubblico era in grado di fare polemica anche su quelle, ma Yannick sentiva il bisogno di restarne fuori e di non informarsi nemmeno di cosa succedesse: ne aveva abbastanza di pensare alle competizioni che lo coinvolgevano in prima persona e a non far capire a chi gli stava intorno fino a che punto fosse coinvolto. Le gare che avevano preceduto il gran premio erano andate relativamente bene, ma non poteva apparire troppo entusiasta del risultato del suo alter ego Argento Quattro, al fine di evitare di destare sospetti.
La frequentazione con Alysse gli permetteva di rimanere sul vago. Continuava a non fargli troppe domande, nonostante avesse il palese desiderio di scoprirne di più. Doveva rendersi conto di metterlo in pericolo, oppure poteva essere tutto parte di un piano già stabilito. Di per sé, Alysse non avrebbe guadagnato niente da una sua ipotetica radiazione qualora fosse venuta alla luce l’effettiva identità di Argento Quattro, ma Yannick non poteva scartare a priori la possibilità che fosse pagata da qualche avversario desideroso di sbarazzarsi di lui.
Cercava di non esporsi troppo, perché sapeva di non potersi fidare di nessuno. Poi, per ironia della sorte, qualche tempo prima in Brasile era comparso dal nulla Ryuji Watanabe. Il giapponese non era una spia sul libro paga di qualche team o pilota, quella era una certezza assoluta. Si trattava di un suo amico d’infanzia, conosciuto ai tempi in cui entrambi gareggiavano sui kart. Avevano disputato insieme anche qualche campionato minore sulle monoposto, poi le loro strade si erano separate. Mentre Yannick si era avviato verso un percorso che portava all’anonimato, risalendo lungo le serie minori strettamente collegate alla A+ Series, Ryuji aveva preso un’altra via, che l’aveva condotto a gareggiare per diversi anni in Indycar. A sorpresa, poco più di due anni prima, aveva annunciato il proprio ritiro dalle competizioni, nonostante negli Stati Uniti non avesse ancora ottenuto il successo desiderato. Ovviamente Ryuji non aveva mai saputo che Yannick fosse arrivato in A+ Series, né lo doveva sapere.
Era riuscito a evitarlo per giorni, ma non sarebbe durata a lungo: lo vide venire nella sua direzione e, ovviamente, non poteva sottrarsi al loro incontro. Inventarsi qualcosa per rispondere alle domande di Watanabe sulla sua presenza a Sakhir sarebbe stato di gran lunga meno controproducente del nascondersi quando l’altro l’aveva già visto.
Ryuji venne verso di lui ed esclamò, senza nascondere il proprio stupore: «Sei anche qui in Bahrein? Non avevo capito che lavorassi in pianta stabile per la A+ Series! Pensavo che la tua presenza in Brasile fosse un’eccezione, non la regola.»
«Ebbene sì, sono anche in Bahrein» ammise Yannick, che non poteva fare altrimenti. «Mi è toccata anche questa trasferta.»
Ryuji osservò: «Stavo parlando di te con dei colleghi, proprio ieri, e mi hanno detto che ti vedono spesso.»
«Parli di me con i tuoi colleghi?» borbottò Yannick. «Perché?»
Ryuji ridacchiò.
«Dai, non preoccuparti, non mi sono innamorato di te. E poi lo so che ti piacciono le donne. Si vedeva già quando eri ragazzino, come penso fosse già palese che a me interessano gli uomini.»
«Non parlavo di questo, non ho mai pensato che avessi delle mire su di me» puntualizzò Yannick. «Voglio dire, scusa se ti sono apparso brusco, ma che cosa ne sanno i tuoi colleghi di me?»
«Sei una personalità abbastanza conosciuta, qualcuno insinua addirittura che tu possa essere un pilota in incognito.» Ryuji rise di nuovo. «Gliel’ho detto, che da ragazzino eri un pilota, ma poi hai scelto un’altra strada. Dicono che hai fatto bene, che è meglio studiare e costruire qualcosa di concreto, piuttosto che continuare a gareggiare e finire in questa categoria ad andarsene in giro in tuta e casco senza potere nemmeno dire ai tuoi parenti più stretti chi sei.»
Yannick avvertì un lieve brivido. In realtà uno dei suoi parenti stretti era al corrente della sua identità, ma non aveva importanza, in quel momento. Suo fratello non aveva nulla a che vedere con la A+ Series - era davvero un ex pilota che aveva studiato e intrapreso un’altra strada, almeno lui - e non rappresentava alcun pericolo per lui.
Doveva affrettarsi a smentire le teorie dei presunti colleghi di Ryuji, quindi affermò: «Ci hanno visto giusto, sul fatto che sia meglio abbandonare le competizioni prima di diventare una sorta di robottino nelle mani del campionato. Ti immagini come sarebbe essere finalmente nella massima categoria, ma doverti nascondere? Non credo proprio che farebbe per me.»
«Puoi dirlo forte!» ribatté Ryuji. «Non c’è da stupirsi che certi piloti della A+ Series si stanchino di questa pagliacciata e cambino categoria.»
«Alcuni sono costretti a farlo.»
«Proprio costretti no.»
«Solo i migliori rimangono nella A+ Series.»
«Non è proprio così» obiettò Ryuji. «Non voglio contraddirti, magari ti sei fatto un’idea diversa dalla mia, ma qualcuno va via proprio perché lo desidera. Poi certo, per la dirigenza è facile radiare piloti dopo che questi hanno già deciso, ma a volte si prende “meriti” che non ha.»
«Parli dell’ex Ventisette?» azzardò Yannick.
«Parlo dell’ex Ventisette, ma non solo» rispose Ryuji. «Purtroppo il motorsport funziona esattamente come ogni altro aspetto della vita.»
«Cosa vuoi dire?»
«Voglio dire che nessuno è soddisfatto di quello che ha. Piloti di A+ Series costretti all’anonimato decidono di liberarsi dalle loro catene e di andare a correre in Indycar o in endurance. Al tempo stesso piloti di Indycar o di endurance sarebbero ben lieti di farsi incatenare, pur di sapere di essere stati in grado di arrivare nella A+ Series.»
Yannick chiese all’amico, a bruciapelo: «Tu ci hai mai pensato?»
«Al passaggio in A+ Series?» Ryuji riprese a ridere. «No, grazie.»
«Perché no? Magari ce l’avresti fatta.»
«Sì, è probabile, dopotutto ero un discreto pilota di Indycar, non certo un dilettante preso dalla strada, però davvero, non farebbe per me.»
«Neanche il campionato di Indycar fa più per te, mi pare di capire.»
«Le competizioni in generale non fanno più per me. Non fraintendermi, sono stata un’ottima parentesi della mia vita, ma ero stanco di non sapere se sarei tornato a casa vivo.»
Yannick annuì.
«Capisco quello che dici. Dopotutto è meglio vivere una vita più tranquilla, quando non te la senti più di prenderti certi rischi. Peraltro voi in Indycar eravate esposti a pericoli ben maggiori rispetto a quelli della A+ Series.»
Ryuji scosse la testa.
«No, non è proprio così. La possibilità di finire coinvolto in un pile-up su un ovale e di ribaltarsi potrebbe spaventare i piloti della A+ Series, ma ti garantisco che affrontano pericoli ben maggiori senza nemmeno rendersene conto. In Indycar, nessuno può provocare problemi a comando. In A+ Series, dall’alto possono influenzare perfino gli incidenti. E perché lo fanno? Solo ed esclusivamente in nome dei like, per attirare pubblico. Credimi, gli ovali saranno anche pericolosi, ma il rischio è più contenuto che nell’essere tra le mani di una banda di potenziali assassini.»
Yannick avrebbe voluto replicare, cercare di difendere la categoria nella quale gareggiava da ormai molti anni, ma si rese conto di non poterlo fare. Non avrebbe definito come potenziali assassini né il CEO né quei sottoposti che sembravano somigliargli molto, ma Ryuji non aveva tutti i torti.
Per fortuna replicare non fu necessario. Alysse spuntò fuori chissà da dove e venne verso di lui con un sorriso smagliante stampato sul volto. Doveva essere molto felice di vederlo e Yannick cercò di ricambiare quell’allegria.
«Ehi, Alysse, che piacere vederti! Posso presentarti il mio amico?»
Alysse posò lo sguardo su Ryuji.
«Ci siamo già visti da qualche parte, mi pare.»
«Sì, può essere, ma non ricordo di averti conosciuta personalmente. Mi chiamo Ryuji Watanabe, lavoro per la stampa giapponese.»
«Watanabe, l’ex pilota di Indycar» confermò Alysse. «Hai ragione, avrei dovuto arrivarci da sola. Io sono Alysse Mercier.»
«Alysse Mercier» ripeté Ryuji. «Mi ricordi qualcuno, ma immagino non sia tu la persona a cui sto pensando. Quella Alysse non si chiamava Mercier.»
A Yannick parve di cogliere una vaga esitazione sul volto di Alysse, che però non disse nulla.
Ryuji, da parte sua, sembrava già concentrato su altro.
«Sei la fidanzata di Yannick?»
«Non proprio.»
«Ah, meno male. Mi sarebbe dispiaciuto per te, se avessi dovuto sopportarlo.»
Alysse fece una risatina.
«Perché, è così terribile?»
«Non starlo a sentire!» ribatté Yannick. «Non ci vediamo da duecento anni e adesso pensa di potermi giudicare perché ci siamo incontrati già due volte, di recente.»
«Stavo scherzando» chiarì Ryuji. «Peccato che non siate una coppia, anche se quel “non proprio” fa pensare ci sia comunque qualcosa tra di voi.»
«Piantala di intrometterti nei fatti nostri» sbottò Yannick. «Non ce l’hai una vita privata tua di cui occuparti?»
«Non è poi così facile trovare l’anima gemella: non sei considerato così tanto appetibile, quando potresti morire da un giorno all’altro» replicò Ryuji. «L’hai detto tu stesso, gli ovali sono pericolosi.»
«Ma adesso te ne vai in giro per il paddock a raccogliere rumour di cui scrivere per il giornale della A+ Sereies» obiettò Yannick. «Mi sembra molto meno pericoloso che stare al volante di una monoposto che arriva a velocità spropositate.»
Ryuji gli strizzò un occhio.
«Non si sa mai. Basta pestare i piedi alla persona sbagliata per ritrovarsi molto più nei casini che al volante di una Indycar su un ovale.»
«Non sapevo ti occupassi di faccende scabrose» osservò Yannick. «Pensavo ti limitassi a pettegolezzi di poco conto, tipo quelli a proposito del nuovo Rosso Ventisette, che sembra essere il precedente Nero Trentacinque.»
«Quella è una faccenda ormai vecchia» obiettò Ryuji. «Preferisco occuparmi di contenuti di maggiore spessore. E, no, prima che tu me lo chieda, non faccio nemmeno insinuazioni su chi possa essere il nuovo Nero Trentacinque. Diversamente da Trentasei, non viene dalla seconda divisione, sembra ormai appurato. Deve essere uno dei piloti che stavano in standby, che occasionalmente venivano messi al volante quando c’era da sostituire qualcuno da un giorno all’altro, oppure uno dei tester non ufficiali. C’è chi dice che avrebbe potuto diventare Rosso Ventisette proprio lui, invece del precedente Trentacinque.»
«Si dicono tante cose sull’attuale Trentacinque» intervenne Alysse. «Tu cosa ne pensi, Ryuji? Credi si meritasse di diventare Rosso Ventisette più del pilota che lo è diventato effettivamente?»
«Non mi piace parlare di merito» precisò Ryuji. «Da pilota, credo di potere dire che non sempre otteniamo ciò che meriteremmo, ma allo stesso tempo non offriamo sempre quello che potremmo dare. Il talento conta, così come la fortuna, ma non bisogna sottovalutare l’essere al posto giusto nel momento giusto. Non dico solo essere nella squadra giusta in generale, ma nell’essere in una squadra che sia giusta per te.»
Le parole di Watanabe non avevano chiarito i dubbi di Yannick sulle questioni di cui si occupasse. Decise quindi di tornare a chiederglielo.
«Di cosa scrivi di solito?»
«Spesso parlo degli aspetti misteriosi e controversi del motorsport.»
«Aspetti misteriosi?» ripeté Yannick. «Per caso cerchi di scoprire le identità dei piloti?»
«Neanche per sogno! Alcuni di loro sono dei veri e propri stronzi in pista. Almeno quando sono fuori, in abiti civili, possono apparire persone a modo. Non vorrei mai scoprire che, a titolo di esempio, un tipo simpatico e cordiale come te è magari un figlio di puttana tipo Argento Quattro.»
Yannick si sentì avvampare. Era palese che Ryuji non prendesse minimamente in considerazione una simile ipotesi, ma non gli piaceva l’idea di sentirla pronunciare ad alta voce. Cercò di non incrociare lo sguardo di Alysse, che sapeva almeno parte della verità e, purtroppo, avrebbe potuto fare due più due.
Per fortuna Ryuji non aveva ancora chiarito il proprio ambito di interesse, quindi poté distogliere l’attenzione da se stesso, insistendo: «Aspetti controversi, hai detto. Quali sono le controversie? Parli di opzioni sperimentali?»
Ryuji rimase sul vago.
«Ci sono fatti del motorsport che non sono andati esattamente come ce li hanno raccontati. Ecco, è in gran parte questo, di cui mi occupo, non di questioni strettamente legate alle vetture e alle gare.»
«Da come ne parli, sembra che ci abbiano messo davanti una realtà alternativa.»
«Sì e no.»
«Cosa intendi? A cosa ti riferisci?»
«2009» declamò Ryuji, sibillino. «Pensi sia tutto chiaro, quello che ci è stato tramandato, o che ci siano ancora dei punti oscuri?»
«Mi sembra tutto chiarissimo» replicò Yannick, che non aveva alcun desiderio di inerpicarsi lungo un sentiero che avrebbe potuto riservare brutte sorprese. «Ci sono stati dissidi tra la Federazione e l’organizzazione dei team, la Formula 1 è precipitata nel baratro ed è nata la A+ Series. Non mi dirai che quei dissidi erano falsi.»
«Oh, no, erano verissimi» rispose Ryuji. «Non penso si possa dire altrettanto del disastro di Monza. Serviva un episodio che potesse giustificare la fine improvvisa della Formula 1 e quell’incidente è stato inventato di sana pianta.»
Yannick gli fece notare: «Se un pilota osasse fare una simile affermazione, verrebbe radiato seduta stante dalla A+ Series.»
«Lo so, ma io non sono un pilota» ribatté Ryuji. «Non ho alcun volante al quale aggrapparmi. Potrebbero impedirmi l’accesso al paddock, forse, vietarmi di avere un pass come giornalista, ma non potrebbero costringermi a tacere.»
«Se fossi al posto tuo, cercherei di non fare nulla di avventato» gli consigliò Yannick. «È vero, chiunque lavori nella A+ Series deve restare entro certi limiti, ma non è necessariamente un male.» Girò lo sguardo su Alysse, che sembrava essersi chiusa all’improvviso in uno strano silenzio. Dal momento che pareva fin troppo assorta nei propri pensieri, Yannick non la disturbò e continuò a rivolgersi a Watanabe. «Ci sono delle regole un po’ troppo rigide, è vero, ma credo sia meglio per noi cercare di rispettarle. L’hai detto tu che abbiamo a che fare con dei potenziali assassini.»
[FALSO STORICO]
«Ehi, sono tornato.»
Alysse sussultò, per poi alzarsi in piedi di scatto.
«Alex, non ti avevo sentito rientrare, mi hai spaventata. Quando sei arrivato?»
Suo marito sorrise, dando l’impressione di essere divertito.
«Ti spaventi con poco. Comunque sono tornato adesso ed è stata una giornata fantastica. Ho avuto una proposta meravigliosa.»
«Mhm» borbottò Alysse. «Per caso il CEO ti ha proposto un lavoro migliore, per colpa del quale dovrai allontanarti da me?»
«Allontanarmi da te?» Alex rise. «Ti ricordo, Alysse, che ogni due o tre settimane sei in un luogo diverso del mondo. Per non allontanarmi da te, dovrei diventare la tua ombra.»
«Con il fatto che lavori per il CEO, però, ci capita di stare insieme spesso, in un luogo o nell’altro del mondo» gli ricordò Alysse. «Ti prego, non dirmi che ti ha proposto qualcosa per il quale non dovrai più seguirlo.»
«Non ne abbiamo parlato» ammise Alex, «Ma esiste la possibilità che, prima o poi, io possa seguire te, e non per lavoro.»
«Non capisco.»
«Il CEO mi ha offerto un lavoro per il quale passerò meno tempo in ufficio oppure al suo seguito, ma verrò pagato molto di più.»
Alysse rimase in silenzio per qualche istante, poi gli domandò: «Da quando hai iniziato a credere che il CEO offra lavori miracolosi in cui si guadagnano un sacco di soldi riuscendo a eludere la sua presenza?»
«Non credo nei lavori miracolosi» puntualizzò Alex. «Credo però che il CEO ci tenga molto a certe faccende e che sia disposto a sborsare cifre decisamente interessanti per chi fosse disponibile a occuparsi di quelle faccende.»
Alysse sbuffò.
«In poche parole, lavoro sporco.»
«No, affatto.»
«Rifletti, Alex, deve esserci per forza qualcosa di poco chiaro, se è disposto a offrirti dei soldi per...»
Suo marito la interruppe: «No, Alysse, non hai capito. Va bene, ci sono questioni poco chiare, anche nella storia della A+ Series, ma io non devo fare niente di sconveniente. Mi ha chiesto se sarei disponibile a recitare una parte in una sorta di documentario sul disastro di Monza.»
«Un documentario» ripeté Alysse. «Recitare una parte in un documentario.»
«Qualcosa del genere.»
«Recitare una parte in un documentario in cui non sarà mai chiarito che sei un attore, immagino.»
«Una cosa del genere.»
«E tu accetteresti?»
«Non ci vedo niente di male.»
Alysse fu costretta ad ammettere che Alex aveva ragione. Non era compito suo accertarsi che la dirigenza della categoria non divulgasse bufale sulla nascita del campionato stesso e su ciò che l’aveva preceduto. Se fosse stato pagato per recitare una parte, si sarebbe sentito in pace con se stesso recitando quella parte.
«Sai già che documentario sarà?»
Alex scosse la testa.
«Il CEO non me l’ha detto.»
«Quando te lo spiegherà?»
«Mai.»
«Oh.» Alysse avrebbe dovuto capirlo. «Reciterai la tua parte, che sarà aggregata a tante altre parti di cui non sai nulla, dopodiché non vedrai il prodotto finché non sarà divulgato secondo i canali tradizionali. In pratica stai per fare un salto nel buio.»
«È un documentario» replicò Alex, «Di fatto è una sorta di film. Dovrò recitare qualche battuta, forse cambiare taglio di capelli, indossare una parrucca o, nel caso me lo chiedano, farmi crescere la barba. Poi, dopo poco, sarà tutto finito e sarò di nuovo Alexandre Mercier.»
«Ti sarai prestato, però, alla contraffazione della storia del motorsport» mise in chiaro Alysse. «Secondo me dovresti pensarci su, prima di accettare.»
«Ti ho detto che il CEO mi ha fatto una proposta, non di averla accettata» puntualizzò Alex. «Ci tenevo a parlarne con te.»
«Ci tenevi a parlarne con me prima di accettare» decretò Alysse. «Adesso stai pensando che io sia una fanatica della verità e non comprendi come mai ci tenga così tanto alla storia dell’automobilismo.»
«Hai detto tutto tu» ribatté Alex. «In ogni caso, lo ammetto, mi sembra un po’ esagerata tutta la passione che ci metti, quando si tratta di fatti che vengono tramandati in un certo modo da tanti anni, ormai. In fondo è sempre stato così: la storia la scrivono i vincitori.»
«La storia la scrivono i vincitori, infatti non avrei niente in contrario se il CEO e il suo entourage si limitassero a spacciarsi per i santi di turno che hanno salvato l’automobilismo a ruote scoperte dalla rovina, tacciando i loro predecessori di averlo danneggiato in ogni maniera possibile» precisò Alysse. «Qui, però, non si tratta più di elogiarsi da soli denigrando al contempo i propri nemici, si tratta proprio di far credere che un fatto mai accaduto sia vero.»
«Come sai, per certo, che non sia mai accaduto?»
«Mi stai dando della complottista visionaria?»
«No, ti sto ricordando che nel 2009 avevi solo vent’anni e non eri dentro a quel mondo.»
«Non posso raccontarti tutto per filo e per segno, perché ci sono tante persone coinvolte, la cui identità deve essere preservata» replicò Alysse, «Ma ti assicuro che ho parlato con gente che, ai tempi del presunto disastro di Monza, c’era e sa per certo che quell’incidente non è mai avvenuto.»
Alex annuì.
«Sì, lo so, mi hai detto più di una volta di avere parlato con Santiago Fernandez, che tuttavia non può rivelarsi come Santiago Fernandez.»
«Nemmeno con me si è presentato esplicitamente come Santiago Fernandez, ma era impossibile non riconoscerlo» insisté Alysse. «C’era, nel 2009 a Monza. C’era e sa benissimo che non è successo niente. Solo, così come tutti gli altri piloti, si è ritrovato costretto al silenzio. Non aveva alternative. Nessuno aveva alternative. C’era un solo pilota che, in linea teorica, avrebbe potuto mostrarsi con la propria vera identità, perché a Monza non c’era, ma sarebbe stato costretto a rinunciare alla A+ Series. O meglio, c’era un solo pilota, o forse due...»
Alex la fissò con la fronte aggrottata.
«Cosa vuoi dire?»
«Niente, lascia stare. Torniamo a parlare di te. Il CEO ti ha spiegato qualcosa di più preciso?»
«No, non mi ha detto molto, te l’ho già spiegato. Piuttosto, chi è l’altro pilota di cui parli?»
Alysse scosse la testa, sperando che Alex capisse che non avrebbe dovuto rispondere a quella domanda.
«Lascia stare.»
Alex, però, non era intenzionato a seguire il suo consiglio.
«Sai qualcosa?» insisté. «Sai qualcosa di importante? Conosci l’identità di qualche pilota? Qualcuno che non avrebbe dovuto essere presente al via dei primi campionati della A+ Series, ma invece gareggiava sotto falso nome?»
«Falso nome?» Quelle parole fecero sorridere Alysse. «Nessuno gareggia con un nome, nella A+ Series.» Valutò se potesse spingersi oltre, rivelargli l’identità di uno dei piloti del passato. Suo marito lavorava per il CEO, non era certa di potersi fidare totalmente di lui. Non metteva ovviamente in dubbio la sua lealtà e la sua sincerità, ma sapeva che anche le persone più leali e sincere finivano per fare piccole confidenze, per l’incapacità di tenere a freno la lingua. Dopotutto era quello che stava per fare lei stessa. «Posso rivelarti un segreto scottante del campionato?»
Alex azzardò: «Phil Corujas si è ripreso dall’incidente ed è tornato a gareggiare. Lo so. O meglio, non lo so, ma l’ho sempre sospettato. Bianco Due doveva essere lui, a un certo punto. Il suo sguardo era riconoscibile tra mille. Certo, aveva un occhio un po’ più aperto e l’altro un po’ più chiuso, ma deve essere stato effetto del suo infortunio.»
«Phil Corujas ha ripreso a gareggiare» confermò Alysse, «Anche se non sono sicura che sia stato solo Bianco Due. Penso abbia fatto qualche comparsa anche con altri colori e con un altro numero, anche se non saprei dirti per certo chi sia stato nel corso degli anni. Comunque sì, è stato Bianco Due, e quel bambino che si portava in giro come mascotte, sul quale in tanti facevano delle battute chiedendosi se andasse mai a scuola, quello che lo seguiva con tanto di tuta e casco, tenendo a sua volta nascosta la propria identità, pare non fosse una semplice mascotte. Si dice che fosse suo figlio.»
«Quel bambino era dolcissimo» osservò Alex. «Corujas è stato fortunato ad avere un figlio del genere. O forse è quel bambino che è stato fortunato ad avere Phil come padre. Deve essersi divertito un sacco ad andare in giro per i circuiti travestito come il padre. Lo chiamavano Piccolo Due. Chissà, magari un giorno diventerà un pilota... anche se, lo ammetto, è più probabile che, dopo avere conosciuto così bene il mondo della A+ Series, non gli passi neanche per la testa l’idea di avvicinarsi a un go-kart.»
«Molto probabile» ammise Alysse. Si chiese se fosse meglio non riprendere il discorso lasciato in sospeso, quello sull’altro pilota che aveva gareggiato in A+ Series, ma realizzò ben presto che parlare di Piccolo Due non avrebbe fatto desistere Alex. Gli rivelò, quindi: «Mihail Silberblitz ha gareggiato nel campionato e so anche con qualche identità.»
Alex spalancò gli occhi.
«Silberblitz?! Ma si è ritirato alla fine del 2008, dopo avere tentato per la seconda volta di vincere il suo ultimo titolo. Ti confesso che ero molto combattuto. Da un lato mi auguravo che potesse farcela, ma dall’altro anche Jäätä era un ottimo pilota e si meritava di diventare campione del mondo almeno una volta. Del resto, se Fernandez ha vinto tre titoli, anche quel tizio dagli occhi di ghiaccio se ne meritava almeno uno. A proposito, sono convinto di averli rivisti, quegli occhi di ghiaccio, nella A+ Series. Kamil deve essere scampato al disastro di Monza.»
Quelle parole misero Alysse di fronte alla solita realtà: la verità e la finzione si erano mescolate fin troppo l’una all’altra, ormai, al punto da rendere impossibile comprendere cosa fosse accaduto e cosa fosse stato inventato dalla dirigenza. L’idea che Alex potesse contribuire a quello scempio non la allettava affatto, ma sapeva di non potergli impedire di recitare in quel “documentario”. Anzi, con tutta probabilità la proposta del CEO era più un ordine che una proposta, sarebbe stato deleterio tirarsi indietro.
«Hai ragione, Jäätä si meritava un titolo» convenne, cercando di togliersi dalla testa quei brutti pensieri. «È stato un mondiale meritato, il suo, specie considerato che faceva coppia con Fernandez e che ormai era già stato dato per spacciato. Santiago veniva considerato un pilota imbattibile, ai tempi, e dopo il passaggio in McLaren il suo status di prima guida sembrava garantito. In molti dicevano che Jäätä avrebbe fatto meglio a passare in Ferrari, come era sembrato a un certo punto, invece di rimanere come suo compagno di squadra. Non so cosa sarebbe successo se avesse cambiato scuderia, forse non sarebbe cambiato molto, perché comunque poi è arrivato il disastro di Monza, se così vogliamo dire, e la Formula 1 è finita per sempre, ma non sono affatto sicura che avrebbe vinto quel titolo. Silberblitz era il più veloce di tutti, sarebbe stata dura per Jäätä stare al suo fianco. Mi verrebbe da chiedermi anche come avrebbe reagito Mihail, se gli avessero messo accanto un pilota di quel calibro, ma è tutto un discorso teorico. Non sapremo mai come sarebbe andata, così non sapremo mai cosa sarebbe successo se quel ragazzo della seconda divisione fosse stato promosso accanto a Fernandez, costringendo Jäätä a trovarsi un altro volante.» Alysse si rese conto che il termine “seconda divisione” non era utilizzato, a quei tempi, ma l’importante era che Alex potesse comprenderla. «A proposito, chissà che fine ha fatto quel pilota, così come gli altri ragazzi promettenti di quell’epoca. Chissà se qualcuno sia mai arrivato in A+ Series, o se abbiano preferito prendere altre strade.»
Alex azzardò: «Nessuno meglio di te potrebbe saperlo.»
«No, affatto, ti sbagli» replicò Alysse. «I piloti della vecchia guardia, di tanto in tanto, si sono lasciati sfuggire qualche indizio sulla loro identità. Quelli nuovi, della mia generazione, se ne sono guardati bene. Dopotutto perché un pilota dovrebbe cercare di rivelarsi, in qualche modo? È controproducente, specie per chi non ha nulla da dimostrare. Per gli altri era diverso. Diciamo che alcuni di loro erano costretti a fingersi morti. Anzi, tutti, dato che non era stato rivelato chi fossero i piloti che avevano perso la vita in quell’incidente disastroso.»
Alex insisté: «Secondo me sai più di quanto vuoi far credere.»
Alysse gli scoccò un’occhiata di fuoco.
«Tu lavori per il CEO. Forse ne sai più di me.»
Alex parve spiazzato per qualche istante, ma si ricompose molto in fretta. Stava per replicare. Forse disse qualcosa, ma Alysse non lo sentì.
All’improvviso non lo vedeva più, non aveva idea del perché.
Infine, spalancando gli occhi di colpo, le fu tutto chiaro. Alex non era con lei, non era tornato, non avevano parlato di Silberblitz, Jäätä e Fernandez. Era solo un suo ricordo e l’aveva rivissuto, a distanza di quasi sei anni.
Si guardò intorno, cercando di capire dove fosse. C’erano pareti bianche e un odore di disinfettante talmente insopportabile da rivoltarle lo stomaco. Doveva essere in ospedale, ma non aveva idea di come ci fosse finita.
Non era sola. Un paio di occhi di un azzurro intenso la fissavano. Appartenevano a un ragazzo biondo sui vent’anni, che chissà da quanto tempo si trovava in quella stanza.
«Alysse?» le chiese.
«Alysse» gli confermò.
«Mi chiamo Junior» rispose il ragazzo, «E credo di sapere chi sei.»
«Ju-junior» mormorò Alysse, che conosceva quel nome. «Sei chi penso io? Come sei arrivato qui?»
«Non ha importanza» replicò il ragazzo. «Quello che conta è che tu stia bene. Penso che ci stiano usando come cavie. Ti ricordi cos’è successo?»
Alysse si sforzò di scavare nel buio che aveva dentro di sé.«Qualcuno mi è venuto addosso, credo» rispose. «Non so chi abbiano usato come cavia, ma non me. Mi ci sono ritrovata in mezzo. L’incidente non è partito da me.» Si rese conto con orrore di avere appena rivelato a quel ragazzo di essere una dei piloti della A+ Series, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro. Comprese che anche Junior doveva essere uno di loro. «Vai via, prima che qualcuno ti veda insieme a me» gli suggerì. «Potrebbe essere pericoloso. Siamo totalmente nelle loro mani, e forse non solo quando siamo in pista. Ti prego, fai attenzione. È quello che tuo padre, molto tempo fa, disse a me.»
[BANDIERA ROSSA]
Era ormai ora di abbandonare il circuito. Il gran premio era terminato già da qualche ora e, con esso, anche le formalità legate alle competizioni. Le interviste post-gara erano già finite da tempo e non c’erano più piloti ad aggirarsi per il tracciato di Al Sakhir, sul quale si era svolto il quarto evento del mondiale 2021/22. La vittoria era andata ad Argento Quattro, seguito da Viola Cinque e Rosso Ventotto, tutti scampati ai danni che si erano consumati in quella folle gara disputata sul layout esterno. Raccontare il gran premio per filo e per segno non sarebbe stato facile e Ryuji Watanabe si ritrovò a constatare che, per fortuna, la narrazione lineare di ciò che succedeva in pista non era compito suo. La A+ Series sapeva essere un caos, anche inteso in senso assolutamente neutro.
Si stava ancora aggirando per la pista, cercando di valutare i fatti di quella sera da una prospettiva più distaccata. Il pilota di Indycar che era in lui tentava di convincersi che tutto fosse stato dettato dal caso, ma sapeva bene che si trattava di una stupida illusione. Ben poco era successo per caso, durante la gara, forse anche lo stesso incidente che aveva innescato la bandiera rossa. Interrompere la gara per rimuovere la vettura danneggiata non era stata un’idea terribile, ma Ryuji riteneva molto probabile che proprio la possibilità di avere un’interruzione che rimescolasse le carte in tavola avesse fatto sì che il primo incidente fosse pilotato dall’altro.
Per quanto riguardava la carambola che, al restart, aveva messo fuori numerosi concorrenti, i sospetti si trasformavano invece in una certezza. Tra i principali contendenti al titolo solo Rosso Ventisette era uscito di scena in quella circostanza, insieme ad altri quattro piloti. Ryuji non aveva idea di che cosa si fossero inventati dall’alto, ma qualcosa doveva essere accaduto.
Era talmente immerso in quei pensieri velatamente macabri che quasi non si accorse di Yannick alle sue spalle. Il suo vecchio amico fu costretto a chiamarlo diverse volte per attirare la sua attenzione. Solo a quel punto Ryuji si girò verso di lui.
«Anche tu ancora qui?»
«Già, anch’io ancora qui. Adesso, però, è meglio che vada.»
Ryuji si guardò intorno.
«Sei da solo?»
«Sì, perché?» replicò Yannick. «Chi ti aspettavi di trovare insieme a me?»
«La signorina Mercier, forse.»
«Signora Mercier.»
«È sposata?»
«Non più.»
Ryuji immagazzinò quell’informazione. Avrebbe cercato di verificare se esistesse la possibilità che Alysse Mercier fosse la persona che gli aveva ricordato al momento del loro primo incontro. Era un’Alysse con un cognome diverso, quella che aveva conosciuto molto tempo prima, ma il fatto che l’amica di Yannick avesse avuto un marito cambiava le prospettive: era plausibile che Mercier fosse il cognome di lui, non quello che portava fin dalla nascita.
«Non la vedo con te, comunque» osservò, cercando di non destare sospetti. «Dov’è andata a finire? Si è già stancata di averti intorno?»
Yannick scosse la testa.
«No, assolutamente. O meglio, non credo. Sarà già andata via, non so, forse aveva un volo per rientrare in Europa.»
«Ne deduco che Alysse sia europea. Lo sospettavo fortemente, ma effettivamente non le ho chiesto di dove fosse. L’accento sembra italiano, ma il cognome è francese.»
«Alysse è nata in Italia da padre italiano e madre francese» confermò Yannick, «Dal momento che ci vediamo soltanto nelle settimane e nei weekend di lavoro, non saprei dirti esattamente dove abiti. In ogni caso, da qualche parte, in giro per l’Europa.»
Tutto tornava: il cognome francese, nonostante il padre italiano, lasciava intuire che Mercier fosse proprio il cognome del marito, qualunque fosse la fine che aveva fatto. Anche la ragazza che Ryuji aveva incontrato molto tempo prima era italiana. Si sentiva sempre più convinto che si trattasse della stessa persona.
Non poteva approfondire quell’aspetto, quindi cercò di porre a Yannick domande del tutto normali.
«Non vi siete neanche sentiti?»
«No.»
«Vi mettete in contatto l’uno con l’altra solo quando volete vedervi?»
«In realtà non so cosa sia successo» ammise Yannick. «Di solito Alysse mi risponde. Stavolta non l’ha fatto. Forse non ha letto i miei messaggi. Anzi, sicuramente non li ha letti, l’applicazione me li dava come consegnati regolarmente, ma non visualizzati.»
«E tu non ti sei dato da fare per cercarla, ovunque fosse?»
«Io e Alysse non siamo fidanzati. Diciamo che è una partner occasionale... e con questo non voglio dire che io abbia anche altre donne e lei altri uomini. O quantomeno, io non ho altre donne, non so cosa faccia Alysse quando non è con me. La regola è non farci troppe domande.»
«Insomma, è una sorta di amante» dedusse Ryuji. «Nessuno dei due si vuole impegnare, mi pare di capire.»
«Non è tanto questione di volontà» obiettò Yannick. «Entrambi abbiamo una vita abbastanza complicata, in cui è difficile incastrare il lavoro nella A+ Series con l’avere una relazione. Ci ho provato, in passato, ma non è andata molto bene. Una fidanzata si aspetta di sapere che lavoro fai e per chi. Noi, qui, non possiamo raccontare molto di noi.»
«Figuriamoci i piloti.»
A Ryuji parve che Yannick si irrigidisse.
«Come dici?»
«No, niente, lascia stare. Stavo pensando che, se già è difficile per noi che non siamo piloti, deve esserlo molto di più per loro. Quantomeno noi possiamo rivelare la nostra identità, i piloti non possono raccontare a eventuali partner di essere piloti della A+ Series. La maggior parte di loro fingono di essere gente che ha lasciato le corse molto tempo fa.»
«Una volta eri un pazzo scatenato, adesso sei una persona ragionevole che si commuove per le sorti dei piloti costretti a mantenere segreta la loro identità» ribatté Yannick. «Cos’è successo? Chi sei veramente? Dove hai messo quel Ryuji Watanabe che conoscevo io?»
Ryuji ridacchiò.
«Crescendo, sono anche diventato adulto.»
«Mi pare un’ottima cosa.»
«Anche tu, a quanto vedo. Una volta inseguivi il vero amore, adesso insegui amanti occasionali che non sai neanche dove vivano.»
Yannick aggrottò le sopracciglia.
«Inseguivo il vero amore? Non mi pare, ai tempi inseguivo vittorie nelle formule minori, più che altro.»
«Andavi forte» osservò Ryuji. «È un peccato che tu abbia smesso. Con i giusti sponsor, saresti riuscito a fare una gran carriera.»
Yannick alzò le spalle, con indifferenza.
«È inutile parlare di quello che non è stato.»
«Hai ragione, parliamo del gran premio. Cosa mi dici di Argento Quattro?»
«Non lo so, cosa dovrei dirti?»
«Ha fatto una bella gara, non trovi?»
Yannick annuì.
«Sì, possiamo dire che abbia fatto una bella gara. Non entrerà negli annali, ma solo perché c’è stato un gran casino e nessuno ha fatto caso a lui, che praticamente è stato in testa dall’inizio fino alla fine. Purtroppo spesso le belle performance passano inosservate perché nel frattempo succede qualcosa di caotico che distoglie l’attenzione dal leader.»
«In effetti di confusione ce n’è stata parecchia» convenne Ryuji. «Il momento più pittoresco è stato quando Nero Trentacinque se n’è andato in giro per parecchie tornate con l’ala anteriore penzolante, senza che la direzione gara avesse nulla da ridire.»
«Cosa c’era di così pittoresco?»
«Niente, ma era una scena tragicomica. Sembra quasi che tutto ciò che può provocare un incidente sia ben accetto. Un tempo a Trentacinque sarebbe stata esposta senza troppi complimenti la bandiera nera con il cerchio arancione, per segnalargli che doveva rientrare ai box a sostituirla.»
«Ti sembra strano?»
«Certo che sì.»
Yannick confermò: «Lo è, ma non è niente di diverso da quello che accade di solito nella A+ Series. Per te che non ci sei abituato, può apparire tutto bizzarro, ma è così che funzionano le cose qui da noi. Hai passato troppo tempo in America, ti sei abituato troppo alle consuetudini del campionato di Indycar.»
«Le vetture di Indycar sono decisamente più solide di quelle della A+ Series» puntualizzò Ryuji. «È difficile che possa accadere quello che è successo a Trentacinque.»
Yannick cambiò argomento.
«Per quanto riguarda gli altri incidenti, invece, tutto regolare: gente che va a sbattere, obbligo di dare bandiera rossa e poi, alla ripartenza, gente che non ha ancora capito come si parte che non fa altro che andare a sbattere da tutte le parti. Per fortuna almeno i piloti più importanti sono riusciti a salvarsi e a proseguire.»
Ryuji obiettò: «I piloti più importanti, eccetto Rosso Ventisette.»
Yannick rise.
«Rosso Ventisette non è importante.»
«È il pilota che guida la vettura più rinomata e con il numero di gara più suggestivo» gli ricordò Ryuji. «Non puoi dire che sia uno qualsiasi.»
«Questo Ventisette non è al livello del precedente Ventisette.»
«A proposito, Santiago Fernandez prenderà parte alla prossima edizione della Cinquecento Miglia di Indianapolis, è stato ufficializzato poco fa.»
«Cosa c’entra Santiago Fernandez?»
«Ormai non sembra più un segreto. Era lui che, nelle passate stagioni, si nascondeva dietro all’identità di Rosso Ventisette.»
«Non seguo questi pettegolezzi di poco conto» rispose Yannick, «Ma non mi stupisce che fosse proprio Fernandez. Era un pilota valido e competitivo, si vedeva che era un vincente, anche se non è mai riuscito a vincere un mondiale in A+ Series. Però ne ha vinti tre prima, nel vecchio campionato. Se solo la gente avesse saputo chi era davvero, l’avrebbe venerato come una divinità ultraterrena.»
«È difficile credere che possa succedere, ma perché no?» replicò Ryuji. «In fondo ormai ci stiamo abituando alla glorificazione dei colori e dei numeri, ma non è sempre stato così. Un tempo i piloti venivano amati o odiati per quello che erano, non per il colore della loro vettura o della loro tuta. O meglio, spesso venivano amati o odiati per il colore della loro vettura e della loro tuta, dato che c’era molto attaccamento alle scuderie, ma avevano comunque un grande riconoscimento. Erano bei tempi, in fondo, è un vero peccato che tutto sia andato a finire così.»
«Penso che ciascuna forma di motorsport abbia i propri pregi e i propri difetti» obiettò Yannick. «È vero, questi piloti impersonali non sono amati o odiati per quello che sono, di solito, ma possono comunque provare a metterci del loro. Prendi Argento Quattro, per esempio. Parlo solo di quello attuale, non quello che è scappato a gambe levate dopo il titolo e si dice che adesso sia diventato un influencer. C’è chi lo ama e chi lo odia, ma non certo perché guida un’auto grigia.»
«Capisco quello che vuoi dire» confermò Ryuji, «Ma non è comunque più come una volta. Argento Quattro riesce a farsi apprezzare o detestare per il modo in cui si comporta. È sempre pacato, ma si intravede benissimo fino a che punto sappia essere stronzo. È un pilota scorretto e antisportivo, che cerca comunque di non mettersi mai troppo in cattiva luce, e quando scende dalla macchina continua a comportarsi allo stesso modo.»
«Meglio un pilota antisportivo che riesce a mascherare le proprie scorrettezze, piuttosto che un pilota caotico che fa danni solo perché non sa contenersi. L’attuale Ventisette appartiene a quella categoria, così come Ventotto. Certo, è stato bello vederli cozzare l’uno contro l’altro la scorsa volta in Brasile, ma al di là di questo non penso abbiano molto altro da offrire.»
«È stato bello, dici?»
Per qualche istante Yannick rimase in silenzio, come spiazzato, poi corresse il tiro: «Voglio dire, è stato sicuramente bello per i loro detrattori.»
«E tu sei uno di loro?» azzardò Ryuji.
«Non ho mai tifato Ferrari e, per estensione, non riesco ad apprezzare le monoposto rosse allo stesso modo in cui vengono apprezzate da un terzo degli appassionati di competizioni a ruote scoperte.»
«So che non tifavi Ferrari. Ti ho solo chiesto se sei un detrattore di Rosso Ventisette e Rosso Ventotto, perché lo sembravi, da come parlavi.»
Yannick accennò un sorriso.
«Vedi, Ryuji, sono qui perché sono affiliato a una squadra, e non è quella per cui corrono Ventisette e Ventotto. Tutto ciò che posso dire è che li considero avversari. Più danni fanno, ovviamente senza fare male a sé stessi o agli altri, più la squadra con cui ho a che fare lo considera un vantaggio. Mi rendo conto che sia brutto screditare piloti senza un motivo ben preciso, ma personalmente non scredito nessuno: mi limito ad affermare che non hanno quello che serve per lottare ad armi pari con Argento Quattro, a titolo di esempio. E prima che tu me lo chieda, no, nemmeno Viola Cinque è alla sua altezza. Alcuni piloti dello stesso livello ci sono, forse addirittura migliori, ma non gareggiano per le squadre di primo piano. Prendi Arancione Otto. Per me è il migliore in assoluto, mentre anche Verde Quindici non se la cava male, nonostante gliene dicano di tutti i colori. Anche Blu Ventuno non è da sottovalutare, se fosse in una squadra di primo piano probabilmente distruggerebbe tutti. Invece, essendo costretto al centro dello schieramento, non fa altro che cercare di farsi largo a sportellate, beccandosi le critiche di quelli con cui ha a che fare. Questo, almeno, è il mio parere. Tu, invece, cosa ne pensi?»
«Mhm...» Ryuji non sapeva cosa dire. «Secondo me sia Ventisette sia Ventotto sono due piloti che possono puntare molto in alto.»
«Parlavo di Blu Ventuno.»
«Oh.»
«Ti vedo spiazzato, Ryuji. Mi pare di capire che tu non segua molto attentamente le gare di Ventuno.»
«In realtà seguo le gare di tutti» si affrettò a replicare Ryuji. «Ventuno è ancora giovane. Secondo me lo sposteranno in una squadra migliore, prima o poi. Deve solo avere un po’ di pazienza, così come Argento Quattro deve pazientare ancora un po’. Quello che dici è vero, tra i top driver è forse il migliore. Vincerà sicuramente il mondiale, ma non deve avere fretta.»
Yannick alzò gli occhi al cielo.
«Non puoi chiedere a un pilota di non avere fretta, specie quando potrebbe essere sostituito da un giorno all’altro. Dovresti saperlo.»
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