domenica 21 giugno 2020

Seconda chance

"La faccenda si stava mettendo nel migliore dei modi. Restava la sosta. Entrai ai box temendo che potesse succedere qualcosa, un po' come a Toronto. Non per colpa dei ragazzi, ma sono cose che capitano: ruote bloccate, bocchettone del serbatoio che non si apre e così via. Invece, quando vidi la mano del mio capo meccanico Donnie che si alzava facendomi segno di partire, scattai senza far spegnere il motore e mi dissi: è fatta, non mi ferma più nessuno. E invece non era fatta un cacchio."
- Alex Zanardi (citazione della sua autobiografia "Però, Zanardi da Castel Maggiore" sul suo incidente in Indycar)

Quando uscivamo da scuola, c'erano due diverse fermate dell'autobus quasi equamente distanti dalla scuola. Molti sceglievano di andare a quella che l'autobus faceva per prima. Prima entravi e più era probabile trovare un posto a sedere. Andando a quella che l'autobus faceva per seconda, era stipato di gente anche se molti abitavano a poche fermate di distanza dalla scuola e prima ancora di metà percorso scuola-casa mia si trovava posto.
Io non andavo molto d'accordo con alcune delle persone che andavano alla prima fermata, tanto che l'avevo ribattezzata "fermata della gentaglia", mentre avevo un'amica che abitava, nei primi anni delle superiori, poco distante dalla seconda fermata. Facevo la strada con lei, mi fermavo lì dove dovevo prendere l'autobus e lei andava a casa.
Poi in terza superiore arrivò Alessia. Si era trasferita da un altro indirizzo della stessa scuola e prima la conoscevo solo di vista. Divenne la mia compagna di banco e spesso e volentieri facevamo la strada insieme. Andavamo all'altra fermata e, quando percorrevamo il portico di via Bondanello, passavamo davanti alla sede dell'AVIS. C'era un cartello con una foto di Alex Zanardi, che era il testimonial dell'AVIS di Bologna. Alessia non sapeva niente di motorsport, era l'ultimo dei suoi interessi, eppure sapeva chi fosse. Non c'era nessuno che non lo sapesse.

Ricordo che scoprii della sua esistenza nel 1998. Aveva già corso in Formula 1 in passato, ma quando ero troppo piccola per ricordarmi di qualcuno che non fosse Senna o Alesi (o Berger o Schumacher o Hill, altri piloti a quei tempi proprio non avrei saputo nominarli). Ai pranzi della domenica dai nonni a volte capitava di guardare la Formula 1 e una volta mi capitò di giocare all' "impiccato" (non so se si chiami così anche nelle altre zone d'Italia, comunque intendo quel gioco in cui si deve far indovinare una parola mettendo i - come consonanti e i + come vocali) con mia zia mettendoci dei nomi di piloti.
L'interesse per la Formula 1 era a livelli di "teniamo accesa la TV e poi parliamo dei fatti nostri", ma anche se alla lontana faceva parte della nostra domenica. Un giorno, mentre parlavamo della Ferrari, mia zia mi chiese: "lo sai che l'anno prossimo verrà in Formula 1 un pilota di Castel Maggiore?"
Le assicurai che avrei tifato per quel pilota che aveva vissuto in passato nello stesso paese in cui abitavano i miei zii, ma non mantenni fede a quanto avevo affermato. Il 1999 era un'epoca in cui ero troppo fissata con Hakkinen, Irvine e la gamba fratturata di Schumacher per prestare attenzione a Zanardi.

Poi un giorno di settembre del 2001, mio padre venne a casa e disse che aveva sentito dire che Zanardi, correndo "in America" aveva avuto un grave incidente e in ospedale avevano dovuto amputargli le gambe. Non era andata esattamente così. Correva in Formula CART, ma l'incidente non era successo in America. E soprattutto non avevano dovuto amputargli le gambe: quelle se n'erano andate con il musetto della sua vettura dopo che era stato centrato in pieno durante la prima gara di Indycar avvenuta in Europa.
Per ironia della sorte, quella gara aveva rischiato di essere annullata. Quel weekend tutto lo sport americano era fermo dopo gli attentati di New York. Per il fatto che si corresse all'Eurospeedway in Germania, la gara venne disputata regolarmente. Anche se, se non vado errata, anche le condizioni meteo avevano rischiato di farla saltare.
Sempre per ironia della sorte, il ritorno di Zanardi negli States non era stato così eccezionale: nel team di Morris Nunn non stava ripetendo gli stessi risultati che l'avevano portato a vincere due titoli con Ganassi nel 1997/98, eppure, proprio quel giorno, insieme al suo compagno di squadra, un giovane Tony Kanaan, era nella posizione ideale per puntare alla vittoria. Poi accadde quello che tutti sappiamo: dopo l'ultima sosta ai box, finì in testacoda e una delle vetture che sopraggiungevano non riuscì a evitarlo.

Pochi anni più tardi, sotto i portici delle strade di Castel Maggiore, nel tragitto che portava dall'istituto tecnico commerciale alla fermata degli autobus che avrebbero portato me e Alessia alle nostre rispettive case nei nostri paesini di periferia, a volte capitava di nominarlo, quando vedevamo la sua foto. Fu Alessia, proprio Alessia, quella che non sapeva nulla di motorsport, a raccontarmi alcuni aneddoti sulla famiglia di Zanardi che, quando lessi la sua autobiografia (la prima, quella che parlava della sua giovinezza e della sua carriera di pilota in Formula 1 e Indycar), si rivelarono esatti.
Per anni, ogni volta in cui capitava di nominarlo in qualche discorso, c'era qualcuno che sapeva dove abitasse sua madre, dove abitasse sua nonna (fun fact, la nonna di Zanardi abitava poco lontano dai miei zii), in quali posti andasse Zanardi quando era dalle parti di Bologna... Avere un amico di un amico di un amico i cui genitori erano conoscenti di Zanardi era considerato un motivo di vanto e, ai tempi, in realtà, Zanardi non era ancora quello a cui siamo abituati di ora. Era semplicemente il pilota che aveva perso le gambe "correndo in America"...

Mi spiego meglio: da nerd della Formula 1 quale sono, solo durante una visita alla sede dell'AVIS di Castel Maggiore fatta con la scuola indicativamente nel 2006, vedendo una cornice con una foto di Zanardi al volante di una monoposto di Ganassi e leggendo nella didascalia che aveva vinto due titoli in Indycar scoprii che era stato molto di più e che non si dava nessun peso al fatto che fosse stato l'unico italiano campione di Indycar della storia. Di fatto nessuno, dalle nostre parti, se lo fila per la sua carriera di pilota. Quello che è stato dopo, campione paralimpico in handbike, invece, è sotto gli occhi di tutti ed è quello che ha portato persone anche non appassionate di motori, e non più solo dalle nostre parti ma in tutta Italia, a considerarlo un personaggio importante dello sport italiano.
Ai nostri occhi, Zanardi è una fenice risorta dalle proprie ceneri, che ha saputo ispirare tante persone, non necessariamente appassionati di sport, non necessariamente appassionati di automobilismo o di ciclismo. Ha fatto capire a molti che nella vita esistono seconde chance e credo che sia per questo che è entrato nel cuore anche di gente a cui non importa un fico secco di nessuno dei due sport nei quali ha gareggiato.

Qualsiasi cosa ne pensino quelli che hanno criticato la cosa, ha il suo senso che da due giorni sia nelle notizie di apertura del telegiornale, dopo un grave incidente che gli è capitato durante una staffetta di handbike a Siena, nella quale è uscito di strada andando a schiantarsi contro un camion nella corsia opposta, evento a seguito del quale ha dovuto subire un intervento chirurgico per i traumi cranici e facciali riportati e si trova in coma farmacologico, senza certezze su quello che sarà il suo futuro, se ne avrà uno.
Ha il suo senso anche che tanti, tra di noi, siano in apprensione per le sue condizioni di salute, dopo tutto quello che gli è successo e dopo che, nel 2001, è sopravvissuto a un incidente che lasciava ben poche speranze. Ha il suo senso che noi appassionati di motorsport ci chiediamo come sia possibile che, non per la prima volta, ci ritroviamo di fronte a un pilota che sta rischiando la vita per qualcosa di molto meno pericoloso di quello che accadeva in pista. Non è un'idea facile da accettare, perché su certe cose ti metti il cuore in pace e su altre molto meno.

Diversamente da altre persone che vivono dalle mie parti, non ho mai incontrato Alex Zanardi. Però mi è stato riferito, da più di una persona, che quando viene a trovare i suoi parenti che abitano vicino a Bologna se ne va in giro in handbike in certi posti della zona. Più di una volta, nel corso degli anni, mi è capitato mentre andavo a lavorare di incrociare un tipo che se ne andava in giro in handbike. Non ho la più pallida idea di chi fosse. Poteva essere lui, così come non esserlo. Questo pensiero lo rende ai miei occhi molto più "persona comune", nonostante tutto.
Gli auguro tutto il meglio possibile, perché è stato una grande fonte di ispirazione per tutti, perché la sua storia ha dato speranze a persone che pensavano di non averle e perché glielo devo, dopo non averlo mai preso in considerazione quando ero bambina e quando lui correva per la Williams.
È stata la sua autobiografia a farmi appassionare fino in fondo alla Indycar e farmi sentire una sorta di vicinanza con lui, un po' di rimpianto per avere scoperto solo nel 2012/13 il suo glorioso passato motoristico. Del resto non ne so granché, ma mi basta per sentire che devo sperare.

2 commenti:

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Milly Sunshine