Contiene filmati d'epoca e interviste a Jackie Stewart (seduto su un divano con fantasia scozzese), Sid Watkins, Max Mosley, Jody Scheckter, Niki Lauda, John Watson, Jacky Ickx (che indossa una camicia molto simile al divano di Stewart), comparse di Michael Schumacher, Lewis Hamilton, Sebastian Vettel, eccetera.
Ho visto questo documentario qualche giorno fa, non ne conoscevo l'esistenza in precedenza, mi è capitato per caso di trovarlo caricato su Youtube (su uno dei soliti account che un giorno verranno chiusi e depennati), nella versione originale in lingua inglese, e ho deciso di guardarlo, pensando che potesse essere un'esperienza interessante. Ora eccomi qui pronta a parlarvi delle mie impressioni.
In primo luogo ho notato che questo documentario è molto diverso dalla narrazione di un tempo, ma anche da quella attuale. Qualche mese fa avevo visto un documentario sulla Formula 1 realizzato negli anni '70, a tematica incidenti di fatto, e questo ha una mentalità molto più moderna e adatta agli standard degli anni 2000. Se il documentario anni '70 era tutto un susseguirsi di immagini di incidenti spesso decontestualizzate e in caso di incidenti mortali ci si focalizzava sui dettagli più macabri, in "1 - Life on the limit" ci sono chiaramente scene di incidenti anche mortali, ma inserite nel loro contesto e a scopo sempre documentativo ed esplicativo.
Tutto ciò sarebbe possibile nel 2023? Assolutamente no. Orde di ragazzini indignati invocherebbero la fine immediata di chiunque abbia prodotto il documentario o contribuito alla sua produzione, perché le immagini di incidenti non devono MAI essere mostrate, pena l'isolamento vita natural durante dalla comunità, anche se lo scopo è quello di spiegare incidenti. In più nel video compaiono personaggi dalle presunte idee politiche di gusto estremamente dubbio (tipo Mosley) e ciò al giorno d'oggi sarebbe considerato sbagliatissimo dare loro voce a proposito che nulla hanno a che vedere con le loro presunte idee politiche.
Non importa che tali soggetti in quella sede lì stiano parlando come esperti del settore di argomenti (costui nel ruolo di Presidente della FIA negli anni Novanta, in cui è stato fatto un enorme progresso dal punto di vista della sicurezza) i produttori sarebbero immediatamente accusati di condividerne le idee se non ne decretano la damnatio memoriae. Per gli standard odierni, probabilmente io stessa, affermando che è stato interessante sentire cosa avesse da dire Mosley su certe vicende motoristiche nelle quali era stato coinvolto (tipo avere partecipato come pilota alla gara nella quale morì Jim Clark e raccontare esperienza diretta di quel giorno), sarei accusata di essere a favore dell'organizzazione di incontri sessuali tra innumerevoli partner a sfondo nazista, quindi mi sembra opportuno puntualizzare che condanno fortemente l'apologia di nazismo (se una persona nella sua vita privata vuole prendere parte a un'orgia, invece, non sono affari miei).
Detto questo, se appartenete a quella fascia di persone in grado di contestualizzare le cose, proseguo parlando di come è strutturato il documentario. Si inizia con Martin Brundle al GP d'Australia 1996, protagonista di un tremendo cappottamento nel corso del primo giro della gara. Un tempo un simile incidente avrebbe sicuramente significato la morte del pilota coinvolto. In quella circostanza Brundle non solo è uscito dalla monoposto sulle proprie gambe, ma è corso ai box - dopo avere ricevuto il via libera da Sid Watkins - per salire sul muletto con il quale prendere parte al restart.
Questa viene usata come prova a sostegno dell'incredibile miglioramento della sicurezza e da lì si fa un salto indietro fin dagli albori della Formula 1, parlando di alcuni incidenti mortali - e non, viene dedicato parecchio spazio anche al rogo di Niki Lauda, specie dei più famosi, di un range temporale che va dagli anni '50 al 1978: di fatto fino a Ronnie Peterson, anche se alcuni casi altisonanti non vengono nemmeno menzionati (come per esempio Tom Pryce).
Ho trovato questa parte molto ben fatta, con le immagini che non appaiono mai fuori luogo. L'ho già detto: è un documentario che parla specificamente di incidenti gravi o mortali e di evoluzione della sicurezza, senza alcuna sfumatura splatter e senza alcuna mancanza di rispetto. Peraltro aggiungo che si vedono quasi solo ed esclusivamente AUTO incidentate e se ci sono scene di soccorsi non ci sono inquadrature nel dettaglio.
Veniamo al punto dolente. Purtroppo il film rispecchia un po' la sua recensione su Wikipedia, che afferma "following Peterson's accident, Formula One remained relatively fatality free". Non so come si possa affermare che dopo il 1978 la Formula 1 sia stata un periodo relativamente senza molti incidenti mortali, quando quattro piloti sono morti tra il 1980 e il 1986. Tuttavia anche il film specifica come siano morti solo quattro piloti negli anni '80 e la faccenda venga liquidata in non più di trenta secondi.
L'ultima parte è incentrata sul fatto che dagli anni '90 in poi siano accaduti soltanto due incidenti mortali, con la parte che precede il finale interamente dedicata ad Ayrton Senna. Ecco, anche questo non mi è piaciuto tanto, che di due piloti morti nel GP di San Marino 1994 (di cui viene clamorosamente toppata la data, una didascalia che inquadra la monoposto di Senna nei primissimi giri di gara sostiene che fosse il 4 maggio) uno dei due venga a malapena menzionato, con una *foto* (neanche un'inquadratura) della sua monoposto.
Questo è quanto, anche se vorrei aggiungere un particolare che mi è sembrato abbastanza "inedito", nel senso che non ricordo di avere mai sentito una simile osservazione: nel corso del documentario viene messo in luce come l'investimento fatto in termini di miglioramenti della sicurezza dagli anni '70 in poi non sia stato dettato solo dalle ragioni intuitive, ma anche dalla necessità di rendere la Formula 1 un prodotto adatto alle televisioni.
Viene osservato come la gente non volesse assistere a incidenti mortali alla televisione, da lì l'esigenza di fatto anche di marketing di limitarne la quantità. Mi ha fatto molto riflettere, perché obiettivamente parlando il compiacimento del pubblico televisivo è ancora il punto cardine. Il problema è che il pubblico degli anni '70 magari voleva davvero più sicurezza, mentre quello attuale sembra volerne meno.
Il documentario termina, di fatto, di nuovo con il GP d'Australia 1996, con qualche ulteriore accenno ad altri incidenti che un tempo sarebbero stati devastanti, ma che hanno avuto conseguenze o nulle o poco gravi, come per esempio quello di Robert Kubica in Canada 2007. Infine, proprio come "Senna" di Asif Kapadia (che non ho mai recensito per questo blog e in realtà non vedo da moltissimi anni, ma chissà, magari potrei pensarci seriamente), termina ricordando che, grazie ai progressi fatti dalla sicurezza, non c'erano più stati incidenti mortali dopo il 1994. Bei tempi, che in entrambi i casi sarebbero finiti dopo ben pochi anni.
In sintesi, il mio giudizio è mediamente positivo. Se siete appassionati di Formula 1 vintage e volete approfondire il tema della sicurezza, ve lo consiglio. Se invece gli incidenti vi impressionano, state lontani da questo documentario, perché non farebbe per voi.
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