Se per livello emotivo intendi coinvolgimento, indipendentemente dal risultato, il mio voto va al GP d'Europa del 1999. Ne accaddero davvero di tutti i colori e, per quanto all'epoca avrei gradito maggiormente altri risultati (quel minimo di nazionalismo sufficiente a emozionarmi nel vedere un italiano in testa e quel fangirlismo mai davvero dimenticato nei confronti della Benetton mi portarono a non essere particolarmente soddisfatta del ritiro di Fisichella quando era in testa) la considerai fin da subito un garone epico. Tra l'altro seppure all'epoca non fossi così tanto interessata agli outsider così come ne sono ora, mi piaceva molto l'idea che quel giorno qualcuno avrebbe potuto vincere il suo primo gran premio. Poi va beh, la cosa non accadde, perché Herbert di gran premi ne aveva già vinti due ai tempi della Benetton, però comunque è stata l'unica vittoria della Stewart ed è stata una vittoria del tutto inattesa. Credo che per l'epoca il podio del GP d'Europa 1999 tra l'altro sia stato uno dei podi più soddisfacenti che avessi mai visto: c'era Herbert che era Herbert, c'era Trulli che era italiano, c'era Barrichello che mi stava simpatico fin da quella volta che l'avevo visto in testa a un gran premio e che purtroppo aveva avuto problemi tecnici (era il GP del Brasile, tra parentesi)...
Se invece intendi un coinvolgimento derivante dal risultato, per quanto ci siano stati alcuni gran premi di Formula 1 che potrebbero essere dei validi candidati, mi tocchi citare la Indy 500 del 2015.
Prima di tutto c'è il fatto che la Indy 500 non è una gara come tutte le altre. In Formula 1 ci sono piloti che venderebbero l'anima pur di vincere il gran premio di casa, ma sinceramente non credo che ci sia qualcuno che, tra vincere il gran premio di casa e vincere il campionato, preferirebbero vincere il gran premio di casa. Stessa cosa per i gran premi storici che, va bene, hanno fascino e quant'altro, ma non ho mai sentito nessuno, britannici esclusi, che fosse eccitato da una vittoria a Silverstone più che su un qualsiasi altro circuito, così come, ferraristi esclusi, nessuno mi è sembrato più eccitato da una vittoria a Monza che su altri circuiti. In ogni caso, se non ci sono ragionevoli speranze di vittoria, chiunque sarebbe ben lieto di un secondo o un terzo posto.
Alla Indy 500 non funziona così. Inoltre c'è un'imprevedibilità molto maggiore e spesso il risultato non è chiaro finché non viene esposta la bandiera a scacchi. Ora, ci tengo a precisare che ho trovato stressanti situazioni molto più calme e molto meno imprevedibili, quindi vi lascio immaginare, dopo oltre tre ore di gara, in che condizioni io abbia seguito qualcosa come venti minuti di duello per la prima posizione tra Power e Montoya.
Per chi non lo sapesse, quando guardo la Indycar o altre serie, ho la tendenza a parteggiare per gli ex piloti di Formula 1, qualunque cosa pensassi di loro quando stavano in Formula 1, quindi tra i due preferivo di gran lunga Montoya nei confronti di Power (anche perché come personalità preferisco Montoya a Power, pluricampione del mondo dello sventolamento del dito medio, almeno Montoya alterna momenti in cui è inca**ato a momenti in cui si comporta da trollone, mentre Power è sempre e costantemente inca**ato). Poi, quando a tre giri dalla fine Montoya ha superato Power abbastanza inaspettatamente (dopo una lunga serie di sorpassi e controsorpassi che al momento mi sembravano terminati), avete presente quando nei film si vedono i flashback in bianco e nero? Ecco, io ho vissuto il momento più simile a un flashback da film di tutta la mia esistenza. Mi è sembrato che mi passasse davanti agli occhi tutta la carriera di Montoya in Formula 1, a iniziare dal suo sorpasso su MSC in Brasile 2001, ai suoi duelli in particolare con i fratelli Schumacher, al caos e a tutto il resto, e lì mi sono resa conto che, tra i piloti che stavano in Formula 1 a quell'epoca, era praticamente l'unico top-driver dell'epoca ancora in attività e che la sua ipotetica vittoria fosse qualcosa che andava oltre il tempo e che potesse ridarmi l'illusione che "la Formula 1 dei miei tempi", con tutte le sue implicazioni, da qualche parte esisteva ancora. Ricordo vagamente che non capivo più niente di quello che stava succedendo di avere pensato (o urlato, non lo so), qualcosa come "tu hai superato Schumacher quasi al debutto, in una serie che non era la tua, quindi puoi vincere questa gara, anzi, devi vincerla".
Tre giri più tardi Montoya ha vinto la Indy 500. A quel punto stavo piangendo a dirotto, non so se per la Formula 1 dei primi anni '00 che non esisteva più, non so se per il risultato, non so se perché finalmente avevo avuto la dimostrazione che, non importa quanti anni passi in giro per il mondo ottenendo risultati talvolta discutibili, ma una volta che ritrovi il tuo posto puoi ancora tornare quello che eri prima.
Credo che sia stata la prima volta nella mia vita in cui ho pianto veramente a dirotto per il risultato di una gara.
Anche l'altra gara per cui ho pianto a dirotto quando il vincitore ha tagliato il traguardo è stata di impatto emotivo molto forte, ma quella volta non era per la bella gara, ma soltanto per il vincitore.
MILLY SUNSHINE // Mentre la Formula 1 dei "miei tempi" diventa vintage, spesso scrivo di quella ancora più vintage. Aspetto con pazienza le differite di quella attuale, ma sogno ancora uno "scattano le vetture" alle 14.00 in punto. I miei commenti ironici erano una parodia della realtà, ma la realtà sembra sempre più una parodia dei miei commenti ironici. Sono innamorata della F1 anni '70/80, anche se agli albori del blog ero molto anni '90. Scrivo anche di Indycar, Formula E, formule minori.
sabato 7 gennaio 2017
Mi è stato chiesto quale sia la gara più bella che io abbia mai visto a livello emotivo (non solo a me, in realtà...) e questo è quanto ho risposto
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