Buona lettura! *-*
CAPITOLO 1
Oliver stava facendo roteare distrattamente il bicchiere su se stesso, quando l'atmosfera cambiò all'improvviso, lasciandolo spiazzato. In seguito Dalila avrebbe detto di no, che non era stata colta di sorpresa e che non vi aveva nemmeno fatto caso, all'inizio, ma proprio in quel momento stava aprendo la pochette e, con un'espressione spiazzata sul volto, finì per rovesciarla e spargere il contenuto sul tavolino. Rimase immobile per qualche istante, con lo stupore stampato in viso, finché Oliver non le domandò: «Va tutto bene?»
La fotografa annuì con un cenno, con poca convinzione, alzando lo sguardo verso di lui e raccattando al contempo un borsellino per le monete, un mascara e un portachiavi fucsia con il logo della Pink Venus appeso al quale non vi era alcuna chiave.
«Sì, sì, va tutto bene» confermò, accennando ad alzarsi. «Andiamo a ballare?»
«Prima devo finire la mia bibita» osservò Oliver, indicando il bicchiere con l'acqua tonica. Non prendere niente gli era sembrato fuori luogo, mentre Dalila beveva, ma più avesse rimandato e meno tempo sarebbe passato tra il momento in cui la bocca gli si sarebbe riempita di zucchero e quello in cui, una volta a casa, avrebbe potuto lavarsi i denti per togliersene il sapore. «E poi», gli sfuggì una risatina, «Proprio con questa canzone di merda?»
Dalila si lasciò andare, appoggiandosi allo schienale della sedia.
«Oh, scusa, non ci avevo fatto caso.»
«A me, invece» ribatté Oliver, «Pare proprio di sì.»
Fino a poco prima l'atmosfera della sala era resa vivibile da un brano vintage che a suo tempo aveva scalato le classifiche, rimanendovi per mesi e mesi, nonostante si trattasse di una semplice canzone da discoteca. Non era stato l'unico, di quel periodo a dir poco ottimo per quel genere musicale, ma era arrivato dopo una lunga serie di brani dello stesso decennio. La melodia travolgente dell'eurodance, tuttavia, aveva dovuto lasciare spazio a qualcosa che non solo vi si avvicinava minimamente, ma che l'unica classifica di cui poteva essere degna era quella del cassonetto dei rifiuti indifferenziati - neanche per la raccolta porta a porta, andava bene, poteva solo rimanere a ristagnare per ore e ore, forse giorni, all'interno dei vecchi bidoni.
Era una sorta di gracchiare e, dal fatto che quella parte di clientela composta da ragazzini si fosse diretta a passo spedito verso la pista, se non già lì presente, doveva esserci chi la identificava come un dignitoso esempio di canto. Di per sé, la musica di sottofondo, probabilmente scopiazzata da qualche parte, avrebbe addirittura potuto essere orecchiabile, ma le parole avevano un che di indecente.
Dalila osservò: «Ai bimbiminchia piace, vedo.»
Oliver sospirò.
«Non vedo l'ora che arrivi settembre, così almeno i bimbiminchia torneranno a scuola e non potranno più andare in discoteca il venerdì sera.»
«Ci andranno al sabato» puntualizzò Dalila.
Oliver alzò le spalle.
«L'idea di saperli a scuola per sei giorni su sette, comunque, è molto rilassante. Sì, lo confermo, spero che settembre arrivi presto.»
Dalila gli strizzò un occhio.
«Devono succedere ancora tante cose, prima che arrivi settembre. Non mi hai ancora detto se accetti la mia proposta o, per meglio dire, la proposta di Mirko.»
Oliver le ricordò: «Me l'hai appena fatta.»
«Te l'avrei fatta molto tempo fa» chiarì Dalila, «Se tu non mi avessi bloccata dappertutto e non avessi dovuto presentarmi sotto casa tua per essere presa in considerazione.»
«Non ti avrei bloccata se non fosse capitato quel casino. Comunque devo pensarci, te l'ho già detto. L'idea di tornare a lavorare con te e con Mirko non mi fa impazzire.»
«Fare il freelance, invece, sì?»
Oliver abbassò lo sguardo.
«Credimi, Dalila, ti darei una risposta subito, se ce l'avessi pronta, ma non ce l'ho... l'atmosfera non è delle migliori. Sai, sono concentrato ad ascoltare il testo, bro.»
Dalila rise.
«Sis.»
«Bro, sis, è uguale» ribatté Oliver, alzando lo sguardo, per poi essere subito costretto a darle ragione, quando quell'appellativo riecheggiò tra i versi. «Giusto, sis.»
Le casse diffondevano ancora la stessa voce femminile contraffatta dall'Autotune, che come una scheggia impazzita si lasciava andare a un lungo monologo trap:
Immagino te chi mi dai un kiss
Invece sono qui con la mia sis,
Tu sul dark web cerchi le clips
Di una cessa che pare una miss,
Bro ti amo, Menny è una troia
Che apre le gambe per noia,
Non sopporto questi tuoi trip,
Guardi la clip e ti fai una pip-,
Menny sbatteva perdendo grip,
Poi spegni la luce, switch,
Un giorno sarò la tua bad bitch,
Ti odio ma ti amo el mismo,
Basta con l'autoerotismo
E le manie di protagonismo
Di quella zoccola in calore
Mentre io ti penso per ore,
Voglio sentire il tuo odore
Stare qui a fare l'amore,
Ma la mia sister dice di no,
Mi dice: non cambierà il bro,
Sul dark web cerca gli show
E poi torna a dirti di no...
Anche Dalila sembrava avere prestato attenzione al testo, tanto da affermare: «Mi sembravano tanto stupide le canzoni di quando ero ragazzina io, ma devo dire di appartenere a una generazione fortunata. Questo schifo è indecente.»
«Penso di potere concordare» rispose Oliver, «Anche se non sono madrelingua e potrei essermi perso qualche sfumatura del testo. Hai idea di cosa significhi questa roba?»
«Tirando a indovinare, la cantante - e mi pare molto azzardato definirla tale - si trova insieme a un'amica, quando invece vorrebbe essere insieme al ragazzo dei suoi sogni» ipotizzò Dalila. «Questo ragazzo sta guardando video erotici di una certa Menny, che si trovano nel dark web, masturbandosi nel frattempo e scatenando la gelosia della presunta cantante, la quale riceve dall'amica il consiglio di lasciar perdere il ragazzo dei suoi sogni, o per meglio dire, il bro. Mi viene da chiedermi se questa Menny che "fa la troia sul dark web" sia consapevole che ci siano suoi video erotici che girano sul dark web. Così, a occhio e croce, potrebbe esserne del tutto inconsapevole. Anche perché, se fosse una pornostar professionista, al massimo sarebbe su siti vietati ai minori di diciotto anni.»
«Giusta osservazione» convenne Oliver. «Non ci avevo pensato.»
Per Dalila, il discorso sembrava già finito.
«Dai, andiamo a ballare, anche se la musica fa cagare, adesso!» Si alzò in piedi. «Finisci quella limonata.»
Oliver stava per precisare che non si trattava di limonata, ma quel pensiero si perse. Portò il bicchiere alla bocca, con una certa rassegnazione, mentre il pezzo della trapper si apprestava a terminare:
Brillava nella città del peccato
Sotto al cielo illuminato,
Lasciava tutti senza fiato,
Sulla TV tu hai sborrato,
Ma un giorno sarà morta
E la tua mente contorta
Si libererà di quella whore,
I luv you bro, luv me more,
Questo pezzo alza il mio score,
Ti piacciono le bimbe famose
Anche se non sono formose,
Le bitch saranno invidiose
Di me e di te, te lo spiego,
Menny puttana, hasta luego!
La canzone, se così la si poteva definire, terminò lasciando spazio a un pezzo commerciale, fortunatamente pensato per essere un tormentone estivo che potesse essere suonato in ogni dove, in primo luogo sui canali radio ascoltati dalle persone adulte, anziché ai soli raduni di quindicenni perdigiorno. L'acqua tonica di Oliver, tuttavia, non era ancora terminata, quindi Dalila lo esortò: «Dai, cosa aspetti? Ti stai facendo qualche paranoia sul testo diseducativo? Tanto lo sai che la maggior parte dei ragazzini ha una capacità di attenzione che non supera i venti secondi. Dopo "hasta luego" si saranno già dimenticati tutto quello che hanno ascoltato, figurarsi se si augurano la morte di questa Menny, chiunque sia, accusandola di essere una troia che cattura l'attenzione del "bro" che non presta attenzione alla "sis" in quanto troppo impegnato a farsi le seghe davanti a filmati di dubbia provenienza che probabilmente ledono la privacy della stessa Menny.»
«Città del peccato, cielo illuminato, TV, bimbe famose» borbottò Oliver. «Non so perché, ma ho una brutta sensazione. Sbatteva perdendo grip. Un giorno sarà morta, quindi è esposta al pericolo. Ho una brutta sensazione, Dalila.»
Dalila spalancò gli occhi.
«Cosa vuoi dire?»
Oliver buttò giù tutto quello che restava della sua bibita, prima di seguire Dalila sulla pista da ballo.
«Tina Menezes» le urlò in un orecchio, per sovrastare la musica ad alto volume proveniente dalla cassa vicina. «Menny è lei.»
Dalila iniziò a muoversi sulla pista da ballo, con la lunga coda di capelli biondo platino che saettava nell'aria circostante, assumendo per brevi istanti i riflessi delle luci colorate. Non chiese di ripetere, né diede segno in alcun modo di non avere capito. Semplicemente archiviò quanto Oliver aveva appena detto, come se fosse un problema che non la riguardava.
«Mi hai sentita?» ribadì Oliver. «Menny è Tina Menezes.»
Finalmente Dalila gli diede la soddisfazione di prenderlo in considerazione, ma fu una soddisfazione da poco.
«Stai ancora pensando a quella canzone da cornacchia? Lasciala gracchiare.»
Non aveva tutti i torti, effettivamente il testo di quella perla di musica contemporanea non era affare suo, così come non lo era la vita di Tina Menezes, ma non voleva arrendersi.
«Vieni con me» supplicò, rivolgendosi a Dalila.
«Dove?» sbottò la fotografa. «Siamo qui per ballare o per parlate della spazzatura del panorama musicale odierno?»
Oliver si allontanò dalla pista, sperando che Dalila lo seguisse. Era certo che l'avrebbe fatto. Con la coda dell'occhio la intravide dietro di sé. Non si fermò al tavolo al quale erano stati seduti fino a poco prima, ma si diresse verso la zona più isolata della sala. Molte poltroncine erano libere, quindi ne scelse una a caso. Dalila si accomodò alla sua destra.
«Allora, maledettissimo Oliver Fischer, vuoi spiegarmi cosa ti passa per la testa?»
Oliver prese fuori lo smartphone dalla tasca dei jeans.
«Ricordi qualche parola della canzone?»
«A parte bro, sis e clip?»
«A parte quelle.»
«Mi pare qualcosa tipo "tu nel dark web cerchi le clip di una cessa o di una miss". Non so se...» Dalila si interruppe. «Cosa cerchi sul cellulare?»
Oliver digitò sul motore di ricerca le parole ripetute dalla fotografa. Non erano proprio quelle esatte della canzone, ma la trovò senza difficoltà.
«Baby Dumbaby, il titolo è "Miss Vegas".. e inizia testualmente con le parole "pensi alla miss di Las Vegas, intanto ti fai una sega". Pura poesia, non trovi? Questo, però, aumenta la mia convinzione che la canzone parli della Menezes.»
«E, sentiamo, Oliver, perché mai questa Baby Dumbaby - un nome che è una garanzia - dovrebbe borbottare una non-canzone in cui fa slut shaming contro Tina Menezes e menzionare il fatto che il suo oggetto d'amore preferisca masturbarsi piuttosto che prenderla in considerazione?»
«Se non parlasse di Tina Menezes, ma di un'altra persona, vera o immaginaria che fosse, ci sarebbe qualche motivo sensato a giustificare l'esistenza di questa non-canzone? Termine azzeccato, devo dire. Comunque non era questo il punto. Baby Dumbaby mi interessa relativamente. Quello che mi incuriosisce è l'accenno ai video erotici di questa "Menny" che girano sul dark web.»
«Sarebbe più grave se fosse Tina Menezes, piuttosto che una perfetta sconosciuta?»
«Sarebbe grave ugualmente, ma il fatto che sia un personaggio noto la rende facilmente identificabile. Una perfetta sconosciuta avrebbe molte più probabilità di rimanere un perfetta sconosciuta, per quanto sia ugualmente disgustoso.»
«Mhm.»
«Cosa non ti convince?»
«Non mi convince nulla. Dai, torniamo a ballare, siamo venuti qui per questo. Puoi pensare domani alla Menezes.»
Oliver puntualizzò: «In realtà non siamo venuti qui per ballare. Mi hai invitato a uscire con te per farmi una proposta di lavoro, se non ricordo male.»
Dalila confermò: «Una proposta di lavoro che non hai ancora accettato. Però non l'hai nemmeno rifiutata, quindi posso attendere fiduciosa. Eravamo una bella squadra, ai vecchi tempi.»
«Prima che Mirko mi cacciasse.»
«È passato tanto tempo. Le vecchie incomprensioni, ormai, sono state chiarite.»
«Le vostre, forse. Io con Mirko non ho più avuto a che fare da allora.» Oliver cercò di cambiare discorso e si mise a cercare informazioni sulla trapper di "Miss Vegas", ritrovandosi davanti a ben pochi dettagli. «Senti qui. "Non si sa molto a proposito del nuovo fenomeno generazionale già numero uno tra i giovani. Baby Dumbaby non ha mai rivelato il proprio nome e ci sono ben poche foto e filmati che la ritraggono, al di là del videoclip della sua travolgente hit e delle immagini del backstage". Fenomeno generazionale? Travolgente hit? Questa canzone è famosa? E allora come mai non l'ho mai sentita alla radio?»
Dalila osservò: «L'hai presa proprio a cuore, eh? Non è che, sotto sotto, questa "hit" ti piace?»
Oliver le mise lo smartphone davanti agli occhi.
«Baby Dumbaby è questa ragazzetta tamarra qui.»
«Bel ciuffo rosso fuoco. I capelli sembrano una parrucca. E quel top striminzito sopra i pantaloni... temo si sia dimenticata di indossare la maglia. Per non parlare di quelle scarpe indecenti. Cosa sono, sneakers con la zeppa?»
«Attenta che i suoi fanboy potrebbero accusarti di body shaming.»
«Se sono analfabeti funzionali, sicuramente. Mi hai sentito dire qualcosa sul corpo di Baby Dumbaby? Ho solo detto che è vestita di merda... e neanche con questi termini.» Dalila si alzò in piedi. «Andiamo a ballare, adesso? Ormai il tuo dovere l'hai fatto. Non penso che, se cercassi il nome di Baby Dumbaby associato a quello di Tina Menezes, troveresti qualcosa di utile.»
Oliver annuì.
«Grazie, Dalila, mi hai dato un'idea meravigliosa.»
«Idea inutile.»
«Magari sarà inutile, ma è comunque meravigliosa.» Digitò i due nomi. «Niente da fare, hai ragione tu: sembra non esserci nulla che colleghi Tina Menezes a questa tizia.»
«Posso dire che non mi stupisce?»
Oliver si alzò in piedi, rassegnato.
«Puoi dirlo.»
«E posso anche ordinarti di mettere il telefono in tasca e di non cercare più nulla fino alla fine della serata?»
«Di base non accetto ordini da te, ma potrei prendere in considerazione questa proposta, specie se tornassero a suonare musica di un certo livello.»
«Non siamo ai livelli della dance anni Novanta di prima, ma mi sembra che la parentesi trash sia stata abbontantemente superata.»
Oliver mise via il cellulare. Seguì Dalila sulla pista da ballo e, almeno per il momento, accantonò Baby Dumbaby e i suoi pensieri su Tina Menezes. Ballò per tre quarti d'ora buoni insieme alla fotografa, mentre la musica tornava a spaziare a poco a poco sempre più verso i vecchi tempi. Il ritmo era di nuovo travolgente, i ragazzini a poco a poco andavano a sedersi, oppure giravano per la sala con i bicchieri in mano, segno evidente che l'eurodance non faceva al caso loro.
Oliver e Dalila tornarono al tavolo al quale avevano bevuto insieme quasi un'ora prima solo quando fu annunciata una breve parentesi dedicata ai lenti. Coppie avvinghiate si davano la lingua in bocca, nella probabile convinzione che ciò rientrasse nel concetto di ballo.
Stranamente fu Dalila a tornare sull'argomento di poco prima: «Perché Baby Dumbaby dovrebbe sapere chi è Tina Menezes? Ai ragazzini, di solito, interessano più che altro le cose da ragazzini.»
Oliver, che si era rassegnato alla propria impotenza e all'impossibilità di vederci chiaro, osservò: «Adesso sei tu che ne stai facendo una questione di vitale importanza.»
Dalila convenne: «Hai ragione, dovremmo dimenticarci di questa storia. Non abbiamo alcuna prova che ci siano video erotici di Tina Menezes che vengono scambiati in qualche gruppo di dubbia legalità, ma soprattutto non abbiamo alcuna certezza che la storia narrata in "Miss Vegas" sia vera. Ci siamo lasciati sommergere dal testo, come se non fosse solo il gracchiare di una cornacchia... senza offesa per le cornacchie. Crow Dumbaby, avrebbe dovuto chiamarsi, anche se il suono non sarebbe stato altrettanto poetico. Non che ci sia molto di poetico nel suo nome d'arte... dove vedo di tutto, tranne che arte.»
Il ragionamento iniziale di Dalila aveva senso, tanto che Oliver si arrese: «Hai ragione, la cosa più probabile è che sia una distesa di parole messe lì alla cazzum. Mi sono lasciato condizionare. Ho un certo radar quando si tratta di misteri, ma a volte si accende anche quando non ve ne sarebbe ragione.»
Dalila ridacchiò.
«Conosco bene i tuoi trascorsi.»
«Non bene come credi, ho nascosto i miei segreti peggiori.»
«Meglio non indagare, allora. Ci sono altre questioni che sarebbe meglio approfondire, forse.»
«Di cosa parli?»
«Del fatto che si stia facendo tardi e che sarebbe meglio andare via, ma che all'improvviso, quando ce ne saremo andati, non ci sembrerà più così tardi.»
Oliver azzardò: «Se ti conosco bene, mi sembra che tu mi stia proponendo di venire a letto con te.»
Dalila gli strizzò un occhio.
«Non è necessario un letto.»
«Preferisco declinare l'invito.»
«Come vuoi, ma lascia almeno che ti accompagni a casa. Dubito che troverai un taxi che ti accompagni fino al tuo paesello. A proposito, non mi hai ancora detto che cosa ci fa uno come te in un paesino sperduto del nord Italia.»
«Vivo lontano dai riflettori, finalmente.»
«E non è triste?»
«Affatto.»
«Di cosa ti occupi adesso?»
«Scrivo.»
«Freelance?»
«Pensavo che questo l'avessimo già appurato.»
«Su cosa scrivi? E in che lingua scrivi? Non ho letto niente di tuo, di recente.»
Oliver tagliò corto: «Diciamo che faccio il ghostwriter. Ho dato troppo nell'occhio, negli scorsi anni. Non posso permettermi di firmare i miei articoli. O meglio, potrei permettermelo, ma ne ho abbastanza di vivere in mezzo agli scandali, senza peraltro avere mai fatto alcunché di scandaloso.»
Dalila ribatté: «Non sai quante cose scandalose vorrei fare con te. Però, se non vuoi, me ne starò buona e mi limiterò a portarti a casa.»
***
Non importava che le due di notte fossero passate da poco e che fosse comunemente ritenuto inaccettabile fare telefonate a quell'ora. Dalila non era una persona da messaggi. Le applicazioni moderne permettevano di verificare le letture da parte del destinatario, ma era comunque una procedura fin troppo lunga e macchinosa, più adatta a gente che non aveva nulla di importante da fare - o che non dava importanza a ciò che faceva - se non stare a controllare l'evolversi della situazione e l'apparizione di una spunta. Quando Dalila aveva qualcosa di fondamentale di cui discutere, non si appigliava ai messaggi come usava durante la sua adolescenza, quando non vi erano piani tariffari mensili, ma tutto andava profumatamente pagato. La neanche troppo modica cifra di dieci o quindici centesimi a SMS risultava più bassa di uno scatto alla risposta, quindi era tutto uno scriversi, con abbreviazioni insensate e talora raccapriccianti per fare stare tutto in centosessanta caratteri, altrimenti il costo era doppio.
Quei tempi erano molto lontani e, se da un lato era trascorso molto tempo da quando Dalila era stata dipendente dai soldi ricevuti dai genitori per le ricariche telefoniche, dall'altro la progressiva eliminazione degli apparecchi fissi aveva sdoganato il chiamare a orari un tempo considerati poco proponibili. Chi non voleva essere raggiunto aveva la facoltà di spegnere il cellulare... anche se ciò non toglieva che le due e dieci non fossero un orario in cui ci fosse l'abitudine di fare telefonate.
Dalila non se ne curò. Poco dopo avere accompagnato Oliver a casa, accostò sul bordo della strada, all'estrema periferia del paese nel quale il giornalista risiedeva. Chiuse le portiere con la sicura, perché nella zona negli ultimi tempi non si erano mai verificati né furti né aggressioni, ma non voleva essere l'unica vittima conosciuta di eventuali malintenzionati che fossero in giro a quell'ora.
Appoggiata al sedile, senza nemmeno essersi slacciata la cintura di sicurezza, aprì la pochette, prese fuori lo smartphone e fece subito partire la chiamata per Mirko. Si immaginava maledizioni, invece fu piuttosto fortunata, dato che il collega si limitò a domandare: «Che ore sono?»
Dalila fu molto diretta.
«Sono stata in discoteca con Fischer.»
«E...?»
«E gli ho fatto la proposta.»
«L'ha accettata?»
«Non ancora.»
«Fammi capire, mi chiami adesso senza avere neanche una risposta?» Mirko sembrava seccato. «Non ho gli occhiali indosso, quindi non riesco a vedere molto bene la sveglia, ma così, a occhio e croce, sono le due e qualcosa. Stavo dormendo.»
Dalila ribatté: «Chi dorme non piglia pesci.»
«E chi cazzo me ne frega, non sono mica un pescatore!» ribatté Mirko. «Posso tornare a dormire, adesso, o devi dirmi altro?»
«Ho escogitato un piano perfetto» lo informò Dalila. «Te l'avevo detto, no?»
«Che cosa mi avevi detto, esattamente? Tu dici un sacco di cose, ma neanche te ne rendi conto. È difficile stare dietro a tutto. Sii più chiara, per favore.»
«Sarò chiarissima. Te l'ho detto, conosco DJ Perla.»
«DJ chi?»
«Sono stata in discoteca con Fischer, ti ho detto» ripeté Dalila. «Su questo, mi pare, non c'è molto da aggiungere.»
«No, questo l'ho capito benissimo» confermò Mirko. «Quello che non capisco è perché mi stai parlando di DJ non-so-chi.»
«DJ non-so-chi si chiama Perla. O meglio, si chiama Priscilla, ma il suo stage name è Perla. La conosco. Le ho chiesto un piccolo favore personale. Ha suonato quel pezzo, ed è pure riuscita a non farlo sembrare troppo sguaiato in mezzo alla scaletta di stasera. Certo, è venuto dopo "Baby baby" di Corona e, piazzato lì, faceva molto cagare. Però ha colto nel segno. Non c'è nemmeno stato bisogno che fossi io a farlo notare a Fischer. Si è accorto da solo di quanto "Miss Vegas" non avesse niente da dire con quel momento.»
«E...?»
«E... cosa?»
«Ci sarà dell'altro, immagino. Dubito che tu mi stia telefonando a quest'ora della notte per informarmi che Oliver Fischer ha ascoltato una canzone trap sconosciuta e gli è sembrata brutta.»
Dalila lo rassicurò: «Quella canzone l'ha colpito e non poco. Ha pensato subito a Tina Menezes. Ha anche fatto qualche ricerca in internet, proprio mentre eravamo in discoteca. Non è poi così sconosciuta, pare che sia molto in voga tra i ragazzini. Devi spiegarmi per filo e per segno come hai fatto a stanarla.»
Mirko ribatté: «Non ha alcuna importanza. Quello che conta è che riesci a convincere Fischer a tornare a lavorare per me.»
«La prospettiva non lo fa impazzire.»
«Lo immaginavo.»
«Non avresti dovuto affidarti completamente a me.»
«Cosa vuoi dire?»
«Che dovresti metterti in contatto con lui in prima persona.»
Mirko non parve molto allettato da quella prospettiva.
«L'ultima volta in cui ho parlato con Oliver abbiamo litigato di brutto e gli ho detto che non volevo più saperne di lui.»
«L'uomo saggio è colui che torna sui propri passi» sentenziò Dalila. «Anch'io avevo litigato con Oliver, eppure stasera ci sono uscita. Sai cosa ti dico? Che non sono morta. Anzi, sono qui, viva e vegeta.»
«Ed è un vero peccato» ribatté Mirko. «Se tu fossi morta, non sarei stato svegliato dopo neanche due ore di sonno. Dovevi proprio chiamarmi alle due? E per dirmi che, in realtà, i ragazzini conoscono perfettamente la canzone di quella Dumbaby come-si-chiama?»
Dalila gli ricordò: «Non ti ho detto solo che i ragazzini la conoscono. Ti ho detto anche che Oliver l'ha collegata immediatamente con Tina Menezes.»
Mirko osservò: «Evidentemente Fischer è molto sveglio, oppure ha una fantasia smodata. Ti assicuro che ho fatto ascoltare quella Dumbaby ad altri e tutto ciò che hanno saputo dire è che quella canzone è una schifezza e che per colpa della musica trap le nuove generazioni sono rovinate.»
Dalila gli assicurò: «Non ti ho chiamato per parlarti dei presunti danni della musica trap. Conosco il dibattito, c'è chi dice che esorta al consumo di droghe e alla violenza. Però, da che io ricordi, è stato detto di tanti altri generi. Quando ero più giovane, c'era chi diceva che i ragazzini facessero uso di droghe a causa della musica techno e house. La verità è che i ragazzini consumano droghe o commettono reati perché hanno una testa - seppure malfunzionante - con la quale ragionano e decidono di farlo. Non è che siano anime pure e candide che vengono corrotte magicamente dall'avere ascoltato una canzone brutta. Quindi no, Baby Dumbaby, che peraltro non istiga ad ammazzare nessuno, non scatenerà un'improvvisa esplosione della delinquenza giovanile. Gli stessi giovani che la ascoltano oggi, tra poche settimane neanche si ricorderanno della sua esistenza.»
«Non mi hai chiamato per parlarmi dei danni della musica trap, ma stai comunque facendo un monologo che alle due di notte passate non ho alcuna voglia di stare a sentire» chiarì Mirko. «Non me ne potrebbe fregare di meno di quella tizia, se non fosse che la sua canzone serviva come esca. Hai detto che Fischer ne è rimasto colpito. Però, ciò nonostante, non ha accettato di tornare a lavorare con me.»
«Cosa volevi che facessi?» replicò Dalila. «C'era assoluto bisogno che non capisse che la mia proposta era collegata a quella canzone. Non preoccuparti, me lo lavorerò bene, quando sarà il momento.»
«Non possiamo aspettare settimane» le ricordò Mirko. «Dobbiamo agire in fretta. Presto potrebbe essere troppo tardi.»
Dalila sbuffò.
«Sei sempre il solito catastrofista.»
«Meglio catastrofista che non prendere le cose troppo alla leggera, come invece fai tu.»
«Io non prendo le cose alla leggera.»
«Ti avevo chiesto una cosa, una sola...»
Dalila tagliò corto: «Ogni cosa a suo tempo. Te l'ho detto, dobbiamo andarci cauti, se vogliamo che Fischer lavori insieme a noi. Ci siamo lasciati malissimo. Non ha alcuna ragione per darci una mano.»
Mirko osservò: «Allora bisogna passare al piano B.»
«No» obiettò Dalila. «Tutto procede regolarmente. Mi basta una settimana.»
«Non possiamo aspettare così tanto.»
«Una sola settimana, Mirko. Devi pazientare un attimo. Non puoi pretendere che faccia i miracoli. Non potevo menzionargli la Menezes, non fuori dal discorso sulla canzone, almeno.»
«Lo ribadisco, Dalila, non possiamo aspettare. Trova un modo per convincere Oliver a lavorare con noi, in meno di una settimana.»
«Piano C.»
«Cosa vuoi dire?»
«Il tuo piano B consiste sicuramente nel mettere in mezzo altre persone, nel favorire un certo incontro. Nel mio caso, il piano C è semplice e di facile attuazione: chiamalo. Ti consiglio di farlo da un numero che non conosce, perché probabilmente ha bloccato il tuo. Parlagli.»
«Per dirgli cosa?»
«Ma che cazzo ne so, usa un po' la fantasia. Digli che gli vuoi bene e che lo considererai sempre un amico, che ti dispiace esserti allontanato da lui e...»
Mirko la interruppe: «Vacci piano, non siamo in una trasmissione televisiva per casalinghe annoiate. La mia vita potrebbe continuare benissimo anche senza Oliver Fischer. Tutto quello che mi serve è la sua collaborazione. Non sarei capace di espormi in prima persona. Oliver, invece, lo farebbe senza grossi problemi. Si è cacciato in casini peggiori. Ha perfino rischiato di farsi ammazzare, anni fa. È la persona giusta per noi.»
Dalila gli suggerì: «Allora chiamagli e digli proprio questo. Non così esplicito, ovviamente, non deve capire cosa bolle in pentola. Digli che è un valido giornalista e che, da quando non lavora più insieme a te, il prodotto che hai da vendere è di gran lunga inferiore. Fagli una proposta di collaborazione, senza usare me come intermediaria. Ce la puoi fare, ne sono certa. Io ho già fatto quello che potevo.»
***
C'erano poche certezze nella vita, ma una di queste era l'insistenza di Dalila Colombari. Quando aveva qualcosa in mente, era difficile convincerla a demordere, pertanto Oliver si era aspettato di essere tartassato di telefonate fin dalle prime ore del mattino. Quando queste non erano arrivate, aveva dedotto che Dalila fosse ancora troppo stanca dalla serata precedente, oppure che avesse qualche impegno di lavoro, nonostante gli avesse anticipato di essere libera tutto il fine settimana.
Aveva continuato ad attendere, pur senza essere desideroso che quel momento arrivasse, una telefonata della sua ex collaboratrice, ma anche nel corso del pomeriggio il telefono era stranamente muto. Da parte sua, Oliver aveva messo un po' da parte il lavoro. Aveva da fare, come al solito, ma non aveva scadenze ravvicinate: era il vantaggio di occuparsi di vicende passate invece che presenti. Per quella ragione si era dedicato, forse per più del dovuto, a fare ricerche a proposito di Baby Dumbaby, la trapper della canzone udita in discoteca.
Non ne uscì fuori molto, sembrava che, effettivamente, fosse comparsa dal nulla nel panorama musicale e il suo unico singolo pubblicato avesse riscosso molto successo tra gli adolescenti. Oliver si costrinse ad ascoltare quella canzone più volte, tanto che iniziò quasi ad apparirgli orecchiabile, nonostante la poca finezza del testo.
Se lo chiese, chi fosse Baby Dumbaby, realizzando che, con tutta probabilità, fosse solo una giovane ragazza che aveva prestato la propria voce e il proprio volto a un progetto musicale destinato a fare successo tra una ristretta cerchia di pubblico che non aveva l'abitudine di considerarsi una nicchia.
Cercò delucidazioni su chi potesse avere scritto il testo e su chi fosse il produttore di "Miss Vegas", ma Baby Dumbaby era un progetto musicale di cui, a quanto pareva, nessuno interessava scrivere. Tutto ciò che contava era una voce da cornacchia che potesse innalzarsi dai dispositivi degli adolescenti.
Dopo quell'ultimo tentativo ben poco producente, Oliver decise che, per quel giorno, aveva già visto abbastanza. Andò ad affacciarsi alla finestra, guardando la palazzina di fronte. Come spesso accadeva, alla sua stessa altezza c'era una donna che girava davanti alla finestra spalancata con pochi indumenti indosso. Almeno era ancora presto, non aveva la luce elettica accesa che facesse risaltare ancora meglio il suo corpo. Non dava l'impressione di farlo per esibizionismo. Perfino quando girava in biancheria intima, doveva essere semplice sbadataggine, come se non pensasse che qualcuno potesse vederla. O, meglio ancora, pensando: "sono a casa mia, sta agli altri distogliere lo sguardo e non impicciarsi".
Come a rispettare un'implicita volontà, Oliver distolse appunto lo sguardo da quella sconosciuta. Poteva avere tra i trenta e i quarant'anni, aveva un fisico atletico e lunghi capelli neri, spesso raccolti in una coda. Portava spesso completi sportivi, forse era una runner. Non aveva idea di chi fosse, ma abitava in dell'appartamento solo da poche settimane.
Mise da parte anche lei, come aveva messo da parte le ricerche su Baby Dumbaby, e proprio in quel momento il suo cellulare prese a squillare.
Non conosceva il numero e subito si domandò se gli operatori di telemarketing lavorassero anche di sabato. Nessuno voleva vendergli nulla, era Mirko.
«Cosa vuoi?» gli chiese, con freddezza. «Perché mi hai chiamato?»
«Lavoro» rispose Mirko. «Pensavo fossi interessato ad ascoltare la mia proposta.»
«Non saprei. Ho già parlato con Dalila.»
«Hai parlato con Dalila, appunto. Dato che l'idea viene da me, faresti bene ad ascoltarmi.»
«Non sono così sicuro che sia una buona idea» replicò Oliver, «E la vostra insistenza non gioca alla vostra causa.»
«Insistenza?» obiettò Mirko. «Non sono uno stalker, è la prima volta che ti cerco. Inoltre sei stato tu che hai accettato di uscire con Dalila, ieri sera.»
«Vedo che ti ha raccontato tutti i dettagli.»
«Forse non proprio tutti.»
«Non so a cosa tu ti riferisca.»
«Ti è sempre piaciuta» mise in chiaro Mirko. «Non mi stupirebbe di scoprire che ci sia stato qualcos'altro, tra di voi, oltre a una serata in discoteca.»
«In effetti c'è stato altro» puntualizzò Oliver. «Nello specifico, abbiamo fatto qualche ricerca a proposito di una canzone che ci è capitato di ascoltare.»
«Non prendermi per il culo, Fischer. Accetti di lavorare con noi o no?»
«Come ho già detto alla tua collega, ci devo pensare. Mi era sembrato di capire che non dovessi rispondervi in questo fine settimana stesso.»
«Prima ci rispondi e meglio è. Per quanto tu possa trovare difficile crederlo, il mondo non ruota intorno a te, e nemmeno la nostra esistenza.»
«Mi stai dicendo che potresti trovare qualcun altro al posto mio da un momento all'altro, quindi» dedusse Oliver. «Bene, mi fa piacere. Però non devi esserne così convinto, se sei venuto a cercare proprio me, mandando avanti Dalila prima di intervenire tu stesso.»
«Mi piacciono le tue considerazioni» osservò Mirko. «Per quanto tu abbia fatto spesso il possibile per atteggiarsi a coglione, ho sempre saputo che in realtà sei più sveglio di come sembri. Del resto hai una reputazione che ti precede.»
«Se ti riferisci al mio passato» ammise Oliver, «Non lo considero esattamente un successo. Per me era tutto molto più facile prima di avere a che fare con dei morti ammazzati.»
«Posso immaginarlo, anche se all'epoca ancora non ti conoscevo. Comprendo comunque come non sia stato facile per te. C'è chi ti accusa di esserti immischiato in storie che non ti riguardavano... nonostante tu abbia cercato di fare il minimo sindacale, un po' come se proteggere la reputazione delle persone a cui eri legato fosse più importante che far venire alla luce tutta la verità.»
Oliver si irrigidì.
«Non ho mai taciuto niente che fosse rilevante.»
«Io non ne sono tanto convinto, ma farò finta di niente» ribatté Mirko. «Del resto chi sono io per intromettermi negli affari dalla bambolina dai riccioli dorati?»
«Che cazzo vuoi da lei?» sibilò Oliver. «La "bambolina" non c'entrava niente con quella storia, lasciala fuori.»
«Nel tuo libro non l'hai mai citata come l'ultima fidanzata di Patrick Herrmann.»
«Nel mio libro ho parlato degli aspetti sportivi e illegali della vicenda. La vita amorosa dei personaggi coinvolti non aveva la benché minima rilevanza.»
«Non hai parlato nemmeno del fatto che, in precedenza, Herrmann avesse avuto una relazione proprio con la madre della "bambolina", che aveva anche sponsorizzato gli ultimi anni della sua carriera.»
«Lo ribadisco, Mirko, questo non c'entrava con il suo incidente. In più, mi pare stiamo divagando. Non mi hai chiamato per parlare di lei e di Herrmann.»
«No, non ti ho chiamato per questo, ma mi sembra una buona occasione per ricordarti che, se ti fossi fidato di me e avessi accettato la mia visione del mondo, non solo saremmo ancora colleghi, ma il tuo libro sarebbe stato un successo invece che essere un prodotto di nicchia.»
«Non preoccuparti, non vivo di stenti. Pazienza se ho guadagnato meno soldi di quelli che mi sarebbero venuti in mano se avessi scelto di dedicarmi al gossip di bassa qualità.»
Mirko precisò: «Se non avessi fatto di testa tua, probabilmente avremmo sempre lavorato insieme, in questi anni. Invece ti immagino, a cercare di piazzare i tuoi articoli senza che nessuno voglia mettere in bella vista il tuo nome... che vita triste.»
Oliver sbottò: «Fottiti, Mirko. Se non hai altro da dire, ti salut-...»
Mirko lo interruppe: «Mi dispiace deluderti, Fischer, ma di cose da dirti ne ho ancora parecchie. Ho sempre pensato che fossi un collaboratore valido, anche se spesso non eravamo d'accordo su nulla, e non sarei mai arrivato a metterti alla porta se tu avessi accettato di confrontarti in modo costruttivo. Eravamo una grande squadra, io e te, e Dalila ci completava. Per quanto mi riguarda, ho sempre sperato che un giorno le cose potessero sistemarsi, che tu potessi tornare sui tuoi passi... invece non l'hai mai fatto.»
Oliver sbuffò.
«Forse perché per me la vita continua? Credimi, non ruota tutto intorno a te, né la mia vita professionale, né tutto il resto.»
«Sei così disfattista...»
«Cosa dovrei fare? Dire che sei la mia ragione di vita e che, senza lavorare insieme a te, niente ha più senso? Mi dispiace deluderti, ma per me non funziona così. È vero, abbiamo avuto i nostri successi in passato, ma non eravamo una cosa sola.»
Mirko rise.
«Tranquillo, Oliver, non sono innamorato di te. Mi dispiace solo per come è finita. Se tu non mi avessi interrotto, ti avrei detto proprio questo. Abbiamo fatto entrambi degli errori e, se tu non sei mai tornato indietro, è giusto che sia io a farlo. Torna con noi. Abbiamo bisogno di te. Non devi dirmelo adesso, devi solo pensarci. E sbloccami, che mi sono dovuto far prestare un telefono, per contattarti.»
Seguirono ore di calma piatta, ma la telefonata con Mirko era destinata a lasciare Oliver ben più spiazzato di quanto avrebbe gradito ammettere. Aveva ricostruito se stesso per l'ennesima volta, dandosi dei nuovi obiettivi, eppure tutto sembrava destinato a ribaltarsi. Avrebbe potuto ignorare la proposta, ma non per molto. Se Mirko si era messo in testa di contattare proprio lui, doveva avere un obiettivo ben chiaro e, Oliver ne era certo, avrebbe fatto di tutto per ottenerlo. Poteva sottrarsi, ne aveva certamente il diritto, ma era certo che l'altro, con l'aiuto di Dalila, sarebbe stato in grado di incuriosirlo al punto tale da impedirgli di dire di no, fosse anche solo per venire a conoscenza di dettagli scabrosi di cui non era al corrente.
La curiosità uccideva, Oliver lo sapeva, ma aveva superato giorni peggiori, ai tempi in cui si era messo in testa di scoprire la verità sull'incidente nel quale era morto Patrick Herrmann. Avrebbe potuto dire di avervi fatto l'abitudine, alle situazioni che potevano davvero essere pericolose: il rischio, con Mirko, era che tutto andasse a monte un'altra volta a causa delle loro divergenze, un pericolo di gran lunga tollerabile.
Cercò di mettere da parte quei pensieri, addirittura qualche ora più tardi tornò a cercare notizie su "Miss Vegas" di Baby Dumbaby, ritrovandosi a fare due considerazioni su aspetti che non aveva notato in precedenza: in primo luogo, a descrivere quella canzone come un grande successo erano solo siti di nicchia, in secondo, anche il numero di ascolti e visualizzazioni sembrava di gran lunga inferiore alla musica quantomeno più mainstream.
Avrebbe dovuto stupirsi che un brano di così poco calibro fosse stato suonato in una discoteca che dava spazio sicuramente anche a brani scadenti, ma a condizione che fossero successi insindacabili, specie in serate il cui pubblico era composto per la maggior parte da persone che avevano superato i trent'anni, ma non riuscì a dare una spiegazione a quel fatto.
Lo mise da parte, casomai gli fosse venuta un'intuizione, ma riuscì davvero a non pensarvi più, se non altro fino a quella sera sul tardi quando, uscito per una passeggiata - e colto per un attimo da una spiacevole sensazione che non ebbe il tempo di spiegarsi - si ritrovò a incrociare un gruppo di ragazzini, in questo caso troppo giovani per trascorrere la serata in discoteca, che ascoltavano su un cellulare una canzone in apparenza simile a "Miss Vegas".
Ugualmente era un gracchiare di Autotune, ma la voce era maschile. Oliver si chiese se, vent'anni prima, avesse ascoltato a propria volta simili porcherie. Rievocò boyband e girlband dei vecchi tempi che non davano esattamente prova di grande talento, ma tutti i nomi che gli passarono per la mente gli parvero di gran lunga superiori a quel trapper gracchiante, chiunque fosse.
I ragazzini passarono oltre, uno di essi declamando ad alta voce una frase contenente un numero spropositato di termini volgari. Oliver fu costretto a fare un grosso sforzo per non lasciarsi andare a un'invettiva mentale contro le nuove generazioni. Un tempo aveva odiato quel modo di pensare, ma era lampante che avesse raggiunto ormai un'età che non consentiva più la tolleranza alla quale era stato aperto fino a pochi anni prima. In più, quando aveva l'età di quei ragazzini, a quell'ora della sera era già a casa da un pezzo, non certo in giro per strada a disturbare la quiete pubblica. L'allontanamento progressivo del telefono tramite il quale un sedicente cantante stava riuscendo malamente nel tentativo di imitare il verso di un corvo, così come quello del suo proprietario e del resto della combriccola, contribuì a riportarlo in pace con il mondo, almeno per pochi istanti, prima di avere di nuovo una sgradevole sensazione, che identificò finalmente in quella di essere tenuto d'occhio.
Si fermò e si guardò intorno e non vide nessuno, o quantomeno nessuno a cui non mancasse ancora quasi un lustro prima di raggiungere la maggiore età. Avrebbe dovuto sentirsi sollevato, ma non vi riuscì. Fu comunque invaso dalla chiara impressione di essere seguito e, visti i suoi trascorsi, pur cercando di convincersi fosse solo immaginazione, non voleva sottovalutare i segnali d'allarme. Da tempo si guardava bene dal pestare i piedi a qualcuno e teneva sempre gli occhi aperti, nonostante considerasse relativamente improbabile riavere a che fare con gente che l'aveva messo al primo posto nella propria lista nera, ma non poteva essere certo che vivere lontano dai riflettori fosse una garanzia inequivocabile.
Riprese a camminare, sfilando per un attimo il cellulare dalla tasca dei jeans, non per mettersi ad ascoltare musica trap, quanto piuttosto per controllare l'ora. Decise che la sua passeggiata era già durata abbastanza a lungo e prese la direzione che conduceva verso casa. Poco dopo la terribile sensazione di essere pedinato tornò ad affacciarsi alla sua mente. Si guardò intorno e ancora non vide nessuno.
"I casi sono due" rifletté, "o sto diventando paranoico, oppure ho a che fare con un tipo piuttosto scaltro."
Proseguì, imboccando una strada secondaria. L'avrebbe allontanato da casa sua, invece di avvicinarlo, ma voleva avere una conferma che, dentro di sé lo sapeva, sarebbe stato meglio evitare di cercare. Non era saggio allontanarsi dalla strada principale, con il rischio di ritrovarsi da solo in compagnia di un malintenzionato. Per quanto Oliver riuscisse a immaginarsi intento a stenderlo con un calcio laddove non batteva il sole, era perfettamente consapevole dell'improbabilità del realizzarsi di quello scenario.
Continuò ad avanzare, cercando di non girarsi indietro, non ancora, almeno. Aveva ancora il cellulare in mano, quindi lo infilò in tasca. Era tentato di voltarsi, ma non lo fece. Percorse ancora qualche passo lungo la strada poco illuminata, poi qualcuno gli fu addosso.
Oliver si allontanò di scatto, nel sentirsi afferrare per un braccio, poi si girò. Il primo assurdo pensiero fu l'impossibilità di sferrare un calcio nei testicoli al suo aggressore, in quanto dall'apparenza era molto improbabile che possedesse un paio di testicoli.
«Chi sei?» chiese alla donna dai lunghi capelli bruni che aveva di fronte, senza nascondere una certa freddezza.
«È tutto quello che sai dire, Fischer?» sibilò costei, parlando con un accento di difficile identificazione. «Non mi chiedi, piuttosto, come ho fatto a trovarti e che cosa voglio da te?»
«Mi piacerebbe farti molte domande, ma in effetti alcune hanno la priorità, rispetto alle altre» replicò Oliver. «Posso sapere perché mi stavi inseguendo lungo questo vicolo?»
«Se tu non ti fossi infilato in questa strada - che non è affatto un vicolo - non ti avrei inseguito fino qui» ribatté la donna. «Stavi scappando da me?»
«Sì. Non fraintendermi, non mi sembri pericolosa, ma non mi sentivo molto sicuro. Mi sembrava che qualcuno mi stesse tenendo d'occhio e...»
Non ebbe la possibilità di finire la frase, dato che la sconosciuta lo interruppe: «È esattamente quello che stavo facendo.»
Oliver rise, sprezzante.
«Grazie per la considerazione. Posso sapere a cosa devo questo onore?»
«Spero di non averti spaventato... e soprattutto di non spaventarti quando ti dirò che non è la prima volta che ti seguo. Era da tanto che ti cercavo e, quando finalmente ti ho trovato, non mi è sembrato il caso di avvicinarmi subito a te. Temevo di fare una brutta impressione.»
«Invece adesso stai facendo un'impressione positiva...»
«Sapevo che mi avresti fraintesa. Lo so, è un po' strano che mi sia trasferita di fronte a casa tua proprio per te, e...»
Oliver la interruppe, strabuzzando gli occhi.
«Ti sei trasferita di fronte a me... per la mia presenza?! Sei una stalker ossessionata da me?»
La donna parve divertita, nel replicare: «No, come ti viene in mente? E poi lo so che non avrei speranze con te. A te piacciono le bionde con una passione spropositata per gli abiti a fiori e i tacchi vertiginosi.»
Oliver raggelò.
«Che cosa sai della "bionda con l'abito a fiori"?»
«Che sei stato insieme a lei, diversi anni fa, per un breve periodo. Sui social c'è stata una campagna di shaming nei suoi confronti, dopo che ti aveva tradito.»
«Non mi ha tradito.»
«Però ti ha lasciato per mettersi insieme a un altro.»
Oliver puntualizzò: «Gli hater che fanno online shaming accusando personaggi noti di tradimento, in genere, li accusano di avere avuto una relazione mentre erano ancora fidanzati con il partner precedente, invece di lasciarlo e poi iniziare un'altra relazione. Selena ha fatto esattamente quest'ultima cosa», si morse la lingua, rendendosi conto di avere chiamato per nome la "bionda con l'abito a fiori", ma realizzò che non era grave, la persona con cui stava parlando doveva già conoscerlo, «Che era quella che gli hater si aspettavano da lei. Perché non lasciarla in pace? E soprattutto, che cosa vuoi da me? Ti servono i dettagli della nostra relazione per infamarla pubblicamente?»
La sconosciuta scosse la testa.
«Oh, no, affatto. Li odio come te, quelli che fanno caciara sui social media impicciandosi nei fatti privati della gente. Io stessa ho a che fare con loro. Sono il male, vogliono solo rovinarci la vita. Non so se sia perché ci invidiano, oppure perché ci vogliono controllare, ma ti assicuro che è terrificante. Sono loro gli stalker, non le persone come me.»
«Ciò non toglie che tu abbia appena detto di esserti trasferita vicino a casa mia perché mi stavi cercando» le ricordò Oliver. La squadrò con attenzione e, seppure la luce fosse piuttosto fioca, gli parve di identificarla. In circostanze normali non si sarebbe mai permesso di pronunciare certe parole ad alta voce, ma decise che quella tizia non si meritava niente e osservò: «Ora che ci penso, sei la runner per poco non sbatte le tette sulla finestra mentre sono seduto al tavolo a lavorare.»
«Sei un guardone?»
«No, sei tu che metti in bella mostra le tue grazie, oltre che le tue extension fucsia.» Oliver la scrutò. «A proposito, che fine hanno fatto le tue extension fucsia?»
«Non ho la coda, adesso.»
«E quindi?»
«Quindi non sono extension, è un fermaglio. Immagino, comunque, che tu non ne capisca niente di queste cose. Selena di certo non si sarebbe mai messa ciocche fucsia finte tra i capelli.»
Oliver ammise: «Ne dubito fortemente, ma non ho ancora capito che cosa c'entri lei. Per tua informazione, si è sposata, ma immagino che tu lo sappia già, visto che ti tieni aggiornata su quello che la gente scrive di lei.»
«Non mi importa niente di Selena» mise in chiaro la sua interlocutrice, «Sto solo cercando di trovare argomenti che possano interessarti, prima che tu mi mandi definitivamente a quel paese, e di venire al dunque.»
«Ne sarei molto tentato, ma se sei arrivata a trasferirti di fronte a casa mia forse vale la pena di ascoltarti» ribatté Oliver. «Spiegami chi sei e cosa vuoi da me, senza convenevoli.»
La donna si arrese: «Come vuoi, Fischer. Ti facevo più sveglio, però. Va bene, non ci siamo mai incontrati finora, ma pensavo fossi in grado di riconoscermi.»
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Se invece mi leggi abitualmente e sei arrivato/a qui di proposito, ti ringrazio per l'apprezzamento e spero continuerai a leggermi.
Buon proseguimento di giornata (o a seconda dell'orario, di serata, o buona notte). <3
Milly Sunshine