sabato 23 ottobre 2021

Il Delirio dell'Arcobaleno: blog novel - Puntata n.11

Apocalisse a Suzuka - è passato un bel po' di tempo, ma credo sia ora di andare avanti e di avviarci verso destinazione. Questo è il penultimo passo. Buona lettura a tutti!


Nel soggiorno della sua villa di Baltimora, Brett Johnstone si sedette finalmente davanti al televisore.
Era stata una giornata molto impegnativa, quella, ma i suoi pensieri erano rivolti a Suzuka, dove Ethan Harris poteva condurre il team Corujas Blancas alla conquista del titolo mondiale. Koji Yoshimoto, purtroppo, era già fuori dai giochi, con la trasformazione del doppio evento in un evento unico, a causa del maltempo.
Il titolo si sarebbe deciso tra Ethan Harris e il campione del mondo in carica, Erik Novak. Chi avesse conquistato più punti, avrebbe portato il numero 1 nella stagione a venire. Se nessuno dei due ne avesse conquistati, Novak avrebbe portato a casa il titolo.
Il terzo contendente era Shane Willis, quasi inoffensivo: staccato di nove punti dalla vetta della classifica, aveva bisogno di vincere una gara in cui nessuno dei due avversari conquistasse nemmeno un misero punto.
Quelle poche informazioni erano quelle fondamentali per Johnstone, che aveva ben poco interesse a proposito della ragione per cui i telecronisti continuassero a menzionare Irina Volkova.
Era stata sostituita al volante da Daphne Harris, una scelta opportuna, anche se non adatta al momento. Il team Pink Venus avrebbe potuto ingaggiare Daphne per la stagione seguente, invece che sbattere fuori la Volkova proprio alla vigilia dell’ultimo gran premio stagionale. Non che Johnstone fosse completamente stupito dall’accaduto: Kathy Shelley non gli aveva mai ispirato molta fiducia, così come tutti i soggetti desiderosi di investire soldi nel suo progetto.
Certi piloti avrebbero fatto meglio a continuare a guidare, piuttosto che disperdere le proprie energie nella gestione di una squadra.
“Oppure, se ne hanno abbastanza delle corse, potrebbero semplicemente starsene a casa a godersi la pensione.”
Era un vero peccato che Kathy Shelley non l’avesse fatto.
Quando la inquadravano all’interno del proprio box - fin troppo spesso, pensò Johnstone - era sempre intenta a imprecare o a mettersi le mani tra i capelli.
Era tutta colpa di Caroline Parker, che a quanto pareva non ne stava combinando una giusta. In quel momento aveva il ventesimo tempo, il che significava che avrebbe dovuto darsi una svegliata, e anche in fretta, perché i suoi avversari non stavano certo a guardare.
C’erano ventidue vetture in pista.
Era la regola non scritta che tutte le squadre sceglievano di seguire, in caso di condizioni di bagnato estremo.
La pista poteva peggiorare da un momento all’altro, o addirittura le qualifiche potevano essere sospese. Era necessario girare finché era possibile rincorrere la speranza di migliorare i propri tempi, con l’obiettivo, per alcuni di non sprofondare oltre la ventesima posizione, per altri di partire dalle prime file.
Ventunesimo, in quel momento, c’era Santos del Team Athena.
Ventiduesima...
Johnstone spalancò gli occhi.
«Che cazzo ci fa Irina Volkova in pista?»
Non aveva ascoltato bene gli accenni che la riguardavano, in telecronaca. Per quanto ne sapeva lui, in quel momento avrebbe dovuto essere da tutt’altra parte.

***

«Aspetta, Anders...» Irina aggrottò le sopracciglia. «Vuoi spiegarmi, in modo comprensibile, che cos’è questa storia?»
Anders sbuffò.
«Pensavo che avessi già capito.»
Irina scosse la testa.
«No, non riesco a...»
Anders la interruppe: «Si tratta di un’occasione che ti viene offerta su un piatto d’argento. Prendere o lasciare. Sei libera da ogni vincolo contrattuale, quindi nessuno ti impedisce di legarti alla Scuderia Moretti per questo unico gran premio.»
Irina obiettò: «Dubito che il mio sponsor mi permetterebbe di...»
«Sì, conosco già questa storia» ammise Anders. «Il tuo sponsor vuole abbandonarti e non ha intenzione di tirare fuori un solo centesimo per te. In questo momento, però, del tuo sponsor non importa niente a nessuno. Per una volta i soldi non c’entrano nulla: tu fai un grosso favore al team tirandoci fuori dalla merda e il team fa un grosso favore a te permettendoti di disputare questa sessione di qualifiche.»
Finalmente Vincenzo Moretti intervenne: «È come dice Anders. Non ci sono fregature, né nulla. Oggi pomeriggio devi solo andare in pista e fare un tempo, nulla di più. La presenza è tutto ciò che ci serve. Nessuno ti chiede di qualificarti.»
Irina azzardò: «E se mi qualifico, cosa succede?»
Anders la guardò negli occhi.
«Se ti qualifichi, succede che ti sposo.»
Moretti rise.
«Non dire cazzate, tu che sei già sposato!»
Anders gli strizzò un occhio.
«In questo momento tu sei molto più sposato di me» ribatté, «Quindi non pensare di avere la precedenza!»

***

Irina Volkova venne inquadrata al volante di una monoposto della Scuderia Moretti e i dubbi di Johnstone si dissolsero in un nanosecondo, dal momento che il telecronista riprese a narrare un curioso susseguirsi di eventi.
A quanto pareva, Anders Ramirez non si era sentito bene durante le prove libere, conseguenza dello schianto di Sepang, e la squadra italiana si era ritrovata costretta a scegliere in extremis un suo sostituto.
Dalla ricostruzione degli eventi, appariva lampante che non ci fosse alcun pilota disponibile, con i requisiti necessari per mettersi al volante di una monoposto e privo da ogni vincolo contrattuale con altre squadre, ad eccezione di Irina Volkova.
La russa, che sembrava definitivamente out fino a quella mattina, a mezzogiorno ora giapponese era stata ufficializzata come pilota di riserva della Scuderia Moretti ed era stato annunciato, di lì a poco, che avrebbe preso il posto di Ramirez durante le qualifiche.
Dettaglio aggiuntivo: Jens Schubert, che tra i piloti del team italiano era quello più simile a lei come taglia, le aveva prestato una delle proprie tute.
Chissà che effetto faceva.
Un’inquadratura, alla fine della sessione, era d’obbligo.

***

«Wow, che schianto!»
Anders si mise scherzosamente ad applaudire.
«Sì, sono d’accordo» convenne Moretti. «Quella tuta non ti sta male.»
Irina si concesse una risata.
«Mi sta un po’ larga.»
«Beh, l’importante è che sia lavata» ribatté Anders. «Comunque, per quanto mi riguarda, staresti bene anche con un sacchetto della spazzatura indosso.»
Irina sospirò.
«Adesso non esagerare.»
«Non sono esagerato. È la verità.»
«Guarda che ti sguinzaglio dietro Kathy Shelley. Sono sicura che riuscirebbe ad affermare che commentare positivamente ed educatamente l’aspetto esteriore di una donna sia debilitante per l’immagine femminile. Non per la mia personale immagine, sia chiaro, ma per quella di tutte le altre donne.»
«Non me ne importa un bel nulla di quello che pensa Kathy Shelley» replicò Anders. «Quello che conta è che tu sia la persona più graziosa a cui abbia mai visto indossare una tuta della Scuderia Moretti.»
«Il che mi sembra anche normale» intervenne Vincenzo, «Dal momento che Irina si ritrova a competere con Jens e Giuseppe.»
Anders rise.
«Beh, anche loro sono graziosi, no?»
«Senza offesa, ma non rispecchiano esattamente i miei ideali di bellezza.»
«Nemmeno i miei.»
Irina sbuffò.
«Dovete parlare di estetica ancora a lungo, oppure possiamo occuparci di questioni più serie?»

***

Chissà, magari la Volkova sarebbe finita in aquaplaning e la sua qualifica sarebbe terminata in anticipo.
“Così non ci sarebbe bisogno di aspettare tanto.”
Non doveva fare un brutto effetto, in tuta bianca.
Se si fosse sciolta i suoi riccioli biondi, sarebbe sembrata una bambola di porcellana, con la sola differenza che Johnstone non avrebbe mai avuto il benché minimo desiderio di portarsi a letto una bambola di porcellana.
Purtroppo Irina non finì in aquaplaning.
Anzi, sembrava essere una dei piloti che si stavano migliorando.
Risalì dalla ventiduesima alla sedicesima posizione.
Un paio di piloti, in un secondo momento, batterono il suo tempo, facendola precipitare al diciottesimo posto.
Si stavano migliorando tutti, anche i piloti che stavano in cima alla classifica, in particolare quei due maledetti coglioni del Team Phoenix.
Novak fece segnare la pole position provvisoria.
Willis lo batté subito dopo.
Era meglio averlo davanti a Novak, piuttosto che tra Novak e Harris.
Harris, da parte sua, non stava andando forte tanto quanto avrebbe dovuto.
C’erano perfino delle Vega, in mezzo.
Johnstone imprecò, sperando in un colpo di scena.
Più che un colpo di scena, fu un colpo di fortuna: Harris approfittò delle condizioni meteo, con la pioggia momentaneamente in calo, per piazzare la zampata finale, andando a conquistare la prima fila.
Poi, subito dopo, la pioggia tornò a intensificarsi.
Novak prese a lamentarsi via radio e la conversazione tra lui e il suo ingegnere venne trasmessa in diretta:
«È un casino, adesso.»
«Com’è la pista?»
«Sta piovendo più forte, la visibilità è bassa.»
Fu invitato a rientrare.
Non uscì più.
Qualcuno, nelle retrovie, rimase in pista anche durante gli ultimi venticinque minuti, ma nessuno riuscì a migliorare il proprio tempo. Le Athena, ad ogni modo, riuscirono a guadagnare qualche inquadratura televisiva, grazie a varie escursioni fuori pista.
Quando tutto finì, Johnstone si perse un attimo a leggere il prospetto riassuntivo, con il risultato delle qualifiche:

1. Shane Willis, Phoenix Motorsport
2. Ethan Harris, Corujas Blancas
3. Erik Novak, Phoenix Motorsport
4. Hugo Nyman, Vega Racing Team
5. Karl Dobson, Vega Racing Team
6. Dalia Herrera, Corujas Blancas
7. Manuel Gomez, Vega Racing Team
8. Koji Yoshimoto, Corujas Blancas
9. Gabriel Aruya, Rayo Fatal
10. Kristian Schmidt, Sparks Racing
11. Ramon Villa, Rayo Fatal
12. Salvador Cruz, Sparks Racing
13. Michel Leroy, Rayo Fatal
14. George Arden, Sparks Racing
15. Marcela Lopez Ferreira, Pink Venus Racing Team
16. Daphne Harris, Pink Venus Racing Team
17. Giuseppe Ruggeri, Scuderia Moretti
18. Irina Volkova, Scuderia Moretti
19. Caroline Parker, Pink Venus Racing Team
20. Jens Schubert, Scuderia Moretti
NQ. Leonard Barnett, Team Athena
NQ. Flavio Santos, Team Athena
NPQ. Juan Suarez, Phoenix Motorsport
NPQ. Leandro Reyes, Team Athena

Le inquadrature per la Scuderia Moretti non si fecero attendere; non tanto per Irina, ma perché dentro al box tutti sembravano impegnati a festeggiare. D’altronde come dare torto a tutte quelle persone? Avevano piazzato tre vetture sulla griglia di partenza, due delle quali davanti alla Pink Venus di Caroline Parker, autrice di una qualifica non certo memorabile, in cui non era riuscita ad eguagliare le performance delle due compagne di squadra, nemmeno quelle della Harris, che era un’esordiente.
C’era da scommettere che non sarebbe stata molto soddisfatta degli eventi di quel pomeriggio. Per quel poco che Johnstone aveva avuto a che fare con lei, gli era apparsa molto affascinante, ma poco propensa a prendere con filosofia gli eventi negativi.

***

Caroline si sfilò i guanti e li gettò a terra, poi si diresse a passo deciso verso Kathy Shelley.
«Che cazzo di gioco è questo?» sbottò, guardandola negli occhi.
L’altra fece una di quelle espressioni da idiota che la contraddistinguevano; una delle tante del suo repertorio, che tirava fuori ogni volta in cui sembrava cadere alle nuvole e non capire i concetti più elementari.
«Di cosa parli?»
«La macchina non stava in pista.»
«Oh.» Kathy perse l’espressione da ebete. «Forse perché stava diluviando?»
«Non prendermi in giro» replicò Caroline, secca. «Spiegami che cosa sta succedendo.»
«Niente, se non che queste sono le condizioni meteo peggiori con cui sia stata disputata una sessione di qualifica negli ultimi dieci anni.»
«Parlo del fatto che la macchina della Harris andasse più forte della mia» puntualizzò Caroline. «Di certo non pretendo che l’acqua smetta di cadere al mio passaggio.»
«Strano. Avrei detto che fosse proprio quella, la tua pretesa.»
«Stammi a sentire, Katherine... Lo sai che non ho ancora firmato il contratto per la prossima stagione, vero?»
Kathy annuì.
«Lo so benissimo, e so anche che non è che ci sia esattamente la fila, là fuori, a reclamare la tua attenzione. Il problema non era nella vettura. Sei tu che ti sei fatta fregare perfino dalle Moretti... perfino da Irina!»
Caroline si irrigidì.
Quell’aspetto non l’aveva sfiorata fino a quel momento, si era limitata a sentirsi infastidita dal sedicesimo tempo ottenuto dall’ultima arrivata, senza spingersi oltre.
Essere stata più lenta di Irina Volkova al volante di una carretta che riusciva malapena a rimanere in strada era forse ancora peggio: se non altro Daphne Harris aveva una reputazione di un certo livello, mentre la Volkova veniva considerata - non del tutto correttamente, Caroline doveva ammetterlo - una candidata perfetta per andare a occupare una posizione nella top-ten dei piloti più scarsi di tutta la storia della Golden League.
Kathy la guardò con aria sprezzante.
«Non dici più niente, adesso?»
Caroline sbuffò.
Ormai era troppo tardi per replicare.
«Meglio così, non dire niente» proseguì Kathy. «Anzi, non osare ripetere al di fuori da questo box quello che hai appena insinuato.»
«Perché?» ribatté Caroline, con prontezza. «Hai paura che qualcuno mi creda?»
«No. Ho semplicemente paura che tu preferisca andare in giro a fare polemiche invece di concentrarti sulla gara. Oggi hai guidato veramente di merda e gradirei che almeno domani la situazione cambiasse.»
Caroline le scoccò un’occhiata di fuoco.
«Vedrai che domani asfalterò la piccola Harris senza problemi.»
«Lo spero. Dopotutto lei è una rookie, mentre tu hai un’intera stagione di esperienza. Sarebbe solo l’ordine naturale delle cose.»

***

Quando giunse il momento delle interviste, Johnstone se le gustò con un sorriso stampato sulle labbra.
La televisione americana iniziò da Karl Dobson, che si era qualificato in quinta posizione. Dietro di lui, Johnstone intravide la Parker. Stava rispondendo a un’altra intervista. Chissà, magari c’era qualche speranza di sentirla a breve.
Nel frattempo ascoltò cos’avesse da dire Dobson e soprattutto che cos’avesse da chiedergli l’inviato nel paddock, che per proteggersi dalla pioggia indossava un ridicolo impermeabile.
«Una buona qualifica per il Team Vega. Come la vedi per domani? Pensi di potere puntare al podio?»
Karl alzò gli occhi al cielo.
«Domani sarà una lotteria, visto che le previsioni meteo dicono che il tempo sarà tale e quale a oggi. In generale la speranza è proprio quella di finire sul podio, ma non sarà facile, specie guardando chi abbiamo davanti. Dal mio punto di vista, comunque, dato che mi gioco il sesto posto in classifica con la Herrera, l’obiettivo è di finire comunque la gara davanti a lei.»
«Ci sono state polemiche sulla decisione di annullare una delle due gare. Qual è la tua opinione in proposito?»
«La mia opinione è che sia stata l’unica decisione sensata di questo weekend. Stamattina era impossibile scendere in pista e la proposta di stilare la griglia di partenza in base ai tempi delle prove libere doveva essere approvata all’unanimità da tutte le squadre. L’unanimità non è stata raggiunta, quindi non c’erano alternative. Personalmente mi va bene. Quello che conta, per me, è finire il campionato in vantaggio sulla Herrera. Non mi servono due gare per riuscirci, una basta e avanza.»
Era molto sicuro di sé.
Johnstone gli lanciò un paio di maledizioni, tanto per sicurezza.
Subito dopo l’intervista, lo vide girarsi verso la Parker.
Per caso quei due si erano scambiati un cenno di intesa?
Non ebbe il tempo di riflettervi, dato che vennero intervistati George Arden - una grandissima rottura di scatole: sentirlo parlare era noiosissimo, ma dal momento che era americano gli veniva data molta più considerazione di quanto meritasse - e Koji Yoshimoto - un idolo assoluto, Johnstone continuava a stimarlo moltissimo.
Archiviati Arden e Yoshimoto, fu la volta di Caroline Parker. Appariva abbastanza contrariata, proprio come Johnstone aveva previsto.
«Dopo i tempi promettenti fatti registrare nelle prove libere, una qualifica deludente e la partenza dall’ultima fila. Cos’è successo?»
«Problemi di natura tecnica, supponiamo. Stiamo ancora indagando sull’accaduto.»
«Nel frattempo Daphne Harris partirà dalla sedicesima posizione.»
«Ottimo risultato, da parte sua.»
«Questo cambierà le gerarchie all’interno della squadra?»
«All’interno della squadra non ci sono gerarchie. Non ci sono mai state e naturalmente non c’è motivo di credere che qualcosa possa cambiare.»
Era stata molto politically correct.
“Evidentemente qualcuno deve averla istruita a dovere.”
Quel qualcuno non poteva essere che Kathy Shelley.
Era un vero peccato: quella donna avrebbe finito per rovinare Caroline, prima o poi, e Johnstone non ne era affatto soddisfatto.
“Caroline è perfetta così com’è.”
La vide girarsi per un attimo, verso Karl Dobson, e si domandò che cosa stesse succedendo tra loro due.
L’inquadratura durò per un istante, poi fu sostituita da quella di Ramon Villa davanti al microfono dell’intervistatore con l’impermeabile.
Johnstone non gli prestò attenzione.
Non se la meritava.

***

«Allora?» Lo sguardo di Caroline era gelido. «Si può sapere che cosa volevi? Che cos’erano quei sorrisini?»
Karl puntualizzò: «Non stavo sorridendo.»
«Non è necessario sorridere all’esterno. Dentro lo stavi facendo.»
Karl fece un sospiro.
«Da quando conosci così bene la psicologia umana?»
«Non la conosco, ma conosco te.»
«Anch’io conosco te» ribatté Karl. «È vero, prima ti guardavo, ma non per chiederti che cosa ti fosse successo. Stavo solo aspettando il momento giusto per proporti di trovare un po’ di tempo per continuare ad approfondire la nostra conoscenza.»
Caroline lo fulminò.
«Fottiti, Karl.»
Karl spalancò gli occhi.
«Si può sapere che cosa ti prende?»
«Mi prende che non ho nessuna voglia di scopare con te.»
Non si era nemmeno degnata di abbassare la voce.
«Parla piano, per cortesia» la pregò Karl.
«Non c’è nessuno, qua. Posso parlare forte tanto quanto voglio... Però non ho voglia di continuare a parlare. Ho da fare, adesso.»
«Ma non avrai da fare fino a domani mattina, immagino» ribatté Karl. «Le altre volte abbiamo sempre trovato un po’ di tempo.»
Caroline sospirò.
«Si vede che le altre volte ero messa così male da sprecare il mio tempo con una nullità come te. Tutti facciamo cose strane, ogni tanto.»
Una... nullità?
Da quando Caroline si permetteva di screditarlo a quel modo?
Non che non si fossero mai insultati, anzi, l’avevano fatto abbastanza spesso, in certi momenti, ma non dopo il Gran Premio dell’Azerbaijan.
Il suo atteggiamento gli faceva venire voglia di replicare in modo piccato e di metterle davanti agli occhi la verità.
Cercò di trattenersi, ma non riuscì.
«Se oggi hai dimostrato quanto vali davvero, nel confronto con Marcela e con la figlia di Ethan Harris, non è con me che devi prendertela, ma soltanto con te stessa.»
Seguì qualche istante di silenzio.
Infine, Caroline esplose.
«Si può sapere cos’ho fatto di così deplorevole, oggi? Sono solo finita su un rivolo d’acqua nel momento sbagliato, quindi non ho avuto lo stesso culo sfacciato di altri e non sono riuscita a fare un tempo nel momento giusto. Mi sembra molto meno grave di quello che hanno fatto altri in altri momenti... tipo tu, che anni fa hai provocato un incidente mortale, ma che continui ad andartene in giro a testa alta così come se niente fosse!»
Era successo ancora.
Era successo un'altra volta e, Karl ne era sicuro, ce ne sarebbero state tante altre.
Anna Kravchenko era uno di quei fantasmi che, qualunque cosa accadesse, non se ne sarebbe mai andato.
«Io non...»
Karl si interruppe.
Cosa voleva dire?
“Io non ho provocato un incidente mortale”, per caso?
Pronunciare quelle parole non avrebbe avuto senso: la storia della Golden League non l’aveva trascritta lui e il mondo era pieno di persone convinte che Anna fosse morta solo ed esclusivamente a causa di una sua scellerata manovra azzardata.
Caroline gli voltò le spalle.
Se ne andò.
Karl era certo che non sarebbe tornata indietro.
Meglio così: non voleva che tornasse.

***

Pioveva.
Pioveva ancora.
O meglio, aveva ricominciato a piovere e la tregua era finita.
"Avremmo dovuto gareggiare stanotte."
Un tempo se ne era parlato, ma l'investimento per un impianto di illuminazione paragonabile a quello di Marina Bay o di altri circuiti era troppo oneroso e non se n'era fatto più niente.
"Che peccato. Almeno stavolta tutto si sarebbe risolto."
In situazioni normali a Karl la pioggia non faceva né caldo né freddo, ma quella non era una situazione normale: già il campionato era stato accorciato con l'uscita di scena di Adelaide, poi il maltempo aveva scombinato i piani anche a Suzuka. L'annullamento di una delle due gare era stato un altro stravolgimento e, infine, pareva che anche l'unica gara sarebbe stata disputata in condizioni proibitive.
"Aspettiamoci un decennio di lamentele."
Opinionisti più o meno quotati sembravano non vedere altro che complotti e, nella loro convinzione che il diluvio non fosse uguale per tutti, erano sempre pronti ad affermare che il campionato fosse stato falsato.
Le riflessioni di Karl si interruppero quando vide Irina Volkova senza ombrello.
Cosa ci faceva in giro per il circuito alle sei del mattino, con quel tempo, senza nemmeno ripararsi?
C'era un solo modo per scoprirlo.
Irina si lasciò sfuggire un sussulto, quando Karl si avvicinò.
«Ah, sei tu.»
«Scusami, non volevo spaventarti.»
«Non fa niente.»
«Come mai sei già in giro?»
Irina rise.
«Rifletto su quello che succede.»
«E che cosa succede?»
«Succede che a quest'ora avrei dovuto essere a casa mia, lontana il più possibile da qui. Invece sono qui e potrebbe accadere qualsiasi cosa.»
Karl le ricordò: «Anche a casa tua potrebbe accadere qualsiasi cosa.»
«Sono d'accordo» convenne Irina, «Ma è più facile che succeda qualcosa quando guidi sotto questo diluvio.»
«Magari per le due avrà smesso di piovere.»
«Smetterà in tarda mattinata, secondo il satellite» puntualizzò Irina. «Riprenderà verso l'una e quaranta per poi intensificarsi e raggiungere il picco estremo tra le due e mezza e le tre.»
«Intanto» la invitò Karl, «Vieni sotto al mio ombrello.»
Irina non se lo fece ripetere due volte.
«Grazie.»
«Di nulla.»
Karl sorrise.
«Sai, sono felice che tu sia ancora qui.»
«Anch'io» dovette ammettere Irina. «Non capita tutti i giorni di avere un'ultima chance proprio quando sembra che tutto stia andando a rotoli. Chissà, forse riesco a ottenere un risultato decente e a risollevare un po' la situazione.»
«L'hai già risollevata» le assicurò Karl. «Non ho sentito nessuno che non fosse impressionato dalla tua performance di ieri.»
«Non ho fatto nulla di eccezionale.»
«Hai portato sulla griglia di partenza una carretta che non avevi mai guidato fino a quel momento. Sarà anche poco, ma non tutti sarebbero riusciti a fare quel poco.»
Irina gli ricordò: «Sono stata aiutata dal caso e dalla pioggia.»
«Non hanno guidato il caso o la pioggia» replicò Karl. «Prenditi i tuoi meriti, per una volta che ne hai.»
Si rese conto quasi subito di avere scelto le parole sbagliate, ma Irina parve non farvi caso. Era quello il vantaggio di parlare inglese con chi non era madrelingua: spesso, invece di offendersi, ritenevano di non avere colto a pieno il messaggio a loro rivolto.
Irina abbassò lo sguardo.
«Non ho tempo per prendermi i meriti di quello che ho fatto. C'è ancora tanto da fare.»
«Bene. Era proprio quello che avresti dovuto dire in questa situazione.»
«Il punto è proprio questo: sono capace di dire la cosa giusta, ma non è sufficiente.»
«In ogni caso è meglio dire la cosa giusta, piuttosto che parlare a vanvera, come quelli che, di questo weekend, si ricorderanno solo i pettegolezzi a proposito di te e Anders che dormite nella stessa stanza.»
Irina puntualizzò: «Non nello stesso letto.»
«Se anche fosse» ribatté Karl, «Non ci sarebbe nulla di male.»
«Forse sua moglie non concorderebbe con te.»
«Sua moglie... Che fine ha fatto sua moglie? Non la vedo da un po'.»
«Nessuno la vede da un po'.»
«Si stanno separando, vero?»
Irina gli lanciò un'occhiataccia.
«Dovresti pensare alla gara imminente, non a impicciarti nei fatti degli altri.»
Karl ridacchiò.
«Vero.»
«Quando tutto sarà finito», Irina gli strizzò un occhio, «Ci sarà molto tempo per fare gli impiccioni.»
«Nel tuo caso» le suggerì Karl, «Potresti approfittarne per cercare di puntare alla tua preda.»
«Cosa vuoi dire?»
«Anders ti piace.»
«E con ciò?»
«Avere una relazione con lui potrebbe farti comodo.»
«Smettila di dire idiozie» gli suggerì Irina. «Tra qualche ora potrei essere morta, oppure potresti esserlo tu. Potremmo addirittura reincarnarci in futuri autisti di camion della spazzatura. Se queste fossero le nostre ultime ore, non vorremmo sprecarle così.»
«Vedo che sei sempre molto pragmatica.»
«Sono molto realista.»
«Mi piace il tuo realismo, ma mi piace anche la legge della probabilità. Sai cosa dice?»
«Cosa?»
«Che è molto più probabile che sia io sia te saremo ancora vivi, al termine di questa giornata.»
Irina gli strizzò un occhio.
«Speriamo. O, se non lo saremo, speriamo almeno che non ci tocchi davvero di reincarnarci in autisti di camion della spazzatura!»

***

Una luce rossa.
Due luci rosse.
Tre luci rosse.
Quattro luci rosse.
Cinque luci rosse.
Le luci rosse si spensero.
Kathy Shelley imprecò.
«L'avevo detto!»
La decisione di partire senza la safety car era la più assurda a cui le fosse mai capitato di assistere e non si sorprese nel vedere che non era filato tutto liscio.
Purtroppo, nel caos, notò anche due sagome rosa.
La Harris, dopo un ottimo scatto, era stata speronata dalla vettura che aveva affiancato un istante dopo lo start.
"Maledetto coglione!"
Era Villa, che partiva undicesimo, ma che era scattato al rallentatore rallentando anche il suo compagno di squadra Leroy e Marcela, rispettivamente tredicesimo e quindicesima sulla griglia di partenza.
Daphne era girata nel senso sbagliato, con le vetture partite dietro di lei che le venivano incontro.
Fu colpita dalla vettura di Leroy, che a sua volta fu centrata da un'altra delle Pink Venus, quella di Marcela.
Kathy imprecò, ancora una volta.
Due monoposto su tre erano già fuori senza nemmeno essere arrivate alla prima curva, proprio in una delle poche occasioni in cui avrebbero potuto sperare in un colpo di fortuna per conquistare qualche punto.
Per fortuna c'era almeno Caroline.
Purtroppo un nanosecondo più tardi comunicò via radio, al proprio ingegnere, di avere rimediato una foratura a causa dei detriti sparsi sul tracciato dopo i vari contatti avvenuti alla partenza.
Rientrò.
Il successivo ingresso della safety car - decisione che il direttore di gara prese con comodo, lasciando attendere un giro intero - le permise di non perdere terreno, in termini di gap fisico. Era ultima, ma davanti a lei c'erano vetture più lente: le speranze non erano ancora perdute.

***

«Gara d'esordio da dimenticare per Daphne Harris. Cos'è successo alla partenza?»
«Una delle Rayo Fatal, credo quella di Villa, mi ha toccata e ho perso il controllo della vettura. Poi sono stata colpita dalle auto che sopraggiungevano. È un vero peccato.»
«Incidente di gara o manovra scorretta da parte di Villa?»
«La pista era umida. In queste circostanze è abbastanza normale aspettarsi una partenza del genere.»
«Credi che la gara avrebbe dovuto iniziare dietro la safety car?»
«La logica dice di sì, il cuore dice di no, dato che mio padre ne ha approfittato per andare in testa e, con le posizioni correnti, diventerebbe campione del mondo.»

«Sentiamo ora il parere di Ramon Villa sulla partenza.»
«All'inizio non ho avuto un buono spunto. Poi ho preso un rivolo d'acqua. Poi sono finito sulla Harris.»
«L'incidente è stato quindi inevitabile?»
«Sarebbe stato evitabile partendo dietro la safety car o variando l'orario di partenza. Queste decisioni, però, non le prendo io.»

«Ritiro anche per Michel Leroy. Cos'è successo?»
«In partenza Ramon è stato lento e ciò ha rallentato anche me. Mi sono ritrovato davanti, all'improvviso, una delle Pink Venus. Era finita in testacoda ed era ferma sulla mia traiettoria. Non ho potuto fare niente per evitarla e l'altra Pink Venus non ha potuto evitare me.»
«In un primo momento hai cercato di proseguire. Poi cos'è successo?»
«Speravo di riuscire a rientrare ai box, ma non è stato possibile.»

«Marcela Lopez, dal tuo punto di vista cos'è successo?»
«Bisognerebbe chiederlo a chi stava davanti.»
«Credi che l'inesperienza di Daphne Harris abbia contribuito all'incidente?»
«Devo ancora vedere il replay, ma così, a pelle, direi di no. Sono stati Villa e Leroy a incasinare tutto, credo.»
«Gli altri piloti coinvolti nell'incidente si sono lamentati del fatto che la gara non sia partita dietro la safety car, come originariamente proposto. Qual è il tuo parere in proposito?»
«Il problema non è la partenza, ma come alcune vetture sono partite. Voglio dire, chi sta nella massima serie dovrebbe sapere gestire la situazione, anche quando piove. Se c'è chi ha delle difficoltà con le condizioni attuali, che sono molto migliori di quelle di ieri in qualifica e con tutta probabilità molto migliori di quelle che vedremo con il proseguire della giornata, credo che ci sia da preoccuparsi. Nel caso di Ramon, farebbe meglio a tornarsene negli Stati Uniti. Là con la pioggia non gareggiano, mi pare.»

«Infine anche George Arden non è riuscito a concludere nemmeno il primo giro. Cos'è successo?»
«Ho dato una toccatina a qualcuno nel caos, ho forato e, prima di riuscire a rientrare, una sospensione ha ceduto.»
«Un finale di carriera molto negativo.»
«Già, anche se non lo definirei finale di carriera. Ho ancora molto tempo davanti, prima del mio ritiro.»
«Sì, però lasci la Golden League.»
«La Golden League, appunto, è stata soltanto una parte della mia carriera. Mi ha riservato molte soddisfazioni e molte delusioni, ma rimane pur sempre soltanto una parte.»
«Allora buona fortuna per il futuro.»
«Grazie.»

***

Kathy si prese la testa tra le mani.
La situazione, già disastrosa, era addirittura peggiorata.
La colpa era solo ed esclusivamente di Schubert, ma chi ci rimetteva era, essenzialmente, Caroline Parker.
Più tardi Kathy si sarebbe sentita soddisfatta nel rilevare come, per quanto il pilota della Moretti fosse riuscito a proseguire dopo il contatto, la sua gara fosse durata soltanto pochi giri in più rispetto a quella di Caroline, ma non sarebbe stato abbastanza, così non sarebbe stato sufficiente sentire l'ammissione di colpevolezza di Schubert.

«Cos'è successo?»
«Essenzialmente ho sbagliato la frenata. Anziché fare la curva, ho preso in pieno la vettura di Caroline.»
«Al box della Pink Venus, Kathy Shelley appariva molto contrariata.»
«Non mi sorprende.»
«Anche la Parker, via radio, ha fatto commenti poco gradevoli, prima di scendere dalla vettura.»
«Posso immaginare anche questo, conoscendo Caroline. Più tardi, quando si sarà calmata, andrò a parlarle.»

Non era sufficiente per Kathy.
Non lo era nemmeno per Caroline.
Nonostante le raccomandazioni della Shelley, fu molto dura nei confronti dell'avversario.

«Quello che è successo è l'ennesima dimostrazione che Schubert non dovrebbe stare in Golden League. Soltanto un cretino avrebbe potuto fare un errore del genere e, ne sono certa, la Scuderia Moretti starà gongolando, in questo momento. Sono rimaste in pista tredici macchine - anzi, dodici, mi pare di capire che una delle Sparks abbia rotto il motore poco fa, era Schmidt, credo - e con un po' di fortuna e un altro po' di ritiri potrebbero addirittura riuscire ad arrivare a punti, più per fortuna che per merito. Ruggeri è un ottimo pilota, ma non si può dire che possa meritare di andare a punti con quella macchina. Irina... meglio non parlare di quella lumaca.»
«E tu, se non ci fosse stato l'incidente, avevi qualche speranza?»
«Molte, oggi. Con l'assetto da bagnato andavamo bene, questo weekend. Nonostante i problemi alla partenza stavo rimontando ed è un vero peccato che una gara finisca così, dopo sedici giri, a causa degli errori altrui... sempre ammesso che si possa chiamarlo errore e non azione deliberata.»
«Ne discuterai con Schubert?»
«Non ho voglia di perdere tempo, quindi credo proprio che non lo farò.»

***

La pioggia andava via via intensificandosi e, con essa, la sensazione di Caroline di avere sprecato un'occasione preziosa.
Non riusciva a sopportare l'idea che fosse già finita.
Quello era il weekend perfetto.
Avrebbe potuto tentare di dimostrare una volta per tutte il proprio valore.
Avrebbe potuto tentare di riprendersi il proprio vantaggio in classifica su Marcela, che in quel momento, ovviamente, sembrava non particolarmente preoccupata dall'idea di essere fuori fin dall'inizio.
Daphne, da parte sua, era delusa, ma sembrava più impegnata a seguire la gara di suo padre, che era scattato in testa in partenza, per poi perdere alcune posizioni al momento della prima sosta al diciottesimo giro, a causa di un problema di montaggio della gomma posteriore destra.
Incredibile ma vero, in testa alla gara c'era in quel momento Koji Yoshimoto, che aveva azzeccato il momento giusto per rientrare.
Il pubblico era in delirio, per quanto si potesse essere in delirio vedendo soltanto pioggia battente.
Se avesse vinto a Suzuka, avrebbe fatto il colpo del secolo, proprio in quella che poteva essere la gara della disfatta del team Corujas Blancas.
Non che Caroline ci credesse molto: Ethan Harris era quinto, in quel momento, ma girava molto più forte di Erik Novak e Shane Willis, in seconda e terza posizione. Quarta c'era la Herrera, quindi Harris avrebbe recuperato quella posizione molto agevolmente.
Come prevedibile, Dalia lasciò passare il compagno di squadra, che con il set di gomme da bagnato estremo montate nella sosta nella quale aveva subito il rallentamento, sembrava essere a proprio agio.
Il gap nei confronti di Willis era di due secondi e mezzo nel momento in cui la Herrera gli cedette il passo e, nel corso di un giro e mezzo, riuscì a lasciarselo alle spalle. Novak era già alla sua portata quando, all'improvviso, il leader della gara andò in testacoda sul rettilineo principale.
«Ecco un altro che esce di scena» borbottò Caroline, non appena si rese conto che Yoshimoto aveva lasciato spegnere il motore.
Il pubblico era deluso.
Caroline lo era più di loro.
Con l'uscita di scena del giapponese, che seguiva di poco un altro incidente (Salvador Cruz, della Sparks, era finito fuori e aveva parcheggiato in una via di fuga) restavano in pista appena dieci vetture, due delle quali appartenenti alla Scuderia Moretti.
A peggiorare la situazione, mentre la safety car si apprestava a entrare sul tracciato, due delle Vega finirono fuori, ciascuna da sé.
Mentre una si riprese, perdendo posizioni, l'altra andò rovinosamente a sbattere contro le barriere.
In circostanze normali, Caroline si sarebbe lasciata sfuggire un sorriso: era Karl Dobson.
Kathy Shelley doveva condividere il suo punto di vista, dato che osservò: «Sono rimaste soltanto nove vetture.»
Novak.
Harris.
Willis.
Herrera.
Gomez.
Aruya.
Ruggeri.
Nyman.
Volkova.
Kathy aggiunse: «Meno male che siamo vicini alla metà dei giri in programma.»
Il regolamento prevedeva che fosse sufficiente che venisse percorso il cinquanta per cento della distanza completa, affinché si potesse assegnare il punteggio pieno.
Non era improbabile che, se la pioggia avesse continuato a incrementare, tanto da rendere il tracciato impraticabile, la direzione gara potesse prendere la decisione di concluderla anticipatamente non appena fosse stato possibile senza compromettere il punteggio.
Quell'opzione non doveva fare molto piacere a Daphne, che si mordicchiava un labbro con apprensione.
Ethan era dietro a Novak, in quel momento.
Era prevedibile un giro di pit-stop dietro alla safety car. Le vetture, infatti, iniziarono a rientrare.
Rimasero in posta soltanto Ruggeri e la Volkova.
«Cosa fanno quei due stronzi?» borbottò Caroline.
Lo capì subito dopo: le Moretti stavano seguendo l'unica strada da percorrere, se volevano recuperare il giro di ritardo nei confronti dei piloti di testa.
Cambiava poco.
Con nove vetture in pista e un attrition rate così elevato, la posizione del Team Pink Venus in classifica era molto meno tutelata di quanto potesse apparire alla vigilia del gran premio.

***

Grace tenne le dita incrociate.
Quello era un momento decisivo.
Se ci fosse stato Koji accanto a lei avrebbe potuto viverlo con meno tensione, ma il pilota giapponese aveva parecchia strada da percorrere, a piedi, per ritornare ai box.
Il pitstop di Novak fu breve e indolore.
La sua immissione nella pitlane non lo fu affatto.
Colpì una delle Vega; quella di Gomez, perché Nyman era molto più indietro.
Fu come vedere la luce, nonostante in quegli stessi istanti anche nel box del team Corujas Blancas si stessero vivendo momenti di tensione: ancora una volta lo stesso maledetto problema del pitstop precedente, sulla vettura di Ethan.
Dalia era dietro di lui che aspettava.
Il grande vincitore, da quel giro di pit-stop, risultò Aruya, che ritornò in pista in prima posizione davanti a Novak e Gomez, entrambi con le vetture danneggiate, ma intenzionati a proseguire; dietro di loro Willis, Nyman, Ethan e Dalia.
Non era ancora tempo di vedere la luce, anche se le condizioni della monoposto di Novak lasciavano intendere che presto quel momento sarebbe arrivato.
La previsione di Grace si rivelò corretta: nel corso del giro successivo il leader del campionato, così come Gomez, fu costretto a una sosta ai box.
Gomez ne uscì, in ultima posizione.
Novak non ne uscì.
Qualche istante più tardi l’addetto stampa comunicò che la squadra aveva optato per il ritiro per questioni di sicurezza.
Grace si concentrò sulle posizioni, che scorrevano in sovrimpressione sul monitor.
Aruya.
Willis.
Nyman.
Harris.
Herrera.
Ruggeri.
Volkova.
Gomez.
Con quell’ordine d’arrivo Willis avrebbe conquistato otto punti, che avrebbero garantito al Team Phoenix 142 punti, due in più di quelli che il Team Corujas Blancas avrebbe totalizzato grazie ai sette punti complessivi che avrebbero ottenuto Ethan e Dalia.
A Ethan, però, bastava conquistare un solo punto, qualunque fosse la posizione d’arrivo di Shane Willis, per diventare campione del mondo; rimanere fermo a zero sarebbe bastato, inoltre, se Willis non avesse vinto.
Quando la gara ripartì, Willis non diede l’impressione di essere il favorito per la vittoria. Venne sopravanzato da Nyman, che si portò in testa approfittando di un’indecisione da parte di Aruya.
“Siamo 140 contro 140, nella classifica dei team” realizzò Grace, rendendosi conto di non ricordare con esattezza tutti i risultati.
In ogni caso non doveva avere molta importanza: bastò mezzo giro affinché ci fosse un’inversione di tendenza e Willis recuperasse la seconda posizione, rendendo inutili tutti i suoi calcoli improvvisati.

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