sabato 17 giugno 2023

Il Paradosso del 27 - puntata 9/9

Bene, siamo arrivati alla fine, vi propongo l'ultima puntata.
Buona lettura! *-*


[SUZUKA]
Per la prima volta dopo tanto tempo Yannick e Alysse si incontravano di persona, quantomeno non in uno spazio comune e senza indossare tuta e casco. Ormai non erano più avversari diretti: al posto della Mercier, a guidare la monoposto rossa con il numero 27 era un pilota con gli occhi di un azzurro molto più intenso, verosimilmente lo stesso che aveva vinto in Malesia molti mesi prima. Non importava tanto, tuttavia, quello che accadeva in pista: Viola Cinque - Tina Menezez - aveva sempre avuto ragione su tutto, anche quando i suoi discorsi gli apparivano ridicoli.
Già da molti anni, da quando esisteva la A+ Series, i piloti si comportavano come una schiera di automi, costantemente calati nel ruolo per il quale erano stati a lungo preparati. Il loro compito era tenere alto il livello degli ascolti e dei consensi, la contrapposizione così dura tra di loro era una sorta di imposizione dall'alto. Yannick se ne stava accorgendo troppo tardi, e forse a causa dell'apparizione dello spirito errante della Menezes. Non ne aveva parlato con nessuno, nemmeno con suo fratello, l'unica persona che aveva sempre saputo della sua carriera nel campionato e dell'identità del suo alter-ego. Doveva essere un assurdo delirio alcolico, a seguito del quale aveva preso la drastica decisione di diventare astemio.
L'incontro con Alysse non sarebbe mai avvenuto, se non con la mediazione di Watanabe. Yannick aveva temuto che Ryuji lo mandasse a quel paese, quando si era messo in contatto con lui, invece il suo vecchio amico era stato ben disposto a starlo a sentire. Doveva anche avere un certo ascendente su Alysse, dato che, in un modo o nell'altro, aveva accettato l'invito di Yannick.
Erano uno di fronte all'altra, dopo che Yannick l'aveva fatta entrare nella stanza d'albergo nella quale aveva passato le poche ore libere per dormire nella settimana e dove sarebbe rimasto ancora un'ultima notte.
Si fissavano in silenzio già da qualche minuto, come se nessuno dei due volesse essere il primo a parlare. Alysse aveva richiuso la porta e con tutta probabilità stava aspettando che Yannick la invitasse a sedersi. O almeno, fu la conclusione a cui arrivò, quando Alysse andò effettivamente ad accomodarsi senza più attendere oltre.
Era giunto il momento di rompere il silenzio, quindi Yannick esordì: «Immagino che tu ti stia chiedendo come mai ti ho chiesto di vederci.»
«Esatto, me lo sto chiedendo» replicò Alysse, con freddezza, «Specie alla luce del fatto che non sono più Rosso Ventisette. O devo ipotizzare che il CEO ti abbia rivelato la mia nuova identità?»
Yannick si sedette accanto a lei.
«È più complicato di quanto tu creda.»
«Eppure mi sembra tutto così semplice.»
«Non volevo fare quello che ho fatto.»
«Di solito lo dicono quelli che ti cornificano con un'altra donna. Mentono, ma almeno hanno seguito solo il richiamo della carne. Non voglio dire che sia qualcosa di positivo, sia chiaro, ma semplicemente che posso comprendere che una persona già impegnata in una relazione possa provare attrazione per qualcun altro. Ma tu? Perché volevi estorcermi informazioni sulla mia vita privata? So che c'è dietro il CEO, ma tu come ci sei finito in mezzo?»
Yannick puntualizzò: «Te l'ho detto che è una storia complicata. Ci sono finito in mezzo perché, a un certo punto, non ho più avuto la possibilità di tirarmi indietro. Il CEO deve avere capito che la mia personalità si incastrava bene con il ruolo che voleva cucirmi addosso. Ho dovuto scegliere tra il mio futuro e il tuo passato. Dici che seguire il richiamo della carne è umano, ma non lo è forse anche piegarsi all'istinto di sopravvivenza?»
«Mi volevi gettare tra le fauci di una belva» replicò Alysse. «Ti sembra così umano?»
«Pensavo di non avere alternative.»
«C'è sempre un'alternativa.»
«Per esempio?»
«Ryuji mi ha detto che mi hai chiesto di vederci perché vuoi propormi un accordo. Non pensi che anche allora avremmo potuto inventarci qualcosa?»
«Non lo so, ai tempi non...»
Yannick non riuscì a finire la frase - e non fu esattamente un male, dato che non avrebbe saputo come concluderla - dal momento che Alysse lo interruppe, sentenziando: «Non ti è nemmeno passato per la testa, perché il CEO ti aveva offerto qualcosa per cui eri disposto a vendermi. Poi, quando ti sei accorto che non era tutto rose e fiori collaborare con lui, ti sei pentito delle tue azioni, quindi hai deciso di venire a cercarmi.»
«Ti assicuro che mi dispiace davvero quello che ho fatto» rispose Yannick. «In ogni caso non ti sto chiedendo di capirmi o di giustificarmi. Non ci girerò intorno: sono in una situazione senza via di uscita e, se il CEO insiste così tanto, significa che lo sei anche tu, anche se magari con te non interagisce più. Il tuo passato gli interessa e non fa altro che mettermi pressione. Hai visto cos'è successo, in questi giorni. Ho avuto guasti in tutte le gare.»
Alysse precisò: «Io non ho avuto guasti. Non vedo perché dovrei aiutarti.»
«Non lo devi fare per me» ribatté Yannick, «Ma per te stessa.»
«Qual è la tua proposta?»
«Gli darò quello che vuole, ma gli dirò esattamente quello che concordiamo insieme. È la soluzione migliore per tutti.»
«No» insisté Alysse, «È la soluzione migliore per te.»
«In alternativa dovrei inventarmi qualcosa» chiarì Yannick. «Preferisci che gli racconti quello che mi viene in mente rischiando di metterti nei casini?»
Alysse sbuffò.
«Mio marito, Alex Mercier, è stato, in passato, uno degli assistenti del CEO. Ha preso parte a una sorta di film sul passato del motorsport. All'inizio pensava fosse una buona idea, ma poi ha iniziato ad avere dei forti dubbi. Iniziava a trovare il lavoro che faceva troppo stressante e questo ha influito negativamente sui problemi psicologici che già aveva. Purtroppo non sono riuscita a capire quanto profondo fosse il suo disagio. Si è tolto la vita, mentre era al lavoro. Io lo stavo aspettando per festeggiare il nostro anniversario di matrimonio. È tutto qui, non c'è altro da aggiungere.»
«Ma è la verità?»
«È la versione che abbiamo concordato e che tu riferirai al CEO in cambio della possibilità di lottare di nuovo per il mondiale. Dopo ti lascerà in pace, al massimo farà morire i tuoi avversari diretti come è successo con Tina Menezes.»
Yannick rabbrividì.
«Non l'ha fatto per me.»
«Lo posso immaginare, il CEO di solito non fa nulla che non gli renda dal punto di vista economico» replicò Alysse. «Quello che non riesco proprio a capire è come mai tu sia finito nel suo mirino. Voglio dire, so che sei uno stronzo, questo l'ho capito, ma non al punto da somigliargli.»
«Tu ce l'hai con lui, e non solo per il modo in cui gestisce il campionato» affermò Yannick. «Si capisce che c'è qualcosa di più profondo. Pensi che sia stato lui a istigare tuo marito al suicidio? Oppure che l'abbia direttamente ammazzato? È vero che Alex aveva problemi di depressione?»
«Non intendo rispondere a queste domande.»
«Puoi fidarti di me.»
«Questa è la cosa più ridicola che ti abbia mai sentito dire.»
«Davvero, Alysse, io ci ho sempre tenuto a te.»
«Ti prego, non dirlo. Hai fatto sesso con me nello sgabuzzino di un locale e subito dopo mi hai minacciata di mettere fine alla mia carriera di pilota se non ti avessi dato le informazioni che volevi. Sei una persona squallida. Se fossi al posto tuo, non ci terrei a sembrare ancora più squallido.»
Yannick sospirò.
«Hai ragione, quello che ti ho fatto è stato terribile, ma ti assicuro che non l'ho fatto a cuore leggero e che lo considero il più grande errore della mia vita.»
Alysse si alzò in piedi.
«Cerca di non commetterne altri.»
«Di cosa parli?»
«Dico in generale. Prima o poi verrà il momento di ribaltare le assurdità di questo campionato. È solo questione di tempo. Quando verrà il momento, non stare dalla parte sbagliata. Solo se tutti ci ribelleremo, allora ci sarà qualche speranza.»
«Non capisco.»
«Pochi mesi fa è stato innescato di proposito un grave incidente che ha portato alla morte di un pilota. Adesso dobbiamo gareggiare senza che ci sia abbastanza luce e dobbiamo farlo sempre e comunque con gomme da asciutto, anche se per domani il meteo dà pioggia torrenziale. Quando abbiamo minacciato di non scendere in pista, è stata fatta trapelare alla vigilia del gran premio l'identità di uno di noi, che si è ritrovato fuori senza avere violato alcuna regola.»
Yannick minimizzò.
«Si dice che il Verde Quindici di quest'anno fosse il Nero Trentasei della passata stagione. Era solo un backmarker. L'identità dei piloti seri non verrebbe mai rivelata. Per non parlare del fatto che è stato scelto lui solo perché suo padre era un importante pilota del passato. Serviva a dimostrare che i campioni del passato non hanno lasciato niente, al massimo qualche figlio d'arte incapace di avvicinarsi anche solo minimamente al loro successo. Il CEO non voleva colpire noi, voleva solo dare un segnale. È stata una scusa, prima o poi sarebbe accaduto comunque. Anzi, mi stupisce che nessuno si sia mai insospettito nel vedere quel ragazzo. Ha l'aria molto più da modello, ma se lo giri ha lo stesso profilo del padre.»
«Io sapevo chi fosse» obiettò Alysse, «L'ho scoperto molto tempo fa. Tu dici che non importa quello che è successo, perché era solo un backmarker e si è trattato di un'azione dimostrativa per cercare di infangare la memoria di Silberblitz e dei suoi colleghi di un tempo, ma non capisci che è ancora più grave? Uno dei nostri colleghi è stato espulso dalla A+ Series nonostante abbia rispettato le regole, solo perché la dirigenza ha deciso così. Come puoi pensare che sia tutto a posto?»
«Nessuno toccherà te, e probabilmente nemmeno il tuo nuovo compagno di squadra» la rassicurò Yannick. «A proposito, hai già indagato sulla sua identità?»
Alysse scosse la testa.
«Trentacinque, per me, è solo Trentacinque, un pilota che viene snobbato dai fanboy senza alcuna ragione precisa e che si dice convinto che, se mai dovesse morire al volante di una monoposto, i suoi hater finirebbero per diventare suoi accesi sostenitori.»
«Lo vedi? Trentacinque si preoccupa delle solite faccende di sempre. La A+ Series è ben lontana dalla fine. Non ci sarà chiesto di schierarci contro le sue regole, né a favore. Ci toccherà fare quello che abbiamo sempre fatto.» Yannick guardò Alysse negli occhi. «Lo so, non è il massimo, ma se vogliamo correre in questo campionato dobbiamo sottostare alle sue imposizioni. Del resto tu stessa l'hai sempre fatto.»
«Non posso cambiare la A+ Series da sola» replicò Alysse. «Lo so, certe cose non ti toccano. Hai sempre detto che i migliori piloti riescono a guidare con le slick anche sotto la pioggia e che le regole valgono comunque per tutti, ma ti prego di pensarci. Prima le gomme da asciutto con il bagnato, poi le notturne senza la giusta illuminazione, poi un pilota a caso viene smascherato senza ragione per ledere il buon nome del vecchio campionato, il tutto mentre la morte di Tina Menezes è stata orchestrata in nome dello spettacolo. Se accettiamo tutto, finiamo per diventare marionette ancora più di quanto già siamo. Ora mi dirai che se vogliamo gareggiare nella massima categoria motoristica dobbiamo accettarlo... invece no, non è così. Ne ho parlato con diversi nostri colleghi, sai. Se domani andrà tutto bene, per qualche assurdo miracolo, allora daremo fiducia alla A+ Series ancora una volta. Se qualcosa dovesse andare storto, però, dopo la fine della gara ci toglieremo tutti il casco e riveleremo al mondo i nostri nomi.»
«Siete pazzi.»
«Siamo già più della metà e gli amici di Tina potrebbero coinvolgere anche qualcun altro.»
«Vi cacceranno.»
«Così dopo potrai scendere in pista da solo» sbottò Alysse, con voce tagliente. «Non sei contento? Vinceresti un altro agognato mondiale.»
«Non hai capito niente di me.»
«Invece ho capito tutto. In fondo sei disposto ad accettare qualsiasi cosa, purché non ti colpisca direttamente. Te ne fregavi degli incidenti degli altri piloti, te ne fregavi di tutto. Anche adesso pensi solo alla tua possibilità di vittoria.»
Yannick la smentì.
«No, Alysse, non è così. Sto solo cercando di comportarmi da adulto. Solo i ragazzini si ribellano a qualsiasi cosa, spesso per partito preso. Dobbiamo rimanere seri, almeno noi.»
«Ma infatti non si tratta di ribellarsi a qualsiasi cosa, ma a ciò che è profondamente sbagliato» insisté Alysse. «Non stiamo più parlando di gareggiare su circuiti trash, o fatti ai quali si può passare sopra. Potrebbero esserci le nostre vite di mezzo. Sei davvero disposto a rimanere ancora tra le mani di chi potrebbe ucciderti da un momento all'altro premendo un pulsante?»
«Certo che no.»
«E allora smettila di pensare di non avere scelta! Prima dicevi che ti dispiaceva esserti accordato con il CEO. Non credi che sia il momento di dimostrarlo?»
Yannick puntualizzò: «Mi dispiaceva di essermi accordato con lui per fare qualcosa che ti ha ferita. Mi dispiaceva per te, per averti persa. Non me ne frega un cazzo che Junior Silberblitz abbia o no un volante nella A+ Series e che venga utilizzato come strumento per denigrare il padre e, di conseguenza, la Formula 1. Nessuno gli ha imposto di diventare pilota. Poteva diventare giocatore di golf, per esempio, o qualsiasi altra cosa.»
«Tutti noi avremmo potuto diventare giocatori di golf» replicò Alysse, «Però siamo piloti della A+ Series e dobbiamo affrontarne le conseguenze. Non te ne importa dei backmarker? Va bene. Allora, se ti importa di me, stai dalla nostra parte. Fallo perché te lo chiedo io. Se succede qualcosa, rivelati anche tu.» Si avviò verso la porta. «O almeno pensaci. Potrebbe essere la tua ultima opportunità per dimostrare che Argento Quattro non è lo stronzo che tutti descrivono.»
Se ne andò, senza aggiungere altro. Yannick si domandò se avesse ragione. Il cuore gli diceva di sì, ma la mente obiettava che non spettava ai piloti della A+ Series comportarsi da idealisti. Non l'avevano mai fatto. Era da oltre un decennio che non lo facevano. Erano parte di un sistema già radicato che non sarebbe cambiato.
"E poi andrà tutto bene" cercò di convincersi Yannick. "Al massimo avrò l'ennesimo guasto al motore o al cambio, ma a nessuno importerà un fico secco di me e dei miei problemi."


[BLACKOUT]
Mancavano appena dieci minuti all'orario in cui sarebbe dovuto partire il giro di formazione. C'erano problemi, grossi problemi: un'avaria tecnica nella sala in cui lavoravano i social media manager sembrava ormai impossibile da risolvere. I tecnici erano all'opera, ma il CEO sapeva che non ci sarebbe stato molto da fare. Aveva mandato Maelle a verificare come procedessero le operazioni e, con il ritorno della Heidelberg, comprese di doversi mettere il cuore in pace.
«Non va ancora niente?»
«No.»
«Maledizione! I tifosi ci contano.»
«C'è una soluzione a tutto» replicò Maelle. «Qui abbiamo un computer funzionante, se non sbaglio.»
«Non permetterò a dei semplici social media manager di sedersi alla mia postazione» obiettò il CEO. «Mi dispiace, ma è fuori discussione.»
Maelle gli strizzò un occhio.
«Può permetterlo a me. Ho fatto quel lavoro per tanti anni, posso fare anche meglio di loro.»
«Una persona come lei è sprecata come social media manager.»
«Sono i social ufficiali della A+ Series a essere sprecati senza di me.»
Il CEO si alzò in piedi.
«Allora si sieda e chiami i suoi ex colleghi per farsi dare le password. Se il loro telefono non va, chiami qualcuno sul cellulare.»
Maelle gli agitò un foglio avanti agli occhi.
«Ho già fatto, le credenziali sono scritte qui.»
«Meglio così» concluse il CEO. «Si metta alla scrivania e si faccia venire in mente qualcosa. La gara sarà sicuramente emozionante, ma i piloti potrebbero fare qualsiasi cosa. C'era addirittura chi proponeva di rientrare ai box dopo il giro di formazione e non partire per la gara per ragioni di sicurezza.»
Maelle ribatté: «Quando i piloti erano veri uomini avrebbero gareggiato con qualsiasi condizione meteo.»
Il CEO obiettò: «Ai tempi dei "veri uomini" la partenza sarebbe probabilmente stata rinviata.»
«Lo so, ma mi stavo calando nella parte. Devo scrivere quello che la tifoseria vuole leggere, non importa che sia vero o meno. La verità è solo un concetto astratto, che di per sé non porta né like né soldi. Viviamo in un castello di menzogne, non importa spingersi sempre un po' più in là.» Maelle, che si era già seduta al computer, si infilò gli occhiali. «Almeno finché il castello non crolla... ma i piloti non riusciranno mai a trovare un accordo per farlo crollare. Hanno paura di perdere tutto, si guarderanno bene da fare anche un solo passo falso.»
La Heidelberg era sempre incredibilmente ottimista. Il CEO era certo che, se glielo avesse chiesto, Maelle avrebbe risposto di essere certa che il Gran Premio del Giappone sarebbe stato meraviglioso, destinato a rimanere sempre scolpito nella storia del motorsport.

(NERO TRENTASEI - Alysse Mercier)
Era sotto un enorme ombrello sorretto da un meccanico e stava ormai per calarsi nell'abitacolo, quando sentì un colpo su una spalla. Trentasei si girò, per ritrovarsi di fronte al proprio compagno di squadra. Erano ormai fuori tempo massimo, ma Trentacinque sembrava desideroso di scambiare le ultime parole prima del via.
«Secondo te questa pioggia calerà?»
«Ne dubito.»
«È da pazzi gareggiare così.»
«Già, senza nemmeno le gomme da bagnato.»
Trentacinque rimase in silenzio per qualche istante, poi all'improvviso scoppiò a ridere.
«Noi, però, un po' pazzi lo siamo, quindi in un modo o nell'altro ce la caveremo!»
«Ho sentito dire che l'impianto di illuminazione non ha superato i collaudi» gli confidò Trentasei. «Se fossi al posto tuo, non sarei così tranquillo.»
«Non sono tranquillo per niente, ma l'impianto ha retto durante le qualifiche e le sprint» replicò Trentacinque, «Quindi sono ottimista. Lo sono nel vero senso della parola: secondo me oggi finiscono tutti fuori pista e arrivo a podio!»
«Te lo auguro, ma il podio è ancora lontano» lo ammonì Trentasei. «Non sentirti troppo sicuro, perché potrebbe finire male.»
«Mi gratterei volentieri là dove non batte il sole, ma non sarebbe un gesto elegante da fare davanti a una signora.»
«Come sai che sono una signora?»
«Ho tirato a indovinare. Invece sono certo che tu non abbia idea di chi sono io.»
Trentasei gli confidò: «I tuoi occhi mi ricordano molto quelli di Karl Percival, ma il colore è un po' diverso. Inoltre penso che tu sia un po' più vecchio di lui. Secondo me hai più o meno la mia età, forse abbiamo gareggiato insieme in seconda divisione.»
Trentacinque concluse: «Se qualcosa dovesse andare storto, tutti i nodi verranno al pettine. Io sarò in prima linea accanto a te, quando sveleremo le nostre identità. E no, non sono Karl.»
Si voltò e si allontanò, diretto verso la monoposto che avrebbe guidato durante la gara. Non si salutarono, ma Trentasei non se ne curò. Non era un ultimo addio, stavano solo per disputare un gran premio.

(ARGENTO QUATTRO - Yannick Leroy)
Non era raro sentire un pilota affermare che, quando si metteva al volante, tagliava fuori qualsiasi altro pensiero, non solo mella A+ Series, dove i piloti dovevano calarsi nell'identità del loro alter-ego, ma anche nelle categorie in cui ciascuno mostrava il proprio volto ed era chiamato con il proprio nome.
Era stato uno di quei piloti, per molto tempo, ma di colpo si trovava nell'impossibilità di tagliare fuori tutto il resto: Yannick continuava a prevalere, gli era difficile essere Argento Quattro. Scattava a centro griglia, ormai era il momento del giro di formazione, ma sapeva di non potere stare tranquillo. Si sforzò di concentrarsi, quando dovette accodarsi alle vetture che lo precedevano.
Era un delirio, guidare in quelle condizioni sulle gomme da asciutto. Argento Quattro cercava sempre di minimizzare, ma iniziava a rendersi conto di quanto le slick complicassero le cose. Con un simile quantitativo di pioggia, sarebbe stato necessario guidare quasi alla cieca. Non era assolutamente auspicabile dovere anche pattinare sull'asfalto quasi allagato.
Già completare il giro di ricognizione fu un'impresa. La gara sarebbe stata molto peggio, di quelle da non vedere l'ora che arrivasse la bandiera a scacchi, sempre ammesso che non terminasse anzitempo. Per una volta, si rese conto Quattro mentre era di nuovo in attesa sulla griglia di partenza, non sarebbe stato così terribile subire un guasto al motore nelle fasi iniziali. Avrebbe addirittura potuto lasciare il circuito in largo anticipo e non essere presente qualora i suoi colleghi avessero deciso di commettere qualche pazzia istigata da Alysse.
I semafori iniziarono ad accendersi: una luce rossa, due luci rosse, tre luci rosse, quattro luci rosse, cinque luci rosse.
Si spensero, dando il via alle danze: un ballo macabro fatto di spray e di scarsissima visibilità. Da qualche parte, molto più avanti, Tre doveva essere leader della gara, l'unico che non doveva vedersela con l'acqua alzata da altre vetture.
Quattro non riusciva a stare in scia al pilota che lo precedeva. La monoposto andava da tutte le parti, tranne dove avrebbe dovuto. Mantenerne il controllo per oltre cinquanta giri sarebbe stato un atto eroico, qualsiasi cosa ne pensassero quei coglioni che, seduti sul divano con lo smartphone in mano, affermavano puntualmente che i piloti degli anni 2020 non valessero nemmeno un decimo di quelli di un generico passato che avrebbe potuto essere indistintamente il 1950, il 1975 o il 2000.

(ROSSO VENTOTTO - Ryuji Watanabe)
Per la prima volta da quando aveva lasciato le corse americane, rimpiangeva ferocemente le corse americane. Con un meteo del genere, in Indycar, a nessuno sarebbe mai passato in testa di scendere in pista. Ventotto non aveva mai guidato in quelle condizioni, se non talvolta nelle formule minori giapponesi. Nelle formule minori giapponesi, tuttavia, esistevano le gomme da bagnato estremo e, in generale, i piloti non erano mandati incontro a una potenziale morte solo per intrattenere un pubblico affascinato dal macabro.
Quella gara sarebbe stata uno strazio e quasi Ventotto fu sollevato, quando dopo un testacoda si ritrovò in una via di fuga. Per un attimo ebbe l'impressione che la sua gara fosse finita, ma non lo era, il motore era ancora acceso.
Ripartì. Non aveva idea di quale posizione occupasse, forse una delle ultime, ma non riuscì ad averne la conferma dal proprio box, perché la radio funzionava a tratti. Gli era parso di intravedere bandiere gialle, in precedenza, oltre che sagome che potevano essere mezzi di soccorso. Dovevano esserci stati vari incidenti e ritiri, anche se non era entrata alcuna safety car, né il direttore di gara aveva esposto quella bandiera rossa che in altre occasioni era stata tirata in ballo per molto meno.
Era l'Apocalisse dei gran premi della massima categoria e un giorno raccontare di averla vissuta in prima persona sarebbe stato motivo di vanto. Prima, però, era doveroso uscirne vivi e cercare di mantenere la lucidità, impresa sempre più difficile. Ventotto non riusciva nemmeno più a distinguere se la pioggia fosse costante, oppure se stesse aumentando. Tutto ciò che comprese era di avere di nuovo perso il controllo della vettura che stava guidando.
Non trovò una via di fuga, ma una barriera, contro la quale impattò ad alta velocità. La monoposto resse l'impatto: Ryuji Watanabe, ex pilota di Indycar che gareggiava con il nome di Rosso Ventotto, era giunto alla fine prematura del proprio gran premio di casa.
Si slacciò le cinture e rimosse il volante per scendere dall'auto. Il botto che aveva fatto era stato piuttosto pesante, ma il sollievo di essere vivo e fuori da quell'incubo prevaleva su ogni cosa. Sotto le luci soffuse dei lampioni, si avviò a piedi verso i box, che non erano molto lontani. Era ormai giunto a destinazione quando, all'improvviso, sul tracciato calò l'oscurità.
In lontananza le luci colorate delle monoposto erano puntini che facevano contrasto con il nero della notte di Suzuka. A Ryuji - ormai non si vedeva più come Ventotto - servirono diversi istanti per rendersi conto di cosa fosse successo: l'impianto di illuminazione del circuito era saltato.

(NERO TRENTASEI - Alysse Mercier)
Aveva volato, ribaltandosi. Era girato di novanta gradi, contro una barriera. C'era stato un contatto con un'altra monoposto. All'improvviso era tutto buio. Trentasei si chiese se fosse quella la fine, mentre giaceva immobile all'interno di ciò che restava della monoposto.
Era quella la morte? Alex aveva provato sensazioni simili, quando era stato avvelenato? Oppure Tina Menezes, al momento del suo incidente a Montecarlo?
Quel pensiero fu interrotto da un colpetto che sentì sul casco e poi una voce a malapena comprensibile.
«Stai bene?»
Nero Trentasei si mosse dentro l'abitacolo, per dare un segnale. Non stava morendo, anche se non vedeva più nulla. Sentiva la pioggia, così come percepiva qualcuno che cercava di prestargli aiuto. Non seppe dire come ne venne fuori, ma una volta uscito notò in lontananza, oltre che il rombo di qualche motore, qualche luce posteriore accesa, così come le più piccole luci decorative che risplendevano sulle monoposto ancora in pista.
Cercò di mettere a fuoco nell'oscurità, dove doveva esserci la persona che l'aveva aiutato a tirarsi fuori dalla vettura. Si guardò intorno e, girandosi, notò un monitor, che trasmetteva le immagini della gara. Era tutto buio, si vedevano appunto solo le stesse luci delle auto che vedeva anche Trentasei.
«È saltata la luce?» chiese.
«Sì» rispose qualcuno, accanto a lei.
«Chi sei?»
«Quattro. Tu?»
«Alysse.»
Quel nome venne fuori spontaneo. Ormai Nero Trentasei non c'era più e, se non fosse stato per quella pioggia maledetta, non avrebbe avuto problemi a togliersi il casco in quel momento stesso.
«Avevi ragione» disse Yannick, «Per loro non conta niente se siamo vivi o morti. Siamo solo pedine su una scacchiera.»
«Cosa ti è successo?»
«Non lo so. Di colpo una vettura mi ha travolto e ha iniziato a volare. Eri tu?»
«Penso di sì, ma non come sia andata.»
«Non importa.» Yannick scattò verso di lei e la strinse in un abbraccio. «Hai sempre avuto ragione tu.»
Alysse fu tentata di liberarsi, ma si lasciò andare. Il suo lato razionale le suggeriva di voltare le spalle a Yannick, ma non se la sentiva. Le aveva fatto molto male, era vero, ma un tempo aveva creduto di essersi innamorata di lui e sembrava che finalmente stesse dalla sua parte.
Lo strinse a propria volta e lo pregò: «Portami dagli altri. La luce è saltata. Non è andato tutto bene.»
Yannick non si oppose. Si avviarono a piedi verso il paddock, consapevoli che la A+ Series sarebbe cambiata per sempre.
Trovò la maggior parte dei suoi colleghi radunati, alcuni senza casco. Fece lo stesso, se lo tolse e si espose ufficialmente.
Alcuni dei piloti con cui si era accordata stavano trafficando con cellulari e altri mezzi elettronici. Axel Frosch le disse che alcuni di loro avevano già fatto un video in cui rivelavano le proprie identità e le chiese se fosse già pronta.
Yannick - Argento Quattro, indossava ancora il casco - obiettò: «Non sarebbe meglio aspettare che ci siano tutti?»
«No» replicò Alysse, con fermezza. «Dopo potrebbe essere troppo tardi. In più alcuni piloti sono ancora in gara. Dobbiamo pubblicare il video in cui divulghiamo la nostra identità il prima possibile, non appena la gara sarà finita... oppure» contò almeno tredici piloti presenti, «quando tutti finiranno fuori pista.»
Non ne mancavano più molti, magari il suo compagno di squadra sarebbe stato il prossimo a raggiungerli. Non andò così e ad arrivare fu Ryuji Watanabe, che teneva in mano il proprio casco. Alcuni dei presenti si stupirono nel riconoscere l'ex pilota di Indycar come un loro collega.
Non fu necessario attendere molto affinché arrivassero anche altri: il gran premio stava proseguendo al buio. Alla fine si radunarono tutti e presero tutti parte al video rivelatore.
Tutti tranne uno: all'appello mancava Nero Trentacinque.

(STANZA DEI BOTTONI - CEO & Maelle Heidelberg)
Di solito l'assistente era una donna pragmatica, poco propensa a perdersi d'animo. Il CEO rimase impressionato dal suo sguardo allucinato. Aveva lavorato incessantemente, seduta davanti al computer e con gli auricolari alle orecchie, dando segno di cavarsela nonostante il susseguirsi frenetico degli eventi. Non dovevano esservi molte ragioni di turbamento per lei, quindi fu facile azzardare la possibilità più ovvia.
«È per il blackout, vero? Per tutti gli incidenti che avrebbero potuto generare audience se solo ci fossero delle inquadrature decenti?» Il GPS dava tutte le monoposto ormai ferme, una vera carneficina, nonostante si contasse un solo pilota che non era sceso dalla vettura. «Non pensa che l'assenza di immagini possa comunque essere sfruttata in qualche modo? È affascinante non sapere cosa sia successo esattamente. Non...»
Togliendosi gli auricolari, Maelle lo interruppe: «È appena successo un disastro, direttore. Axel Frosch ha rivelato la propria identità tramite i propri profili social, ha detto di avere avuto una relazione con Tina Menezes e ci ha accusati di averlo fatto di proposito.»
Il CEO si irrigidì.
«Ecco un altro coglione. Non fa nulla, sarà radiato.»
«Anche Hamster Gangster si è rivelato, così come Ricky Scarpelli. Anche loro hanno lanciato accuse a proposito dell'incidente della Menezes.»
«Tre piloti da radiare in un colpo solo non sono una passeggiata, ma ce la cambieremo, anche se a conti fatti avremmo fatto meglio a radiare loro piuttosto che il piccolo principe Silberblitz.»
Maelle, guardandolo negli occhi, chiarì: «Non sono solo loro tre. Ci sono quasi tutti. Possiamo radiarli, certo, ma ci ritroveremo senza piloti e l'opinione pubblica sarà contro di noi. C'è perfino Yannick Leroy. E Alysse Mercier dice addirittura che probabilmente suo marito è stato ucciso perché non era abbastanza discreto a proposito della sua partecipazione a un documentario nel quale veniva falsificata la storia della Formula 1 e della A+ Series.»
«Merda» sibilò il CEO. «E la gente? Cosa dice la gente sui social? Da che parte sta?»
Lo sguardo di Maelle valeva più di mille parole.
Il CEO ruppe il silenzio, riprendendo: «Credo sia meglio discutere a lungo del da farsi. Le va di prendere un tè? Ho bisogno di zuccheri, per riflettere.»
Maelle fece per alzarsi in piedi.
«Vado a prenderli giù al distributore automatico.»
Il CEO la fermò.
«No, vado io. Lei continui a leggere i commenti e poi mi aggiorni.»
Uscì in corridoio, ormai certo che fosse finita. Era un vero peccato che i piloti avessero scelto di comportarsi in maniera così scellerata. Il CEO sapeva di avere perso. Fece ciò che doveva fare, poi tornò per sentire la conferma dalla bocca di Maelle.
«È successa anche una cosa bella» cercò di rassicurarlo la Heidelberg. «I soccorsi hanno raggiunto Nero Trentacinque. Niente respiro, niente battito cardiaco, niente segni di vita. C'è ancora un pilota senza nome.»
In altri momenti una sepoltura e una tomba anonima avrebbero riempito il CEO di soddisfazione, ma era plausibile che, accanto all'evento epocale appena accaduto, un banale incidente mortale passasse quasi inosservato.
«È la fine» mormorò il CEO, allungando a Maelle il tè.
La Heidelberg lo bevve tutto d'un colpo. La guardò morire allo stesso modo in cui era morto Alexandre Mercier. Teneva ancora in mano il proprio bicchiere. Doveva solo scegliere quanti istanti ancora volesse vivere. Non si sarebbe mai abbassato ad assistere alla conclusione del prodotto in cui aveva tanto creduto: sapeva che la A+ Series per come l'aveva concepita già non esisteva più.


[VERSO LA RINASCITA]
Era strano come alla A+ Series fossero bastate appena poche settimane per rinnovarsi. Gli sciagurati eventi del Gran Premio del Giappone erano stati messi in secondo piano da quelli del dopogara, ma soprattutto dalla morte del CEO e della sua collaboratrice. Le circostanze del doppio avvelenamento non erano state del tutto chiarite, ma era ovvio che la causa istigante fosse stata il comportamento dei piloti. Qualche tifoso accanito, sostenitore della vecchia dirigenza, aveva urlato allo scandalo, ma facendosi poco sentire: c'erano stati un incidente mortale - a seguito del quale sembrava che non fosse mai esistito un solo fan che non avesse adorato Nero Trentacinque - e una rivelazione collettiva dei piloti, entrambi fatti che stimolavano l'interesse e la passione del fanbase. Un CEO era soltanto un CEO e qualcuno si augurava che la situazione non cambiasse troppo.
C'era chi sosteneva che il consiglio d'amministrazione avesse il dovere di fare sondaggi tra i tifosi, per stabilire chi dovesse essere il nuovo CEO, ma la maggior parte degli appassionati più accaniti preferivano richiedere a gran voce avere la possibilità di essere interpellati a proposito dell'assegnazione dei volanti. Altri erano impegnati a scandagliare le vite private dei piloti, se avevano profili social, per appurare se fossero o meno degni di meritarsi un volante nella A+ Series secondo il loro personale giudizio, non solo morale, ma soprattutto moralista. C'erano state addirittura petizioni contro il pilota fino a poco tempo prima noto come Verde Quattordici, a causa di un presunto tradimento ai danni della moglie immortalato e reso noto al mondo tramite pochi click. Un buon numero di presunti tifosi sostenevano di volere boicottare il campionato qualora non fosse stato radiato a vita. Una parte di costoro, inoltre, tartassavano la sua consorte sui social, per convincerla a chiedere il divorzio e l'affidamento esclusivo dei loro numerosi figli.
Yannick iniziava quasi a pensare che si stesse meglio quando le identità dei piloti erano celate, ma per il momento poteva stare sicuro. L'unica sua relazione pubblica conosciuta era quella con Alysse, la quale era vedova. O quantomeno, sperava che che il concetto di "finché morte non vi separi" fosse stato assimilato dalle menti dei tifosi più ossessivi, e che la sua relazione con una donna che era stata in passato coniugata con un uomo defunto da diversi anni non venisse presa di mira.
Si tolse quei pensieri dalla testa proprio perché Alysse, al suo fianco, gli mise fretta.
«Dobbiamo andare.»
«Di già?» Yannick guardò l'orologio. «Non pensavo fosse così tardi.» C'era una riunione con il nuovo CEO, che era stato incaricato soltanto quella mattina, alla vigilia del Gran Premio degli Emirati Arabi, che si sarebbe svolto sul circuito di Abu Dhabi, prima di tornare nel continente americano. «Cosa ti aspetti? Ho sentito dire che hanno scelto un pilota vintage.»
«Speriamo» mormorò Alysse. «Il fatto che sia un ex pilota è promettente: almeno avrà un'idea di che cosa sia tollerabile e cosa no. Quello che è successo a Suzuka», abbassò lo sguardo, «non deve più ripetersi.»
«Ti manca?»
«Trentacinque? Sì.»
«Chi era?»
«Non lo so. Non mi ha mai detto il suo nome.»
«Ho sentito che metteranno Junior al suo posto. Ne sai qualcosa?»
Alysse alzò gli occhi.
«Può darsi, ma non è sicuro.»
«Alla fine hanno annullato la sua radiazione, e addirittura quella di Santiago Fernandez» osservò Yannick. «Cosa ne pensi?»
«Fernandez ha fatto molto meno di quello che abbiamo fatto noi, mentre Silberblitz è stato messo in mezzo solo per "esigenze di trama"» rispose Alysse. «Direi che è giusto così.»
Senza aggiungere altro si diressero verso il luogo della riunione. Alcuni piloti erano in ritardo, Yannick e Alysse furono tra i primi a entrare nella sala in cui il nuovo CEO li avrebbe incontrati. Quando lo vide, Yannick rischiò di non credere ai propri occhi: quell'uomo sulla cinquantina, con i capelli biondi tagliati a caschetto, gli occhiali da vista e decisamente più corpulento rispetto a un tempo non era solo un ex pilota, era il suo idolo d'infanzia.
Accanto a lui, Alysse era ugualmente sorpresa.
«Non riesco a crederci, è Mirko Lentävä!»
«Non ci credo nemmeno io» convenne Yannick. «Quando ero piccolo, era il mio eroe! Anche se avevo solo dieci anni quando si è ritirato, l'ho sempre portato nel cuore. Peccato abbia lasciato le competizioni così presto, avrebbe potuto vincere ben più di due mondiali.»
Alysse non sembrava tanto interessata a tesserne le lodi per le performance al volante, quanto piuttosto a rimarcarne un aspetto che doveva apparirle ben più importante: «Lentävä è sempre stato molto equilibrato, anche quando era un pilota. Siamo di fronte a un cambiamento epocale. E poi lui stesso ha vissuto sulla propria pelle le conseguenze della poca sicurezza. Uno che ha visto la morte in faccia non può trattarci come manichini da crash test.»
Yannick non disse più nulla, per non doverle dare ragione ancora una volta. Frattanto i loro colleghi iniziavano a radunarsi nella sala e Lentävä li invitava a prendere posto. Yannick e Alysse si sedettero in prima fila, mentre dietro di loro si udivano le voci di quelli che, come fossero stati scolaretti delle elementari appena entrati in classe il primo giorno di scuola, discutevano sul dove piazzarsi.
Mirko Lentävä li invitò a mettersi sulla prima sedia che avevano davanti. Yannick si girò indietro e il fatto che Ryuji Watanabe fosse l'ultimo a prendere posto gli strappò un sorriso.
«Vedo che ci siete tutti, almeno voi titolari della A+ Series» esordì Lentävä, «Quindi posso iniziare. Come potete immaginare, sono il nuovo CEO della categoria e il mio obiettivo è portare il campionato al passo con i tempi. Come ben sapete, si è andati in una direzione molto estrema negli ultimi tempi, alla quale vi siete ribellati. Credo sia doveroso farvi sapere che avete fatto la cosa giusta e che avete la mia approvazione. Ciò che non ha la mia approvazione, invece, è tutto quello che ha portato ai fatti del Giappone. Il vostro collega Nero Trentacinque ha perso la vita a causa di decisioni scellerate, che hanno stravolto la natura delle competizioni a ruote scoperte. La A+ Series non è un demolition derby, anche se fin troppo a lungo è stata trattata come tale. Apprestandomi a prendere il posto di un CEO che aveva una visione totalmente opposta rispetto alla mia, vi avverto fin da subito che è impossibile ripensare di punto in bianco il campionato, ma la mia intenzione è lavorare affinché possano esserci dei miglioramenti. Per quanto il format degli eventi sia da rivedere in futuro, ciò che è già stato programmato - sprint race, reverse grid e quant'altro - resterà tale per questa stagione. Ciò che è da rivedere subito è tutto ciò che riguarda la sicurezza: nel corso degli anni siete stati esposti sempre di più al pericolo, con le opzioni di disturbo applicate a vostra insaputa mentre eravate alla guida e con imposizioni assurde come l'abolizione delle mescole di gomme da bagnato, sia intermedie sia full wet. Se già questa regola appariva fuori luogo in precedenza, con il Gran Premio del Giappone si è toccato il fondo. Se da un lato il pericolo non sarà mai totalmente annullato, dall'altro è opportuno non solo cercare di ridurlo al minimo, ma soprattutto non aumentarlo deliberatamente. A causa di questa assurdità, un uomo è stato sepolto in una tomba senza nome, nel cimitero delle vittime della A+ Series, senza che i suoi familiari siano stati informati della sua morte. Non sono stati rintracciati documenti che attestino la sua identità: il vecchio CEO e la signora Heidelberg sono morti portando con loro il segreto della sua identità. A questo proposito, se qualcuno di voi fosse stato a conoscenza del suo nome, lo pregherei di farmelo conoscere. Non necessariamente qui, in questa sede: possiamo parlarne anche in privato.»
Nessuno disse nulla. Yannick diede un'occhiata all'espressione dei suoi colleghi. Appariva molto probabile che nessuno sapesse chi fosse davvero Nero Trentacinque.
La riunione proseguì, con Mirko Lentävä che declamava tanti buoni propositi. Yannick non aveva dubbi: il suo idolo d'infanzia era determinato a trasformare la A+ Series in una categoria motoristica "normale".
«Naturalmente non farò tutto da solo» chiarì, in conclusione. «Mi sono circondato di collaboratori competenti, che sappiano quali sfide deve affrontare un pilota mentre è al volante. Ho scelto alcuni consiglieri che potrebbero apparire un po' fuori dagli schemi, ma penso che siano proprio le nostre differenze a dare valore aggiunto. Per esempio, in apparenza io e Juanito Cuernos-Caballo non abbiamo nulla in comune: io mi sono ritirato a poco più di trent'anni, mentre Juanito gareggia tuttora in diverse categorie, nonostante abbia molti più capelli grigi di me. Eppure sono convinto che possiamo lavorare insieme per migliorare la categoria e che possa accadere anche con tutti gli altri, compresi quelli che, per loro scelta, resteranno nell'ombra.»
Ci fu un lieve mormorare, nella sala. Cuernos-Caballo era un nome di pregio dell'automobilismo internazionale, aveva vinto gare in Formula 1, Indycar, NASCAR ed endurance, una vera e propria leggenda, anche se occasionalmente c'era chi lo tacciava di essere un pilota scadente perché non concordava con certe sue dichiarazioni colorite. Il suo nome e il suo ruolo nella nuova gestione venne comunque accolto con tono di approvazione e Mirko Lentävä congedò tutti i presenti.
Ancora una volta, come bambini delle scuole elementari, alcuni di essi iniziarono a fare più confusione di quanto fosse necessario. Frattanto Yannick si alzò in piedi e fece per allontanarsi insieme ad Alysse. Se ne sarebbero andati, se non fosse stato per la voce di Lentävä.
«Mercier?»
«Sì.»
«Puoi fermarti un attimo? Puoi...» Lentävä esitò. «Possiamo darci del tu?»
Alysse confermò: «Sì, certo.» Si avvicinò al nuovo CEO. «Di cosa si tratta?»
«Preferirei che rimanessimo soli, è una questione piuttosto riservata» rispose Lentävä.
Yannick guardò con aria interrogativa Alysse, che gli fece cenno di andare via. Uscì, rassegnato, e rimase ad attenderla fuori dallo stabile. Ci vollero poco meno di dieci minuti e non gli parte turbata, quando la rivide.
«È successo qualcosa?» volle sapere.
Alysse scosse la testa.
«Niente di grave.»
«Sa che sei stata tu a convincerci a rivelare le nostre identità?»
«L'ha capito.»
«Avete parlato di questo?»
«Non è un problema quello che ho fatto, per Lentävä» precisò Alysse. «Quello che è successo ha portato indirettamente a un omicidio- suicidio, ma è stato un evento fuori dal nostro controllo. Non abbiamo colpe, abbiamo fatto solo ciò che sentivamo e che lo stesso Lentävä non disapprova.»
Yannick tentò di insistere: «Allora perché ti ha convocata?»
Alysse alzò le spalle, con apparente indifferenza, e borbottò un monosillabo. Yannick si rassegnò: non avrebbe saputo altro, non c'era verso di convincerla a parlare.

☆☆☆☆☆☆☆

Erano usciti tutti, Alysse era sola con Mirko Lentävä. Si fissarono per qualche istante, prima che il nuovo CEO prendesse la parola: «So che non dovrei chiedertelo, ma ci sei tu dietro a quello che avete fatto voi piloti?»
Alysse si irrigidì.
«Devo comunque rispondere delle mie azioni, giusto? Abbiamo violato una regola che, comunque la pensi tu, esiste ancora e qualcuno deve pagare per questo? Non c'è problema, lo accetto, ma appunto per questo vorrei che la responsabilità fosse considerata soltanto mia.»
Mirko Lentävä replicò: «Non hai capito, Alysse. Vorrei solo che mi confermassi se ci sei tu, dietro, perché in tal caso uno dei miei collaboratori vorrebbe scambiare qualche parola con te.»
«Quale collaboratore?»
«Uno di quelli che lavorano nell'anonimato.»
La faccenda era misteriosa quel tanto che non permetteva ad Alysse di essere totalmente tranquilla.
«Qual è la fregatura?»
«Il fatto che il mio collaboratore abbia molti anni di più rispetto all'ultima volta in cui l'hai visto e che non sia nelle migliori condizioni di salute.» Lentävä fu molto chiaro: «Non è come ti aspetteresti di vederlo e soprattutto adesso potrà mostrarti il tuo volto.»
«È un ex pilota della A+ Series?»
«Lo scoprirai. Vieni con me.»
Senza esitare, Alysse seguì il nuovo CEO. usciti dalla sala in cui si era tenuta la riunione, imboccarono un lungo corridoio. Lentävä non la accompagnò fino a destinazione, ma le disse che la persona che avrebbe dovuto riceverla si trovava nell'ultima stanza in fondo. Alysse proseguì da sola, con tante idee confuse che non riuscì a concretizzare in un pensiero concreto.
La porta era accostata, quindi rimase incerta per un attimo a interrogarsi su come agire. Infine si convinse, la scostò e sbirciò all'interno. Vide un uomo girato di spalle, su una sedia a rotelle. Aveva i capelli grigi tagliati con la moda diffusa tra la fine degli anni '90 e la prima metà degli anni 2000: corti, ma non abbastanza per essere definiti a spazzola, acconciati con il gel a formare aculei in cima alla testa.
«Posso?» domandò Alysse, senza troppa convinzione, ma con il cuore che le batteva a mille, perché anche visto da dietro le appariva tremendamente familiare, nonostante non l'avesse mai visto dal vivo senza tuta e casco.
L'uomo in carrozzella si girò lentamente, mentre Alysse muoveva qualche passo verso di lui. Lo scrutò in volto, ancora riconoscibile, seppure invecchiato di molto da quando vedeva regolarmente sue inquadrature alla televisione o sue fotografie su giornali e riviste.
Aveva un nome, ma fissando i suoi occhi verdi tutto ciò che riuscì a fare fu balbettare: «A-Argento Tre?»
L'ex pilota scosse la testa.
«Ormai non sono più Argento Tre.»
«Lo so, ma Hamster Gangster non sarà mai come te.»
«Non sottovalutarlo. Può vincere quanto me, se non di più. Non ti ho chiamata qui per parlare di questo, però. So quello che hai fatto, so che sei stata tu a svegliare le coscienze.»
Alysse minimizzò: «Non ho fatto niente di speciale. Ci veniva chiesto qualcosa di insensato, ormai, un po' come se il nostro scopo fosse dare spettacolo a un pubblico becero assetato di sangue. Il mio compagno di squadra è morto per colpa di quelle regole.»
L'ex Argento Tre insisté: «Hai fatto quello che nessuno aveva mai avuto il coraggio di fare. L'ho capito fin da subito, quando ero il tuo coach, che avresti potuto farcela.»
«Sapevi chi ero?»
«No, ma ho sempre riconosciuto il tuo sguardo. Eri Rosso Ventisette, la scorsa stagione. Mi dispiace che non sia andata bene.»
«A me, non più. Non era la mia strada. Non so se l'ho trovata, ma posso dire di sentirmi molto più a mio agio adesso.»
«Ti auguro il meglio, Al-...» Esitò. «Posso chiamarti Alysse?»
«Sì, certo, è così che mi chiamo. E io posso continuare a chiamarti Argento Tre?»
«Preferirei Mihail.»
«Tu, per me, resterai sempre Argento Tre, il pilota che mi ha aiutata a diventare quella che sono.»
«Non dare tutti i meriti a me, Alysse» replicò Argento Tre. «Sei una grande donna. Non mi sbagliavo, su di te, ci ho sempre visto giusto, anche se dicevano che ero troppo vecchio per distiguere il giorno dalla notte.» Ridacchiò. «Grazie, Alysse. Grazie per quello che hai fatto. Un giorno sarai ricordata come la persona che ha salvato la A+ Series.»
Alysse scosse la testa.
«No, un giorno sarò ricordata per i miei risultati. Non guido più una vettura rossa, ma il meglio deve ancora venire, per me. Non so quale sia il mio futuro, ma sento che ho ancora tanto da fare.»
Argento Tre sorrise.
«Non potrò mai festeggiare con te, ma sappi che sarò al tuo fianco.»
«Perché?» chiese Alysse.
Argento Tre spiegò: «Perché la mia vita pubblica è finita molto tempo fa. Non sono fatto per stare sotto i riflettori. Preferisco vegliare nell'ombra sulla A+ Series e, per questo motivo, ti chiedo di non riferire a nessuno che ci siamo incontrati.»
Alysse si arrese alla sua volontà.
«Nessuno lo saprà.»
Si salutarono e se ne andò, tornando nel corridoio. Lentävä la aspettava a parecchi metri di distanza. Alysse gli fece un cenno, prima di uscire dallo stabile. Trovò Yannick ad attenderla. Non gli avrebbe mai detto di avere appena visto una leggenda del vecchio corso del motorsport.Non le dispiaceva che il pilota che un tempo l'aveva così tanto ispirata facesse parte di una nuova dirigenza che puntava ad avere un mondo migliore. Il mondo, tuttavia, non aveva un grande margine di miglioramento: al di fuori tutto sarebbe rimasto uguale. Alysse lo leggeva nei commenti dei tifosi sui social, che di per sé non erano cambiati molto, così come lo vedeva nel moltiplicarsi degli avatar dedicati al suo defunto compagno di squadra dai suoi passati detrattori, divenuti suoi tifosi postumi come a rendere reali le sue profezie. Non vi era cura per certe ferite, una nuova A+ Series la attendeva, ma i fantasmi del passato avrebbero comunque dominato.

*** FINE ***

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