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sabato 14 agosto 2021

Il Delirio dell'Arcobaleno: blog novel - Puntata n.6

DNQ a Montecarlo - siamo nel mio racconto e non nella Formula 1 degli anni '80, quindi possono scendere in pista più di venti vetture il giorno della gara, però in ogni caso ci sarà qualcuno che non riuscirà a qualificarsi. Prima però è il caso di partecipare a un party al quale Mister Delirium darà sfoggio delle sue doti di finto caprone ignorante che non sa niente di motorsport.

Buona lettura!


** Il Gran Premio di Monaco è da sempre considerato uno degli appuntamenti fondamentali del campionato della Golden League. C’è chi lo ama incondizionatamente, c’è chi lo odia incondizionatamente e chi non è in grado di decidere, tra i due precedenti, quale sia il proprio gruppo di appartenenza.
Al di là delle preferenze personali è innegabile che Montecarlo continui ad avere, dopo quasi un secolo di storia, un fascino che altre località (come Jerez de la Frontera e Istanbul, per rimanere tra quelle in cui la Golden League ha già gareggiato in questa stagione) continuano e continueranno a non avere.
Sulle stradine del Principato di Monaco sono state scritte fin dalla prima metà del Novecento molte pagine della storia dell’automobilismo, destinate a rimanere ricordate nel tempo e, come ogni anno, alla fine anche i critici del Gran Premio di Montecarlo si rassegnano e si preparano ad assistere allo “spettacolo” o all’“assenza di spettacolo” (definizioni strettamente personali, dal momento che non tutti danno lo stesso significato a questi termini).
Come ogni anno, anche in questa stagione il Gran Premio è preceduto dai soliti eventi glamour, al quale sono seguiti i soliti commenti: Montecarlo è rimasto uno dei pochi luoghi in cui le feste non si improvvisano nel paddock e in cui Gabriel Aruya non è costretto a improvvisarsi deejay; osservazioni scherzose, ma che corrispondono molto alla realtà.
Quest’anno ha fatto presenza anche Brett Johnstone, presidente della Delirium Company, main-sponsor del Team Corujas Blancas a partire da questa stagione. Era da un po’ che non lo si vedeva, a causa dei suoi vasti impegni professionali, ed è stato un piacere rivederlo ieri al fianco di Mitchell Ramirez e dei piloti della squadra. [...]**

L’abito da ricevimento di Dalia Herrera spiccava tra quello delle altre donne presenti. Era un tubino bianco, lungo quasi fino alle caviglie.
Era proprio il genere di abito che sarebbe stato perfetto per un’apparizione negli spot pubblicitari dei Delirium Extra Dry. L’idea che una donna potesse indossare un abito candido nei giorni più intensi del ciclo mestruale senza correre il rischio della benché minima macchia era un concetto che colpiva l’immaginazione.
Brett Johnstone provò di farle un cenno di saluto con la mano, ma Dalia non si accorse di lui. Era insieme a Daphne Harris, la reginetta della Silver League, Marcela Lopez Ferreira, la reginetta del Team Pink Venus (Johnstone si rifiutava di etichettare con quelle parole Caroline Parker, che per qualche strana ragione aveva scelto di presenziare a una serata di gala in giacca di pelle e pantaloni sportivi) e Irina Volkova, la reginetta delle retrovie.
Johnstone ricordò che mostrarsi troppo sicuro dell’identità di ciascuna di loro avrebbe potuto essere deleterio, se voleva continuare a interpretare la parte dell’inesperto che sborsava denaro per uno sport che lo interessava soltanto in minima parte.
Il suo scopo, quella sera, era farsi vedere e farsi fotografare insieme a Dalia Herrera: quella donna poteva, almeno potenzialmente, catalizzare l’interesse più del resto della Golden League al gran completo.
Attese e fu ripagato dall’attesa.
Non appena Dalia si girò dalla sua parte, lasciò il gruppetto e si diresse verso di lui.
Sorrideva.
Era il sorriso finto di chi voleva mostrarsi più rilassata di quanto non fosse.
«Buonasera, signor Johnstone. Finalmente ci rivediamo.»
Anche Johnstone sorrise.
«Già, finalmente.»
Dalia Herrera era tutt’altro che calma e Johnstone era certo che la situazione sarebbe addirittura peggiorata quando si fosse trattato, di lì a un paio di giorni, di scendere in pista.
La morte di Nathaniel Dubois, l’anno precedente, non l’aveva lasciata indifferente, specie considerando che era avvenuta nello stesso weekend in cui lei stessa era sopravvissuta a quello che avrebbe potuto essere un incidente altrettanto grave. Inoltre il rapporto di amicizia tra lei e lo sfortunato pilota belga - rapporto di amicizia? a Johnstone riusciva difficile immaginare che, tra quelle due specifiche persone, ci fosse stato un rapporto esclusivamente di amicizia - aveva ingigantito ancora di più le cose.
“Per non parlare del fatto che Dalia si trova esattamente dove avrebbe potuto trovarsi Dubois se non fosse morto.”
Non era un mistero che tra Nathaniel Dubois e il Team Corujas Blancas si prospettasse una collaborazione di lunga durata, prima del tragico incidente.

** [...] In particolare, nel corso della serata di gala, Johnstone ha trascorso molto tempo accanto a Dalia Herrera, a suo tempo da lui fortemente desiderata tra i piloti della squadra.
Le fotografie dei due, una volta giunte in rete, si sono diffuse in maniera virale e sono state riportate anche da molte fonti di informazione qualificate e ha tornato a prendere il sopravvento l’ipotesi che l’ingaggio della Herrera sia stata prevalentemente una manovra di marketing.
Il Team Corujas Blancas, ritenendo tali accuse soltanto pettegolezzi privi di fondamento, ha prontamente precisato tramite il proprio sito web dell’infondatezza di tali dicerie, confermando la propria fiducia nei confronti dei tre piloti, Herrera, Harris e Yoshimoto. [...]**

Dalia avrebbe desiderato interrompere ogni tentativo di Brett Johnstone di intrattenerla parlando del più e del meno, ma aveva imparato nel corso degli anni che, al cospetto di chi paga, bisogna accettare anche le situazioni sgradevoli.
Era fortunata, dopotutto: la situazione sgradevole che Dalia era costretta a sopportare quella sera altro non era che un uomo che blaterava qualcosa a proposito di - almeno in quel momento - di mercati finanziari. Non era nulla che non si potesse tranquillamente sopportare: l’argomento non era di particolare disturbo, così come non lo erano stati quelli trattati in precedenza, che ormai Dalia aveva già rimosso.
Soltanto dopo tre quarti d’ora di conversazione ininterrotta con il presidente della Delirium Company, che si era conclusa con qualche accenno a una nuova linea di prodotti recentemente lanciata dalla multinazionale dei prodotti per la casa per la persona, Dalia riuscì finalmente ad allontanarsi almeno per un po’.
Dovette ringraziare Mitchell, per quell’inaspettata possibilità.
Si era avvicinato tenendo in mano un bicchiere - conteneva senz’altro qualcosa di alcolico, Dalia non aveva dubbi - e aveva immediatamente attaccato bottone con il loro finanziatore.
Dalia si era scusata per l’imminente assenza.
«Vado un attimo alla toilette.»
Una volta uscita dalla toilette, trovò Ethan e Koji sulla propria strada.
Ne fu soddisfatta.
Per quanto non sempre avere a che fare con Ethan fosse facile, poteva essere più interessante passare qualche minuto con lui, che con il presidente della Delirium Company.

**[...] La presa di posizione del team brasiliano è comprensibile: i tre piloti costituiscono un gruppo affiatato e performante. È anche grazie a loro se la squadra si trova, alla vigilia del Gran Premio di Montecarlo, in terza posizione nella classifica dei team, a 30 punti, soltanto uno in meno del Team Vega, in seconda posizione. [...]**

«Ti ho vista parlare con Mister Delirium» osservò Koji, rivolgendosi alla compagna di squadra. «Mi sembravi piuttosto interessata.»
Dalia annuì.
«Certo. Ero molto interessata.»
Era palesemente ironica.
«Questa è una delle ragioni per cui mi ritengo fortunato di essere nato con qualcosa di lungo in mezzo alle gambe.»
Ethan rise.
«Lungo. Vogliamo parlarne?»
Dalia si prese la testa tra le mani.
«L’ultima volta che ho sentito un discorso del genere, lo stavano facendo dei dodicenni. Siete sicuri di non essere regrediti, con il passare del tempo?»
Koji si affrettò a puntualizzare: «È tutta colpa di Ethan. Io ho solo precisato che, se essere un uomo è ciò che mi salva dal dovere avere a che fare con Mister Delirium, sono molto felice di esserlo. Inoltre, se fossi una donna, molte delle belle ragazze che mi piacciono non mi degnerebbero di uno sguardo, ma si limiterebbero a invidiare i miei vestiti.»
Dalia osservò: «Dunque, se tu fossi una donna, avresti buon gusto in fatto di vestiti. Mi fa piacere. Almeno eviteresti di andartene in giro travestito da pinguino.»
«Non è colpa mia se durante certi eventi il farfallino è d’obbligo» ribatté Koji. «Se fosse per me, me lo toglierei volentieri e lo butterei nella spazzatura.»
Ethan gli ricordò: «Mitchell non indossa il farfallino. Nessuno ti ha costretto.»
«Mitchell è un caso a parte. È già buona se non è venuto in camicia hawaiana.»
«È tutto merito di sua moglie» intervenne Dalia. «Deve essere stata lei a impedirglielo.»
«Grazie al cielo ci sono le donne.»
«Già» convenne Dalia. «È grazie a noi se i geni del business riescono a farsi pubblicità.»
Era un chiaro accenno a Mister Delirium e Koji non poteva darle torto.
«Stai sicura che presto tornerà a cercarti.»
«Lo so. È per questo che mi nasconderei volentieri.»
Ethan le propose: «Posso aiutarti io, se vuoi.»
Dalia spalancò gli occhi.
«Cosa vuoi dire?»
«Vieni con me» le suggerì Ethan. «Andiamo a fare un giro fuori... così magari Johnstone si concentrerà su Koji e scambierà con lui qualche parola sull’ottima reputazione che i piloti giapponesi hanno nel mondo.»
Koji era certo che Dalia avrebbe rifiutato.
Dalia non lo fece.
Poco male, avrebbe trovato qualcun altro con cui parlare e la stessa cosa avrebbe fatto Mister Deliurium: altre donne che potessero aiutarlo ad attirare l’attenzione su di sé c’erano e Koji era certo che Johnstone avrebbe scovato proprio la migliore per riuscire in quell’intento.
Pochi minuti più tardi, quando il magnate si allontanò da Mitchell, si diresse infatti verso Caroline Parker, che in quel momento era sola.
Non c’era da sorprendersi: Caroline era indubbiamente quella che si faceva notare di più.
“Ed è anche vestita in modo inappropriato, beata lei.”

Erano fuori, lontani da tutto e da tutti, lontani da occhi indiscreti, nella fresca brezza della sera di Montecarlo.
«Scusami se ti ho portata qui» esordì Ethan, «Ma avevo voglia di staccare un po’. Koji non fa altro che dire una cazzata dopo l’altra, stasera.»
Dalia si girò a guardarlo.
«Non è quello che fa sempre?»
Ethan scosse la testa.
«Stasera è peggio del solito. Credo che sia il suo modo per non pensare all’anno scorso, al fatto che un anno fa Nathan era con noi e che soltanto pochi giorni dopo non c’era più, al fatto che potrebbe succedere anche a qualcuno di noi.»
«Non è solo Montecarlo il problema» replicò Dalia. «Può succedere ovunque.»
Ethan sbuffò.
«Chi cazzo ha detto che è Montecarlo il problema?»
«Mi era parso di capire...»
Ethan non permise a Dalia di finire la frase.
«Tu capisci solo quello che vuoi capire. Eri lontana da noi, eri dall’altra parte dell’oceano, nel tuo folle tentativo di entrare nella storia.»
«Il mio *folle* tentativo di entrare nella storia non è più folle dei tentativi che hai fatto tu in passato. Questo, inoltre, non cambia le cose. Credi davvero che io sia stata del tutto indifferente a quello che è successo, solo perché non c’ero?»
Come al solito Dalia non comprendeva nemmeno i concetti più semplici.
«No, non credo che tu sia stata indifferente. Credo però che tu stia sopravvalutando il tuo coinvolgimento. Tu non c’eri, su questa dannata pista. Che poi negli Stati Uniti Nathan fosse il tuo compagno di drink dopo le gare è un altro discorso.»
«Già» confermò Dalia. «Io non c’ero, non sono rimasta coinvolta in quell’incidente e l’ho visto soltanto in TV, ma io e Nathan non eravamo solo compagni di drink e non spetta a te stabilire se e quanto io sia rimasta sconvolta dalla sua morte.»
Non solo Dalia non capiva nulla, realizzò Ethan, ma era anche capace, del tutto involontariamente, di farlo sentire fuori luogo.
Si era comportato da insensibile.
Come al solito aveva continuato a vedere Dalia come un gelido robot programmato per salire in macchina e spingere al massimo o, in altre situazioni, per parlare con multimiliardari americani.
«Non credevo foste così intimi» cercò di scusarsi. «Non sapevo che...»
Dalia lo interruppe: «Non importa. So benissimo quello che pensi di me. Lo so da quasi vent’anni, ormai. Io sono quella che distrugge tutto e che guarda gli altri distruggere tutto, giusto? Sono quella che lo fa senza battere ciglio, perché fa parte della mia natura. Non importa che me lo ricordi ancora una volta. Lo so.»
Ethan alzò gli occhi al cielo.
«No, Dalia, non sai un cazzo. Parli di fatti capitati vent’anni fa, senza nemmeno considerare che eravamo due persone completamente diverse, all’epoca.»
«Eravamo due persone diverse all’epoca» confermò Dalia, «Ma nel corso degli anni ho imparato che le persone non cambiano radicalmente da un giorno all’altro. Si evolvono nel tempo, senza perdere tutto ciò che sono state in passato.»
«Per quanto mi riguarda, ho perso le mie convinzioni di un tempo» le assicurò Ethan. «Le ho perse molto tempo fa. Cerca di capirmi. Ero solo un ragazzino ed ero molto impressionabile. Vedevo complotti ovunque, anche intorno a me. È chiaro che, se potessi tornare indietro, mi risparmierei certe accuse.»
«Mi fa piacere sentirtelo dire» replicò Dalia, «Ma non credo che sia davvero qualcosa di cui dovremmo parlare. In realtà non avremmo dovuto parlare nemmeno di Nath, né di null’altro. Questa doveva essere una bella serata, almeno sulla carta.»
«Sì, le convenzioni dicono che dovrebbero esserlo, ma non lo è.»
«Sforzati di fingere che lo sia, allora. Fai come Koji. Sono certo che in questo momento si stia scervellando per capire che cosa dire, qualora Johnstone dovesse sceglierlo come vittima sacrificale per un altro dei suoi monologhi sui mercati finanziari.»
Ethan si sentì rincuorato.
La tensione stava lentamente calando.
«A volte invidio Koji.»
Dalia spalancò gli occhi.
«Tu?! Hai davvero qualcosa da invidiargli?»
Ethan annuì.
«Riesce sempre a cavarsela in qualsiasi situazione. Per quanto quello che succede intorno a lui possa impressionarlo, alla fine riesce sempre a prendere tutto con molta più leggerezza di me. E poi non mette le persone in imbarazzo come faccio io.»
«Tu non metti in imbarazzo le persone» precisò Dalia. «Non ce l’hai per abitudine. È un trattamento di favore che riservi a me.»
«Non vorrei averti dato quell’impressione.»
«Non sto dicendo che *vuoi* mettermi in imbarazzo. Ti sto dicendo che ci riesci perfettamente anche senza volerlo.»
Ethan alzò gli occhi al cielo.
«È un altro dei miei problemi, a quanto pare.»
Dalia osservò: «Prima che succeda di nuovo faremmo meglio a tornare dentro.»
Ethan era sul punto di cogliere il suggerimento, ma cadde di nuovo in tentazione e pronunciò un’altra domanda destinata a causare il disappunto della collega.
«Cosa intendevi dire quando hai detto che tu e Nathan non eravate “solo compagni di drink”?»
Dalia gli scoccò un’occhiataccia.
«Che cosa ti fa pensare, esattamente, che questi siano affari tuoi?»
Ethan sospirò.
«Non voglio intromettermi, ma...»
Dalia concluse, al posto suo, con una mezza risata: «Ma lo stai facendo ugualmente.»
«Solo perché sono preoccupato» chiarì Ethan. «Nel caso la questione ti sia sfuggita, il lato “cronaca rosa” della stampa motoristica si è occupato di te, negli ultimi giorni. Sei stata vista in giro insieme a Jacques Dubois e non sembravate esattamente “compagni di drink”. Se dovesse venire alla luce che c’è stato qualcosa anche tra te e suo fratello...»
Dalia lo interruppe: «Nulla verrà alla luce, a condizione che tu tenga chiusa quella maledetta bocca. Non sei proprio capace di badare ai tuoi interessi? E comunque, per tua informazione, ti ho detto solo che Nathan non era soltanto qualcuno con cui andavo a bere qualcosa dopo le gare, tutto qui. Se tu non sei capace di instaurare legami affettivi, se non con le donne che ti porti a letto, non puoi estendere il problema a tutto il resto della popolazione mondiale.»
Ethan decise di averne abbastanza.
«Okay, hai ragione tu. Lasciamo perdere amicizie e relazioni sentimentali. Dimmi, piuttosto, che cosa ne pensi del look di Caroline Parker?»
«Stasera è perfetta... o meglio, lo sarebbe stata, per andare a un concerto rock o qualcosa del genere.»

Brett Johnstone giocò per l’ennesima volta la carta del disinteressato completamente ignorante a proposito di questioni motoristiche.
«Irina Volkova, vero?» domandò, rivolgendosi alla donna che aveva di fronte.
Ebbe come risultato quello di farle strabuzzare gli occhi per lo stupore e, forse, anche per il disgusto.
«Direi proprio di no» ribatté Caroline Parker, in tono più divertito che seccato, qualche istante più tardi. «Le sembro Irina?»
«Mi scusi, l’ho scambiata per la sua compagna di squadra.» Johnstone rise. «Cose che capitano. Immagino che le succeda tutti i giorni.»
Caroline scosse la testa.
«In realtà non mi succede mai. Non è che, solo perché condividiamo il fatto di essere nate donne, io e Irina siamo la stessa persona o siamo intercambiabili.»
«Non lo insinuerei mai.»
«Bene.» Caroline fece un sorrisetto sprezzante. «Anche perché, come ben saprà, i risultati sono molto diversi.»
«I risultati sono molto diversi» confermò Johnstone, «Ma ciò non significa che io debba essere necessariamente in grado di riconoscere Irina Volkova a prima vista.»
Caroline gliela indicò.
«È la ragazza bionda con i capelli ricci e il tailleur beige.»
«Oh, capisco.» Johnstone finse di avere bisogno di squadrare Caroline Parker dall’alto al basso per fare la propria valutazione. «C’è una certa differenza. Anche qui, diciamo, i risultati si vedono. A proposito, mi permetta di farle i complimenti. Vestendosi a quel modo, ha dimostrato di volere andare contro gli stereotipi.»
Caroline scosse la testa.
«Credo proprio che si stia sbagliando. In realtà non me ne è mai importato un fico secco degli stereotipi. Sono qualcosa che non mi riguarda, non qualcosa da seguire o da infrangere a tutti i costi.»
Era più sicura di sé di quanto Brett Johnstone pensasse.
Se si vestiva diversamente da tutti gli altri, in un’occasione elegante, non era né per mettersi in mostra né perché le interessasse il comportamento altrui. Le regole, scritte o non scritte, erano qualcosa che per lei non aveva valore né positivo né negativo.
In conclusione Caroline Parker era una persona interessante, ma troppo sfuggente per potere un giorno diventare la donna immagine degli assorbenti Delirium.
“Non che io abbia intenzione di avere qualcosa a che fare con lei.”
Tra loro due, era Johnstone quello che doveva mettersi in mostra e apparire al fianco di personalità di un certo livello. Avrebbe prolungato volentieri la propria vicinanza con la Parker, ma fu lei a liquidarlo.
«Mi scusi, devo andare in bagno.»
Johnstone fece una risatina.
“A quanto pare ho un effetto diuretico sulle donne.”
Uscita di scena Caroline, era giunto il momento di trovare qualcun altro con cui intrattenersi.
Koji Yoshimoto, decise Johnstone, faceva al caso suo. Gli sarebbe bastato elogiare un’altra volta i piloti giapponesi per guadagnarsi la sua attenzione.

Dalia era già stata abbastanza critica nei confronti di Caroline - era più che giustificabile, vista la maniera in cui la Parker aveva cercato di metterla in imbarazzo durante l’intervista a cui avevano presenziato insieme a Marcela e a Irina - ma, a quanto pareva, non aveva intenzione di fermarsi e continuava nell’elenco di tutto ciò che non le piaceva del comportamento dell’avversaria.
«Per tutta la serata non si è mai avvicinata a nessuno. Ha dimostrato ancora una volta di ritenersi uno scalino al di sopra di tutti. Com’è possibile che non ci sia una sola persona con cui riesce a relazionarsi?»
Ethan cercò di minimizzare.
«Magari era annoiata.»
«A maggior ragione, se era annoiata, avrebbe potuto parlare con qualcuno, invece di rimanere in un angolo ad atteggiarsi. Non...» Si interruppe. «Oh, guarda, Mitch è venuto a raggiungerci.»
Ethan guardò nella direzione che Dalia gli indicava.
«Credo che non fosse quella la sua intenzione.» Da come rovistava nelle tasche della giacca, Mitchell sembrava avere ben altre aspirazioni. «Credo che stia disperatamente cercando di ricordarsi dove ha messo le sigarette.»
Dalia alzò gli occhi al cielo.
«Allora è ufficiale, non cercava noi e soprattutto non cercava me.»
«Direi di no.»
Dalia avanzò verso Mitchell a passi lunghi e veloci.
«Lascialo vivere, almeno per qualche minuto!» la pregò Ethan, iniziando ad essere divertito. «Non andare a fargli la predica anche adesso!»
Era inutile, Dalia non era intenzionata ad ascoltarlo.
Non sopportava che Mitchell avesse ripreso a fumare come una ciminiera - dove il riprendere altro non era che un eufemismo, considerando che nel corso degli anni si era sempre limitato a fingere di essere un fumatore leggermente meno accanito di un tempo - e, in realtà, non sopportava la maggior parte delle cose che suo fratello faceva.
Se non altro, se proprio Ethan doveva cercare un lato positivo, i discorsi imbarazzanti di poco prima sembravano ufficialmente dimenticati.
Chissà, magari in presenza di Mitchell avrebbero potuto trattare altri argomenti e, in tal caso, sarebbe riuscito a interagire con lei senza correre il rischio di risultarle inopportuno ogni volta in cui avesse proferito parola.

** [...] Il Team Corujas Blancas promette inoltre di stupire con la versione beta della monoposto, che farà il proprio esordio sulle strette stradine del Principato di Monaco. Con gli importanti aggiornamenti già largamente preannunciati, il team latinoamericano si candida come un serio contendente alla vittoria o, almeno, alle posizioni di un certo livello.
Prima di scendere in pista, però, tutte le squadre avranno un’altra importante faccenda piuttosto urgente di cui occuparsi: la questione delle qualifiche in occasione degli appuntamenti doppi. Al momento, infatti, chi non si qualifica per la gara del sabato non può nemmeno prendere parte alle qualifiche della gara della domenica, nonostante venga disputata, alla domenica mattina, una sessione di qualifiche apposita per la Gara 2.
Le squadre si riuniranno domani per proporre un format alternativo che, se approvato all’unanimità, potrebbe essere utilizzato già a partire da Silverstone, il prossimo “gran premio doppio” del campionato.
[...]**

«La senti, Ethan?» scherzò Mitchell. «Non fa altro che rompere le palle dalla mattina alla sera. Se solo avessi saputo che era meglio piazzarla da qualche parta negli Stati Uniti...»
«Piantala di dire stronzate» ribatté Dalia. «Ethan potrebbe crederci.»
Ethan scosse la testa.
«No, stai tranquilla. Conosco Mitch da abbastanza tempo per sapere che nulla di quello che dice è da prendere sul serio.»
Mitchell sbuffò.
«Speriamo, per il bene di tutti, che mi prendano sul serio domani... a meno che, dato che siete voi le persone serie, non vogliate venire con me alla riunione per convincere gli altri che non sto delirando, quando dico le stesse cose che dicono tutti.»
«Non preoccuparti» gli assicurò Ethan. «Tutti ti prenderanno sul serio.»
«Non ne sono convinto. Non per altro, ma mi sembra difficile che i rappresentanti di tutte le squadre concordino sulla stessa cosa.»
«È difficile» intervenne Dalia, «Ma non c’è nessuno che vuole correre il rischio di avere una vettura in meno sulla griglia di partenza di *entrambe* le gare a causa di un guasto o di un incidente nelle qualifiche di *una delle due* gare. Non mi sorprenderebbe se stavolta tutti concordassero all’unanimità.»
«Io» obiettò Mitchell, «Continuo a credere che la questione stessa dell’unanimità sia una grandissima cazzata. Un tempo le decisioni si prendevano a maggioranza, anche quando avvenivano a campionato in corso, in caso ci fossero serie ragioni per intervenire.»
Ethan abbassò lo sguardo.
Era sempre la solita stessa storia.
Non aveva voglia di replicare.
Per quanto Mitchell Ramirez fosse una delle persone migliori che Ethan avesse mai conosciuto, anche lui peccava della stessa superficialità di tutti gli altri.
Era così difficile aprire gli occhi e rendersi conto di quali fossero state le devastanti conseguenze dell’ultima volta in cui tutti i team, con la sola esclusione di Phoenix e Vega, si erano uniti per cambiare un punto del regolamento?

***

Il sole si apprestava a tramontare. Presto la sera di Montecarlo sarebbe stata animata dal rombo dei motori, quegli stessi motori che da qualche anno venivano costantemente ridicolizzati perché facevano meno rumore di un tempo.
I ricordi di ciò che restava dell’anno precedente si erano affievoliti. L’antidoto migliore era andare avanti, concentrarsi sul presente, invece che sul passato, e non lasciarsi intaccare da ciò che appariva abbastanza lontano da potere essere ignorato.
Era così che faceva Koji.
Era così che faceva Ethan.
Era così che facevano tutti gli altri; tutti gli altri a parte Dalia, che non era stata fortunata abbastanza da condividere il destino dei suoi colleghi.
Era stato un weekend terribile.
Lo era ancora, nonostante per lei fosse già finito, e non da poco.

-3gg 1h 25'
«Dovremmo stare più attenti» osservò Dalia.
Era insieme a Jacques sul balcone, e ancora una volta le faceva uno strano effetto: fino a un anno prima lì ci aveva vissuto Nathan.
Il suo personal trainer, naturalmente, non capì l’allusione.
«A cosa?»
«A non dare nell’occhio.»
Quelle poche parole non furono sufficienti.
«Di cosa parli?»
«Parlo del fatto che qualcuno abbia scritto che io e te stiamo insieme. Me l’ha fatto notare anche Ethan.»
Jacques la guardò, spalancando gli occhi.
«Vuoi dire che Ethan ha come problema principale quello di occuparsi di gossip? Credevo che preferisse ronzare intorno a Grace Kissinger.»
«Lo credevo anch’io» ammise Dalia, «E in realtà non è che sia così interessato al gossip. Mi ha solo fatto notare che i giornali hanno scritto qualcosa a proposito di noi due. Sai come funziona: chi vuole vedere storie d’amore a tutti i costi è disposto a inventarsele. È un po’ come chi scambia la luna per un ufo perché sente il desiderio folle di vedere dischi volanti in cielo.»
«E va bene» ribatté Jacques, «Siamo stati beccati in atteggiamenti un po’ troppo intimi una volta e la cronaca rosa si è messa in testa che ci amiamo follemente. Non mi sembra che sia un grosso problema. È qualcosa che possiamo affrontare tranquillamente, non credi?»
Dalia cercò di non mostrarsi troppo esitante.
«Potremmo...»
«Ma c’è qualcosa che non va» dedusse Jacques. «Non sapevo che fossi così riservata. Una volta tu stessa hai affermato che, se la tua vita privata era di dominio pubblico, non avevi che da guadagnarci, perché almeno ti evitavi tutte le speculazioni.»
Aveva ragione.
Aveva maledettamente ragione.
Se solo Dalia avesse potuto rivelargli qual era la ragione delle perplessità che la attanagliavano...
Jacques concluse con un’osservazione che doveva apparirgli innocente.
«Mi ricordi un po’ Nathan.»
Dalia rabbrividì.
«Perché?»
«Perché anche lui, negli ultimi tempi, era diventato molto più riservato di un tempo. Una volta mi confidò che stava con una ragazza, una del suo stesso ambiente, ma che nessuno doveva saperlo, a parte loro due. Non mi disse mai chi fosse. Probabilmente era qualche addetta stampa o qualche giornalista della televisione americana. A proposito, tu ne sai qualcosa? Non ti ha mai confidato nulla?»
In quel momento Dalia ebbe la certezza definitiva che non solo Jacques non sapesse niente, ma che non avesse nemmeno il più vago sospetto.
«No, non mi ha mai confidato nulla.»
«Allora non si è smentito. È stato riservato anche con te.»
«Non vedo perché avrebbe dovuto fare un’eccezione.»
«Eri una sua carissima amica» puntualizzò Jacques, «E magari avresti potuto aiutarlo, in caso di difficoltà con l’addetta stampa dei suoi sogni.»
Dalia cercò di immaginarsi nei panni di un’addetta stampa.
Non riuscì.
Cercò poi di immaginarsi Nathan al fianco di un’addetta stampa.
Non riuscì nemmeno in quell’intento.
Alla fine la decisione più saggia era quella di non cercare di immaginare più niente e di smettere di pensare al passato.
Cosa sarebbe accaduto se Jacques avesse scoperto della relazione passata con Nathan e avesse capito che il fatto che somigliasse a lui, sia fisicamente sia caratterialmente, era forse la ragione per cui Dalia si era legata così tanto a lui, negli ultimi tempi?
Dalia era certa che per lui sarebbe stata una profonda delusione.
Allo stesso tempo era certa che Jacques non meritasse delusioni.
Si pentì di avere parlato più del dovuto con Ethan.
In ogni caso non c’era da preoccuparsi: Harris era una persona riservata e non aveva l’abitudine di andare a riferire ad altri le questioni personali altrui.

-2gg 4h 25'
Mancava poco e Grace iniziava ad avvertire i brividi di eccitazione.
Mancavano pochi istanti, poi l’immaginazione avrebbe lasciato spazio alla realtà e tutti avrebbero fatto sul serio.
Dalia era già pronta.
Cinque minuti e poi sarebbe scesa in pista; una pista sulla quale, in quel momento, non avrebbe nemmeno dovuto stare.
La questione delle qualifiche era stata sistemata, ma nessuno aveva ancora toccato il problema delle prequalifiche.
Non avevano senso.
Non erano una novità assoluta nella Golden League, all’epoca in cui c’erano oltre trenta vetture erano una necessità, ma era fuori da ogni logica non potere avere ventiquattro vetture al via di una gara solo perché, in teoria, bisognava badare anche allo spettacolo e “l’eliminazione di due piloti all’inizio del fine settimana riserva colpi di scena”.
Quali colpi di scena?
Athena e Moretti, erano quelli i due team che sarebbero stati eliminati, a meno che non ci fossero stati i rari ma tanto agognati “colpi di scena”, che non avrebbero inciso sulla generale percezione di spettacolo.
Per “spettacolo”, il fanbase della Golden League intendeva la presenza di sorpassi per la prima posizione tra team Phoenix e team Vega, manovre che necessitavano naturalmente di essere paragonate a quelle di venti o trent’anni prima. Tutto ciò che non riguardava quelle due specifiche squadre era una distrazione, in quanto “inutile ai fini della classifica”.
Già, perché a tutti interessava soltanto chi fosse il primo classificato. Il secondo serviva allo scopo, mentre dal terzo in poi erano il nulla. Ovviamente se il primo classificato non apparteneva ai due team standard, generalmente si parlava di campionato falsato... anche se, a guardarci bene, secondo i tifosi del team Phoenix erano falsati anche tutti i campionati vinti dal team Vega, mentre per i tifosi del team Vega valeva l’esatto contrario.
“Pazienza” si disse Grace, fiduciosa delle performance della vettura con gli aggiornamenti. “Vorrà dire che falseremo almeno il risultato di questo gran premio.”
In generale c’erano aspettative positive.
I tempi di Dalia nella sessione di prequalifiche potevano essere indicativi, relativamente al proseguo del weekend.
“Se Dalia ottenesse il miglior tempo, a qualcuno inizierebbe già a bruciare il culo.”

-2gg 4h 12'
Dalia rientrò ai box dopo il primo run.
Era uscita soltanto per accertarsi delle condizioni della pista e, ritrovandosi nel traffico, era rientrata senza tentare un giro veloce.
Era solo questione di minuti.
Forse erano le caratteristiche del tracciato, forse era l’effetto degli aggiornamenti, ma in apparenza quella era la migliore macchina che Dalia avesse mai guidato dopo essersi accasata al Team Corujas Blancas.
Non c’erano dubbi sul fatto che le prequalifiche fossero ancora più una formalità rispetto alle altre occasioni.

-2gg 4h 07'
Dalia uscì di nuovo.
Se non avesse trovato altre maledette carrette sulla propria strada, avrebbe dimostrato qual era il valore della vettura.
Grace non perse d’occhio i tempi sul monitor.
Suarez.
Dobson.
Cruz.
Ruggeri.
Volkova.
Reyes.
Sembrava una storia già scritta, ma l’addetta stampa era convinta che i colori del Team Corujas Blancas sarebbero spiccati, al termine di quella giornata.
Le bastava guardarsi intorno per percepire la stessa convinzione.
Non era una storia già scritta e non solo Volkova e Reyes rischiavano seriamente di crollare, dato che oltre a Dalia anche Gabriel Aruya doveva ancora far registrare il proprio tempo, ma dopo quella sessione di prequalifiche ci sarebbe stato senz’altro qualcosa di cui parlare.
Era facile sentirsi positivi, quando tutto andava bene.
Era troppo facile.

-2gg 4h 03'
Accadde tutto troppo in fretta.
Prima di vedere i filmati, Dalia non sarebbe stata in grado di ricostruire i fatti.
Anche dopo averli visionati, comunque, avrebbe continuato ad avere delle difficoltà.
Sapeva che, arrivata alla Rascasse, aveva trovato la vettura gialla di Gabriel Aruya che procedeva lentamente. Il pilota argentino era appena sceso in pista ed era nel corso del giro di lancio.
L’aveva vista e si era fatto da parte.
Non era stato abbastanza.
Dalia non avrebbe saputo spiegare come, ma le loro vetture si erano agganciate l’una con l’altra, e quella era stata la fine.

-2gg 4h 02'
Grace udì con chiarezza Mitchell Ramirez che imprecava.
Non comprese con esattezza il significato dell’espressione da lui utilizzata, dato che il team manager si era espresso nella propria lingua natale, ma dal tono sembrano parole che non avrebbe utilizzato di fronte ai suoi due figli - o almeno, parole che sua moglie non gli avrebbe permesso di pronunciare in presenza dei bambini.
Era incredibile come l’ottimismo potesse crollare in un istante.
Grace si rese conto, ancora una volta, di quanto l’imprevedibilità fosse uno dei fattori chiave del motorsport, ma di quanto venisse spesso sottovalutata: nessuno, fino a un attimo prima dell’incidente, avrebbe mai creduto che tutto potesse crollare così in fretta.

-2gg 4h 01'
«Maledizione» borbottò Kathy Shelley, nel momento in cui vide la bandiera rossa.
Irina sarebbe stata costretta ad abortire il giro proprio quando finalmente si era decisa a spingere sull’acceleratore.
Era nel corso di un buon giro, che le avrebbe permesso di staccare, e non di poco, Giuseppe Ruggeri della Scuderia Moretti; giro che era destinata a non terminare a causa dei casini altrui.
Kathy scosse la testa, sospirando.
Quando le cose si mettevano male, non c’era verso di risalire.
Era vero, c’era pur sempre un lato positivo: contro le barriere c’erano andati in due e, viste le condizioni delle vetture, era impensabile che Dalia Herrera e Gabriel Aruya, che al momento dello schianto non avevano ancora tempi cronometrati, potessero rientrare in pista prima del termine della sessione e riuscire a prequalificarsi.
Irina Volkova aveva in quel momento il quinto tempo. Considerando il soggetto, se anche non fosse riuscita a migliorarsi in un secondo momento, avrebbe potuto essere considerato un risultato di tutto rispetto, se solo tutte e otto le vetture fossero riuscite a completare almeno un giro.
La prequalificazione non bastava e, purtroppo, la qualificazione nemmeno.
La pressione degli sponsor, in particolare uno di essi, era sempre più alta: si aspettavano grandi risultati, da parte di una squadra così innovativa, come il Team Pink Venus veniva spesso descritto.
Non c’era nulla di innovativo, nel team di Kathy Shelley. Purtroppo, quando si era imbarcata nella sua nuova avventura di team owner, aveva seguito i consigli sbagliati di suo padre e aveva inscenato quella maledetta stronzata che era il team “tutto al femminile”, che avrebbe dovuto esaltar il ruolo della “donna vincente”.
Era questo che il main sponsor voleva vedere: tre donne che potevano competere alla pari con gli uomini. Nonostante fosse quello che accadeva ogni singolo giorno, non bastava: “competere alla pari con gli uomini”, nell’accezione popolare, significava andare a disturbare il campione del mondo in carica, poco importava che anche lui, con una vettura come quella di cui disponevano Caroline, Marcela e Irina, in certe occasioni avrebbe faticato perfino a vedere con il binocolo i piloti che andavano a conquistare punti.
Il main sponsor, ovviamente, non era soddisfatto dal rendimento di Irina Volkova. Nessuno che non fosse dotato di un minimo di pazienza ne sarebbe stato soddisfatto. A peggiorare la situazione, Daphne Harris esisteva e il fatto che non volesse affrettare i tempi e che non avesse intenzione di pensare alla Golden League almeno finché non fosse riuscita a dimostrarsi competitiva nella Silver League era irrilevante per lo sponsor che avrebbe voluto vederla al posto della russa.
Purtroppo, quando era ancora giovane abbastanza per permettersi di pensare a tutt’altro, Ethan Harris aveva avuto la pessima idea di avere una relazione con un’aspirante giornalista che, a quanto pareva, non aveva mai sentito parlare della pillola anticoncezionale.
“Se solo Daphne Harris non fosse mai nata” pensò Kathy, con una certa amarezza, “Almeno nessuno la vorrebbe a tutti i costi al posto di Irina.”

-2gg 3h 59'
Quando Dalia ebbe il coraggio di alzare gli occhi dal disastro, il suo sguardo incrociò quello di Gabriel.
Scuoteva la testa.
Aveva milioni di ragioni per scuotere la testa.
Era prevedibile che, proprio quando sembrava avere fatto un piccolo passo per migliorare la propria reputazione, conquistando la seconda posizione in Gara 2 all’Istanbul Park, essa tornasse ai minimi storici: totalmente incolpevole della mancata prequalificazione, sarebbe stato il primo a rimetterci, perché era lui, e non Dalia, quello che giorno dopo giorno doveva combattere contro critiche che si moltiplicavano alla velocità del suono.
Gabriel si avvicinò di qualche passo.
Pronunciò poche parole, ma dirette ed efficaci.
«Che cosa pensavi di fare?»
Dalia alzò gli occhi al cielo.
Gabriel voleva una risposta, ma lei non ne aveva una.

-2gg 3h 10'
Kathy Shelley era tutt’altro che sorridente, quel giorno, ma non si poteva dire lo stesso di Irina Volkova.
Non appena la vide, Karl le corse incontro facendole un cenno di saluto.
«Ottimo risultato!» esclamò. «Stasera si festeggia.»
«È meglio di no» ribatté la sua collega. «Ti ricordo che domani sarà una giornata piuttosto impegnativa.»
«Pensavo a un festeggiamento soft» puntualizzò Karl. «Potremmo berci insieme un’aranciata, per esempio.»
Irina annuì.
«Direi di sì. Un’aranciata va più che bene per festeggiare la mia migliore prequalifica della stagione.»
Seppure il botto tra la Herrera e Aruya fosse stato inaspettato, la vera sorpresa della sessione era stata Irina: dopo un tentativo piuttosto scadente all’inizio della sessione, era stata interrotta sul più bello dall’incidente e dalla bandiera rossa, mentre stava girando su tempi piuttosto rispettabili; soltanto alla fine, in extremis, aveva sfoderato una prestazione da urlo, facendo segnare il terzo tempo, staccata di appena tre centesimi da Karl, che si era classificato secondo.
Il risultato di Irina non poteva che fargli piacere, sia perché era forse la persona più cordiale con cui Karl avesse a che fare, sia perché, volente o nolente, continuava a ricordargli, almeno fuori dalla pista, una giovane Anna Kravchenko.
«Ora» osservò Karl, «L’obiettivo deve essere una buona qualifica e una buona gara.»
Irina rise.
«Speriamo!»
«Se così dovesse essere, mi aspetto festeggiamenti meno sobri al termine del weekend» precisò Karl, «Quindi preparati.»
«Preparati tu» ribatté Irina, «Perché il mio obiettivo continua ad essere quello di avere qualcosa da festeggiare.»
«Chi avrà poco da festeggiare» osservò Karl, quasi distrattamente, «Al termine di questo weekend, saranno i nostri amici gufi bianchi. Hanno avuto un bello scherzetto dalla sorella del boss, stavolta.»
Irina si fece seria.
«Non sottovalutarli. Mentre tu prendi per i fondelli tutta la squadra, Harris e Yoshimoto pianificano di romperti il culo. La Herrera ha fatto un errore e l’ha pagato a caro prezzo, ma quei due non staranno certo a guardare.»
Karl minimizzò.
«Koji non è mai andato bene, su questo circuito.»
«Ethan sì, però.»
«In ogni caso, non credo allo strapotere che hanno tanto dichiarato negli ultimi giorni. Stanno cercando di mettersi in mostra. La verità è che sono ancora dietro.»
«No, non è così» replicò Irina. «Non essere troppo sicuro di te stesso. Mi sembra che le classifiche parlino chiaro.»
«Lascia che le classifiche parlino» ribatté Karl. «Sono certo che, al termine del weekend, non parleranno a favore dei gufi.»
Irina scosse la testa.
«Sei fantastico, Karl.»
«Cosa vuoi dire?»
«Ce l’hai talmente tanto con quella squadra da non ammettere che non sono gli ultimi arrivati. Adesso quale sarà il prossimo passo? Andare a complimentarti di persona con Dalia per quello che ha combinato?»
«Non l’avevo in programma» ammise Karl, «Ma potrebbe essere un’idea. Prima o poi la beccherò in giro.»
«Non credo. Sarà già andata a rintanarsi da qualche parte perché è stanca di rispondere alle stesse domande.»
«Non si nasconderà per tutta la vita. Non ho problemi ad aspettare fino a domani.»

-1gg 20h 15'
Dalia era seduta sul bordo del letto, con quell’aria indecifrabile che la contraddistingueva.
«Stai ancora pensando a oggi?» volle sapere Jacques.
Dalia si girò di scatto.
«Sì, perché, è un problema?»
«Non lo sarebbe» rispose Jacques, «Ma ho l’impressione che per te lo stia diventando.»
Dalia si alzò.
«Certo che lo sta diventando! Credevo di essere ormai lontana da queste situazioni, ma a quanto pare tutto è tornato come un anno fa.»
Doveva riferirsi all’incidente di Indianapolis.
«Mi sembrano due situazioni completamente diverse.»
«Tu non capisci» replicò Dalia, secca. «Non puoi capire. Sono finita in mezzo ad altri incidenti, durante quest’ultimo anno. Alcuni erano evitabili, ma ho commesso degli errori.»
«E stavolta?» obiettò Jacques. «Non hai forse commesso un errore anche stavolta?»
«Ho commesso un errore» confermò Dalia, «Ma non per un errore di valutazione. È stato come se, per un attimo, non fossi più in me. È più o meno la stessa sensazione che ho provato un anno fa a Indianapolis e ti assicuro che non è una bella sensazione.»
Jacques non replicò.
Cosa poteva dirle, dopotutto?
Pensò a tutto lei, per fortuna.
Gli si avvicinò.
La sua espressione si era addolcita.
«Per fortuna, almeno, adesso non sono sola. Se non ci fossi tu, trascorrerei tutta la notte a pensare e a ripensare a quello che è successo.»
«Mi fa piacere che tu non abbia quell’intento» ribatté Jacques, infine. «Inoltre mi fa molto piacere che tu sia qui.»

-1gg 1h 20'
«Herrera.»
Dalia conosceva bene quella voce.
Non solo, conosceva anche il tono.
Si girò lentamente, preparandosi ad affrontare il peggiore dei propri incubi.
«Buonasera, Dobson.»
«Buonasera a te.» Le strizzò un occhio. «Complimenti per la tua performance di ieri. È stato un vero spettacolo.»
«Fottiti» sibilò Dalia, preparandosi a voltargli le spalle.
Stava per riuscirci, ma Karl la trattenne afferrandola per un braccio.
«Perché hai tutta questa fretta? Non ti va proprio di scambiare quattro chiacchiere?»
«Non con te» gli assicurò Dalia. «Inoltre, sei proprio sicuro di non avere niente di più importante di cui occuparti?»
«Cose più importanti ce ne sarebbero» ammise Karl, «Ma mi interessa approfondire la questione. Per caso ieri hai deciso di trasformarti in una vendicatrice? Hai buttato fuori Aruya per rendere felici tutti quelli che hanno finito le loro gare anzitempo a causa sua?»
Dalia si morse la lingua per non replicare.
Parlare con Karl Dobson equivaleva a perdere tempo.
Ritrasse di scatto il braccio che il pilota del Team Vega le stringeva.
Il momento di lasciarlo solo con i propri vaneggiamenti era finalmente arrivato.
Si allontanò, augurandosi che accadesse qualche miracolo e che Dobson non superasse le qualifiche. Non sperava in niente di troppo negativo: un guasto che gli impedisse di scendere in pista le sarebbe bastato.

-23h 00'
Novak.
Yoshimoto.
Harris.
Nyman.
Suarez.
Willis.
Gomez.
Dobson.
Dalia osservava lo schermo con grande attenzione quando, ormai al termine dell’unica sessione di qualifiche, soltanto Karl Dobson, provvisoriamente in ottava posizione, doveva ancora completare l’ultimo giro veloce.
Anche Grace non abbassava gli occhi dallo schermo.
Koji ed Ethan erano rispettivamente secondo e terzo, alle spalle di Erik Novak, detentore della pole position provvisoria.
I tempi di Dobson, purtroppo, erano eccezionali. Se anche non fosse riuscito a tirare giù il campione del mondo in carica dal suo piedistallo, avrebbe comunque ottenuto una prima fila che avrebbe fatto arretrare gli unici due piloti del Team Corujas Blancas ancora in pista.

***

Sarebbe stato un lungo sabato sera, Dalia ne era certa.
Sarebbe stato molto lungo per Gabriel Aruya, che del tutto inaspettatamente si era ritrovato fuori dai giochi ancora prima del termine delle prequalifiche.
Sarebbe stato molto lungo per Leonard Barnett, pilota di punta del Team Athena, che sarebbe rimasto a guardare la gara dai box insieme a Leandro Reyes, dato che a sorpresa era stato battuto dal loro compagno di squadra Flavio Santos, che in qualifica aveva conquistato il ventesimo tempo garantendosi, diversamente da loro, l’accesso alla gara.
Sarebbe stato un sabato sera ancora più lungo per Dalia, che avrebbe assistito impotente a una gara in cui i suoi compagni di squadra sarebbero scattati dalla seconda fila e in cui, con un po’ di fortuna, sarebbero riusciti a competere alla pari con Erik Novak e chissà, magari anche con quel pallone gonfiato che si apprestava a partire dalla pole position.
Dalia sospirò, rassegnata, ricordando il momento in cui aveva sperato che Dobson non si qualificasse. Purtroppo quella speranza sembrava avere avuto effetto completamente opposto, portandogli fortuna.


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